I segreti dei Mondiali

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Le storie più curiose dei Mondiali, edizione dopo edizione: il mistero di Ronaldo e quello di una borraccia avvelenata; gli 11 tocchi magici di Maradona e un gol entrato nella leggenda; il perché del rigore sbagliato da Baggio contro il Brasile e il motivo della testata di Zidane a Materazzi… Questi e altri segreti del grande calcio svelati in una narrazione piena di sorprese. DARWIN PASTORIN è nato a San Paolo del Brasile nel 1955, figlio di emigranti veneti. È cresciuto giocando a calcio in strada con coetanei di tutte le nazionalità. S’intendevano attraverso il pallone. Diventato giornalista e scrittore, si è sempre occupato di sport con passione e cultura. Con Gallucci ha pubblicato anche Crossa al centro!, Ragazzi, questo è il calcio!, Il grande giorno della mia prima partita e, insieme al figlio Santiago, Io, il calcio e il mio papà.

Consigliato dai ai anni

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DARWIN PASTORIN

CON IL RACCONTO DELLO STRAORDINARIO MUNDIAL DEL 1982


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UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni


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Darwin Pastorin I segreti dei mondiali disegni di Desiderio dello stesso autore: Crossa al centro! Ragazzi, questo è il calcio! Il grande giorno della mia prima partita ISBN 978-88-3624-409-6 Prima edizione maggio 2010 Nuova edizione luglio 2022 ristampa 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2026 2025 2024 2023 2022 © 2010 Carlo Gallucci editore srl - Roma Il testo è aggiornato a giugno 2022 Gallucci e il logo

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Darwin Pastorin

I segreti dei Mondiali Con il racconto dello straordinario Mundial del 1982

disegni di Desiderio


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GERMANIA OVEST 1974

La rivoluzione sconfitta

Non esiste spettacolo più bello e affascinante, capace, ogni quattro anni, di incollare davanti alla Tv milioni e milioni di appassionati: il Mondiale di calcio! Anche chi non sopporta il pallone, non ha una squadra del cuore e confonde Francesco Totti con un personaggio del varietà o Alessandro Del Piero con un illusionista, ammette di non perdersi una partita della Coppa del Mondo. Perché in quel mese è “impossibile” non partecipare ai match della propria Nazionale, sognando di accompagnarla sino alla finale, con il capitano che alza il

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trofeo, tra applausi interminabili e luci abbaglianti. E tutti pronti a scendere in piazza per fare festa fino al tintinnare dell’alba! I Mondiali rappresentano uno scrigno pieno di sorprese meravigliose: match memorabili, gol impossibili, rigori realizzati e sbagliati, parate decisive all’ultimo minuto, ma anche vicende misteriose e partite “strane”. Leggerai qui la storia dei Mondiali a partire dall’anno in cui presero il nome attuale. Di ogni edizione troverai l’episodio più curioso o particolare, la vicenda memorabile o quella passata, inspiegabilmente, in secondo piano. Ogni capitolo ti sorprenderà, facendoti sorridere e indignare o lasciandoti a bocca aperta per lo stupore. Il racconto comincia dunque dal 1974, cioè da quando il Mondiale cambiò dizione, diventando World Cup: semplicemente Coppa del Mondo. Prima di quella data il trofeo si chiamava “Rimet”, dal nome del suo ideatore, il francese Jules Rimet. Nel 1970, in Messico, vinse per la terza volta il Brasile dei giocolieri,

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superando tra l’altro in finale l’Italia per 4-1 e, secondo il regolamento, fece sua per sempre la Coppa Rimet. Quattro anni dopo, nel 1974, eccoci in Germania con la nuova versione, non meno combattuta, non meno attraente. L’Italia, vice-campione in carica, è esclusa nel girone eliminatorio, dopo una vittoria su Haiti, un pareggio con l’Argentina e la sconfitta contro una sorprendente Polonia. Il ritorno a casa sarà accolto da polemiche e lanci di pomodori! Quella malinconica avventura è stata narrata dallo scrittore Giovanni Arpino in Azzurro tenebra, diario letterario di una disfatta. Il Brasile, campione in carica, arriverà soltanto quarto, dietro i polacchi dell’ala destra spelacchiata Grzegorz Lato, un furetto velocissimo, imprendibile. Questo sarà il racconto dei vinti, non dei vincitori. Il racconto dei secondi: gli Olandesi che, in quegli Anni Settanta, trasformarono radicalmente il modo di intendere e di concepire il football. Di loro si parlò come degli artefici di

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una vera e propria rivoluzione tecnica e tattica: i giocatori non avevano un ruolo fisso, ma dovevano muoversi attraverso il campo cambiando posizione in modo da “stordire” gli avversari. Un cronista brasiliano lo definì “caos organizzato”. Il portiere usciva dai pali con la palla al piede e impostava l’azione, i difensori si trasformavano in centrocampisti, gli attaccanti retrocedevano a sostegno della retroguardia: mai visto niente di simile nel calcio europeo! La maggior parte delle formazioni marcava a uomo, cioè giocatore contro giocatore, talvolta


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in maniera asfissiante. L’Italia, poi, era famosa per il contropiede: difesa accorta e, infine, il lancio in profondità per le punte. Ma gli schemi erano rigidi: nessuno – salvo il fantasista, che di solito indossava la maglia numero dieci – poteva improvvisare. L’Olanda – allenata da Rinus Michels, soprannominato “il santone” perché era un vero e proprio guru del pallone, l’artefice di quella maniera di esibirsi senza paura e senza pudori – rappresentava una meravigliosa orchestra, un collettivo dove tutto sembrava funzionare alla perfezione. Il fuoriclasse di quell’orchestra era Johann Cruijff: alto e dinoccolato, il 14 sulle spalle (perché a 14 anni aveva vinto il suo primo torneo), si muoveva con l’eleganza di una gazzella. Merito suo fu anche la fortuna della squadra di club a cui apparteneva, l’Ajax di Amsterdam. L’anno prima aveva vinto, per la terza volta consecutiva, la Coppa dei Campioni a Belgrado battendo la Juventus per 1-0 con una rete della punta Johnny Rep, che aveva saltato di testa almeno un metro più in alto del suo

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marcatore, il terzino Silvio Longobucco. Dopo quell’ennesima impresa, Johann Cruijff era stato acquistato dal Barcellona, uno dei club più ricchi e prestigiosi a livello internazionale. E adesso l’Olanda, in terra tedesca, voleva impadronirsi del mondo, attraverso il “caos organizzato” e le prodezze di Cruijff. La storia di Cruijff ha il sapore di una favola. Johann aveva perso papà Manus a soli 12 anni. Mamma Nel, che abitava nel quartiere popolare di Betondrop, a pochi passi dallo stadio “De Meer”, aveva chiesto di essere assunta come lavandaia: un lavoro, ma anche un modo per far sfogare il figlio, che amava giocare a pallone dalla mattina alla sera. Quanti vetri dei palazzi di via Tuinbouw avevano rotto lui e i suoi amici! Johann puliva le scarpe dei campioni, aiutava la madre a stendere le magliette per farle asciugare e, intanto, si metteva in mostra nelle formazioni giovanili. Magro come un chiodo, ma così veloce e imprevedibile da far ammattire persino i difensori più ruvidi ed esperti, appena diciassettenne

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debuttò in prima squadra contro il Groningen. Fu l’inizio di un’avventura straordinaria. Per farsi i muscoli, Johann si allenava con le tasche della tuta colme di pietre e di sabbia. D’accordo lo stile, ma serviva pure la forza, soprattutto contro certi mastini che, per fermarlo, non andavano troppo per il sottile puntandogli i gomiti nei fianchi o cercando di buttarlo a terra con spintoni al limite del regolamento. Fin dai primi approcci con il football dei grandi, Cruijff dimostrò una immensa serietà, non lasciando nulla di intentato per migliorarsi, per diventare sempre più bravo e potente. Tutti strabuzzavano gli occhi nel vederlo all’opera. Sembrava occupare, con impressionante leggerezza, ogni zolla del campo, toccando il pallone con vellutata precisione e singolare maestria. Era nato il “giocatore nuovo”, diverso da tutti gli altri, senza un ruolo preciso: non una punta, né una mezzapunta, tanto meno un semplice centrocampista. Alfredo Di Stefano, il campionissimo argentino che aveva stupito l’universo calcistico con la casacca bianca del Real Madrid,

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trovò il modo migliore per definirlo: «Johann è un attaccante senza fissa dimora». L’Olanda, grazie a Cruijff, partì per la Coppa di Germania con una convinzione: quella di vincere, dando spettacolo. Johann, che aveva firmato per il Barcellona, si sentiva al centro delle attenzioni: era lui il calciatore più intervistato, più degli italiani Dino Zoff e Gianni Rivera, più dei brasiliani Roberto Rivellino e Jair Ventura Filho, detto Jairzinho. Riusciva a tenergli testa soltanto il tracagnotto Gerd Müller, soprannominato dai giornalisti britannici “mister gol”. Müller lanciò la sfida al suo rivale: «Ci vedremo in finale, ma non sarò io a piangere, di sicuro!» Johann sorrise, non voleva provocare, voleva soltanto far valere la sua legge: quella del più bravo in assoluto. Disse: «Noi vogliamo mostrare al pubblico che il calcio può essere un’arte, una danza». Gli olandesi macinavano, match dopo match, gioco e reti: prima della finale, collezionarono cinque successi e soltanto un pareggio, 0-0 contro la Svezia.

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Eccoci, dunque, all’atto conclusivo. Monaco, 7 luglio 1974: Germania Ovest contro Olanda. La partita fu vibrante: al 2’ segnò Johannes Neeskens su rigore (fallo ai danni di Johann) per gli olandesi, i tedeschi pareggiarono al 25’, sempre dal dischetto, con Paul Breitner. Cruijff subiva la marcatura asfissiante di Berti Vogts, un tipo dalla faccia sgherra, tosto, appiccicoso. Sembrava l’ombra cattiva del campione con la maglia numero 14. Al 43’ Müller, districandosi in area, trovò lo spiraglio giusto per realizzare il 2-1, sigillo della vittoria. La Coppa andò alla Germania, l’Olanda si ritirò a testa bassa e Johann Cruijff vide il suo sogno andare in frantumi. La bellezza estetica non era bastata: i padroni di casa, rudi e concreti, non erano caduti nella rete del “football totale”. Il pallone è fatto così: non bisogna mai dare niente per scontato. I brutti anatroccoli teutonici ebbero la meglio sui cigni arancioni. E il Grande Protagonista fallì la partita della vita. Così scrisse Giovanni Arpino nella pagella dedicata a Johann Cruijff sul quotidiano “La Stampa”:

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«Addio, o bel falco. Ti sei addormentato, innervosito, svuotato del genio proprio nella partita più importante. Al primo minuto sei apparso come una stella filante, e hai ottenuto il giusto rigore. Ma proprio da questa facilità di mosse hai tratto conclusioni sbagliate, illudendoti di aver vinto in sessanta secondi una coppa d’oro massiccio. E così hai proseguito con scarse idee e nessuna visione, miope come il tuo principe d’Olanda, avendo sempre addosso la mignatta Vogts, pedina vincente del buon vecchio mago Schoen».

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Le storie più curiose dei Mondiali, edizione dopo edizione: il mistero di Ronaldo e quello di una borraccia avvelenata; gli 11 tocchi magici di Maradona e un gol entrato nella leggenda; il perché del rigore sbagliato da Baggio contro il Brasile e il motivo della testata di Zidane a Materazzi… Questi e altri segreti del grande calcio svelati in una narrazione piena di sorprese. DARWIN PASTORIN è nato a San Paolo del Brasile nel 1955, figlio di emigranti veneti. È cresciuto giocando a calcio in strada con coetanei di tutte le nazionalità. S’intendevano attraverso il pallone. Diventato giornalista e scrittore, si è sempre occupato di sport con passione e cultura. Con Gallucci ha pubblicato anche Crossa al centro!, Ragazzi, questo è il calcio!, Il grande giorno della mia prima partita e, insieme al figlio Santiago, Io, il calcio e il mio papà.

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