UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Bertrand Puard Agenzia del brivido. La scuola del terrore disegni di Claudia Petrazzi traduzione dal francese di Margaret Petrarca e Matilde Piccinini ISBN 978-88-3624-597-0 Prima edizione italiana luglio 2022 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2026 2025 2024 2023 2022 © 2022 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo originale: Trouille Académie. L’école de toutes les peurs © 2020 Poulpe Fictions, un marchio di Édi8 - Parigi, Francia Gallucci e il logo
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Bertrand Puard
Claudia Petrazzi
LA SCUOLA DEL TERRORE
“In questo momento di panico, ho solo paura di chi ha paura”. Victor Hugo, Cose viste
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«Ci siamo! Ecco… Ora un bel sorriso!» Il fotografo Olympus ha spostato l’occhio dal mirino e ha fatto un passo indietro. «Laggiù c’è qualcuno con un muso lungo… Tu, con il giubbotto rosso». Mi sono voltato. Era Moise, con la sua solita aria triste. «Dai, cocco» ha esclamato Aristide accanto a lui «fa’ vedere i tuoi bei dentini a questo signore gentile…» Poi ha cominciato ad accarezzargli la testa tra gli schiamazzi e le risate dei compagni di classe. Moise è rimasto in silenzio, sforzandosi di sorridere più che poteva, e Aristide ne ha approfittato per dargli una manata sulla nuca. «Così, cocco, bravo…»
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Il fotografo ha puntato di nuovo l’obiettivo su di noi e… clic! Quel giorno dovevamo fare la foto di classe, come avrai capito. Era ottobre, il ponte dei morti e la festa di Halloween si stavano avvicinando. Ah, ma mi devo ancora presentare! Mi chiamo Victor, ho undici anni e sono in prima media. Se te lo stai chiedendo, la mia vita procede a gonfie vele. Beh, per essere precisi, almeno fino a questo momento della storia. Poi ne succederanno delle belle, porta un po’ di pazienza… Appena eseguiti due scatti con la macchina fotografica digitale, il fotografo ha radunato i suoi strumenti in quattro e quattr’otto, muto come un pesce. Ha ficcato tutto alla rinfusa dentro un borsone e se n’è andato senza nemmeno salutarci. Anche la professoressa Harker l’ha trovato piuttosto strano. «Sembrava che avesse visto il diavolo nell’inquadratura!» ha detto a mo’ di battuta. Cinque minuti dopo, al suono della campanella, sono sceso in cortile con Leila, la mia mi-
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gliore amica. Ci hanno messo nella stessa classe e siamo subito diventati inseparabili. Anche a lei piace un sacco leggere, proprio come a me, e tutte le settimane ci scambiamo i nostri libri preferiti. Andiamo pazzi soprattutto per le storie di paura! Odin, mio padre, mi aspettava fuori dalla scuola. Quando sono uscito, ho visto che era venuto a prendermi a mani vuote. E poi di colpo… tadaaa! come per magia si è materializzato un fagottino gigante al cioccolato. I miei compagni ci restano sempre di stucco, Leila in particolare, ma io ormai ci sono abituato: mio papà è un mago di professione. «Devi fare i compiti?» mi ha chiesto tornando verso casa. Ho scrollato le spalle. Certo che dovevo fare i compiti, come tutti i giorni. Papà ha sempre un po’ la testa fra le nuvole. Ero tutto preso a divorare la merenda quando siamo passati accanto all’auto del fotografo. Sembrava nervoso e aveva il viso paonazzo, rosso come uno di quei foulard che mio padre
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utilizza per i trucchi di magia. Stava parlando con la giovane assistente. «È l’ultima volta che metto piede qui dentro! Le foto vengono sempre sfocate… Non è normale… C’è qualcosa di strano, come se si aggirassero degli spiriti maligni… Sì, certo, ridi pure, ma tanto lo so che è così, ho un sesto senso per certe cose…» Io e mio padre ci siamo fatti delle grasse risate lungo il tragitto. Non la finiva più di ripetere: «La gente è strana… A qualcuno piace pensare che i fantasmi e le creature di un’altra dimensione vivano in mezzo a noi…» Quando la Harker due settimane dopo ci ha consegnato la foto di classe, ho capito di aver sbagliato a sottovalutare la faccenda. Da una prima occhiata, sembrava tutto normale. Eravamo tutti lì, sorridenti, insieme con la professoressa, che quel giorno sfoggiava un paio di jeans strappati sulle ginocchia e un piercing color rubino sull’orecchio. Poi però, osservando la foto da vicino, mi sono accorto che mancava Ari-
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stide, eppure c’era a scuola, ce lo ricordavamo tutti perché come al solito non lasciava in pace Moise. Ma il fatto più strano era che di fianco a Moise c’era un altro ragazzo con il viso pallidissimo, che sembrava quasi sospeso a mezz’aria.. Portava una stramba divisa grigia e una camicia che sembravano saltate fuori da uno di quei vecchi bauli polverosi nascosti nelle soffitte. Non lo avevo mai visto prima. E quando anche gli altri compagni lo hanno notato, ognuno ha iniziato a dire la propria. Non lo conosceva
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nessuno, nemmeno la Harker, anzi, a detta sua non frequentava neanche la scuola. Aristide era su tutte le furie: «Quel fotografo faceva schifo, che scarso…» ha esclamato gonfiando il petto. «Si capiva da com’era conciato, con quell’aria malaticcia e un po’ sfigata… Io, quelli come lui, me li mangio a colazione!» Secondo lui il fotografo aveva cancellato apposta il più forte della classe per vendicarsi del fatto di essere un fallito. «È tutta invidia…» ha concluso, dando un altro scappellotto a Moise. A ogni cambio dell’ora riguardavo la foto che avevo infilato nello zaino. E tutte le volte che incrociavo lo sguardo dello studente misterioso, mi veniva la pelle d’oca. C’era qualcosa di strano nei suoi occhi. Alla fine della giornata sono andato a chiedere alla prof se fosse stato il fotografo in persona a consegnare al preside le buste con le foto. «No, è venuta l’assistente» mi ha risposto la Harker. «Lei stessa mi ha confidato che è sparito
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subito dopo aver dato un’occhiata agli scatti: è uscito dal negozio in preda al panico, è salito in macchina e da quel giorno non l’ha più visto…» Sono rimasto tutta la sera a fissare quell’immagine. Dov’era finito Aristide? Da dove era saltato fuori quel ragazzo che nessuno conosceva? Come mai era sollevato da terra? Era soltanto un ritocco del fotografo? Ma a quale scopo? C’entrava qualcosa con la sua fuga a gambe levate fuori dalla scuola e con quello che aveva detto all’assistente? Continuavo a guardare gli occhi dello studente sconosciuto. Forse ci si poteva leggere qualcosa dentro… Un sentimento? Probabile. Angoscia… Ma non solo. Ho fotografato l’immagine per salvarla sul tablet, poi mi è venuta l’idea di zoomare il più possibile allargandola sulla testa dello studente. Allora ho scorto nelle sue pupille il riflesso di quello che stava vedendo in quel momento. Non era il fotografo con la sua macchina fotografica.
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Neanche per sogno… Era una figura terrificante! Un verme enorme con la pelle rivestita di squame nere e viscide, e la testa tagliata a metà da una bocca gigante che metteva in mostra lunghe zanne coperte da orribili macchie.
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