Il giovane Poe. Lo strano caso di Mary Roget

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Il giovane CUCA CANALS

Lo strano caso di Mary Roget

Traduzione di Clara Serretta

Dopo aver letto l’ultima frase, rimasi a bocca aperta. “Sarei capace di ucciderti…” Stavo per uscire dalla stanza con quella prova in mano quando udii i passi di qualcuno lungo il corridoio. Non c’era tempo per fuggire dalla finestra, quindi decisi di nascondermi sotto il letto. Mi resi conto che il mio stivale sporgeva e così lo spostai di qualche centimetro. Nel farlo urtai contro una gamba di ferro che produsse un rumore metallico. Vidi i piedi dell’impresario entrare nella stanza e camminare al suo interno. Senza dubbio aveva sentito qualcosa. Fu allora che notai un oggetto freddo che mi sfiorava la spalla. Mi voltai e notai che si trattava di una pistola. Deglutii. Che ci faceva un’arma nascosta sotto il letto?

UAO

Universale d’Avventure e d’Osservazioni

Cuca Canals

Il giovane Poe. Lo strano caso di Mary Roget traduzione dallo spagnolo di Clara Serretta

della stessa serie: Il mistero di Morgue Street

ISBN 979-12-221-0467-6

Prima edizione italiana maggio 2024 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2028 2027 2026 2025 2024

© 2024 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Titolo originale dell’edizione spagnola: El joven Poe. El extraño crimen de Mary Roget

© 2017 Cuca Canals

© 2017 Edebé - Barcellona, Spagna

Pubblicato in accordo con Agencia Literaria Carmen Balcells, S.ABarcellona, Spagna

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CUCA CANALS

Il giovane

Lo strano caso di Mary Roget

traduzione di Clara Serretta

Caro amico o cara amica, mi chiamo Edgar Allan Poe, ho 11 anni e abito con i miei genitori adottivi in Morgue Street, a Boston, capitale del Massachusetts.

Mia madre è morta 3 anni fa, ma mio padre è ancora vivo, anche se l’ho scoperto da poco. Grazie alle informazioni di un lontano parente, ho saputo che si è stabilito a Dublino. A quanto sembra, ci ha abbandonato dopo la morte di mia madre. Ho 2 fratelli biologici, Rosalie e William Henry. Vivevamo nello stesso orfanotrofio, finché, un paio d’anni fa, non siamo finiti in tre famiglie diverse. Per fortuna, Rosalie abita ad appena due isolati da casa mia. William Henry, invece, sta a Baltimora, a 642 chilometri da Boston.

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I miei genitori adottivi hanno un altro figlio, Robert Allan. Ha 16 anni e non lo sopporto. Mi odia perché è convinto che mi prenderò i soldi della sua famiglia. Attacca sempre briga e sono convinto che mi voglia uccidere.

A scuola mi chiamano “Lo Strambo”. Dicano quello che vogliono, non me ne importa niente di ciò che pensano le persone. Faccio forse del male a qualcuno solo perché sono fatto a modo mio? Non siamo forse tutti un po’ strambi? Chi è che non ha una qualche mania? Non è peggio essere come quelle persone che si dichiarano “normali” e poi continuano a molestare il prossimo? Secondo me, essere strani significa essere unici. E questo, più che un difetto, mi pare un pregio.

Adoro creare forme geometriche: modello il purè di patate in tanti quadrati, faccio dei triangoli con i sassolini del giardino e disegno dei cerchi sulle superfici impolverate con la punta del dito. Non sopporto che i piatti o i gessetti colorati collocati uno di fianco all’altro si tocchino. Quando vado a letto, prima di chiudere gli occhi, devo contare fino a 13. E sono anche superstizioso. Ogni volta che arrivo in un posto nuovo devo fare un piccolo cerchio camminando in tondo. La mattina scendo sempre

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dal letto posando a terra per primo il piede destro. Se per caso mi sbaglio resto a letto tutto il giorno, anche se significa dover fingere di stare male, perché altrimenti i miei genitori non me lo permetterebbero! Se di notte c’è un temporale, mi assicuro di dormire con la pancia ben coperta e la finestra chiusa. Faccio così da quando ho letto che i fantasmi possono rubarti l’ombelico e divorarti senza pietà.

Un altro motivo per cui mi definiscono strambo è che il mio patrigno è il proprietario di un’agenzia di pompe funebri, un posto in cui ovviamente vado spesso, perché ogni volta che si arrabbia con me mi manda là a spazzare per terra. Questo ha fatto sì che, oltre a essere diventato un esperto nella pulizia dei pavimenti, io abbia anche visto centinaia di morti. Per la precisione, 460 cadaveri a oggi. All’inizio mi facevano un po’ di paura e ribrezzo, ma ora sento solo una rispettosa indifferenza. A volte, quando ho finito di pulire, faccio un sonnellino in una bara vuota e sono grato ai defunti perché non spifferano niente al mio padre adottivo. È uno dei vantaggi della convivenza con i morti: non disturbano nessuno. Mi piace formare dei cerchietti con la scopa e immaginarmi che si trasformino in sca-

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rabei, scarafaggi o ragni che strisciano sulle pareti, talmente ripugnanti che persino i cadaveri resuscitano alla loro vista.

Mi vesto sempre di nero per ordine del mio patrigno, che è un tipo molto pragmatico. In questo modo le macchie e l’usura dei tessuti non si notano tanto e la mia matrigna ha meno lavoro da fare. Questa è la lista di quello che c’è nel mio guardaroba (fare liste è un’altra delle mie cose preferite!).

I MIEI VESTITI

- 6 camicie nere - 3 maglioni neri a collo alto - 1 gilet nero - 2 cappotti neri - 2 paia di scarpe nere - 3 calzoncini neri - 6 magliette nere - 3 camicie da notte nere

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Suppongo che vestirmi così non aiuti per niente a farmi sembrare un ragazzo come tutti gli altri, ma non mi importa, il nero è il mio colore preferito. Nero come le tenebre e la notte. Adoro inoltrarmi nell’oscurità. Quando chiudo gli occhi posso fare tutto quello che voglio, immaginare di poter volare o fronteggiare un’armata di bisonti. Lo stesso succede con la scrittura. Posso creare mondi nuovi, personaggi inventati, e persino torturare il mio fratellastro Robert Allan. Per questo da grande voglio fare lo scrittore. Ma la cosa più bella di tutte è che con la fantasia posso vedere mia madre ogni volta che lo desidero. Possiamo stare vicini e abbracciarci.

Qualche tempo fa, durante la lezione di arte, il professore mi ha chiesto di raffigurare un piatto di zuppa e io ho disegnato un rettangolo nero più o meno come questo:

Ho spiegato che lì dentro io ero perfettamente capace di vedere un piatto di zuppa. Gli ho detto di

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usare la fantasia ma, come succede con la maggior parte dei grandi, continuava a non capire.

Così, ho cercato di rendergli il disegno di più facile comprensione:

Ho disegnato un cerchio e per lo meno sono riuscito a fargli immaginare il piatto, ma alla fine non ho preso un bel voto perché non c’è stato verso di fargli vedere la zuppa.

Ho un amuleto che, lo ammetto, non è molto “normale”: si tratta dell’occhio di un morto che conservo in un barattolo di formaldeide. L’ho rubato dalle pompe funebri del mio patrigno e lo tengo sempre in tasca. È la mia arma segreta. Se qualcuno mi dà fastidio, tiro fuori l’occhio, lo brandisco e nel 99% dei casi vengo lasciato in pace.

Ho anche una mascotte molto speciale, un corvo che ho chiamato Neverland. È l’unica parola che sa pronunciare! La ripete sempre, quindi non è stato

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difficile trovargli un nome. Vive in un anfratto sotto il tetto di casa nostra e in inverno, quando fa molto freddo, lo lascio dormire nella soffitta dove teniamo i mobili vecchi. A volte mi segue, come se volesse proteggermi dall’alto. Quando mi accompagna a scuola gli chiedo sempre di restare a distanza di sicurezza, in modo che nessuno sappia che siamo amici.

La mia sorellina Rosalie è una dei pochi che lo conoscono. Naturalmente il mio patrigno e il mio fratellastro non sanno nemmeno che esiste, perché sono sicuro che se lo venissero a sapere lo spennerebbero e lo squarterebbero senza pensarci due volte.

Oltre alla scuola, mi dedico anche alla vendita di spaventi. Proprio così: la paura è assicurata. In cambio di una modesta quantità di denaro, i miei clienti possono scegliere uno tra i tanti spaventi in offerta. A cosa servono? Molto semplice: a terrorizzare la persona che detestano di più al mondo. Ho persino scritto un catalogo in cui spiego passo per passo come realizzarli. La mia gamma va da quelli più indicati per intimorire genitori crudeli o fratelli maggiori che fanno i bulli, fino a quelli adatti per professori ingiusti o tutori legali spietati.

Il mio sogno è guadagnare quanto basta perché io e i miei fratelli possiamo andare a cercare nostro

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padre a Dublino, in Irlanda. Grazie agli spaventi, ho già messo da parte una somma discreta e so che d’ora in poi riuscirò ad accrescerla. Auguste Dupin, il famoso ispettore della polizia di Boston, ha chiesto il mio aiuto per risolvere il caso delle due donne assassinate in Morgue Street. Visto che hanno catturato il colpevole grazie alla mia collaborazione, ho ricevuto in cambio una generosa ricompensa. Spero di poter aiutare l’ispettore anche in altri casi! Be’, la verità è che l’ho già fatto…

Senza ulteriore indugio, ti presento qui il mio secondo racconto, un’avventura accaduta un mese dopo che Dupin e io giungemmo alla soluzione del “Mistero di Morgue Street”.

Spero che sia di tuo (sinistro) gradimento.

Molte grazie e un saluto cordiale, Edgar Allan Poe

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CUCA CANALS

(Barcellona, 1962) è autrice, sceneggiatrice e pittrice. Ha scritto numerosi romanzi per bambini e due raccolte di gialli per ragazzi. La serie del giovane Poe ha ottenuto un grande successo di pubblico e di critica ed è stata acquisita per una produzione televisiva internazionale. Gallucci ha già pubblicato Il mistero di Morgue Street.

Della stessa serie:

Boston, 1820. Mary Roget, famosa e bellissima cantante del varietà, sparisce misteriosamente.

L’ispettore Auguste Dupin si mette sulle sue tracce, aiutato dal piccolo Edgar Allan Poe, un ragazzino di undici anni destinato a diventare uno degli scrittori visionari più letti al mondo. L’intuito del giovane Poe si rivelerà decisivo. La donna, infatti, in un primo momento si rifà viva, ma poco dopo scompare di nuovo. E questa volta a riapparire sarà il suo cadavere…

L’ispettore mi confessò di non avere l’ombra di una pista: aveva bisogno del mio aiuto, sperava che grazie alla mia perspicacia potessi cogliere un dettaglio che a lui era sfuggito.

Consigliato dai10 ai 99 anni

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