UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
L’acronimo (Science, Technology, Engineering and Mathematics) indica l’insieme dei saperi cruciali per l’innovazione e lo sviluppo. Chiamiamo libri STEM i testi di narrativa o non-fiction pensati per accrescere le conoscenze dei ragazzi in queste discipline e per abbattere lo steccato che in Italia ancora separa la cultura scientifica e quella umanistica.
Brigitte Kernel Mi chiamo Albert e ho un sacco di problemi disegni di Amélie Dufour traduzione dal francese di Emanuelle Caillat ISBN 978-88-3624-375-4 Prima edizione italiana novembre 2021 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2025 2024 2023 2022 2021 © 2021 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo dell’edizione originale francese: Le monde selon Albert Einstein Pubblicato per la prima volta nel 2021 da Flammarion Jeunesse - Paris, Francia testo e disegni © 2021 Flammarion Gallucci e il logo
sono marchi depositati
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Brigitte Kernel
traduzione dal francese di Emanuelle Caillat
Al mio amico, nipote in pectore, Zacharie Fauchoux, per il suo dodicesimo compleanno
Questa è un’opera di fantasia basata su fatti e personaggi reali. Eventuali licenze narrative sono dovute alla trasposizione letteraria e non alla volontà dell’autrice di sviare il lettore o travisare i fatti.
1 ALBERT SONO IO!
Mi chiamo Albert Einstein. Ho 9 anni e ¾ da 3 giorni, 5 ore e 46 minuti. Sono nato il 14 marzo 1879 a Ulm, in Germania, un posto dove gli inverni sono molto rigidi. Certe volte in città la neve è così alta che blocca le porte delle case fino a un’altezza di oltre 4 metri e non possiamo più uscire. Allora gli uomini passano dalle finestre per andare a spalarla. Liberano gli ingressi, poi scavano sentieri, così possiamo spostarci da un quartiere all’altro. E serriamo le imposte per trattenere il calore tra le mura domestiche. È stupenda la neve, quando diventa azzurra sotto il sole. I miei genitori si chiamano Pauline e Hermann. Sono entrambi davvero belli, e tutti dicono che stanno bene insieme.
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Mio padre dirige un’impresa che produce materiale elettrico, e quando ha troppo lavoro mamma lo affianca. A fine mese lo aiuta a fare i conti. Mi piace moltissimo vederli riempire colonne di numeri, la sera, illuminati dalla lampadina che scende come un ragno sopra il tavolo della cucina. Vorrei mettermi anch’io a fare calcoli insieme a loro, ma ogni volta che ci provo ribattono: «Non sono cose per bambini, Albert, va’ a letto e smettila di gironzolarci intorno!» Mia madre parla molto, quasi troppo, papà invece è di poche parole. È decisamente taciturno. Quando torna dal lavoro mamma gli chiede sempre: «Allora, Hermann, hai trascorso una buona giornata?» Lui annuisce: «Sì, sì». Lei insiste: «Ti è piaciuto il pranzo che ti avevo preparato nella gavetta, caro?» «Sì, sì» fa papà. Niente di più, niente di meno. Lo sentiamo a malapena. Eppure apprezza i pranzetti cucinati da lei. Lo intuisco dal leggero sorriso che accenna all’angolo del la bocca, e dal suo sguardo quando mamma glielo chiede. A volte non c’è bisogno di parole, le espressioni del viso raccontano da sole ciò che proviamo. L’ho intuito osservando papà. E così non me la prendo
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più con lui per il suo mutismo. Ma mi ci è voluto del tempo per capire. Quando si è grandi, è più facile cogliere le sfumature. Bisognerebbe sempre darsi il tempo di osservare le persone con benevolenza, prima di criticare o condannare. Spesso abbiamo troppa fretta. Ogni mattina vedo mamma sistemare con affetto e cura il pranzo di mio padre negli scomparti della gavetta. È una scatola di alluminio divisa in tre settori, due piccoli e uno grande. Il primo è di 6 centimetri per 6, serve per l’antipasto, di solito insalata o paté. Il secondo, il più lungo, di 20 centimetri per 6, è destinato alla portata principale, generalmente carne e patate. Il terzo… sorpresa! Contiene una fetta di torta, tre biscotti o un po’ di crème caramel. Papà non finisce mai il dolce. Me lo spazzolo io, perché sono golosissimo. È un segreto tra me e lui. Sono sicuro che lo lascia lì solo per vedermi contento. Mi piace questa complicità tra uomini. Se mamma lo sapesse, scrollerebbe la testa furiosa e punterebbe l’indice contro di me: “Albert, devi smetterla di mangiare dolci, così giovane e già con la pancia! Di questo passo fra poco sembrerai una palla!”
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Mi trova grasso. «Albert, devi dimagrire per essere in buona salute! Datti un po’ da fare altrimenti diventerai un mollaccione!» Afferma anche che ho la testa quadrata: «Povero Albert, non sei una gran bellezza!» Le parole, quando sono affilate, feriscono come coltelli.
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2 AHI AHI! HO 9 ANNI E NON RIESCO ANCORA A PARLARE!
Odio lo sport, non posso farci niente. Il calcio mi dà il fiatone, gli esercizi sul cavallo a maniglie mi fanno male alle braccia, e la fune è tremenda perché non riesco ad arrampicarmi per più di quindici centimetri. Preferisco studiare pianoforte. Mi piacciono quei momenti, perché di colpo mamma diventa paziente con me, perfino dolce. Spesso mi appoggia la mano sulla testa e mi accarezza i capelli. È vero, quando si tratta di musica, diventa calmissima e mi incoraggia. A volte, addirittura, applaude alla fine del pezzo che ho eseguito. Sogno anche di prendere lezioni di violino. Mamma dice: «Procediamo con ordine, Albert, bisogna procedere con ordine!» Mi piace tantissimo anche giocare seduto per ter ra con dei legnetti e immaginare di costruire qual-
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cosa: sgabelli, sedie, tavoli. La falegnameria è una delle mie passioni: riuscire a fare stare dritte le assi, sistemare gli spigoli. Mi piace tutto ciò che non crolla. Un’altra cosa che odio quanto lo sport è sparecchiare dopo i pasti. Asciugare le stoviglie, poi, non ci sono portato. Ogni settimana rompo piatti o bicchieri. In quei momenti la voce di mamma diventa stridula: «Oh, Albert! Santi numi, ma cos’hai nella testa per essere così maldestro? Tre piatti in una settimana! Sai quanto costano?» «Scusa, mamma, starò più attento» «Come dici, Albert?» «Scusa! Starò più attento, scusa!» «Oh, Albert, non si capisce niente quando parli. Vabbè, per stavolta passi. Ma alla prossima sbadataggine, stai senza libri per un mese!» Lei si innervosisce perché non capisce quello che dico. Le frasi non mi escono mai in un colpo solo. Non è colpa mia: quando devo esprimermi davanti a qualcuno, è un disastro! Le sillabe si accavallano e si scontrano all’altezza delle corde vocali. È terribile articolare così male. Mi sembra di essere un burattino con la mandibola slogata.
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E dire che nella mia mente parlo benissimo! I pensieri balzano e frullano a tutta velocità. Le parole, invece, mi si incastrano in gola e rimangono rintanate come cuccioli di volpe terrorizzati dalla luce. I suoni sgorgano a scatti, in un tremolio di glottide paragonabile a un terremoto. Alla fine, il risultato è un’accozzaglia irsuta di consonanti e vocali che si spezzano in sillabe staccate e stridono come un cilindro fonografico rigato. E quando la gente insiste – «Ripeti, Albert, ripeti, non capisco» – è ancora peggio. Comincio a tremare. Di colpo la collera mi invade testa, mani, gambe. Non riesco a trattenere la rabbia. Mi metto a mollare pugni e calci tutt’intorno. L’altro giorno, per esempio, zio Jakob mi ha chiesto come stavo. E dato che non riuscivo a rispondere niente di comprensibile, ho preso a singhiozzare e poi a piangere. Alla fine, esasperato da me stesso, mi sono buttato a terra. Colto da un’improvvisa violenza, ho picchiato a non finire il pavimento con i gomiti e le ginocchia. Quando sono furioso in quel modo, me la prendo con il mondo intero. Mi sembra proprio di essere un incapace.
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In quei momenti mamma grida: «Sembri un matto, Albert! Smettila di dare spettacolo! Tre crisi in una settimana sono troppe!» Mi vergogno, perché parlo peggio della mia sorellina Maja che ha due anni in meno di me. Lei cinguetta tutto il giorno come un uccellino biondo e gioioso. Io e Maja non abbiamo bisogno di parlare. Ci basta uno sguardo, anche da lontano, e ci mettiamo a ridere. Maja è diversa da me. Le piace molto stare in compagnia. La osservo ore e ore, in silenzio, senza farmi vedere. Lei ha tante amiche che vengono a casa per giocare. Le sento schiamazzare, cantare o ridere di gusto in soggiorno o nel cortile del palazzo. Come fanno i compagni di scuola, i vicini, i figli degli amici dei miei genitori. Mi piacciono le persone, ma non il rumore che fanno. Che strano avere bisogno di compagnia. Si sta così bene da soli.
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3 MI PIACCIONO SIA I NUMERI CHE I DOLCI!
La punizione peggiore è lasciarmi “senza libri”. In bocca a mia madre c’è sempre la stessa minaccia. Meglio addirittura stare “senza dolci”. Infatti ciò che preferisco in assoluto è rimanere seduto alla scrivania con qualcosa da studiare. Un bel tomo pieno di nozioni mi fa stare bene. Soprattutto se si tratta di aritmetica o geometria. Non c’è niente di più divertente che giocare con i numeri. Mi sento su una nuvola soffice, mentre mi diletto a risolvere equazioni ed esercizi complicati. Le dita diventano più leste che mai. In quei momenti non sono affatto maldestre. Indici, pollici e medi sfogliano pagine per ore senza provare alcuna fatica. Seguono le righe con golosità. Sono atleti favolosi, veri e propri sportivi che meriterebbero di salire sul podio.
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Buttarsi a capofitto tra le pagine di un manuale è come tuffarsi nel mare calmo o tra le onde, provare sensazioni di fresco o di tepore, fluttuare tranquilli o lottare contro la forza della corrente. È gradevole e complicato, a seconda dell’esercizio che si affronta. Rimango a mollo per ore, ed è ancora più piacevole se nel frattempo posso mangiucchiare qualcosa. Perché, lo confesso, rubo zollette di zucchero dalla credenza della cucina. Lo so che mi fanno crescere la pancia. Per fortuna c’è nonna che mi tranquillizza sempre: «Sai, Albert, una pancetta rotonda non ha mai fatto male a nessuno». «Albert, cos’è questo rumore di topolino che sgranocchia? Non dirmi che stai di nuovo mangiando!» esclama mamma quando mi sorprende. «Solo una mela, mamma, l’ho trovata nel campo di fronte» «Non capisco cosa stai dicendo, Albert, diamine, scandisci le parole!» Scrolla le spalle e aggrotta le sopracciglia come due uccelli neri. Riprendo, ripeto. Ma di nuovo le parole urtano stupidamente tra loro come biglie.
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E ogni volta mamma si mette una mano sulla fronte con aria triste e funesta. Vedere nei suoi occhi la mia nullità mi fa soffrire troppo. Quando non capisce ciò che tento di dirle, mamma pare più bianca che mai, la sua pelle si fa trasparente come carta velina. Vedo il battito delle sottili vene azzurre sulle sue tempie. È angosciata. Allora mi vergogno così tanto che balbetto e mi ingarbuglio ancora di più. Che rabbia sentirsi così stupidi quando non lo si è. Perché non lo sono! Al contrario. Sono bravo in matematica. So risolvere operazioni ben più difficili di quelle che il maestro ci insegna a scuola. Per il resto, è vero, prendo 0, 1 o 2 su 10 in geografia, storia, tedesco e nei temi… Sono materie noiose. I compagni di classe mi prendono in giro, dicono un sacco di cose tremende su di me. Che sono “stupido come una capra”. Che non sono normale. Che il mio cervello non funziona. Che sono prigioniero nella mia mente e non faccio nessuno sforzo per venire fuori.
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Ridacchiano pure. «Albert è il più scarso tra gli scarsi» «Albert è brutto e cattivo, ha la pancia da elefante e la testa quadrata» «State lontano da Albert, puzza di vomito». Quante cattiverie mi tocca sentire! E tutte quelle dicerie sul mio conto mi fanno male. A volte mi lasciano senza fiato e non è facile riprendere a respirare. Il mio corpo non sopporta più le critiche di quelle vipere. Nonno mi dice spesso: «Cerca di metterti in discussione. Non è sempre colpa degli altri». Quindi mi devo chiedere: e se fosse colpa mia? E se i compagni non mi volessero bene per il mio modo di fare? Perché, devo ammetterlo, appena qualcuno si avvicina io mi allontano. Scappo via, mi rifugio nei miei pensieri. Forse lo vedono come disprezzo o cattiveria da parte mia… Faccio una gran fatica a stare con i miei compagni di scuola. Preferisco rimanere da solo a fantasticare. Per esempio, mi chiedo quale potrebbe essere: • la distanza tra una stella e l’altra;
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• la distanza tra un punto del carro dell’Orsa Maggiore e un punto del timone dell’Orsa Minore; • l’ampiezza della Via Lattea. E chissà se la circonferenza della Terra, nelle varie epoche, è sempre la stessa! Deve essere diversa, visto che in certi Paesi ci sono vulcani che aumentano l’altezza del suolo, e in altri luoghi si sono aperte immense voragini per via del naturale cedimento del terreno. Ho bisogno di tenere occupata la mente, altrimenti mi annoio.
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