Lucy Maud Montgomery
traduzione di Angela Ricci
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Pat aveva la tendenza ad “affezionarsi troppo”, come diceva Judy. Che scenata aveva fatto proprio quella mattina, per il suo vecchio maglione viola. Ormai le andava troppo stretto, ma lei non ne voleva sapere di buttarlo via. Adorava quel vecchio maglione e intendeva indossarlo per un altro anno ancora. Faceva sempre così con i vestiti, non sopportava l’idea di separarsene. E detestava quelli nuovi finché non li aveva portati per qualche settimana, dopodiché cambiava radicalmente opinione e prendeva ad adorarli.
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UAO
Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Lucy Maud Montgomery
Pat di Silver Bush
traduzione dall’inglese di Angela Ricci
della stessa autrice, in queste edizioni: Anna dai capelli rossi (volumi 1-8)
Racconti dall’isola. Prima della guerra Racconti dall’isola. Dopo la guerra Cronache di Avonlea Emily di New Moon (volumi 1-3)
ISBN 978-88-3624-815-5
Prima edizione italiana novembre 2022 ristampa 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2026 2025 2024 2023 2022 © 2022 Carlo Gallucci editore srl - Roma
Titolo originale: Pat of Silver Bush
Gallucci e il logo sono marchi registrati
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Lucy Maud Montgomery
Pat di Silver Bush
traduzione dall’inglese di Angela Ricci
Vi presento Pat
1
«Ohi, ohi, tra non molto bisognerà andare a scavare nell’aiuola del prezzemolo» disse Judy Plum mentre si accingeva a tagliare l’a bito di crêpe rosso di Winnie in striscioline da lavorare all’uncinet to. Era molto compiaciuta di essere riuscita a convincere la signora Gardiner a darle quell’abito, perché lei in principio pensava che Winnie potesse farselo andar bene ancora per un’estate. Gli abiti di crêpe rosso, d’altro canto, non crescevano mica nelle aiuole di prezzemolo.
Ma Judy aveva deciso che dovesse essere suo, era esattamente della sfumatura di colore che le serviva per realizzare i petali delle grandi rose in rilievo destinate a decorare il nuovo tappeto che stava realizzando all’uncinetto per la zia Hazel. Un tappeto con i bordi marrone-dorato e al centro ciuffi di rose rosse e viola, come non se ne erano mai viste in nessun roseto del mondo.
Judy Plum “si era fatta un nome” – così diceva lei stessa – per i suoi tappeti all’uncinetto, e quello sarebbe stato il suo capolavoro, nonché il dono di nozze per la zia Hazel, se davvero la giovane si fos se sposata quell’estate. Secondo Judy era proprio ora che lo facesse, dopo tutto quel tempo passato a scegliere e scartare pretendenti.
Pat era molto interessata ai progressi del tappeto, di cui non sapeva nulla, a parte il fatto che fosse per zia Hazel. A Silver Bush c’era poi un altro evento imminente di cui era completamente all’o scuro, e del quale Judy riteneva fosse ora di avvisarla. Dopo essere stata “la piccola” della famiglia per quasi sette anni, come avrebbe accolto l’arrivo di un usurpatore? Judy adorava ogni singolo abi tante di Silver Bush, e ne aveva tutte le ragioni, ma il suo amore per Pat era irrazionale, perciò era preoccupata anche più del dovuto. Pat aveva la tendenza a prendere le cose un po’ troppo sul serio; come diceva la stessa Judy: «Si affezionava troppo». Che scena ta aveva fatto proprio quella mattina, solo perché Judy le aveva chiesto il suo vecchio maglione viola per farne delle rose. Ormai le andava troppo stretto, e aveva più buchi che lana, ma Pat non ne voleva sapere di buttarlo via. Adorava quel vecchio maglione e intendeva indossarlo per un altro anno ancora. Si era opposta così ferocemente che alla fine Judy – ovviamente – aveva rinunciato. Pat faceva sempre così con i vestiti, li indossava finché non cadevano a brandelli, perché le erano talmente cari che non sopportava l’idea di separarsene. E detestava quelli nuovi finché non li aveva portati per qualche settimana. Dopodiché cambiava radicalmente opinio ne e prendeva a adorarli.
«Una bambina strana proprio, credete a me» diceva sempre Judy, scuotendo il capo brizzolato. Ma avrebbe immediatamente lanciato un anatema su chiunque si fosse azzardato a definire Pat “strana”.
«Cos’è esattamente che la rende così strana?» chiese Sidney una volta, con fare un po’ bellicoso. Sidney adorava Pat e non gli piaceva che qualcuno dicesse che era strana.
«Di sicuro il giorno in cui è nata un lepricano l’ha punta con una spina di rosa» rispose Judy in tono misterioso. Judy sapeva tutto di lepricani, banshee, spiritelli acquatici e altre affascinanti creature.
«Quindi non sarà mai come tutti gli altri. Ma non è per forza un male. Vuol dire che desidererà ciò che altri non possono avere»
«Per esempio?» Sidney era piuttosto curioso.
«Amerà le persone, e le cose, più delle persone normali, e ne ri caverà un più grande piacere. Ma anche maggior dolore. I doni delle fate funzionano così, non puoi avere il bene senza il male»
«Se è tutto qui quel che il lepricano ha fatto per lei, non mi sem bra granché» sbuffò Sidney.
«Sssh!» Judy era scandalizzata. «Non sai mai chi può ascoltarti. E comunque non ho mica detto che era tutto qui. Lei sarà anche capace di vedere. Centinaia di streghe in volo notturno sopra boschi e campanili, su manici di scopa, con i loro gatti neri appollaiati alle loro spalle. Non ti piacerebbe?»
«Zia Hazel ha detto che le streghe non esistono, soprattutto sull’Isola del Principe Edoardo» disse Sidney.
«Bah, come fai a tirar fuori un po’ di divertimento dalla vita se non credi a niente?» chiese Judy, senza aspettarsi una risposta. «Ma gari di streghe sull’Isola non ce n’è, ma nella vecchia Irlanda ce ne sono ancora tante. Mia nonna era una di loro»
«E tu sei una strega?» domandò audacemente Sidney. Da tempo desiderava chiederglielo.
«Forse c’è un pochino di strega in me, ma non abbastanza per esserlo davvero» disse Judy solenne.
«E sei sicura che il lepricano abbia punto Pat?»
«Sicura? Come si fa a essere sicuri di quel che combina il popolo fatato? Magari è strana solo per via del miscuglio di sangue che ha nelle vene. Francese e inglese e irlandese e scozzese e quacchero… è un miscuglio terribile, non c’è che dire»
«Ma è tutta roba vecchissima» ribatté Sidney. «Zio Tom dice che adesso è canadese e basta»
«Ohi, ohi» disse Judy, piuttosto offesa. «Beh, se tuo zio Tom ne sa più di me, perché sei ancora qui a tormentarmi con le tue doman de? Forza, fila via adesso, se non vuoi che ti scaldi io il sedere»
«Io non ci credo, né alle streghe né alle fate» esclamò Sidney, solo per il gusto di farla arrabbiare. Era sempre divertentissimo far arrabbiare Judy Plum.
«Ah no, eh? Beh, conoscevo un tipo, nella vecchia Irlanda, che una volta disse la stessa cosa. La disse tutto tronfio come un tacchi no. E poi una notte ne incontrò qualcuna, mentre tornava a casa da un posto dove non sarebbe dovuto andare. Ah, se ripenso a quel che gli hanno fatto!»
«Che cosa… che cosa?» chiese Sidney curioso.
«Lascia perdere, è meglio se non lo sai. Ma dopo quel tipo non tornò più lo stesso di prima e tenne a freno la lingua quando si trat tava di parlare del popolo fatato, credi a me. Il mio consiglio è di stare un po’ più attento a quello che dici ad alta voce quando pensi di essere solo, caro il mio audace giovanotto». 2
Judy stava lavorando al tappeto nella sua camera da letto, pro prio sopra la cucina. Era una stanza molto affascinante, dal punto di vista dei bambini di Silver Bush. Non c’era tappezzeria, pareti e soffitto erano rivestite di assi nude e lisce, che Judy manteneva sempre pulitissime. Il letto era una struttura enorme, con sopra un voluminoso pagliericcio. Judy disprezzava piume e materassi, che riteneva una moderna invenzione del Gran Diavolo dell’Inferno. I cuscini erano ricamati con il cosiddetto “punto ananas” e so pra troneggiava una gigantesca “trapunta autografa” realizzata da
un’associazione locale tanti anni prima, e comprata personalmente da Judy.
«Ah, quanto mi piace svegliarmi là sotto e guardare tutti quei nomi di gente morta e sepolta, mentre io sono ancora bella arzilla» diceva sempre.
A tutti i bambini di Silver Bush piaceva dormire con Judy ogni tanto, finché non erano diventati troppo grandi per farlo, e ascol tare le storie delle persone a cui erano appartenuti i nomi ricamati sulla trapunta. Antiche fiabe dimenticate, vecchie storie d’amore… Judy le conosceva tutte, o all’occorrenza se le inventava. Aveva una straordinaria memoria e un certo talento per la scelta delle parole. Ma i suoi racconti non erano sempre innocenti o innocui. Possedeva una riserva infinita di bizzarre storie di fantasmi e “omicidi davvero particolari”, tanto che c’era da stupirsi che non avesse spaventato a morte nessuno dei bambini. Al massimo aveva fatto venir loro una piacevole pelle d’oca. Sapevano che le storie di Judy erano “scioc chezze”, ma questo non cambiava molto le cose. Erano pur sempre sciocchezze affascinanti e interessanti, e Judy aveva la deliziosa abi tudine di trascinare i racconti notte dopo notte, nonché un’abilità di interrompersi proprio sul più bello – lasciando tutti con il fiato sospeso – che qualsiasi scrittore di storie a puntate le avrebbe in vidiato. Il racconto preferito di Pat era quello orribile di un uomo assassinato e ritrovato in pezzi disseminati per tutta la casa… un braccio in soffitta, la testa in cantina, e una spalla dentro un pento lone nella dispensa. «Mi piace come mi fa rabbrividire, Judy».
Accanto al letto c’era un comodino coperto da un centrino rica mato, sul quale stavano un puntaspilli a forma di cuore e una scato lina decorata di conchiglie, dentro la quale Judy conservava il primo dentino da latte di tutti i bambini e una ciocca dei loro capelli. C’e rano anche il guscio di un cannolicchio australiano e un blocchetto
di cera d’api che le serviva ad ammorbidire i fili di tessuto ed era perciò costellato di un’infinità di linee sottili e incrociate, proprio come le rughe sul viso della pro-prozia Hannah, che viveva a Bay Shore. Lì accanto c’era anche la Bibbia di Judy, e un voluminoso li bretto di “cose utili da sapere”, dal quale Judy traeva costantemente incredibili informazioni. Era l’unico libro che avesse mai letto. La gente, diceva, era molto più interessante dei libri.
Ciuffi di tanaceto, centofoglie e altre erbe essiccate pendeva no ovunque dal soffitto, e nelle notti di luna piena assumevano un aspetto magnificamente inquietante. Il grande baule blu di Judy, che lei aveva portato con sé dal Vecchio Mondo trent’anni prima, era appoggiato alla parete e quando Judy era particolarmente di buon umore ne mostrava il contenuto ai bambini… un guazzabuglio biz zarro e interessante, testimonianza del suo passato da giramondo. Nata in Irlanda, aveva lavorato lì da ragazza, in un “castello” nien tedimeno, come i bambini di Silver Bush avevano appreso spalan cando gli occhi. Poi era andata in Inghilterra e aveva lavorato anche lì, finché un suo fratello vagabondo si era messo in mente di partire per l’Australia, e Judy l’aveva seguito. Poiché però l’Australia non gli era piaciuta, aveva tentato con il Canada, e per qualche anno aveva gestito una fattoria sull’Isola del Principe Edoardo. Judy era finita a lavorare a Silver Bush al tempo dei nonni di Pat, e quando suo fratello aveva annunciato la decisione di tentare la fortuna nel Klondike, lei gli aveva detto che poteva andarci da solo. L’Isola le piaceva, era più simile al Vecchio Mondo di qualsiasi altro paese in cui avesse messo piede. Inoltre le piaceva Silver Bush, e adorava i Gardiner.
Da allora, era sempre stata lì. C’era quando Alec “lo Spilungone” Gardiner aveva portato a casa la sua giovane sposa, e aveva assistito alla nascita di tutti i bambini. Apparteneva a quel luogo, era im
possibile pensare a Silver Bush senza di lei. Con il suo talento per i racconti e le leggende, conosceva la storia di famiglia meglio dei Gardiner stessi.
Non le era mai venuto in mente di volersi sposare.
«Di corteggiatori ne ho avuto uno solo» disse a Pat una volta. «Una sera che faceva vento è venuto a farmi una serenata sotto la finestra e io gli ho rovesciato addosso un boccale di birra. Credo di averlo scoraggiato. In ogni caso non si fece più vedere»
«E ti è dispiaciuto?» chiese Pat.
«Neanche un po’, tesorino. Era più scemo di un’oca, quello lì»
«Pensi che ti sposerai mai, Judy?» chiese Pat angosciata. Sarebbe stato terribile se Judy si fosse sposata e fosse andata via.
«Ohi, ohi, alla mia età! Ingrigita come sono!»
«Quanti anni hai, Judy Plum?»
«Non è una domanda educata questa, ma sei troppo piccola per saperlo. Sono vecchia quanto la mia lingua, e un po’ più vecchia dei miei denti. Non ti agitare all’idea che mi sposi. Sposarsi è fonte di problemi. Anche non sposarsi lo è, ma io preferisco i problemi che già conosco»
«Nemmeno io mi sposerò, Judy» disse Pat. «Perché se mi spo sassi dovrei andare via da Silver Bush e non lo sopporterei. Staremo qui per sempre, Sid e io, e anche tu starai con noi, vero Judy? E mi insegnerai a fare il formaggio?»
«Ohi, ohi, il formaggio dici? Adesso ci sono tutte quelle fabbri che che lo fanno. In tutta l’Isola, l’unica fattoria che lo fa ancora è Silver Bush, e questa è l’ultima estate per me, credo»
«Oh, Judy Plum, non devi smettere di fare il formaggio. Devi continuare a farlo sempre. Per favore, Judy Plum!»
«Beh, magari ne posso fare due o tre per la famiglia» cedette lei. «Tuo padre dice sempre che quelli delle fabbriche non hanno
lo stesso sapore di quelli fatti in casa. E come potrebbero, dico io? Lì ci lavorano gli uomini, e che ne sanno gli uomini di come si fa il formaggio? Ah, quante cose sono cambiate da quando sono arrivata sull’Isola»
«Io odio i cambiamenti» esclamò Pat, quasi in lacrime.
Era terribile pensare che Judy non facesse più il formaggio. L’ag giunta di quel misterioso elemento che lei chiamava “caglio”, la bel la massa bianca che compariva il giorno dopo, da sistemare nelle forme tonde e mettere sotto la vecchia “pressa” vicino al fienile della chiesa, con la sua grande pietra grigia a fare da peso. E poi il lungo periodo di stagionatura in soffitta di quelle grandi lune dorate… tutte grandissime tranne una, piccola e graziosa, fatta in una forma speciale appositamente per Pat.
Pat sapeva che a North Glen tutti pensavano che i Gardiner fos sero terribilmente all’antica, perché si facevano ancora il formag gio da soli, ma a chi importava? Anche i tappeti all’uncinetto erano all’antica, ma i villeggianti estivi e i turisti li adoravano e si sarebbero comprati tutti quelli che Judy Plum aveva fatto in vita sua. Lei però non glieli avrebbe mai venduti, quelli erano i tappeti di Silver Bush e non appartenevano a nessun altro.
Judy lavorava alacremente all’uncinetto, per finire la sua rosa pri ma della “penombra”, nome con cui lei indicava indifferentemente le albe e i tramonti. A Pat piaceva, le sembrava una parola strana e adorabile. Lei era seduta su uno sgabellino, in mezzo al pianerottolo delle scale della cucina, giusto davanti alla porta aperta della stanza di Judy, i gomiti appoggiati sulle ginocchia sottili, il mento squadra
to nelle mani. Il suo visetto sorridente, che sembrava sempre ridere anche quando era triste, arrabbiata o malata, d’inverno era color bianco avorio, ma ora cominciava già a prendere un po’ di abbron zatura estiva. I suoi capelli erano castano chiaro, lisci… e lunghi. Nessuno a Silver Bush, a parte zia Hazel, aveva ancora osato portare un caschetto. Judy aveva manifestato una tale opposizione che sua madre non si era azzardata a tagliarli né a Winnie né a Pat. La cosa buffa era che Judy il caschetto ce l’aveva, e rispettava alla perfe zione i canoni di quella moda che disprezzava tanto. Aveva sempre portato corti i capelli ormai brizzolati, perché non aveva tempo da sprecare con le forcine, diceva.
Accanto a Pat, sul gradino che divideva il pianerottolo dall’ingres so della stanza di Judy, c’era Signor Gatto, che guardava quest’ultima socchiudendo i suoi occhi verdi e insolenti, con un’espressione che qualche centinaio di anni prima avrebbe senza dubbio condannato Judy al rogo. Era un gatto grosso e snello, sempre con l’aria di chi ha diverse preoccupazioni segrete, e continuava a restare magro nono stante tutte le coccole di Judy. Era nero, «il gatto nero più nero che abbia mai visto in vita mia». Per un po’ non aveva avuto un nome, perché Judy riteneva che portasse sfortuna darne uno a una bestia arrivata «di punto in bianco». Si rischiava di offendere qualcuno o qualcosa, chissà… E quindi il nero felino era stato chiamato il Gatto di Judy, con l’iniziale maiuscola, finché un giorno Sid si era riferito a lui come “Signor Gatto”, e da quel momento in poi Signor Gatto era rimasto. Persino Judy si era arresa a chiamarlo così. A Pat pia cevano tutti i gatti, ma verso Signor Gatto provava anche una certa ammirazione. A quanto pareva era arrivato dal nulla, non era nato come gli altri gattini, e si era affezionato a Judy. Dormiva ai piedi del suo letto e le camminava sempre accanto, con la coda vaporosa drit ta come un fuso, ovunque lei andasse. Nessuno lo aveva mai sentito
fare le fusa. Non si poteva dire che fosse un gatto socievole; persino Judy, che non gli attribuiva mai alcun difetto, aveva ammesso che era un po’ schizzinoso riguardo alle persone con cui parlava.
«E poi certo, non è un gatto loquace, ma a modo suo è molto di compagnia».
Lucy Maud Montgomery nacque a New London, in Canada, nel 1874 e morì a Toronto nel 1942. Nella sua vita pubblicò numerosi libri per ragazzi, raggiungendo l’apice della popolarità nel 1908 con Anna dai capelli rossi, primo di una serie di otto romanzi, tutti pubblicati da Gallucci con una nuova traduzione di grande successo. Tradotte in decine di lingue, le storie di Anna hanno continuato ad avere seguito fino a oggi, grazie anche alla celebre serie animata giapponese che la tv italiana ha trasmesso a partire dal 1980 e alla recente fiction distribuita da Netflix in tutto il mondo. La produzione letteraria della Montgomery, che va ben oltre Anna dai capelli rossi, è oggetto negli ultimi anni di una meritata riscoperta. Tra le sue opere più note ci sono la trilogia di Emily di New Moon, interamente pubblicata da Gallucci, e i due romanzi di Pat di Silver Bush, intenso omaggio al sentimento profondo che legò per tutta la vita Lucy Maud Montgomery all’Isola del Principe Edoardo, dove la scrittrice trascorse la sua infanzia.
Immagini di copertina: © Sveta Butko Photography / Trevillion Images
Progetto grafico: Camille Barrios / ushadesign
I Gardiner abitano da sempre nella fattoria di Silver Bush, che per la piccola Pat è il posto più bello del mondo, un reame incantato e perfetto dove nulla dovrebbe mai cambiare. Ma più si va avanti nella vita, più i cambiamenti diventano inevitabili, e Pat, con l’aiuto dell’arguta governante Judy e degli amici Bets e Jingle, crescendo imparerà a farci i conti. Non tutto cambia per il peggio però, e a volte, per tenere sempre nel cuore i luoghi e le persone amate, bisogna saperli lasciar andare.
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“Che male c’ è a innamorarsi, tesoro mio? Almeno ci si diverte un po’ in questa vita noiosa. Bada solo a non farti prendere la mano e a non spezzare il cuore di nessuno”.
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