Rip van Winkle e Racconti di un viaggiatore – Parte seconda

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UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni


Washington Irving Rip van Winkle e Racconti di un viaggiatore – Parte seconda traduzione dall’inglese di Adriana Cicalese e Riccardo Duranti ISBN 978-88-3624-655-7 Prima edizione italiana luglio 2022 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2026 2025 2024 2023 2022 © 2022 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo originale: Rip van Winkle and Tales of a Traveller – Part Two Gallucci e il logo

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Washington Irving

Rip van Winkle e

Racconti di un viaggiatore parte seconda

traduzione dall’inglese di Adriana Cicalese e Riccardo Duranti



Rip van Winkle scritto postumo di diedrich knickerbocker



Per Woden, divinità sassone, cui è dedicato il quarto giorno della settimana, la Verità è la cosa cui terrò di più sempre fino al giorno in cui striscerò nel mio sepolcro… William Cartwright, L’ordinario, 1635

[La storia che segue è stata ritrovata tra le carte del compianto Diedrich Knickerbocker, un vecchio gentiluomo di New York, che era molto curioso della storia olandese della provincia e delle abitudini dei discendenti dai primi colonizzatori. Tuttavia, le sue ricerche storiche non ebbero luogo tanto tra i libri quanto tra le persone; infatti, i primi sono molto laconici riguardo ai suoi argomenti preferiti, mentre invece i vecchi paesani, e ancor più le loro mogli, sono depositari di abbondante materiale leggendario che è così prezioso per i veri storici. Perciò, ogniqualvolta gli capita7


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va d’imbattersi in un’autentica famiglia olandese, comodamente raccolta sotto il basso soffitto della propria fattoria, all’ombra dell’ampia chioma di un platano, la considerava alla stregua di un volume a stampa ben rilegato e la studiava con lo zelo di un vero e proprio topo di biblioteca. Il risultato delle sue ricerche è sfociato in una storia della provincia, nel periodo dei governatorati olandesi, da lui pubblicata alcuni anni or sono. Sul valore letterario della sua opera c’è una varietà di opinioni e, a dire il vero, non è tanto migliore del dovuto. Il suo merito principale è quello della scrupolosa accuratezza, che in realtà fu un po’ messa in dubbio appena il libro fu pubblicato, ma che ora è stata definitivamente confermata; l’opera è accolta in tutte le collezioni storiche come un libro d’inequivocabile autorevolezza. Il vecchio gentiluomo è venuto a mancare poco dopo la pubblicazione del libro; e ora che è morto e sepolto, dire che il suo tempo avrebbe potuto con più profitto essere impiegato in fatiche di maggior peso può arrecare pochi danni alla sua memoria. Comunque sia, egli era incline a gestire la propria passione a modo suo; e anche se ogni tanto sollevava un po’ di polverone davanti agli occhi del prossimo e provocava dispiacere nell’animo di alcuni amici, verso i quali pur nutriva la più sincera deferenza e affetto, tuttavia i suoi errori e le sue stravaganze sono ricordate “più con pena 8


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che con rabbia” e si comincia a supporre che non fosse mai stata sua intenzione ferire né, tanto meno, offendere. Ma qualsiasi apprezzamento del ricordo che ha lasciato possano fare i critici, molta gente, la cui buona opinione vale la pena guadagnarsi, lo considera ancora una persona cara; in particolare alcuni fabbricanti di biscotti che sono arrivati a riprodurre il suo ritratto su alcuni dolciumi di Capodanno e quindi gli hanno offerto un’occasione d’immortalità, quasi affine a quella d’essere raffigurati su medaglie commemorative di Waterloo o su monetine della regina Anna].

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Chiunque abbia mai risalito l’Hudson si ricorda dei monti Kaatskill. Sono un ramo staccato della grande catena degli Appalachi e s’intravvedono, a ovest del fiume, ergersi a una dignitosa altezza e troneggiare sul paesaggio circostante. Ogni cambio di stagione, ogni mutamento climatico e, invero, ogni ora del giorno produce qualche trasformazione nelle magiche tinte e forme di queste montagne; esse sono considerate da tutte le brave massaie, vicine e lontane, un barometro perfetto. Quando il tempo è stabilmente bello, esse si ammantano d’azzurro e violetto e stagliano i fieri contorni nel limpido cielo serale; ma a volte, quando il resto del paesaggio è sereno, raccolgono attorno alle loro cime un cappuccio di vapori grigi che, colpito dagli ultimi raggi del sole calante, s’illumina e rifulge come un diadema di gloria. Ai piedi di queste montagne fatate, il viaggiatore può darsi abbia scorto leggere volute di fumo levarsi da un villaggio, i cui tetti d’ardesia brillano tra gli alberi, appena sotto al 10


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punto dove le tinte azzurrine dell’altopiano si dissolvono nel verde vivido del paesaggio più vicino. È un piccolo villaggio di grande antichità, essendo stato fondato da alcuni coloni olandesi nei primi tempi della provincia, intorno all’inizio del governo del buon Peter Stuyvesant (riposi in pace!), e fino a poco tempo fa erano ancora in piedi alcune delle case dei primi coloni, costruite con mattoncini gialli, importati dall’Olanda, con finestre piombate e facciate sormontate da un timpano su cui sventolava la banderuola a forma di gallo. In quello stesso villaggio e proprio in una di quelle case (che, a dir tutta la verità, era purtroppo parecchio malridotta dal passar del tempo e delle intemperie) viveva, molto tempo fa, quando il Paese era ancora una provincia della Gran Bretagna, un uomo schietto e di buon carattere che rispondeva al nome di Rip van Winkle. Era un discendente di quei van Winkle che erano stati coraggiosi protagonisti dei tempi cavallereschi di Peter Stuyvesant ed erano al suo seguito nell’assedio di Fort Christina. Tuttavia, egli aveva ereditato ben poco del fervore marziale degli avi. Come ho già detto era una persona schietta e di buon carattere; inoltre era un ottimo vicino e un marito obbediente che sopportava con pazienza le sfuriate della moglie. Anzi, forse è proprio a questa circostanza ch’egli doveva quella mitezza di spirito che gli aveva fruttato tanta popolarità; perché sono proprio gli uomini che soffrono la disciplina di mogli bisbetiche in 11


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casa che si dimostrano ossequiosi e concilianti fuori casa. Senza dubbio, le loro personalità son rese docili e malleabili dal calor bianco delle tribolazioni domestiche e una lavata di capo dietro le tende vale quanto tutti i sermoni del mondo per insegnare le virtù della pazienza e della sopportazione. Una moglie brontolona, dunque, per certi aspetti, può essere considerata una benedizione da tollerare e se è così, Rip van Winkle era tre volte benedetto. Quel che è certo è che egli era il grande beniamino delle brave massaie del villaggio, che, come spesso succede tra il gentil sesso, prendevano sempre le sue parti nei battibecchi famigliari e non mancavano mai, quando ridiscutevano le questioni nei loro pettegolezzi serali, di dare torto alla signora van Winkle. Anche i bambini del villaggio lanciavano grida di gioia quando arrivava lui. Rip faceva da spettatore ai loro giochi, costruiva per loro balocchi, insegnava loro a far volare aquiloni e a giocare a biglie e raccontava lunghe storie di fantasmi, streghe e indiani. Ogni volta che bighellonava per il paese, era sempre circondato da una torma di bambini che gli si attaccavano alle code della giacca, gli si arrampicavano sulla schiena e gli facevano mille scherzi senza che lui li redarguisse; e in tutta la zona non c’era un cane che gli abbaiasse contro. Il gran difetto della personalità di Rip era la sua insuperabile avversione per ogni genere di lavoro utile. E non 12


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era certo per mancanza di zelo e perseveranza; perché era capace di star seduto su uno scoglio umido, con una canna lunga e pesante come una lancia tartara, e pescare tutto il giorno senza un lamento, anche in assenza di qualsiasi incoraggiamento sotto forma del minimo tentativo di abbocco. Oppure andava in giro con lo schioppo in spalla per ore e ore, vagando per boschi e paludi, su per colli e giù per valli, solo per sparare a qualche scoiattolo o ai colombacci. E non si rifiutava mai di dare una mano ai vicini anche nei lavori più pesanti, in tutte le feste campagnole era il più veloce a sgranare le pannocchie di mais e a costruire muretti a secco; inoltre, le donne del villaggio gli affidavano piccoli compiti o gli chiedevano di eseguire lavoretti in casa che i loro mariti si rifiutavano di fare. Insomma, Rip era sempre pronto a fare gli interessi degli altri, ma non i propri; è solo che trovava del tutto impossibile adempiere ai doveri famigliari e tenere in ordine la sua fattoria. Anzi, dichiarava apertamente che era inutile lavorare nella sua fattoria; era il più pestilenziale pezzo di terreno del paese; lì andava tutto storto, nonostante i suoi sforzi. Le sue staccionate cadevano in continuazione a pezzi; la sua mucca se ne andava sempre a zonzo, oppure finiva a mangiargli i cavoli; l’unica cosa che cresceva nei suoi campi più in fretta che negli altri erano le erbacce; la pioggia faceva sempre in modo di arrivare quando lui doveva fare qualche lavoro 13


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all’aperto; insomma, sotto la sua gestione, le terre patrimoniali in suo possesso si erano pian piano ridotte, un acro alla volta, fino a che era rimasto poco più che un campo di mais e uno di patate, eppure era la fattoria più maltenuta del paese. Anche i figli andavano in giro vestiti di stracci ed erano inselvatichiti come fossero di nessuno. Suo figlio Rip, un monello che gli somigliava tantissimo, prometteva di ereditare pure le sue abitudini, insieme ai vestiti smessi. Lo si vedeva in genere seguire la madre come un puledro, abbigliato in un paio di braghe che il padre non metteva più e che lui aveva grosse difficoltà a tener su con una mano, come fa una signora col suo strascico quando il tempo è brutto. Ad ogni modo, Rip van Winkle era uno di quei felici mortali, di natura ben oliata o sciocca, che prendono il mondo come viene, mangiano indifferentemente sia pane bianco che nero, basta che sia facile procurarselo senza pensarci su troppo e senza faticare, insomma, preferiva morir di fame con un centesimo piuttosto che lavorare per una sterlina. Lasciato a se stesso, sarebbe stato assolutamente contento di passare tutta la vita a fischiettare; ma la moglie continuava sempre a fargli ronzare nelle orecchie rimproveri per la pigrizia, la noncuranza e la rovina cui stava portando la famiglia. Mattina, mezzogiorno e sera, la lingua della donna non smetteva un attimo di perseguitarlo e qualsiasi cosa lui ribattesse o facesse aveva il potere di scatenare un altro tor14


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rente di eloquenza domestica. Rip aveva un solo modo di rispondere a tutti i predicozzi del genere e, siccome lo usava di frequente, era ormai diventato un’abitudine. Alzava le spalle, scuoteva la testa, sollevava gli occhi al cielo, ma non diceva nulla. Però la sua reazione non faceva altro che provocare una nuova salva di improperi da parte della moglie, per cui lui preferiva ritirarsi e uscire di casa; l’unico territorio, a onor del vero, che si addice a un marito bistrattato dalla moglie. Rip aveva un solo alleato, in casa: il suo cane Wolf, altrettanto bistrattato quanto il padrone; infatti, la signora van Winkle li considerava entrambi pigroni oziosi e non vedeva di buon occhio Wolf perché lo riteneva responsabile di portare così spesso il padrone fuori strada. La verità è che, per quanto riguarda il coraggio che ci si aspetta da un cane degno di questo nome, Wolf era un animale audace come pochi che abbiano mai attraversato boschi; ma quale audacia riesce a resistere agli effetti malefici e ai terrori diffusi che emanano dalla lingua di una donna? Nel momento stesso in cui entrava in casa, Wolf abbassava la cresta, metteva la coda tra le zampe, anzi a volte se l’attorcigliava lì, si aggirava furtivo con una faccia da capestro, lanciava occhiate in tralice alla signora van Winkle e appena vedeva agitare un manico di scopa o un mestolo, fuggiva al volo dalla porta lanciando alti guaiti. 15


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Man mano che gli anni di matrimonio aumentavano, le cose per Rip van Winkle si facevano sempre più dure; una personalità aspra non si addolcisce certo con l’età e una lingua tagliente è l’unico arnese a filo che più si usa, più diventa acuminato. Per molto tempo, quando era cacciato di casa, era solito consolarsi frequentando una specie di circolo dei saggi perpetui, filosofi e altri analoghi personaggi oziosi del villaggio che teneva le sue sessioni su una panchina davanti a un’osteria, sotto l’insegna di un rubizzo ritratto di sua maestà Giorgio III. Era qui che erano soliti sedersi all’ombra nelle lunghe e pigre giornate d’estate, scambiandosi spensierati pettegolezzi locali e raccontando storie soporifere e senza fine su sciocchezze varie. Ma sarebbe valsa la pena di ogni statista ascoltare ogni tanto le loro profonde discussioni quando capitava che un viaggiatore di passaggio lasciasse in mani loro un vecchio giornale. Tutti prestavano orecchio con solennità alla lettura del suo contenuto, biascicata da Derrick van Bummel, il maestro di scuola, un ometto dotto e azzimato che non si spaventava neanche davanti alla più gigantesca parola del dizionario; e con che saggezza deliberavano su eventi pubblici mesi dopo che essi avevano avuto luogo. Le opinioni di questo consiglio erano completamente controllate da Nicholas Vedder, patriarca del villaggio e padrone dell’osteria, davanti la cui porta stava assiso dalla 16


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mattina alla sera, spostandosi quel tanto che bastava per evitare il solleone e mantenersi all’ombra di un grande albero; tanto che i vicini erano in grado di sapere che ora era dai suoi movimenti con la stessa precisione di una meridiana. È pur vero che di rado era dato sentirlo parlare, ma fumava la pipa senza posa. Tuttavia i suoi seguaci (perché ogni grande uomo ha i suoi seguaci) lo capivano perfettamente e sapevano come interpretare le sue opinioni. Ogniqualvolta una cosa letta o raccontata incontrava il suo dispiacere, lo si poteva vedere succhiare la pipa con veemenza e sbuffare con rabbia frequenti fiotti di fumo; ma quando era contento, inalava lentamente e con calma il fumo per poi emetterlo in nuvolette leggere e placide, e a volte, togliendosi la pipa di bocca e lasciando che il fragrante vapore gli si arricciasse attorno al naso, annuiva con solennità in segno di assoluta approvazione. Lo sventurato Rip, alla lunga, fu cacciato anche da questa roccaforte dalla sua bisbetica consorte che prese a irrompere all’improvviso nella pace dell’assemblea e a inveire contro tutti i membri fino ad annichilirli; e neanche l’augusto personaggio di Nicholas Vedder scampava alla linguaccia della tremenda virago che lo accusava apertamente d’incoraggiare le oziose abitudini del marito. Il povero Rip era ormai ridotto quasi alla disperazione; e l’unica alternativa per sfuggire alle fatiche della fattoria 17


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e alle persecuzioni della moglie era quella di imbracciare il fucile e allontanarsi nel bosco. Qui, a volte, si sedeva ai piedi di un albero e condivideva il contenuto della bisaccia con Wolf, che considerava e compiangeva come suo compagno di persecuzione. «Povero Wolf» diceva «la tua padrona ti fa fare una vita da cane; ma non farci caso, ragazzo mio, finché campo io non ti mancherà mai un amico su cui contare!» Allora Wolf scodinzolava, fissava intensamente il volto del padrone e, se i cani sono capaci di provare pietà, credo proprio che ricambiasse i sentimenti con tutto il cuore. In uno di questi vagabondaggi, un bel giorno d’autunno, Rip si era inerpicato, senza rendersene ben conto, su una delle cime più alte dei monti Kaatskill. Era intento al suo svago prediletto di caccia allo scoiattolo e quelle tranquille solitudini avevano riecheggiato più volte degli spari del suo schioppo. Ansante e stanco, nel tardo pomeriggio si era gettato su un poggetto verde, ricoperto di erbe di montagna, che sovrastava il bordo di un precipizio. Da un varco tra gli alberi riusciva a scorgere, per parecchie miglia di folto bosco, l’intera regione a valle. In lontananza vedeva il nobile Hudson, molto al di sotto di dove si trovava lui, che fluiva nel suo corso lento ma maestoso, senza che un riflesso di nube violetta o una vela solitaria di barca ne disturbasse il cristallino petto, per perdersi infine tra gli altipiani azzurrini. 18


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Dall’altra parte vedeva una profonda valle montana, selvaggia, deserta e irsuta, col fondo pieno dei detriti delle rupi incombenti e appena appena illuminata dai raggi riflessi del sole calante. Per un po’, Rip rimase seduto a meditare su questo spettacolo; la sera s’avvicinava a passi graduali; i monti cominciavano a gettare le loro lunghe ombre azzurre sulle valli; si rese conto che prima che potesse far ritorno al villaggio il buio sarebbe calato su ogni cosa; un profondo sospiro lo scosse al pensiero di incorrere nelle ire della signora van Winkle. Mentre si apprestava a ridiscendere, udì una voce che lo chiamava da lontano. «Rip van Winkle! Rip van Winkle!» Si guardò attorno, ma non vide altro che una cornacchia che volava solitaria davanti alla montagna. Pensò che la fantasia gli avesse giocato un tiro e si rimise a scendere, quando udì lo stesso grido riecheggiare nell’aria calma della sera: «Rip van Winkle! Rip van Winkle!» In quello stesso momento a Wolf si rizzò il pelo sulla groppa e, con un ringhio, il cane si rifugiò all’ombra del padrone, guatando impaurito il fondo della valle. Rip sentì all’improvviso un vago timore che s’impadroniva del suo animo; guardò anch’egli nella stessa direzione e vide una strana figura che lentamente s’inerpicava sulle rocce del pendio, piegata sotto il peso di un fardello sulla schiena. Rip fu molto sorpreso di vedere un essere umano aggirarsi in quel deserto poco frequentato, ma pen19


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sando si trattasse di un vicino bisognoso d’aiuto, si affrettò ad andargli incontro per prestarglielo. Man mano che s’avvicinava, però, restò ancor più sorpreso dall’aspetto singolare dello sconosciuto. Era un tizio anziano, basso e tarchiato, dalla capigliatura fitta e scarmigliata e dalla barba brizzolata. Era vestito nell’antica foggia olandese: giustacuore di panno legato alla vita e vari strati di braghe, con quella più esterna d’ampio volume, decorata da file di bottoni laterali e raccolta alle ginocchia. Sulle spalle portava un robusto barilotto, apparentemente pieno di liquore, e faceva segno a Rip di avvicinarsi e di aiutarlo con il fardello. Per quanto timido e diffidente nei confronti di quella nuova conoscenza, Rip obbedì con la consueta alacrità; e dopo averlo sollevato dal peso, s’inerpicarono insieme per una stretta gola che sembrava essere il letto asciutto d’un ruscello montano. Man mano che salivano, di tanto in tanto, Rip udiva lunghi rullii brontolanti, che parevano echi di tuoni lontani provenienti da un profondo abisso, oppure da un burrone tra alte rupi verso cui conduceva l’aspro sentiero. Si fermò un attimo, ma poi concluse dovesse trattarsi dei borbottii di uno di quei temporali passeggeri che spesso si verificano nelle alture montane e riprese il cammino. Attraverso la gola arrivarono a una valletta a forma di piccolo anfiteatro, circondata da rupi perpendicolari, dai cui bordi spuntavano i rami degli alberi sovrastanti, in modo tale 20


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che si riuscivano a vedere solo squarci di cielo azzurro e di chiare nubi vespertine. Per tutto questo tempo, Rip e il suo compagno erano avanzati a fatica e in silenzio; perché per quanto il primo si chiedesse meravigliato a che scopo trascinare un barilotto di liquore su per la montagna selvaggia, in quella missione nell’ignoto c’era qualcosa di strano e incomprensibile che incuteva timore e frenava qualsiasi scambio di familiarità.

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Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Puntoweb srl (Ariccia, Roma) nel mese di giugno 2022




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