She-Shakespeare

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Eliselle

Era una situazione inimmaginabile, che andava al di là di qualunque limite dato dal buon senso e dalla tradizione: una femmina che leggeva e scriveva era già qualcosa di bizzarro, non si era mai visto poi che lo facesse alla King’s New School o in qualunque altra istituzione scolastica. Judith Shakespeare era contro natura, e non v’era forse una punizione adeguata per questa violazione delle regole universali. Regole che nessuno poteva discutere né mettere in dubbio, men che meno sovvertire: le donne erano esseri inferiori, e pertanto a loro erano preclusi i diritti di competenza solo maschile.

UAO

Universale d’Avventure e d’Osservazioni

Eliselle She-Shakespeare disegni di Arianna Farricella

ISBN 978-88-3624-735-6

Prima edizione novembre 2022 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2026 2025 2024 2023 2022 © 2022 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Pubblicato in accordo con Tiziana Marzano|Agente Letterario

La citazione di Virginia Woolf di pag. 5 è tratta da Una stanza tutta per sé, trad it. di Maria Antonietta Saracino, Mondadori, Milano 2017

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Eliselle She-Shakespeare

disegni di Arianna Farricella

[…] ciò che sicuramente è vero, così mi sembrava mentre rileggevo la storia della sorella di Shakespeare che avevo crea to, è il fatto che qualsiasi donna che fosse nata nel sedicesimo secolo, con un grande talento, sarebbe sicuramente impazzita, si sarebbe uccisa o avrebbe concluso i suoi giorni in qualche capanna solitaria un po’ fuori del villaggio, per metà strega, per metà maga, temuta e derisa.

Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé

È arrivata la regina! 1575

Quando quella mattina Judith aprì gli occhi, sape va già cosa fare.

Scalciò via la coperta leggera, balzò in piedi e corse alla finestra per guardare fuori. Quel che vide le piacque moltissimo, e tirò un lungo sospiro di sollievo sti randosi bene le braccia e la schiena.

La luce dell’alba aveva deciso di mostrarsi molto presto con una certa convinzione e alle cinque del mattino già illuminava i campi di Stratford-upon-A von. Non una nuvola turbava il cielo di quel mattino di metà luglio, nemmeno in lontananza. La bambina cominciò ad applaudire e a saltellare con gioia, e sen za perdere altro tempo andò difilato ai piedi del let-

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to di legno per afferrare il vestito pulito e indossarlo al volo: doveva prepararsi il più in fretta possibile, il viaggio per cui aveva tanto sospirato l’aspettava. Dabbasso, un uomo e una donna sentirono dei col pi e guardarono il soffitto sopra di loro. Non ci mise ro molto a capire cosa stesse succedendo. Lei sorride va, lui molto meno. A dire il vero, sembrava proprio seccato. Afferrò un pezzo di pane scuro e lo addentò con fastidio. La donna lo trafisse con lo sguardo.

«So che cosa vorreste dirmi, ma non lo direte»

«Oh, certo che lo dirò, lo dirò eccome» rispose lei, senza prenderlo sul serio. «Una promessa è pur sem pre una promessa» continuò mentre vuotava il latte nella ciotola davanti a lui. «Non potete dare una pa rola a vostra figlia e poi non mantenerla, caro marito, non vi si addice. Se non rispettate l’impegno, poi co sa imparerà la bambina? A mentire? A dissimulare? Con un esempio del genere davanti, una volta grande diventerà una millantatrice, un’inventastorie o peggio una traditrice e una spergiura. È davvero questo che volete per vostra figlia?»

L’uomo, seduto a tavola, ascoltava la moglie con trovoglia e non si dava cura di nasconderlo. Sbuffò. A differenza di molti suoi amici e colleghi di pari rango, aveva sposato una donna intelligente e colta, ma d’altra parte non è che avesse avuto molta

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scelta. Mary era la figlia di Robert Arden, il vecchio padrone di suo padre Richard Shakespeare, che da lui aveva avuto in affitto la casa e i terreni. I due uomini si rispettavano e si fidavano l’uno dell’altro, altrimen ti non avrebbero mai fatto sposare i propri figli, im parentando le famiglie per mandare avanti gli affari e la discendenza. Inoltre, a ben pensarci, il matrimonio lo aveva favorito: oltre all’intelligenza e alla cultura, sua moglie Mary era una Arden, e dalla sua aveva il cognome, l’onorabilità e la dote. Una gran bella dote, quindi non poteva lagnarsi più di tanto.

«Per mia figlia voglio il meglio, lo sapete»

«Ne sono certa. Per questo la porterete con voi»

«Ma ha undici anni, dovrebbe pensare ad altre questioni»

«Quali questioni? Se intendete le faccende dome stiche, sappiate che non esiste solo il bucato, o l’orto, o la filatura, e non ci sono solo le pecore da tosare e i polli e i maiali da accudire, né le stoffe da vendere. C’è anche una vita, là fuori, e la bambina se ne deve rendere conto, prima o poi»

«Ma non capirà nulla di ciò che vedrà»

«Capirà benissimo, ve lo garantisco, dal momento che ha una mente acuta, ha imparato a leggere a cin que anni e lo sa fare molto bene. Le ho insegnato io, so quel che dico».

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La frustrazione dell’uomo cresceva a ogni obiezio ne della moglie, ma lei era un muro irto di spine che lui, anche con tutta la buona volontà e il coraggio, non avrebbe potuto nemmeno avvicinare, figurarsi scavalcare o peggio, buttare giù.

Così tentò l’ultima carta. «Ma, cara moglie, Judith è… una femmina!»

La donna appoggiò la caraffa del latte sul tavolo, portò le mani sui fianchi, spalancò gli occhi e fingendo si molto sorpresa disse: «In nome del cielo, marito mio, e per quanto ancora volevate tenermelo nascosto?!»

«Eccomi!»

Quasi capitombolò giù per le scale e si presentò in cucina già pronta a partire. Sul graticcio, accanto al fuoco del camino in pietra, era stato tenuto in caldo un po’ di pane per lei, ma Judith non ci fece nemme no caso. Si era vestita a festa, con l’abito migliore che aveva, azzurro con l’allacciatura frontale e la fodera a contrasto, scelto per un’occasione davvero speciale. I capelli erano stati legati alla bell’e meglio e lascia ti scoperti, com’era d’uso per le femmine ancora non sposate e troppo piccole per indossare la cuffia e il copricapo.

Mary Arden la guardò, raggiante. John Shakespea re sospirò, rassegnato.

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La felicità di Judith era incontenibile e gliela si leg geva addosso in ogni gesto. Forse, se fosse stata davvero molto fortunata, quel giorno sarebbe riuscita non solo ad assistere allo spettacolo, ma persino a ve dere da vicino la regina. Da Stratford a Kenilworth erano cinque ore di tragitto e, se fossero partiti su bito, per le dieci del mattino sarebbero arrivati a de stinazione. Giusto in tempo per la rappresentazione dell’Hock Tuesday.

John si alzò in piedi e Judith fremette, in attesa. «Forza, andiamo, prima che io cambi idea!»

La bambina fece un gridolino, corse ad abbracciare la madre, poi si infilò dietro a suo padre senza esitare.

Alla fine si erano dovuti portare dietro anche Gil bert, che, quando aveva sentito il trambusto provoca to da suo padre mentre attaccava i finimenti del ca vallo, si era precipitato giù dal letto, era volato fuori dalla porta e si era messo di fronte al carretto a brac cia aperte, ancora in camicia da notte, per impedirgli di partire senza di lui.

Mary era accorsa fuori per convincerlo a rientrare, ma il bambino non aveva voluto sentire ragioni: soste neva che era suo diritto accompagnare la sorella più grande, perché a nove anni poteva fare quel che face va lei, dal momento che era un maschio. Così John a

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veva dovuto attendere che fosse pronto, con Judith, seduta composta sul carro, che non riusciva a trattenere l’irritazione.

Le sorelle e il fratello più piccoli, invece, Joan, di sei anni, Anne, di quattro e Richard di un anno soltanto, erano rimasti a casa: era impensabile per loro affron tare un viaggio come quello, ma non erano dispiaciu ti. Le due sorelline se la sarebbero spassata tra le oche e le anatre in cortile, sotto la supervisione di Abitha, la domestica che si occupava di loro e aiutava la pa drona nella cura della casa, mentre il più piccolo non avrebbe quasi mai lasciato le braccia della mamma.

Il viaggio sul carro fece risparmiare a John un po’ di tempo e riuscirono a recuperare il ritardo. Arriva rono nei pressi di Kenilworth e l’uomo decise di la sciare cavallo e carro in un luogo sicuro, presso la re sidenza di un caro amico, il Cancelliere di Warwick. Allungò qualche soldo allo stalliere che lo riconobbe e lo ringraziò, e fece cenno ai figli di scendere.

Dei residui di lana erano rimasti incastrati tra le ta vole di legno e Judith fu ben attenta a toglierli dal pro prio vestito, per non fare brutta figura. Gilbert fece un salto e, appena arrivato a terra, si accomodò la cotte stretta in vita, si calò meglio il cappello rosso sulla testa e si guardò attorno. Ciò che vide lo lasciò senza fiato.

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«Quanta gente!»

La strada che portava al castello di Kenilworth e i prati lì attorno brulicavano di persone, giunte con ogni mezzo e da ogni parte delle Midlands per assi stere ai grandi spettacoli, pensati e approvati per al lietare l’imprevedibile regina, e per vedere lei, la ros sa Elisabetta della dinastia Tudor, figlia del terribile Enrico VIII. La regina era già stata in quella regio ne alcuni anni prima per un paio dei suoi viaggi di rappresentanza e vi tornava ora, nel luglio 1575, per saldare alleanze, rivedere vecchi amici e soprattutto mostrarsi grandiosa ai sudditi: confinata a corte a Londra, alle prese con congiure e intrighi, questio ni politiche, religiose e militaresche, feste e rappre sentazioni, lotte di orgoglio e di potere, era sempre un evento quando portava in giro il suo monumen tale seguito ed esibiva la sua persona all’Inghilterra tutta. Era una vera e propria processione reale, nel la quale era lei la protagonista, il fulcro, l’attrazione assoluta.

Il suo favorito, Robert Dudley, nonché proprietario del castello, non aveva badato a spese e aveva pensa to davvero a tutto: era presente la compagnia teatrale degli Earl of Leicester’s Men, invitata appositamente per intrattenere la sovrana, ma c’erano tantissimi al

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tri eventi in programma. Tra questi, Judith era attrat ta in particolar modo dall’Hock Tuesday, una rappresentazione della grande battaglia degli inglesi contro i danesi avvenuta cinque secoli prima, nella quale gli invasori avevano dovuto soccombere, ed erano sta ti sconfitti anche grazie all’intervento decisivo delle donne inglesi. Ai predicatori riformisti non piaceva molto questo tipo di recita, la trovavano immorale, ma lei ne aveva sentito così tanto parlare che voleva assolutamente assistervi.

«Ragazzi, non staccatevi da me, c’è troppa folla e non voglio perdervi»

«Va bene, padre» si affrettò a rispondere Gilbert.

«Tutti pronti per l’Hock Tuesday, tutti pronti per l’Hock Tuesday! La rievocazione si terrà sotto alle fi nestre della regina! Tutti pronti per l’Hock Tuesday!»

Alle parole dell’annunciatore, Judith si lasciò sfug gire un urlo.

«Padre, padre, avete sentito?!»

«Sì, Judith, ho sentito, andiamo».

La ragazzina afferrò per un braccio il suo impuden te fratello, che cercò di divincolarsi senza successo, e si diresse col padre verso il prato dove si sarebbe te nuto, di lì a poco, lo spettacolo che la incuriosiva. Alla vista dell’abito da consigliere di John Shakespeare, le persone si facevano naturalmente da parte, così pote

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rono cercare un luogo da cui seguire al meglio la mes sa in scena dell’assalto e della battaglia: serviva una posizione più elevata, soprattutto pensando ai bam bini e alla loro sicurezza.

Il castello era stato costruito su quattro livelli ed era un edificio imponente, circondato da mura, con tor ri, archi a quattro centri, finestre proiettate verso l’e sterno da baie poligonali e altissime guglie. Le came re reali dove soggiornava Elisabetta avevano una vista deliziosa sull’ampio prato che era stato scelto per la rievocazione. Dopo una lunga occhiata al maniero e alla sua disposizione, Shakespeare decise che salire sulle mura sarebbe stata un’ottima soluzione. Così, grazie alle scale e alle balle di fieno che vi erano state appoggiate, aiutò prima Judith poi Gilbert ad arram picarsi, per seguirli subito dopo. Si sedettero vicini e stettero lì, in attesa.

Tutto attorno era un’esplosione di gente, colori, bandiere, musiche, danze e acrobazie. Dentro la cin ta c’erano banchetti e giocolieri, mentre fuori era stata predisposta una quintana, una rappresentazione sull’acqua, uno spettacolo di fuochi d’artificio e già si stavano preparando uomini e donne per la battaglia rievocativa. L’eccitazione era palpabile e Judith non riusciva a staccare gli occhi da quel fermento. Nella sua pancia continuavano a rimescolarsi mille emozio

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ni e non poteva fare a meno di meravigliarsi a ogni passo, movimento e salto a cui assisteva. Era davvero una festa come non se n’erano mai viste e come, forse, non avrebbe rivisto mai più.

A un certo punto, si sentirono le trombe squilla re e tutti si volsero verso il loro suono imperioso, zit tendosi di colpo. Un banditore con voce potentissima annunciò l’inizio della rappresentazione e ordinò agli astanti di porgere omaggio alla regina d’Inghilterra, accompagnando le parole con un gesto deciso. I pre senti si voltarono verso la lettiga, che dall’interno delle mura avanzava lenta verso il prato.

Il pubblico si aspettava di vedere la regina appari re dalle finestre, ma lei aveva deciso di cambiare pro gramma, sorprendendo tutti, come spesso accadeva. Era nella sua natura di donna forte e risoluta, l’impre vedibilità le correva nel sangue.

La folla acclamante si lasciò fendere da un corteo lunghissimo di cortigiani dagli abiti opulenti, al cen tro del quale, protetta e al contempo mostrandosi come su un palcoscenico, la regina Elisabetta si faceva trasportare su una portantina intessuta di sete e ver niciata d’oro, che luccicava sotto i raggi del sole, da quattro guardie ben piantate e di bell’aspetto. Dalle tendine aperte, Sua Maestà si lasciava ammirare come un’icona, seguita dal suo ospite Dudley che, a caval

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lo dietro di lei, salutava gli astanti acclamando al con tempo l’erede dei Tudor.

Dall’alto della sua posizione, Judith rimase a boc ca aperta e per tutto il tempo fissò la regina. Una so vrana che non temeva nulla, non il potere, non l’am bizione, non la crudeltà, nemmeno di essere issata su un palcoscenico per essere guardata e ammirata dal mondo intero, per diventare immortale. Il carisma di quella donna, che non aveva paura di regnare e spor carsi le mani e mostrarsi infine come una visione ai propri sudditi, lasciava tutti inebriati, soprattutto Judith. Fu in quel momento che si dimenticò in un at timo dell’Hock Tuesday. E nello stesso preciso mo mento giurò a se stessa che, un giorno, sarebbe stata lei a stupire la sua regina con uno spettacolo recitato da attori superlativi in un teatro speciale: lo avrebbe scritto lei in prima persona, firmando la sceneggiatu ra e i dialoghi di suo pugno, e l’avrebbe lasciata senza parole dall’emozione.

Un giorno, anche Judith avrebbe goduto di un pezzetto di quell’immortalità che generava attesa, magia e trepidazione e poteva cambiare la vita in un batter d’ali. Per questo era ancora più determinata a conti nuare ciò che aveva iniziato tre anni prima e a custo dire con grande cura il proprio segreto.

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Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Rotomail Italia spa (Vignate, MI) nel mese di ottobre 2022

Elisa Guidelli, in arte Eliselle, vive nel modenese. È laureata in Storia medievale e lavora come storyteller e organizzatrice di eventi letterari. Tra le sue passioni il primo posto spetta alla lettura, subito seguita da scrittura, cinema e serie tv. Ama soprattutto i romanzi storici.

Arianna Farricella è modenese di nascita e bolognese d’adozione. Ha imparato a leggere con Asterix e Topolino, poi ha cominciato a disegnare fumetti e storie illustrate, trasformando la sua passione in un mestiere.

Immagine di copertina: © Arianna Farricella Progetto grafico: Luca Dentale / studio pym

La piccola Judith Shakespeare sbircia tra le pagine dei libri di casa, sognando di apprendere tutti i saperi: vuole studiare il sole e le stelle, gli animali e gli alberi, le storie e le leggende, le terre e i mari lontani. Ma in Inghilterra, nel 1572, la scuola è riservata ai maschi. Judith non è disposta a rassegnarsi e a rinunciare alla vita che vorrebbe per sé e, quando vede in soffitta dei vecchi abiti da ragazzo, un bizzarro pensiero comincia a farsi strada nella sua mente… All’inizio del nuovo anno scolastico si presenterà in classe con il nome di William!

“Sarebbe stato impossibile per una donna scrivere le opere di Shakespeare al tempo di Shakespeare”.

Virginia Woolf Una stanza tutta per sé

h Consigliato dai 12 ai 99 anni

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