Trovarsi a Berlino

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T rovarsi a Ber l ino

Mick mi guarda. In modo molto intenso. Per un istante vorrei distogliere lo sguardo dal suo, ma poi lo ricambio.

Chissà cosa vede lui. Lo sa che faccio sempre tappezzeria, che nessuno mi invita mai a ballare? La vede la ragazza che vive in una crepa?

UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni

Holly-Jane Rahlens Trovarsi a Berlino traduzione dall’originale inglese di Federico Taibi ISBN 978-88-3624-588-8 Prima edizione italiana agosto 2022 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2026 2025 2024 2023 2022 © 2022 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo originale: Mauerblümchen © 2009 by Rowohlt Verlag GmbH, Hamburg, Germania Illustrazione di copertina: Marta Pantaleo Gallucci e il logo sono marchi registrati Se non riesci a procurarti un nostro titolo in libreria, ordinalo su: galluccieditore.com Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni. Il marchio FSC® garantisce che questo volume è realizzato con carta proveniente da foreste gestite in maniera corret ta e responsabile e da altre fonti controllate, secondo ri gorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council®) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi mem bri gruppi ambientalisti e sociali, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su https://ic.fsc.org/en e https://it.fsc.org/it-it

Holly-Jane Rahlens Trovarsi a Berlino traduzione di Federico Taibi

A Noah. Ovviamente.

Il Muro è caduto e io sono bloccata. È sempre stato così. Non il Muro, ovviamente. Quello è ca duto solo due settimane fa. Mi riferivo a me. Sono sempre stata bloccata. In una crepa. E non riesco a venirne fuori. Se mai decidessero di fare un film sulla mia vita, il titolo sarebbe La ragazza che viveva in una crepa. Un po’ come quell’episodio di Ai con fini della realtà che ogni tanto ritrasmettono in tv, in cui una ragazzina cade inavvertitamente dentro una fessura nella parete di camera sua e il padre la segue, ritrovandosi in una quinta dimensione, un posto indefinito e nebuloso dove ogni cosa – lo spa zio, le forme, i suoni – è distorta. È così che mi sen to io, a volte. Come se vagassi senza meta, confusa e disorientata.

La ragazza che viveva in una crepa

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Non a caso mi perdo spesso. Io ci provo a stare attenta, ma poi mi viene da chiedermi, per esem pio, perché ci sono così tante farmacie a Berlino e, prima che me ne renda conto, mi ritrovo davanti alla sede dell’Ente pensionistico federale tedesco in Fehrbelliner Platz, senza avere la più pallida idea di come ci sono finita né di come tornare a casa. Nelle guide turistiche si legge sempre che Berlino vanta un pub a ogni angolo. Non è vero! Almeno non nella nostra zona. In compenso, nel raggio di cin que minuti dal nostro appartamento ci sono come minimo nove farmacie. Vuol forse dire che la città è piena di persone malate? Oppure sanissime? Può essere l’una o l’altra cosa. Noi abitiamo nel distretto di Charlottenburg, e con noi intendo io, Molly Beth Lenzfeld, 16 anni, e mio padre, Fritz Lenzfeld, chimico teorico. Vi prego, non chiedetemi cosa faccia un chimico teo rico. È una roba complicata, non ci tenete davvero a saperlo.Insomma, ho la testa tra le nuvole, mi perdo spesso e al momento abito a Charlottenburg, Ber lino. Ma ancora per poco. Stasera festeggiamo il

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Ringraziamento in grande stile con il nostro vicino americano, Bo Brody, e sua moglie tedesca, Edda, domani faccio le valigie e sabato ho l’aereo per tor nare a casa, a New York. Auf Wiedersehen, Ente pensionistico federale tedesco! Mio padre – che di solito chiamo Fritz – resterà a Berlino fino a luglio. Ci siamo trasferiti qui ad ago sto, per rimanerci un anno. Quando gli ho detto che volevo tornare a casa, un paio di settimane fa, lui mi ha chiesto di fare ancora un piccolo sforzo, di rimandare la partenza almeno fino a Natale. Ma non se ne parla. È ora di tornare a casa. A badare a me, a New York, ci penserà mia so rella maggiore, Gwendolyn, che ha 31 anni e lavora come cameriera part time in un ristorante messica no accanto all’autostrada, dalle parti di Burlington, nel Vermont. Neanche a farlo apposta, si è appe na lasciata con il diciassettesimo fidanzato dell’an no ed è ben contenta di cambiare aria. In fondo, come dice lei, il Grande Romanzo Americano può scriverlo dovunque, anche a Manhattan. Fritz, che in rare occasioni sa essere spiritoso, la prende in giro dicendole che il Grande Romanzo Americano

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già scritto molti altri prima di lei, tra cui Melville, Twain, Salinger e Shakespeare, per citarne solo alcuni. Lei però lo ignora e si limita a chiedere un altro prestito, almeno finché non avrà terminato il libro. Io rido. Lei non capisce perché. «Shakespeare?» dico. «Un romanziere? Ameri cano?»Gwen allora brontola e tira un pugno sul braccio a Fritz.Non mi dispiace l’idea di stare con mia sorella a New York. È di buona compagnia e probabilmente un giorno finirà il suo romanzo ma, a essere sincera, non siamo granché compatibili. A lei, per esempio, non potrebbe importargliene di meno di quante farmacie ci sono a Berlino. Se fosse qui, immagino che se ne andrebbe in giro a contare i pub, piut tosto. Io poi sono una pantofolaia, mentre lei non fa che trascinarmi in posti dove non voglio andare: fumosi vernissage, studi di tatuatori che le marchia no il braccio con il nome del quattordicesimo fi danzato dell’anno, o in cima al World Trade Center per una prima colazione energetica con il fidanzato numero sedici.

Io ho preso da Fritz, mentre Gwen da Leono ra. Leonora Sophia Lenzfeld. Un bel nome, no? È mia madre. Nostra madre; uno schianto come se ne vedono poche. Gwen le somiglia parecchio, e non solo sul piano estetico. Proprio come nostra madre, non ha difficoltà nel farsi nuovi amici, legge poesie ad alta voce, cucina un ottimo purè di patate. E, come Leonora, anche Gwen riesce ad allacciarsi il reggiseno dietro la schiena in meno di un secondo.

Io non so come fa. Forse perché è talmente abituata a toglierlo e rimetterlo con i ragazzi. Io invece me lo allaccio sul davanti, me lo faccio girare intorno alla pancia e poi ci infilo le braccia. Suppongo che Gwen mi insegnerebbe ad allacciarlo nel modo cor retto se glielo chiedessi. Mia madre, che è stata una devota professoressa di liceo, di sicuro lo farebbe se fosse ancora viva. Ma non lo è. Se n’è andata troppo presto. Quan do ci ha lasciato, avevo appena compiuto 11 anni e non portavo ancora il reggiseno. È stato un duro colpo. La sua morte, intendo, non il fatto che an cora non portassi il reggiseno. Una mattina, dopo colazione, è andata dal dottore per un mal di pan

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cia,12 e quando è tornata per cena aveva un tumore. Al pancreas. Quattro settimane dopo è morta. Era così impegnata a farsi nuovi amici, a leggere poesie ad alta voce, a preparare il purè e ad allacciarsi il reggiseno nel modo corretto da non accorgersi di tutti i campanelli d’allarme. Non che il tumore al pancreas ne lanci molti. E non che siano evidenti come un pugno in un occhio. Non potete immaginare quante persone sono ve nute al funerale. Non c’era spazio a sufficienza per tutti nella sala, perciò la gente si ammassava sul mar ciapiede, mischiandosi ai loschi figuri fuori dall’a genzia di scommesse due porte più in là. C’erano anche i suoi studenti: trentacinque ragazzi di secon da superiore. E poi il fruttivendolo coreano di Broa dway, la sua estetista russa e tutti i fidanzati collezio nati da Gwen tra il 1975 e il 1984. Erano parecchi. Tutti adoravano mia madre. Tutti. Nessuno però più di me. A parte Fritz, forse. E Gwen. Ma io avevo solo 11 anni. Quindi la mia perdita era più grande. Oggi è una giornata grigia, come quasi tutti i giorni di novembre a Berlino; sembra una di quel

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le fotografie in bianco e nero degli Anni Trenta nei vecchi album di mia madre. Cielo cupo, alberi spogli, selciato color pomice e carbone. Anziane si gnore appoggiate ai bastoni si aggirano per le stra de, imbacuccate in pesanti indumenti di lana gri gia e grossi cappelli di pelliccia marrone. Di tanto in tanto si scorge un guizzo di colore: il cappotto di mohair giallo brillante di un’imponente donna africana, il berretto di lana blu reale di un bimbo nel passeggino, l’esplosione rosa dei mazzi di eri ca esposti davanti al fioraio lungo la strada. Ma il giallo, il blu, il rosa appaiono fuori posto, quasi ar tificiosi, come se qualcuno avesse colorato piccole aree della fotografia in bianco e nero. Grigia, cupa, spoglia. È così che mi sono immaginata Berlino in un luminoso pomeriggio dello scorso giugno a New York, quando Fritz mi ha detto di aver vinto l’as segno di ricerca. Eravamo nel nostro ristorante di sushi preferito in Amsterdam Avenue, vicino alla 73rd Street, quando mi ha dato la notizia. Per poco non mi strozzavo con le bacchette. Avrebbe benis simo potuto dirmi che ci saremmo trasferiti sulla

faccia14 nascosta della Luna, o su Marte, o persino più in Fritzlà.è un buon padre. Sperava che prendessi l’anno a Berlino come un’avventura, come un’occa sione per reinventarmi in un nuovo ambiente, per sperimentare, e che il mio entusiasmo si accendesse come un fiammifero su un becco di Bunsen. Beh, si sbagliava. Sarà anche un chimico, ma quando si tratta di me, è fuori dal suo elemento. Ha paura che dopo la morte di Leonora io mi sia ritirata dal mondo. Ma si dimentica che, semplicemente, non accolgo bene i cambiamenti. Punto. Rimango bloc cata. Ed è andata proprio così. Fin dall’inizio, Berlino non aveva alcuna speranza.Vado di fretta. Grossi goccioloni grigi e pasto si cominciano a cadere mentre sfreccio davanti al chiosco sul marciapiede e mi infilo nella galleria che porta alla S-Bahn, la ferrovia veloce urbana di Berlino.Nelcorridoio fa un freddo cane. Meno male che ho messo gli anfibi foderati di pelliccia, i pantaloni

15 invernali, i calzettoni di lana al ginocchio e il Mont gomery in pelle di agnello. Il cappuccio non lo tiro su, però. Non voglio che mi schiacci i capelli. Ho un nuovo taglio: un caschetto corto, riccio e casta no, con frangia. Niente male. Emetto nuvolette di vapore. Quando espiro, av verto vagamente il sapore del caffè che ho bevu to appena prima di uscire di casa. Spero di aver imboccato la direzione giusta. Non ci sono mai venuta, qui. Per andare a scuola – la scuola tede sco-americana di Zehlendorf – prendo l’autobus. E a volte prendo la metropolitana per andare all’uffi cio di Fritz a Dahlem, dove gli edifici universitari sono fianco a fianco con le enormi ville dei ricchi. Ma sulla S-Bahn non sono mai salita. Fritz dice che dopo la costruzione del Muro la gente di Berlino Ovest l’ha boicottata per quasi tre decenni, perché fino a un paio di anni fa l’intera rete era gestita dal la Germania Est, ovvero dai comunisti, comprese le stazioni situate all’Ovest. Ci vuole un po’ per raccapezzarsi con la struttura delle linee. E io che pensavo che la metropolitana di New York fosse complicata!

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L’odore delle patatine fritte unte e stantie mi se gue dal chiosco esterno fin dentro la galleria, ma più che altro avverto quello del detersivo rimasto sui miei vestiti appena lavati, sulla biancheria intima e sulla camicia di flanella a quadri. L’ho già notato stamattina quando l’ho stirata: un profumo florea le, dolciastro e artificiale. Sono molto sensibile agli odori, infatti ho avuto un conato. La camicia però l’ho messa lo stesso. Ho bisogno di vestiti caldi e comodi. Sono in missione. Oggi, giovedì 23 novem bre 1989. Destinazione Berlino Est. A essere preci si: Greifenhagener Strasse, a Prenzlauer Berg. Dove c’è la casa natale di mia madre. Oggi o mai più. «Non è cambiato molto da quando se n’è anda ta» mi ha detto Fritz. In agosto, poco dopo il nostro arrivo a Berlino, lui è andato a dare un’occhiata. Senza di me. Io sono rimasta a casa, nascosta sotto le coperte. Non ero ancora pronta. Adesso però non ho altra scelta, perché sto per partire. «Cade a pezzi, come quasi tutto il resto nell’Est» mi ha riferito. «L’intonaco della facciata si sta sbri ciolando. Si vedono i mattoni e la malta sotto. E

Però penso che, se fosse ancora viva, sarebbe anda ta a dare un’occhiata. Prima o poi. Sarebbe torna ta a Greifenhagener Strasse. Come sto per fare io. Oggi. Nonostante i sentimenti contrastanti. Guardo alla mia destra e cerco di immaginare Leonora al mio fianco: alta (benché non quanto

Diversi anni prima, a circa 400 chilometri di di stanza, Leonora e i suoi genitori, come tante altre famiglie ebree, erano fuggiti da Berlino. Se fossero rimasti, probabilmente sarebbero stati tutti uccisi nei campi di concentramento. All’epoca, mia ma dre non lo sapeva. Aveva solo sei anni e mezzo. In seguito, quando l’ha scoperto, ha assunto un atteg giamento ambivalente nei confronti della Germa nia. Forse è per questo che anch’io provo lo stesso.

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Fritz è cresciuto in una cittadina dell’Assia. Lui, sua madre, i suoi cugini e le sue zie sono soprav vissuti alla guerra per il rotto della cuffia. Alcuni degli uomini, tra cui suo padre, ossia mio nonno, un soldato della Wehrmacht, sono morti al fronte.

pare che i balconi debbano staccarsi da un momen to all’altro e crollare a terra. È stato strano. Mi è sembrato di tornare ai tempi della guerra».

me),18 snella, con i riflessi di luce tra i capelli argenta ti. Lei camminava veloce. Ero sempre un po’ a corto di fiato quando cercavo di starle dietro. A volte mi afferrava per il braccio e mi indicava la strada. Ave va un ottimo senso dell’orientamento. E una presa bellaInfilosalda.una mano in tasca e tiro fuori la mappa dei mezzi pubblici, gestiti dalla società BVG. Che treno dovevo prendere? Le linee dell’Ovest sono di vari colori. Quelle dell’Est sono tutte nere. Eccola. La linea blu: S3. Devo prenderla fino al capolinea, Friedrichstrasse, attraversare il confine, poi pren dere una linea nera verso Est, e infine un’altra verso Nord. Una spessa linea grigia taglia in due la carti na. Il Muro di Berlino. Durante i festeggiamenti del 9 novembre, io ho dormito quasi tutto il tempo. Ho il sonno molto pe sante. Ero andata a letto presto, verso le dieci. Mi ha svegliato il campanello. Erano Edda e Bo Brody, i nostri vicini. Poi Fritz ha bussato alla porta di ca mera mia, mi ha detto che il Muro era caduto e mi ha chiesto se volevo scendere in strada con loro per unirci alla festa, e magari fare un giro nei dintorni.

È Carlotta Schmidt, una mia compagna di clas se. Ho salutato tutti ieri. Non pensavo proprio che l’avrei«Boo!rivista.Molly Moo!» ripete. Una goccia della sua saliva mi finisce sulla punta del naso. Detesto quando Carlotta Schmidt mi chiama Molly Moo.

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Sulle prime non ho capito di cosa stesse parlando. Quale muro? Ce n’era uno in giardino lungo il quale erano allineati i bidoni della spazzatura, ma… Poi, quando ho capito che intendeva quel Muro, lì per lì non mi è sembrata una ragione sufficiente per abban donare il mio lettuccio caldo, soprattutto nel cuore della notte. Quando sono usciti, però, non sono riu scita a riaddormentarmi subito e mi sono affacciata dal balcone, ho visto il Kurfürstendamm e ho sentito un gran baccano, i clacson delle auto e le grida della gente. Al che ho pensato: “Caspita, il Muro di Ber lino, è un momento storico. Forse dovrei partecipa re”. Ma il fatto è che non mi sentivo partecipe, così sono tornata a letto e ho dormito finché… «Ehi, Molly Moo!» Mi volto di scatto, colta di sorpresa.

Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Rotolito spa (Pioltello, MI) nel mese di agosto 2022

È nata negli Stati Uniti, ma vive da decenni in Germania, dove si è affermata come autrice per ragazzi. Ha vinto nu merosi premi, tra cui il prestigioso Deutscher Jugendliteraturpreis.

È l’inizio di un viaggio alla scoperta del mondo dell’altro, e anche dei propri sentimenti.

Apro una pesante porta di ferro, mi lascio alle spalle il posto di blocco ed entro nella zona d’attesa. Sono sempre nella stazione di Friedrichstrasse. Sono sempre nella stessa città. Eppure – per quanto possa sembrare strano – sono anche appena entrata in un altro Paese.

Lei è Molly, una ragazza newyorkese di origini tedesche, ap pena trasferitasi con suo padre a Berlino Ovest. Lui è Mick, nato e cresciuto a Berlino Est. Il 23 novembre del 1989, due settimane dopo il crollo del Muro che per ventotto anni ha diviso la città, i due ragazzi si incontrano per caso sul treno.

daiConsigliato13ai99anni

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