Mensile a tiratura regionale Anno 5 - n. 4, maggio 2009 20.000 copie - Distribuzione con La Gazzetta Free Press
s ommar i o In questo numero
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L’intervista
Di Bartolomeo: per la mia città un programma che va dalla A alla Z
10 L’intervento Federalismo fiscale come sviluppo del territorio
Economia
Il presidente Michele Iorio: siamo vicini alle nostre aziende
Allegato
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STAMPA: Tipografia Poligrafica Ruggiero Avellino
Come si colloca l’etica nella nutrizione artificiale
Hanno collaborato
Adalberto Cufari Umberto Colallillo Sergio Genovese Domenico Fratianni Viviana Pizzi Giancarlo Carlone Antonio Di Monaco Charles Papa Progetto grafico
Luciana Annunziata
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45 Spettacolo Fabrizio Brienza attore modello molisano ora a New York
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Turismo: è ora di passare dalle parole ai fatti grandi impareggiabili sagre molisane) e a quello naturalisto. Un dato però va assunto a paradigma indeclinabile: l’offerta turistica molisana deve escludere i movimenti turistici di massa e deve aprire ad una vasta gamma di sollecitazioni che investono il desiderio di conoscere e vivere luoghi ameni, tranquilli, ospitali e soprattutto inediti. Un turismo di qualità? Certo. Lo slogan che il primo presidente dell’EPT del Molise, Franco Ciampitti, nel 1955 comunicò con grande successo alla prima assemblea nazionale del turismo: “Molise, scrigno di bellezze inedite”, mantiene ancora intatti e validi i presupposti che lo sorressero. Ma ciò che innanzitutto, prioritariamente, deve essere affrontato, è il problema dell’organizzazione turistica e della legislazione di riferimento. In assenza di ciò, tutto l’impianto programmatico diventa aleatorio e velleitario. L’idea dell’agenzia regionale del turismo è sicuramente la più opportuna, in aggiunta a formule tecniche ed amministrative di partecipazione e di consenso da parte delle componenti territoriali e categoriali, nessuna esclusa. Dal che discende la necessità di legiferare e di organizzare il settore turistico in senso piramidale allargando la base a tutte le componenti pubbliche e private che possono interagire nella valorizzazione turistica del territorio regionale, fatte confluire in un unico organismo decisionale. Di pari passo è necessario allestire un sistema di pubblicizzazione, comunicazione e propa-
gandazione delle risorse turistiche su scala nazionale ed internazionale con l’allestimento di un unico pacchetto “Offerta Molise”, in cui ogni singola iniziativa sia finalizzata alla valorizzazione dell’intero territorio regionale. Va da sé che un piano promo-pubblicitario richieda anche una messa a punto del ruolo e dell’apporto delle agenzie di viaggio. Così come, alla luce delle vicende quotidiane, rimane evidente e irrinunciabile considerare in che modo e con quali organismi sia possibile attuare (e pretendere, ope legis) un controllo sulla qualità della ricettività alberghiera ed extraalberghiera, e la corrispondenza tra la loro classificazione e i servizi effettivamente erogati (lo scandalo dei cibi avariati stipati nelle celle frigorifere di taluni esercizi alberghieri dovrebbe insegnare qualcosa). Crediamo inoltre che non vadano ulteriormente differite l’opportunità di innestare nell’azione regionale meccanismi di formazione professionale per il personale e per gli operatori turistici, e una costante campagna di sensibilizzazione sul valore dell’accoglienza. Creare cioè una formula per creare, in senso lato, una mentalità turistica diffusa. Inoltre, mentre le politiche regionali per l’industria, il commercio, l’agricoltura, l’artigianato, sono oggetto di appositi accordi di programma, ciò non accade per il turismo. Un “non senso” rispetto al ruolo di cerniera e di centralità del comparto nel quadro più generale delle linee strategiche per uno sviluppo omogeneo ed equilibrato del Molise. Da qui l’impellenza di passare dalle parole ai fatti. Dardo
L’EDITORIALE
L’incisiva affermazione del turismo “cerniera di uno sviluppo plausibile e sostenibile dell’intero Molise” e, pertanto, “collettore di tutte le politiche di riferimento infrastrutturali, ambientali, sociali, culturali, del tempo libero” fatta dal presidente della Regione Angelo Michele Iorio deve essere tradotta in atti concreti. Bisogna, cioè, che vengano adottate tutte le misure necessarie per passare dalle parole ai fatti. Il potere di sintesi del virgolettato è efficacissimo. Il turista, infatti, viaggia (da cui il problema delle infrastrutture viarie e dei mezzi di trasporto), sosta (da cui il problema della ricettività e dell’accoglienza), mangia (da cui il problema della qualità della ristorazione), visita ed osserva (da donde l’articolazione di un’offerta che includa le qualità ambientali, paesaggistiche, storiche, architettoniche, archeologiche, folkloristiche eccetera eccetera). L’insieme appella quindi una complessità di valori e d’interventi per cui spetta al nocchiere regionale (Angelo Michele Iorio) ora sciogliere le vele per far navigare velocemente le sue belle intenzioni. Si pensi al turismo scolastico e culturale poggiato sulla rete dei maggiori e significativi reperti archeologici di Saepinum, Pietrabbondante, Vastogirardi, Isernia, Larino, Termoli (da riconsiderare inoltre i Parchi Letterari); al turismo termale (Sepino, Isernia, Pozzilli); al turismo enograstronomico (ricomposizione in termini di qualità dell’agriturismo e del turismo rurale); al turismo religioso (Castelpetroso, Montagano, Castel San Vincenzo, S. Maria di Canneto e S. Maria della Strada); al turismo campeggistico; al turismo etnografico (le
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Ringrazio Antonio Di Pietro per avermi dato l’opportunità di presentarmi alla mia gente
Erminia Gatti rentaquattro anni, sposata e con tre figli. Avvocato esperto in diritto amministrativo ed esperta in programmazione comunitaria. Il ritratto di una donna impegnata. Impegnata sì, ma in politica. Erminia Gatti sarà in corsa con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro per le prossime elezioni Europee nel collegio dell’Italia Meridionale che comprende Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria. “Ho accettato questa sfida perché credo nei valori della democrazia, gli stessi valori che il nostro partito è in grado di interpretare e difendere”. Una sfida impegnativa per Erminia, “ma anche necessaria perché la politica è un compito che non si può eternamente delegare ad altri”. L’Italia dei Valori è il partito che catalizza, generalmente, i voti di chi vede una classe politica molle e che identifica in Di Pietro ancora l’eroe di Mani Pulite, colui che ha scoperchiato la corruzione, il moralizzatore di un’Italia sull’orlo del precipizio, un professionista dell’antipolitica: l’unico leader carismatico che può opporsi alla minaccia Berlusconi. E’ il partito che più di tutti se la prende con il sistema di cui fa parte: la casta dei politici. Indimenticabili le battaglie contro i condannati eletti al Parlamento. Contro l’indulto. Quelle per la (non) riforma della giustizia, intercettazioni prima di tutto. Quella contro la legge Gasparri ed il monopolio televisivo. Sulla stessa linea di Di Pietro anche la candidata di Campomarino, secondo cui “quando la politica non funziona, quando i politici dimenticano l’origine del loro
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potere e si trasformano in specialisti del comando, quando il bene comune viene confuso con gli interessi particolaristici, i cittadini hanno il dovere e il potere di revocare il mandato”. Cosa porta in dote Erminia Gatti in Europa? “Ritengo di poter offrire le mie competenze professionali, che sono molto attinenti ai temi comunitari: sono un avvocato che si occupa di diritto amministrativo ed ho frequentato un master in euro-progettazione. Ho anche sviluppato competenze specifiche nel campo dell’imprenditoria legata ai settori agricoltura e turismo: sono stata Presidente della sezione Molise del Movimento Turismo del Vino per 4 anni e sono stata tra gli autori dello Statuto nazionale, oltre ad essere componente del Direttivo nazionale per lo stesso periodo. Le opportunità del turismo legate al territorio, in termini di valorizzazione delle risorse agricole di eccellenza e dell’artigianato di qualità mi sono molto chiare, perché le ho sviluppate sia sotto il versante dell’associazionismo, sia da imprenditrice nell’azienda vinicola di famiglia. Ritengo di poter offrire le mie competenze professionali, che sono molto attinenti ai temi comunitari: sono un avvocato che si occupa di diritto amministrativo ed ho frequentato un master in euro-progettazione. Ho anche sviluppato competenze specifiche nel campo dell’imprenditoria legata ai settori agricoltura e turismo: sono stata Presidente della sezione Molise del Movimento Turismo del Vino per 4 anni e sono stata tra gli autori dello Statuto
nazionale, oltre ad essere componente del Direttivo Nazionale per lo stesso periodo. Le opportunità del turismo legate al territorio, in termini di valorizzazione delle risorse agricole di eccellenza e dell’artigianato di qualità mi sono molto chiare, perché le ho sviluppate sia sotto il versante dell’associazionismo, sia da imprenditrice nell’Azienda vinicola di famiglia. Sotto il profilo squisitamente politico, porto l’entusiasmo e la grinta che provengono dall’avere una forte passione civile, mai tradotta finora in ruoli di militanza partitica. Sono giovane, donna, mamma, lavoratrice: le politiche sociali, del lavoro, di ricerca e sviluppo appartengono profondamente al mio vissuto, prima ancora di ogni scelta politica”.
Passiamo ad alcuni punti del programma dell’IdV che possono interessare il Molise: aiuti ai disoccupati. “L’Italia dei Valori ha proposto un “Patto sociale europeo” per l’erogazione di aiuti e ammortizzatori sociali ai disoccupati in relazione alle effettive capacità di sostentamento, alla numerosità del nucleo familiare e alla possibilità di ricollocamento nel mercato del lavoro comunitario. In ogni caso, le politiche sul lavoro sono sempre state considerate prioritarie in Europa. Si è svolto proprio in questi giorni, a Praga, il vertice speciale sull’occupazione, data la criticità del momento: il tasso di disoccupazione si avvicina ormai al tasso storico del dopoguerra.
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candidata molisana alle Europee
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Chi promette miracoli è politicamente irresponsabile. Certo è che il Parlamento europeo negli ultimi due anni ha fatto il possibile per limitare i danni della crisi finanziaria, da un parte esigendo una regolamentazione più severa dei mercati finanziari, dall’altra per riaffermare i diritti dei lavoratori come priorità dell’Europa. In particolare, il Parlamento ha raccomandato più flessibilità negli orari di lavoro; ha approvato una riforma del “Fondo di adeguamento della globalizzazione” che ora può essere destinato a chi perde il lavoro a causa della crisi; ha approvato la direttiva che estende i diritti dei lavoratori dipendenti ai lavoratori interinali; ha approvato il “Pacchetto stimolo dell’economia” da 200 miliardi di euro, inclusi i 5 miliardi Ue destinati ad infrastrutture energetiche e sviluppo rurale; infine, una quota sempre crescente di risorse verrà destinata alla formazione professionale. Per queste ragioni, che dimostrano come l’Europa si sia dimostrata un potente cuscinetto contro gli urti della crisi globale, diventerà sempre più strategico negli anni avere una rappresentanza parlamentare qualificata e presente, in modo da orientare al meglio verso la nostra nazione (ed in particolare verso il nostro sud) le risorse e le misure individuate dall’Unione. Non dimentichiamo che le politiche di bilancio (di cui i
fondi strutturali sono l’espressione più conosciuta) sono di competenza del Parlamento: chi ci rappresenterà in Europa al momento delle scelte, è determinante”. Ricerca e università. “IdV ha un programma di 12 punti, che corrispondono a 12 proposte per l’Europa. Al numero 8, noi abbiamo proposto il potenziamento dell’integrazione e della collaborazione delle università nazionali con quelle europee per lo sviluppo della ricerca. Ma c’è da dire, come accennavo già prima, l’Unione Europea ha sempre dimostrato di volersi sviluppare come una economia basata sulla conoscenza. Tra le maggiori raccomandazioni emerse presso il Vertice speciale di Praga, c’è quella per cui le imprese debbano essere incentivate ad accogliere più apprendisti e tirocinanti, così da aiutare i giovani a entrare nel mercato del lavoro, in particolare quelli che escono dalla scuola secondaria e dall’università. Ma l’Ue ha già affrontato finora riforme importante: penso alla strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione del 2005, che definisce politiche e riforme volte a rendere il quadro normativo ed economico europeo più favorevole all’innovazione; la comunicazione della Commissione dell’ottobre 2005 "Potenziare la ricerca e l’innovazione" che definisce un programma basato su 19
ambiti di intervento per l’Ue e per gli Stati membri; i programmi di riforma nazionali, basati sugli orientamenti integrati della strategia di Lisbona, che stimolano gli Stati membri ad adottare misure mirate a favore dell’innovazione, utilizzando a tale scopo i fondi strutturali. I programmi comunitari che sostengono ricerca e sviluppo, assegnando un ruolo chiave alle Università sono numerosissimi: ricordo brevemente che in questo momento è attivo il Settimo Programma quadro (per il finanziamento della ricerca nell’arco 2007/2013); le iniziative tecnologiche comuni JTI, che forniranno un nuovo quadro di finanziamento per realizzare programmi di R&ST (ricerca e sviluppo tecnologico) nei settori che determinano la competitività industriale; l’assegnazione di una larga parte dei 308 miliardi di euro dei Fondi strutturali agli investimenti nel campo del sapere e dell’innovazione; il programma per la competitività e l’innovazione (PCI), che prevede in particolare un aumento del 60% degli strumenti finanziari a favore dell’imprenditorialità e dell’innovazione; lo strumento di finanziamento a rischio condiviso (SFRC), che sosterrà tramite prestiti e garanzie gli investimenti privati in pro-
getti di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione ad alto rischio; il nuovo inquadramento degli aiuti di Stato alla R&S (ricerca e sviluppo) e all’innovazione, il cui primo obiettivo è consentire agli Stati membri di riorientare le proprie spese per sostenere le giovani imprese innovatrici, i servizi di consulenza e di sostegno all’innovazione, il prestito di personale qualificato, l’innovazione in materia di procedure e organizzazione e i cluster; gli incentivi fiscali. Non è poco, Le sembra? Il problema è che nessuno finora si è assunto la responsabilità politica di diffondere con convinzione e chiarezza questi temi, ed io voglio farlo”. Energie rinnovabili. “Il secondo punto del nostro programma elettorale per l’Europa è esattamente “Istituzione di consorzi europei per lo sviluppo energetico rinnovabile per poter competere a livello internazionale e accantonamento delle tecnologie legate al nucleare”. Un programma semplice e chiaro, perché nello sviluppo sostenibile, per noi e per le future generazioni, noi crediamo davvero. Non dimentichiamo, d’altra parte, che su questo tema a differenza delle posizioni assunte dal PDL in Italia, con le imbarazzanti affermazioni del
di lasciare la massima libertà di giudizio ed autoregolazione al singolo individuo. Credo che nessuno più della singola persona possa decidere consapevolmente di come disporre della propria vita; le inaccettabili differenze normative che vi sono attualmente tra un Paese e l’altro vanno rimosse. E’ per questa ragione che IdV propone un “Carta comune dei Paesi membri per le libertà civili, tra le quali le coppie di fatto e testamento biologico”. Credo si tratti di un’affermazione di civiltà, degna di Stati laici e democratici, dove l’ultima parola spetta alla libertà della persona”. Come giudica in questo momento il ruolo dell’Italia in Europa? “Insoddisfacente, non c’è dubbio. Balziamo continuamente agli onori della cronaca per le percentuali vergognose di assenteismo e scarsissima partecipazione alla formazione degli atti normativi; penso in particolare alle proposte di legge: per restare “in casa” il nostro europarlamentare Patriciello non ne ha mai presentata una! Non possiamo lamentarci della scarsa incidenza che sinora l’Italia ha vantato nella definizione delle politiche comunitarie: la leadership si conquista anche e soprattutto sul campo, spendendo
le giuste competenze e professionalità nelle sedi istituzionali più significative. E’ evidente che finora questo non è accaduto. Voglio, al proposito, segnalare il pericolo che potrà derivare per il futuro da un simile atteggiamento di lassismo e scarsa partecipazione: con l’allargamento dell’Europa a 27 l’Italia risulterà presumibilmente svantaggiata nella destinazione delle politiche di sviluppo, rispetto ai nuovi Stati dalle economie più deboli. Quindi occorrerà una rappresentanza forte, consapevole, credibile, se non si vuole restare fanalini di coda nel viaggio verso il progresso e lo sviluppo comune”. È consapevole che a Strasburgo potrebbe avere come vicine di seggio delle veline? “In teoria sì, ma spero che alla luce di quanto detto finora gli italiani sapranno scegliere con attenzione chi mandare a tutelare interessi così rilevanti e diritti di tale importanza. E poi, a dirla tutta, io trovo che la querelle sulle veline sia mortificante per tutto il mondo femminile, perché sminuisce il ruolo attivo delle donne e distoglie l’attenzione dai veri problemi di cui dovremmo occuparci. Per inciso, qualche volta mi sono trovata a difendermi in prima persona dalla presunzione di ignoranza o peggio di stupidità che ingiustificatamente si attribuisce ad una donna, se è di bella presenza.
Questo contribuisce a quel gioco di “politica al ribasso” a cui io mi oppongo con tutta la forza possibile. Credo che le donne meritino più spazio e più rispetto, e queste istanze non devono essere condizionate in alcun modo dall’aspetto fisico. Il primo passo verso le pari opportunità deve partire da qui... Un dibattito simile non sarebbe neppure concepibile, riguardo ad un uomo: ci siamo chiesti perché?”. Per quali motivi gli elettori del collegio Italia Meridionale dovrebbero votare lei? “Io credo nelle possibilità del nostro Sud, sono convinta che i tempi siano maturi per un riscatto dei nostri territori e l’Europa ha molto da insegnarci. Sicuramente, potrà darci molto di più di quanto le miopi politiche, sia nazionali sia locali, ci hanno riservato finora. Grazie all’Europa potremo realizzare i nostri diritti senza doverli barattare come privilegi: ed io voglio essere quel ponte che collega la gente comune, le imprese, i giovani, i volontari, agli straordinari strumenti che l’Unione Europea ha creato per loro. Quegli strumenti esistono, sono a disposizione della comunità, ed io voglio consentire alla mia gente di utilizzarli al meglio attraverso un lavoro serio, responsabile, costante. E’ questa la mia unica promessa, ma se ci pensa bene ne contiene decine...”. Antonio Di Monaco
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ministro all’Ambiente Stefania Prestigiacomo, siamo perfettamente in linea con le indicazioni dell’Ue. Le energie rinnovabili – energia eolica, solare (termica e fotovoltaica), idraulica, mareomotrice, geotermica e da biomassa – sono un’alternativa fondamentale ai combustibili fossili. Il loro impiego permette di ridurre non soltanto le emissioni di gas a effetto serra provenienti dalla produzione e dal consumo di energia, ma anche la dipendenza dell’Unione europea dalle importazioni di combustibili fossili, in particolare gas e petrolio: con l’obiettivo dichiarato di una quota del 20% di energie rinnovabili nel proprio mix energetico, l’UE prevede di potenziare gli sforzi nei settori dell’elettricità, del riscaldamento e del raffreddamento nonché in quello dei biocarburanti. Nel settore dei trasporti, che dipende quasi esclusivamente dal petrolio, la Commissione auspica che la quota minima per i biocarburanti nel consumo totale di carburante, fissata al 5,75% come obiettivo specifico per il 2010, per il 2020 sia portata al 10%”. Diritti civili (ad esempio, il testamento biologico). “Qui si entra in campo sensibile, dove ritengo che l’approccio politicamente più etico sia proprio quello
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L’INTERVENTO
Federalismo fiscale e Regione Molise
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di Vincenzo U. Colallillo
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a riforma del federalismo fiscale, attualmente nella fase conclusiva dell’iter di approvazione parlamentare, induce a riflessioni costituzionali (in relazione ai principi fondamentali della Carta del ’48) e di ordini di garanzia per un territorio estremamente “piccolo” come quello Molisano e relativa popolazione (poco più di 300 mila abitanti). Valga innanzitutto precisare che il problema non deve essere valutato in via politica (attuazione di un programma elettorale) o ideologica (espressione dei partiti della coalizione e relative richieste di interesse territoriale - Contrapposizione Nord/ Sud), ma deve essere analizzato nell’ottica della corretta attuazione della Carta Costituzionale e delle garanzie di sviluppo del territorio. In tale ottica è lodevolmente significativo il fatto che la problematica del federalismo sia stato scelto come tema della festa della Regione Molise per l’anno 2008, significa che l'attenzione dell’intero Molise ha rivolto particolare interesse al tema ed alla sua importanza sia in sede nazionale sia in sede regionale.
E proprio in riferimento a tale manifestazione, mentre deve riconoscersi l’intelligenza degli organizzatori che hanno consentito un dibattito da parte della società civile (argomentazioni molto interessanti), non può non sottolinearsi la strana assenza di molti consiglieri regionali e di qualche Autorità istituzionale nella Regione. Lo status di consigliere si onora anche con la partecipazione a queste manifestazioni non solo a fare politica. Il ruolo istituzionale dei vertici degli Organi statali devono garantire il ruolo visivo di collaborazione anche con la presenza in tali circostanze. Ma ancora una volta (e non sia una frase fatta) gli assenti hanno avuto maggiormente torto. Invero in riferimento alle attente analisi svolte nei rispettivi ruoli dei relatori (politico: Assessore Vitagliano e tecnico: Prof. Cannata) si rende opportuno, in
questo momento, qualche ulteriore considerazione. Innanzitutto non si creda che con il federalismo fiscale si garantisce (come qualcuno sostiene) maggiormente il principio delle autonomie. Invero i padri costituenti (in questi giorni è ritornato prepotente il richiamo ai precetti costituzionali) coniugarono (all’art. 5 e, conseguentemente al titolo V° riformato) il principio dell'autonomia all’interno del concetto di unità. E tale conclusione concettuale si pone come garanzia della omogeneità della collettività (e dell’intero popolo italiano) a prescindere della loro allocazione nel territorio nazionale. Ne consegue che, sotto tale profilo, il federalismo fiscale accentua enormemente (al limite della sua costituzionalità) l’istituto delle autonomie pervenendo ad un “federalismo settoriale” che era stato ripudiato in sede di assemblea Costituente.
Non a caso la Repubblica Italiana è uno Stato unitario e non uno stato federale. Il nord ed il sud non costituiscono contrapposizioni territoriali (politiche e sociali) ma una unica concretizzazione di un Paese che si chiama Italia. Nell’ambito dai tali principi deve esser valutato il ruolo della Regione Molise in relazione all’attuando federalismo fiscale e futuro della sua popolazione. I principi di riunione finanziarie (su cui in minima parte si poggiano le finanze regionali e degli enti locali) ovvero una loro logica di equilibrio perpetuo (c.f.r. 281/70) alle risorse fruibili nel territorio locale. E gli stessi correttivi (o strumenti di occasionalità di interventi) hanno consentito fino ad ora una certa sopravvivenza del territorio molisano. Ma oggi il problema è particolarmente delicato. Lo sviluppo sociale, la maggiore (e anomala) richiesta sanitaria, la necessità di adeguamento dei
è una realtà schierata di limitrofe aree metropolitane (Roma - Napoli - Pescara) con la conseguenza che il futuro si presenta di difficile soluzione. Né può sempre valere la bravura politica nel questuare fondi perequativi o integrativi o ammortamenti sociali. In questo modo la Regione si muove in un’ottica assistenziale di dipendenza e quindi di subordinazione (non solo politica) alle altrui necessità. Il problema delle acque molisane consegnate alla Campania e alla Puglia ne è un palese esempio. Ne consegue che, nella prospettazione del federalismo fiscale, il Molise deve
imparare a attrezzarsi per “contare” in massima parte sulle proprie capacità. In tale prospettazione il Molise deve riassettare il proprio territorio e le proprie risorse per rendere entrambi - produttivamente utilizzabili e superare un’atavica arretratezza che inerisce - ancora oggi - sulle collettività molisane. E vanno superate (o riattivate) situazioni improduttive: – il turismo è impoverito e non presenta sintomi di “vivacità” a breve termine; e ciò nonostante la bellezza del territorio molisano; – l’agricoltura (e la risorsa dei nostri prodotti tipici) ha subito un pericoloso arresto tanto che, superata la civiltà contadina (espressione del mondo agricolo), oggi la società molisana sta vivendo una grave crisi di identità; – l’intero sistema viario e di collegamenti interni deve essere non solo studiato - ex novo - ma anche
L’INTERVENTO
servizi (trasporti ecc..), la necessità di adeguare le strutture e di recuperare i centri urbani e montani, necessitano di un sempre maggior impegno di fondi da utilizzare. E non possiamo certamente far riferimento ad eventi occasionali, anche se non auspicabili (con i fondi per il terremoto di Isernia degli anni ’80, e ultimamente di San Giuliano si è riversato nel Molise un mare di soldi) o a occasionalità politiche (bravura di politici locali nei rapporti con i politici nazionali) o imprenditoriali (fondi Europei; PIT; POR ecc...). La Regione Molise deve imparare ad avere entrate strutturalmente proprie altrimenti l’entrata in vigore del Federalismo fiscale sarà un peso difficilmente sopportabile e porterà ad un maggior impoverimento della nostra Regione. Basti solo pensare che il principio della obbligatorietà dell'utilizzo delle somme nel territorio ove vengono pagate tasse ed imposte, per la Regione Molise costituisce un danno irreparabile. La imprese (FIAT, TIM....ecc) hanno sede nelle Regioni del nord e i fondi restano localizzati in tali territori. La Regione Molise non ha una grande popolazione (poco più di 300 mila abitanti); non è sede di grandi imprese o gruppi bancari (molte imprese locali hanno addirittura sede legali in altre realtà territoriale); non ha un territorio ampio e omogeneamente sfruttabili;
ricostruito. Senza la razionalizzazione di comunicazione (anche stradale) le imprese non trovano conveniente stabilizzarsi in Molise, in quanto aumentano i costi e la capacità di “invadere il mercato” con i loro prodotti. Ma nel contempo se non si “recupera” la rete stradale interna non si supera l’isolamento di molti piccoli paesi montani del Molise che costituisce uno (anche se non il principale) motivo di spopolamento di tali aree; – ristrutturazione integrale della rete di acquedotti sia per evitare una grave dispersione del bene primario (che è l’acqua) sia per evitare ulteriori aggravi dei costi per i cittadini. Resta evidente che non può più ignorasi la necessita di concretizzare la nuova idea Molise. Fino ad oggi, e non poteva essere diversamente, le istituzioni si sono viste costrette a gestire l’ordinario (in molti settori) e a recuperare situazione radicalizzatesi nel tempo e nei costumi locali. Oggi che il Molise è rientrato in una realtà centro settentrionale, non può più accontentarsi di un apolitica di gestione ordinaria delle risorse. Deve procedersi alla scelta della idea Molise (regione di servizi, regione di qualità, regione di paesaggio, regione di turismo, regione di offerta saltaria) e realizzarla con il contributo di tutte le forme politiche, imprenditoriali e associative. Solo in questo modo l’occasione del federalismo fiscale può costituire una occasione di crescita. Diversamente continueremo ad essere i “fra galdino” dell’Italia.
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Parla Gino Di Bartolomeo candidato a sindaco per il Pdl
L’etica? Sono gli elettori che mi votano ogni 5 anni Saranno, quindi, undici le liste che lo affiancheranno nella non facilecorsa per arrivare al “ribaltone”. La campagna elettorale è ormai entrata nel vivo e, lo scorso giovedì 30 aprile, la comunità parrocchiale di San Giuseppe Artigiano ha invitato tutti i candidati sindaci e gli amministratori del capoluogo ad un incontro con padre Giancarlo Maria Bregantini. Al centro della riunione il tema dell’etica nella cosa pubblica e nell’impegno p u b b l i c o, attraverso un decalogo stilato dai ve s c ov i ispirato alla dottrina sociale della Chiesa.
“Il primo passo nell’evoluzione dell’etica è un senso di solidarietà con gli altri esseri umani”, affermava il premio Nobel per la Pace del 1952, il teologo tedesco Albert Schweitzer. Allo stesso modo, la politica è l’amministrazione della città (in senso lato) per il bene di tutti. Etica e politica hanno molti punti di contatto, ma non sempre sono ben saldate fra di loro.
Onorevole Di Bartolomeo, qual è la sua visione rispetto al documento sull’etica nella politica stilato dai vescovi? “All’incontro ho parlato secondo quanto proposto dal decalogo, per il quale avrei potuto anche partecipare alla stesura. In 40 anni di politica ho seguito tutti quei valori e ogni cinque anni mi sono sottoposto al giudizio degli elettori. Se avessi agito diversamente, la gente non mi avrebbe votato, per cui mi atterrò a quel dettato. Sono tutte false, dunque, quelle illazioni che mi coinvolgono direttamente. Infatti ho citato Seneca, secondo il quale ‘la maggior parte della vita bisogna dedicarla all’attenzione verso la cosa pubblica’ e il re Salomone che, ispirato da Dio, guidava il popolo con la saggezza”.
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’uomo è per natura un animale politico secondo il pensiero aristotelico. Il grande filosofo greco aveva visto giusto. Luigi Di Bartolomeo, uomo politico di vecchio stampo e, soprattutto, di grande esperienza e militanza si prepara con l’entusiasmo di un ragazzino allo scontro elettorale per strappare la città capoluogo di regione alle grinfie del centrosinistra. Centrosinistra che, mai come in questa tornata, si è fatto in quattro, o meglio si è diviso in quattro. Il buon Gino dovrà vedersela con i vari Augusto Massa, Massimo Romano, Adriana Izzi e, da ultimo, Gaetano Di Niro. Il vecchio nocchiero della politica non sembra affatto spaventato e rilancia: “Se la gente vuol votare il reduce da una lotta fra quattro pugili, faccia pure. Io cosa posso farci?”. Insomma, di un eventuale ballottaggio, il candidato del centrodestra non vuole neppure sentir parlare.
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Finalmente ha l’opportunità di realizzare il suo sogno nel cassetto candidandosi a sindaco nella sua città. Cosa prova in questo momento? “Nella mia vita politica ho fatto tutto quello che c’era da fare. Questa candidatura è per me come una missione: ricambiare questa città che mi ha votato per quarant’anni. In politica non si vincono i concorsi e posso dire che tutti, a turno, mi hanno votato. Voglio restituire ai cit-
tadini una città pulita, una vera e propria città-giardino”. Il PdL, come dimostrano gli ultimi sondaggi, sembra ancora in forte ascesa. Ha l’opportunità di sfruttare a suo vantaggio questa tendenza favorevole… “Ringrazio i cittadini che hanno risposto al sondaggio. Io posso rispondere come una persona perbene che vuole lavorare per il bene della città e per riportare la stessa all’antico
splendore dopo che è stata offesa, vilipesa e violentata in tutti questi anni”. Il centrosinistra, come ben sa, corre diviso in quattro candidati. Quanto può favorirla questa situazione? “Non so se mi favorirà. In uno schieramento politico, tutti dovrebbero avere la stessa idea ma in questo caso non è così. Hanno gestito il potere per molti anni alle spalle della povera gente ed ora si dilaniano fra di loro”.
La priorità sarà quella di aiutare le persone che soffrono e, solo in questo modo, anche tutti gli altri potranno avere una condizione migliore”. In caso di elezione, quale situazione finanziaria si aspetta di trovare a palazzo San Giorgio? “So che stanno sperperando anche gli ultimi centesimi rimasti. Addirittura ho sentito di una determina da un milione di euro per risolvere il problema del randagismo mandando i cani a Milano. Se ciò fosse vero, sarebbe a dir poco drammatico”.
Oltre ai cani, è finito all’attenzione nazionale anche il problema della raccolta differenziata. Lei come pensa di intervenire? “La raccolta differenziata si farà, anche se i dettagli saranno svelati in seguito. Siamo l’ultima città in Italia riguardo a questo problema. Si potrebbe intervenire togliendo dall’importo della bolletta tutto ciò che possiamo recuperare e che incide su questo importo. Se io avessi un’entrata da due milioni di euro, essa sarebbe interamente detratta dalla bolletta”. Antonio Di Monaco
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Come si pone di fronte all’eventualità del ballottaggio? “Ritengo che non ci debba essere. Ove ci sia questa eventualità, se la gente vuole scegliersi il sindaco reduce da una lotta fra quattro pugili, faccia pure…”. Quali saranno i punti fondamentali del suo programma? “Il programma abbraccia tutto quello che una città può avere, dalla ‘A’ alla ‘Z’. Strade, vie interne, verde, case, sociale, anche se il programma vero lo farà la gente a seconda delle esigenze che verranno fuori.
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di Sergio Genovese
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vincialismo di idee. Prima delle ultime apparizioni teatrali avevamo vissuto la stagione dei cambi di casacca. Che tenerezza! E che dire dei Sindaci diventati consiglieri regionali. Tutti si fingevano disperati al pensiero di lasciare il proprio Comune, tutti alla fine lo hanno lasciato, tutti sappiamo quale è il motivo, altro che passione civica. Simpaticissimo quel sindaco che aveva lasciato il suo incarico per questioni di etica politica immediatamente sconfessata appena si è liberato un posto a Palazzo Moffa. Viva la coerenza! La fibrillazione, dalle nostre parti, sta diventando più intensa. Alcuni Enti si apprestano ad essere rinnovati. Dopo aver conosciuto nomi e cognomi della pletora di consulenti che tornano utili per i politici che tengono famiglia, dopo
aver intuito che anche all’Università del Molise ci sono cognomi che si raddoppiano e si triplicano, prepariamoci ai colpi bassi della battaglia elettorale, per favore, con minore riverenza nei confronti di chi (salvo eccezioni) ha sempre pensato a se stesso e poco alla comunità. Siamo nella fase delle candidature. E’ nella nemesi dei politici con il segno meno, riverniciarsi e riproporsi anche quando l’esperienza e l’età suggerirebbero altre scelte e diverse passioni. Rivedremo in sella personaggi che non favoriscono vaticini di speranza ma di rassegnazione. Gli onnipresenti, nel loro lungo e incerto cammino di una carriera che si vorrebbe senza fine, hanno persino ostacolato il procedere di chi, più giovane e magari più bravo, poteva subentrare. Sarebbe stato chiedere troppo, questione
di spessore. Anche il mondo dello sport, che conosco decisamente meglio, non vive situazioni diverse. Alla guida delle Federazioni Regionali ci sono dirigenti che si apprestano al terzo o al quarto mandato. Insomma nessuno lascia la poltrona, su quelle sedie, quasi sempre, non ci arrivano i migliori. Una mediocrità che si somma a tutte le altre di cui, quotidianamente, accusiamo ricevuta. Mai un rigurgito, mai uno scatto di orgoglio, mai un respiro di aria nuova e di speranza. Siamo destinati al ristagno, nessuno passa la mano, ognuno fa il maestro sempre e solo di se stesso. Camminare in retromarcia è un retrogusto che piace. Piccoli ma tenaci sino a rasentare il comune senso del pudore, anzi del potere. Tra la colpevole indifferenza e il deprecabile opportunismo di noi tutti.
SPIGOL ATURE
iamo tutti più precari e più poveri. La globalizzazione ci ha insegnato a parlare di economia come se fossimo tutti esperti, profferiamo parola sui mutui da rinegoziare, sul debito pubblico e sul potere d’acquisto. Il professor Tremonti, nelle sue più rare apparizioni, con la tagliente supponenza di chi è troppo sicuro di se stesso, ci propone scenari di ottimismo e di pessimismo che salgono e scendono proprio come le borse. Il disagio diffuso (anche a Campobasso persone non da codice rosso-povertà, cominciano a pattugliare di buon mattino presso i depositi della spazzatura) sta delineando una Società che inizia a progettare addirittura percorsi di sopravvivenza ma è così in tutta la Comunità europea e questo ci basta per essere tranquilli e rilassati! Questa realtà non impedisce al palazzo (il nostro palazzo) di perseverare nelle ordinarie rappresentazioni a metà tra l’ironico e il patetico nonostante la drammaticità del momento. Negli ultimi periodi vanno di moda le scaramucce tra editori e politici, direttori di testate e tifosi dell’una e dell’altra scuderia. Tutti hanno parlato di morale, di educazione civica e di principi valoriali che mai hanno trovato riscontri di consistenza poiché si sa, nani e ballerine hanno ben altri obiettivi. La guerriglia è in atto da mesi e non conosce epilogo. Siamo però tutti infastiditi da beghe di bottega in cui si mischiano aneliti di narcisismo e un disarmante pro-
Nel Molise chi passa la mano?
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ECONOMIA
Iorio: la Regione vicina alle nostre aziende
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Presidente Iorio la crisi internazionale ha fatto sentire i suoi effetti anche in Molise. Effetti che si sono aggiunti a problematiche strutturali pregresse delle “grandi imprese” di questa regione: lo Zuccherificio, l’Arena, l’Ittierre. Fin da dicembre il Governo regionale ha svolto, nella crisi di ciascuna di queste aziende, un ruolo da protagonista. Certamente, il Governo ha posto in essere una serie di azioni mirate a far continuare la produzione dello Zuccherificio del Molise, cercando di dare, con investimenti cospicui, un
futuro produttivo allo stabilimento di Termoli nell’ambito di un progetto di rilancio che ci ha visti lavorare insieme alla Regione Puglia, al Governo nazionale e a partner privati. Qui abbiamo dovuto evidentemente fronteggiare, non tanto problematiche riguardanti la crisi, ma, piuttosto, le determinazioni dell’Unione Europea per quanto concerne la produzione dello zucchero e la riforma degli OGM. Ad ogni modo, nonostante le tante difficoltà, stiamo procedendo sia nella produzione che nella commercializzazione dello zucchero molisano.
Zuccherificio Arena-Solagrital e Ittierre Gli interventi per salvaguardare la produzione e il settore economico Per l’Arena-Solagrital, invece, ci siamo mossi immaginando una serie di provvedimenti per il rafforzamento di tutta la filiera avicola intervenendo sulla parte produttiva, e quindi sugli allevatori e sui lavoratori, al fine di dare slancio e vigore alla parte commerciale dell’azienda, l’Arena, consentendole di muoversi con sicurezza sul mercato nazionale ed internazionale. Infine, l’Ittierre ci ha visti impegnati nell’accompagnare il rilancio del Gruppo, sostenendo l’attività dei Commissari e intervenendo direttamente nella garanzia del credito vantato, nei confronti dell’azienda tessile di Pettoranello, dai façonisti e dai fornitori. Anche qui un intervento teso al rilancio del Gruppo, alla garanzia dell’occupazione e alla salvaguardia della produzione tessile molisana.
Lei ha firmato recentemente, insieme al Governo Berlusconi, un Protocollo di Intesa che prevede una serie di iniziative nel campo infrastrutturale in Molise, tra cui la Termoli-San Vittore. Un programma complessivo dal quale è giusto attendersi grossi risultati in termini di crescita della
riscono peraltro (vedi la Termoli-San Vittore o il porto e l’interporto di Termoli) in una visione di sviluppo infrastrutturale intermodale di respiro nazionale ed europeo. La Termoli-San Vittore rappresenta, senza dubbio, l’opera principale di questa Intesa che, però, trova coerenti collegamenti con altre iniziative infrastrutturali dislocate su tutta la regione. L’Intesa con il Presidente Berlusconi, riconfermata nella sua interezza anche dal Ministro delle Infrastrutture e Tra-
come Governo regionale, negli ultimi anni, per ridurre questo gap diverse opere che, collegate tra loro, potranno dare slancio al territorio, alle sue imprese e al suo commercio consentendo, nel contempo, ai cittadini di potersi muovere con velocità e sicurezza su tutta la regione. Progetti che si inse-
sporti Altero Matteoli la scorsa settimana in un incontro ufficiale fatto in Giunta Regionale con me e i miei Assessori, sancisce, in via definitiva, l’avvio di queste opere e ne attribuisce una priorità realizzativa legata alla statuizione del loro interesse strategico per l’intera nazionale.
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mobilità, di innovazione infrastrutturale e di sviluppo economico del territorio. Le infrastrutture rappresentano sicuramente un elemento sostanziale per la creazione di sviluppo sul territorio. Il Molise sconta un atavico ritardo in questo senso. Noi abbiamo lavorato
Parliamo ora di politica. Innanzitutto le elezioni a Campobasso. Lei si è speso personalmente per riuscire a trovare un candidato unico del centrodestra e per togliere la città capoluogo al centrosinistra. Ho ritenuto mio dovere adoperarmi direttamente per aprire una fase di confronto e di dibattito tra tutte le forze del centrodestra e tra il mondo dell’associazionismo economico-sociale campobassano, oltre che tra i cittadini. Questo per arrivare a trovare una personalità -che abbiamo individuato insieme in Gino Di Bartolomeo- che potesse essere sintesi dell’idea di rilancio della città di Campobasso che ha il centrodestra. Ho assistito con soddisfazione ad una discussione serena e pacata, a un confronto tra vari candidati caratterizzato da lealtà e senso di responsabilità. Una lealtà e un senso di responsabilità che hanno portato alcuni amici a fare personalmente un passo indietro, per farne, in una logica unitaria, all’intera coalizione, due in avanti al fine di conquistare il Governo della città capoluogo. Una bella pagina politica che sono sicuro i campobassani hanno apprezzato e credo che vorranno sostenere in termini di consenso alle prossime elezioni. Con il suo inserimento nell’Ufficio di Presidenza del Pdl, il Molise, per la prima volta nella sua storia, è rappresentato direttamente nel massimo organo dirigente del partito più grande d’Italia. Sicuramente una soddisfazione personale, ma anche la possibilità per questa piccola regione di fare ascoltare la sua voce nelle stanze romane. Certamente, per me è stato un grosso onore poter partecipare, prima, alla costituzione di questo grande soggetto politico e poi poter essere eletto nel suo Ufficio di Presidenza al fianco di esponenti politici di primissimo piano del Governo e del Parlamento nazionale. Cercherò, come ho sempre fatto, anche in questa sede, di difendere gli interessi del Molise e dei molisani.
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Il Pdl, come ho avuto già modo di dichiarare, è il punto di arrivo di un lungo percorso del moderatismo italiano iniziato fin dal dopoguerra. Un moderatismo fatto di valori, di tradizioni e di identità fuse in una “politica del fare”. Il Pdl è la casa delle tradizioni politiche cattoliche, riformiste, liberali, democratiche e sociali che sfociano nel grande mare del Partito Popolare Europeo. Un nuovo soggetto politico, dunque, a cui affidare il futuro del Molise, dell’Italia e dell’Europa. Il terremoto in Abruzzo ha fatto rivivere ad ogni molisano l’orrore del sisma del 2002. La stessa solidarietà, che registrammo nei nostri confronti, ora la vediamo offerta agli abruzzesi sfollati. In questo grande movimento di solidarietà nazionale vi è l’impegno diretto ed operativo della Regione Molise che con il suo Servizio di Protezione Civile è intervenuta con tempestività, professionalità ed
efficacia già dalle primissime ore. Devo dire che il Servizio di Protezione Civile della Regione Molise, insieme ai suoi tanti operatori, e le associazioni di volontariato hanno saputo dare un esempio di efficienza e di appropriatezza di intervento nel sostegno alla popolazione colpita dell’Abruzzo. A ciò si è sommato anche uno straordinario movimento dei molisani che, con una miriade di iniziative, anche individuali, sono intervenuti economicamente e con donazione di beni in supporto ai cittadini de L’Aquila e a quelli dei Comuni limitrofi. Nello specifico al Molise è stata assegnata la gestione del campo di Arischia. Qui abbiamo installato le tende, che ospitano 600 persone, un centro mobile di comunicazione, una cucina da campo che fornisce quotidianamente 600 pasti all’ora, delle strutture del 118 e una serie di mezzi per vari interventi. Ho avuto anche modo di constatare personalmente, dai tanti ringraziamenti dei cittadini di Arischia, che la nostra
Protezione Civile e i suoi volontari si sono saputi guadagnare, con il loro lavoro, la stima, la gratitudine e l’apprezzamento di tutti, onorando in questo modo tutto il Molise. Lei poi, a nome di tutta la regione, si è offerto di ospitare le spoglie di Celestino V, il Papa Molisano, e ad adottare la Basilica di Collemaggio a L’Aquila per la ristrutturazione dopo i danni subiti dal terremoto. “Si, ci siamo subito detti disponibili ad accogliere le spoglie di Celestino V nel periodo di ripristino dell’Abbazia di Collemaggio a L’Aquila. In coerenza con questa disponibilità abbiamo voluto anche candidarci per concorrere direttamente ai restauri e ai ripristini funzionali della Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila. Sarebbe, infatti, bello che il Molise, terra di Celestino V, “adotti” quella che fu un’opera voluta espressamente da lui, in cui vi fu incoronato Pontefice e in cui vi istituì la Perdonanza.
Lo stesso luogo che poi ne ha conservato per secoli le spoglie mortali”. Le giovani vittime della Casa dello Studente all’Aquila, oltre ad riaprire la ferita della Jovine di S.Giuliano, hanno anche ricreato preoccupazione nella popolazione molisana per la sicurezza delle strutture pubbliche del Molise e soprattutto per le scuole. Lei ha annunciato nei giorni scorsi il varo di un piano triennale per la messa in sicurezza di tutte le scuole della regione. Una iniziativa innovative ed unica in Italia che potrà essere progetto pilota nell’utilizzo dei fondi strutturali nazionali e comunitari. Come Governo regionale, infatti, è nostra intenzione, nei prossimi tre anni, mettere in sicurezza tutte le scuole del Molise. Ogni genitore di questa regione dovrà sapere che i propri figli studiano in edifici sicuri e funzionali. Un impegno solenne questo che intendiamo concretizzare con un programma di finanziamenti regionali che integre-
Un progetto rilevante e voluto con forza dalla popolazione molisana. Una volontà che responsabilizza tutte le Istituzioni a realizzarlo. In quest’ottica, come Governo regionale, nell’attribuzione dei finanziamenti a ciascun Ente Locale per i PAI, per i PISU e per ogni
altra forma di programmazione, inseriremo come pre-condizione per la partecipazione ai bandi, l’aver assolto all’impegno della messa in sicurezza degli edifici scolastici di propria competenza. Un impegno che gli Enti potranno assolvere anche candidando, prima di ogni altra opera, la
ristrutturazione dei proprio plessi scolasti nei vari strumenti di programmazione. Una responsabilizzazione diretta di ciascuno dei 136 comuni e delle 2 province a collaborare con la Regione per dare al Molise e ai suoi abitanti scuole sicure. JR
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remo opportunamente con i fondi nazionali per la sicurezza nelle scuole. Per questo obiettivo chiederemo la collaborazione anche dei Sindaci e dei Presidenti delle Province perché pongano, anche nei loro Bilanci, delle risorse per concorrere alla concretizzazione di questo progetto.
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Danilo Ciolli con la sorella
Tanti giovani morti Un sacrificio che deve servire
“Danilo non era di questo mondo”. Mamma Maria continua a ripeterlo e “Anche se aveva percorso la vita in punta di piedi, ora che non c’è più ha lasciato un vuoto incolmabile. Danilo c’era. C’era sempre. E chiunque lo conosceva non poteva fare a meno di coinvolgerlo”. Piove a Carovilli. Fuori le ‘lacrime di Dio’, dentro casa quelle di Maria che piange mentre parla di Danilo, figlio tanto desiderato, che la furia della natura le ha portato via. Per sempre. “Sarebbe bello saperlo nell’altro capo del mondo. Anche lontanissimo, ma vivo e invece…Qualche volta mi sembra di far parte di un film in cui siamo noi i protagonisti, ma che guardiamo alla televisione. Che non ci tocca. E invece mi rendo conto che non è un film e che ogni giorno che passa Danilo mi manca sempre più. E’ un incubo. Una mamma non può piangere il figlio, specialmente se era era la
forza della famiglia, ma soprattutto di Laura, la sorella. Lei faceva tutto con Danilo. Era il suo punto di riferimento. Con lui condivideva ogni cosa”. Da settembre Laura viveva anche nello stesso appartamento fortunatamente in quei terribili giorni era tornata qui da noi perché non sopportava più quelle scosse che facevano tremare tutto. Anche quel maledetto appartamento nella palazzina di via generale Francesco Rossi. Al civico 22. Un edificio che si è sgretolato come fosse di sabbia e che ha sepolto tante persone. “Sembrava una palazzina sicura – continua a ripetere Maria – sembrava stabile. Quando abbiamo preso in affitto l’appartamento pensavano di creare un ambiente accogliente per i nostri figli. Non ci siamo preoccupati di altro. Sapevamo che in quello stesso palazzo ci abitavano pure i proprietari. Nonostante avessero altre case in giro per l’Aquila vivevano lì
perché dicevano che quell’edificio era sicuro. Che risaliva ai tempi di Mussolini, che stava fatto con tutti i criteri.. e invece”. E invece non ha retto alla terribile scossa della notte del 6 aprile. Non ha retto e si è sgretolato come tanti altri palazzi, come tante altre case, come tante altre chiese ed uffici pubblici. Una catastrofe. Un orrore nel quale hanno perso la vita 300 persone. Qualcuno dice che le vittime sono state poche rispetto alla forza che ha scatenato la terra. Poche? Chi lo sa. Certo il terremoto qualche avvertimento lo aveva dato. “Erano mesi che la terra tremava. E mi chiedo perché dopo la scossa di lunedì 30, molto forte, nessuno ha pensato di creare una tendopoli, per offrire un’alternativa a chi non voleva dormire a casa. Chissà magari dopo la scossa delle 11 di sera in tanti non sarebbero tornati nel loro letto. E invece anche dopo quella brutta
scossa qualcuno in piazza Duomo, dove si erano radunati in tanti, disse che non c’erano problemi, che si poteva tornare nelle proprie abitazioni. Nei giorni che hanno preceduto il disastro chiedevo spesso a mia figlia se le scosse avevano lesionato la loro casa, se aveva visto dei cedimenti. Ma Laura mi rispondeva che era tutto a posto. Penso comunque che il fenomeno sia stato sottovalutato, che serviva fare qualcosa prima del disastro. Ma non ho visto un solo articolo sui giornali nazionali che parlasse di queste continue scosse a L’Aquila. Nessuna trasmissione televisiva se ne è occupata. Perché? Nella mia mente oggi mi restano tanti se e tanti perché cui non so dare risposta. L’unica realtà è che Danilo da quella città è tornato in una bara”. Le lacrime rigano il volto di Maria che si fa coraggio e continua a raccontare quel figlio “eccezionale che
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Parla Maria la mamma di Danilo Ciolli deceduto sotto le macerie della casa in cui studiava all’Aquila
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a me sembrava normale” quel figlio “che non amava lo sballo perché nel suo cuore aveva tante passioni: la musica prima di tutto. Amava i Pink Floyd, Eric Clapton. La chitarra era la compagna della sua vita. Anche a L’Aquila prendeva lezioni. Danilo adorava anche la lettura, si era appassionato al filone dei templari. Stava leggendo il libro di Meyer, Twiligh. Lo hanno ritrovato nella sua borsa, sotto le macerie, e me lo hanno riconsegnato. Per me è un tesoro preziosissimo”. Maria lo mostra senza indugi, è ancora intero anche se ammaccato in più parti e con qualche piccolo strappo. Lo stringe a sé, quasi a volerlo abbracciare “ora continuerò a leggerlo per lui”. Danilo era una persona molto altruista, rimaneva colpito dalla sofferenza degli altri. “A Natale mi disse che dopo la laurea avrebbe voluto seguire i medici senza frontiere. Era molto determinato e anche se la sua decisione ci aveva lasciato un po’ a bocca aperta, non avevamo provato ad ostacolarlo perché sapevamo che ogni sua scelta era ponderata”.
Con mamma Maria Danilo aveva un rapporto privilegiato. “Tra noi c’era un’affinità d’animo, di pensiero”. Col padre invece condivideva la passione per la musica. “Ascoltavano insieme De Andrè lì su Maria indica uno scaffale – c’è la raccolta di cd che mio marito avrebbe voluto regalargli e che oggi continuerà a fare in sua memoria”. La musica era la vita stessa per Danilo. “Mi ricordo che in estate, quando era libero da impegni di studio, usciva di casa e saliva sul monte Ferrante per comporre canzoni. Le serate invece le passava a suonare con il suo gruppo, i Lizard. Lui con la musica comunicava. Era di una sensibilità unica. Quando era in casa riempiva queste mura, era un giocherellone. Ma se c’erano problemi seri era il primo ad affrontarli. Mi diceva sempre: ce la farai mamma! Poi si metteva sulle ginocchia davanti a me e mi dava coraggio. Ora che lui non c’è più questa forza di andare avanti chi me la dà?”. Sono settimane drammatiche per la famiglia Ciolli. I genitori e la sorella Laura ripensano ai giorni che hanno prece-
duto la catastrofe e ricordano che avevano chiesto più volte a Danilo di tornare a casa per la domenica delle Palme. Ma lui non volle rientrare. Lunedì 6 aprile dopo aver preso i libri in prestito per un esame sarebbe tornato in paese. A squarciare la quiete dell’alba di quel terribile lunedì, nella casa di Carovilli, una telefonata partita da Roma. “Sembra un paradosso. Quella notte, verso le cinque, ci chiamò un amico di mio figlio, Carlo Alberto, che studia a Roma. Disse che aveva sentito il terremoto e scoperto che l’epicentro era L’Aquila, voleva sapere dove erano Danilo e Laura. Da quel momento qui a casa non si è capito più nulla. Abbiamo iniziato a telefonare sul cellulare di Danilo, squillava ma non rispondeva. Poi abbiamo provato a chiamare la padrona di casa sul fisso. Squillava, inutilmente. Poi una serie di telefonate agli amici di mia figlia. Qualcuno di loro ci disse che il palazzo aveva subito danni pesanti. Partimmo subito. Fummo fortunati perché non trovammo ostacoli per arrivare all’Aquila, ma lasciammo l’auto fuori dalla città. Raggiungemmo il centro a piedi, passammo davanti a Collemaggio. Sembrava un’apocalisse. Poi arrivammo davanti al palazzo di via Generale Franco Romano. Era crollato. Tutta la giornata l’abbiamo passata davanti alle macerie. I vigili del fuoco scavavano senza sosta, trovavano varchi, ma le macerie erano sempre là. In serata, dopo che erano state estratte altre persone, tirarono fuori un giovane. Qualcuno disse che aveva i capelli lunghi. Mio marito era lì. Capimmo che era Danilo. Ci avviamo e un ragazzo della Protezione civile ci accompagnò con l’auto in piazza d’Armi dove portavano i feriti. Ma ci dissero che non era arrivata nessuna ambulanza. A quel punto le speranze si affievolirono. Non rimaneva che andare verso la caserma della Finanza dove le ambulanze portavano le
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persone senza vita. Lì c’era mio cognato cui è toccato il triste compito del riconoscimento. Quando ho visto la sua faccia ho capito che non c’era più nulla da fare. Ho chiesto di poter vedere mio figlio per un istante”. Maria non riesce a trattenere le lacrime ma continua il suo racconto “l’ho guardato e gli ho pulito il viso. Ho tolto la polvere che aveva sulla faccia. Pochi attimi e poi ho dovuto lasciarlo. Intanto in Caserma continuavano ad arrivare cadaveri di tanti giovani. E si sentivano le urla strazianti dei genitori, disperati, che gridavano il dolore di una tragedia così grande”.
La famiglia Ciolli ha rifiutato i funerali di Stato, Danilo se lo sono riportati subito a casa. “Di quella parata non m’interessava nulla. Qui a Carovilli ha avuto funerali ancora più grandi grazie alla solidarietà dell’intero paese che ha pensato a tutto. Era giusto riportare Danilo tra la sua gente, qui dove è cresciuto, dove tutti lo hanno pianto e dove tutti mi hanno mostrato solidarietà, anche se il dolore è solo mio”. Per la signora Maria questa tragedia almeno deve avere un obiettivo. Sa che il figlio ha pagato ma non sa per cosa. Spera sia un monito per i costruttori. Maria ha il cuore spezzato
dal dolore ma non se la prende con nessuno. Non cerca colpevoli: “La Procura farà le sue indagini e spero che le faccia su tutti i palazzi crollati. Se ci saranno delle responsabilità ci sarà chi pagherà. Certo non è il terremoto ad uccidere, ma l’ingordigia degli uomini. Speriamo che nessuno dimentichi i nostri figli morti sotto le macerie. Speriamo che una volta spenti i riflettori nessuno dimentichi questo prezzo così alto pagato dai nostri ragazzi, spero infine che l’Università dia la laurea a chi come Danilo era a un passo dal traguardo. Spero...ma niente mi potrà restituire mio figlio”. Una tragedia che accomuna quattro famiglie molisane che hanno perso altrettanti giovani che vivenano per studio o lavoro all’Aquila: Danilo, Elvio, Michele e Vittorio. “Con le famiglie di questi ragazzi mi sono già sentita, per la loro memoria faremo tutto quello che servirà, presto ci incontreremo perché piangere insieme serve un po’ ad alleviare quel dolore che squarcia l’anima e che ci porteremo per sempre dentro di noi”. Giancarlo Carlone
LE MAMME DEL TERREMOTO
lvio Romano 24 anni studente di ingegneria aveva lasciato Bojano per rincorrere il sogno di diventare un bravo professionista. Ce la stava mettendo tutta. Anche Vittorio Tagliente aveva lasciato il Molise per studiare ingegneria all’Aquila. Dopo aver superato la triennale si era iscritto alla specialistica. Aveva collaborato anche all’edizione molisana del Il Tempo. Michele Iavagnilio all’Aquila aveva studiato tecniche della riabilitazione psichiatriche. Anche lui aveva sogno: aiutare le persone autistiche. Quel sogno lo stava vivendo proprio nel capoluogo abruzzese in cui si era trasferito, da Isernia. Da un paio d’anni era al centro Il Cireneo e aveva anche rifiutato il trasferimento alla sede di Vasto perché voleva rimanere accanto ai ‘suoi ragazzi’. Così li chiamava i pazienti a cui era legatissimo e che mai avrebbe voluto abbandonare. La mattina di lunedì, non vedendolo arrivare, i suoi colleghi continuavano a cercarlo sul cellulare. Squillava ma non rispondeva nessuno. Tutti pensavano che dopo il terremoto fosse in città, da qualche parte, ad aiutare i soccorritori. Invece Michele, come Vittorio, Elvio e Danilo erano sotto le macerie. Uccisi dalla furia di un terremoto che non ha lasciato scampo e che ha mietuto tante giovani vite. Le famiglie dei quattro giovani molisani piangono i loro cari e sperano che il ricordo dei loro ragazzi non svanisca come una bolla di sapone e che il sacrificio della loro vita serva a qualcosa.
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o fatto un salto a Roma per godermi Renoir e la sua pittura luminosa. Protagonista indiscusso dell’impressionismo francese, la rassegna del maestro ha trovato spazio nella sala della Regina, a Palazzo Montecitorio, tra una folla ammirata ed entusiasta. Renoir, dunque, e la sua “luce”; ed è bello poter costatare in presa diretta, che il rimando alla pittura di Raffaello (che il pittore aveva certamente guardato in occasione del suo viaggio in Italia) (1881-1882) e, anche, quella che traspare negli affreschi pompeiani, riferimento quanto mai pertinente, anche da un punto di vita storico. Non è infatti parallelo al suo viaggio in Italia,
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mi è parsa soprattutto spirituale: in lui i colori diventano il tramite per il dilatarsi del raggio luminoso, che ha il potere di unificare ogni oggetto, proprio perché il suo occhio non vede elementi più importanti degli altri, ma solo un umanissimo sentimento della natura. Non c’è, nella sua pittura, quel tormento che spesso troviamo nella storia dell’arte moderna, per cui la posizione autonomistica di Renoir sembra quasi di disimpegno, in rapporto anche al riformismo dell’impressionismo. Un disimpegno che significa rapporto carnale con la materia, senza sovrastrutture. Il pittore vuole essere il grande artigiano che trova gioia nel fare con le proprie mani, senza proclami o traguardi da raggiungere; non finalità di stampo religioso, morale o sociale, come si diceva, ma solo e sempre il pittore legato al ”mestiere” della pittura. E anche quando in età matura,trattò la figura (famose sono le sue bagnanti), conservò sempre,
nella struttura della stessa, una pienezza di grazia lieve, su un esistente e cangiante ritmo interiore. (Oserei dire che anche quando si occupò di scultura, l’effetto del modellato bevve quella stessa luce, immorbidendosi). Insomma mi pare di poter dire che Renoir ha sempre lavorato con i colori come il poeta lavora con le parole; lo scopo è solo quello di usare il tracciato coloristico per la costruzione del quadro su una superficie luminosa. Non è il contenuto che genera la sua forma, quanto la forma stessa, nella sua ampiezza, a evocare il contenuto. Mi è così parso di trovarmi di fronte ad una nuova classicità (ho citato Raffaello, ma si potrebbe parlare anche di Ingres), per quell’amore nell’accordare toni e ottenere trasparenze e dissolvenze, senza mai perdere di vista l’unità del tono. Una poetica la sua, più che una storia. Renoir voleva solo essere felice e aprire tutte le finestre del mondo, per respirare l’aria fresca del mattino e guardare dritto verso il sole.
ARTE & CULTURA
di Domenico Fratianni
la nascita e la divulgazione anche in campo europeo di quel grande movimento nato a Firenze che portò il nome dei “Macchiaioli”? E non è la pittura cosiddetta a macchia quella che con rapidi tocchi si riempiva di luce? Il parallelismo dunque, calzava perfettamente. Una rassegna che ti dà subito una grande pace interiore, perché è piena di gioia e di serena bellezza; sembra una carezza, leggera. Renoir infatti, pur avendo, inizialmente guardato Manet e Coubert, si affidava esclusivamente al suo istinto, per la ricerca di un mezzo rapido, veloce, che gli consentisse di far brillare la sua fantasia. Sembra, la sua, una corsa sfrenata verso la felicità senza confini; e se in altri pittori di quel fortunato periodo storico (vedi soprattutto Cèzanne) si potevano trovare notazioni di carattere morale e psicologico, in Renoir altro non si trova se non la ricerca della felicità innocente, pura, libera da ogni forma di condizionamento. Così intesa la pittura del maestro francese,
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Domenica sport Un successo lungo 22 anni L
a trasmissione ammiraglia di Telemolise taglia un grosso traguardo: 800 puntate rigorosamente in diretta. Un record assoluto che in Molise può vantare solo il programma sportivo più longevo e più seguito delle televisioni locali: Domenica Sport condotta, da sempre, da Antonio Di Lallo, il comandante della nave che ha salpato dal porto di Campobasso nel lontano 1987. Una trasmissione che ha fatto la storia del giornalismo sportivo e che guadagnando successi ha saputo imporsi, per longevità e professionalità, anche a livello nazionale. Non a caso Domenica Sport, per puntate, è seconda solo alla Domenica Sportiva che va in onda su Rai Uno e al Processo di Biscardi condotto dal ‘rosso’ più famoso dello schermo. Domenica Sport è sinonimo di Antonio Di Lallo. E’ una sua creatura e, a guardare i dati degli ascolti, si direbbe una creatura cresciuta bene. Di Lallo ne va fiero e ricorda quando gli arrivò la telefonata di Lelio Pallante (compianto editore del colosso televisivo) e il suo ingresso a Telemolise, dove mosse i suoi primi passi insieme a Nicola Magri. “Azzerammo tutto quello che era stato fatto prima del nostro arrivo e cominciammo tutto daccapo. Dare una nuova impostazione al palinsesto fu una scommessa entusiasmante nonché una bella avventura”.
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Ottocento le puntate rigorosamente in diretta condotte da Antonio Di Lallo In quali anni è iniziata la rivoluzione? “Entrai a Telemolise il primo maggio del 1987. Io e Nicola Magri lavoravamo a Teleisernia quando un giorno ci chiamò Lelio Pallante perché nella sua redazione era arrivato il momento di voltare pagina”. E lei non se lo fece ripetere due volte. “Accettai con piacere l’invito. Ma presto quel lavoro si trasformò in una sfida. L’idea era più che allettante. Anche perché erano anni d’oro per lo sport, soprattutto per il calcio. Il Campobasso era in serie B, c’erano gli spareggi a Napoli con Taranto e Lazio. Era un periodo bellissimo per chi come me ama il calcio e lo sport in generale”.
E poi? “Finché eravamo sulla ribalta nazionale cavalcavamo l’onda. Poi però il Campobasso iniziò la discesa, finì in C1 e tutto il calcio locale cominciò a perdere quota”. Di conseguenza fu indispensabile cambiare anche l’impostazione della trasmissione. “Abbiamo dovuto cambiare il polo di riferimento. Con la scomparsa del Campobasso dai rettangoli di calcio tra i più importanti d’Italia, abbiamo dato spazio alla D, serie in cui oggi militano i Lupi, il Venafro, l’Agnone e il Trivento”. Ma com’era fare il giornalista sportivo quando il Campobasso giocava contro squadre prestigiose? Come erano i giocatori dell’epoca? C’era tutto il protagonismo che c’è oggi? “Noi ci siamo confrontati con realtà importanti come il Milan e la Juventus. Ho conosciuto tanti giocatori e con alcuni di essi avevo stretto anche amicizia. In effetti dalla mia lunga esperienza posso tranquillamente affermare che gli atleti di una volta erano molto più amici. Nonostante la bravura, peccavano molto meno di protagonismo. Erano altri tempi”. Oggi i calciatori sono visti più che come atleti come miti, forse anche per le cifre da capogiro che guadagnano. Talvolta a torto, altre a ragione. “E’ una cosa fuori dal normale sotto molti punti di vista. Secondo il mio parere servirebbe riportare lo sport e gli sportivi sui campi di calcio. Vanno bene, anzi benis-
simo, i riflettori e le prime pagine dei giornali, ma certi atteggiamenti sono insopportabili e fanno male. Soprattutto in questo periodo di crisi economica in cui tante persone hanno perso e stanno perdendo il posto di lavoro. Un momento nero in cui certi eccessi potrebbero essere evitati”. Visto che si tratta di un mondo da favola, secondo lei oggi è più facile sognare di far parte di quel mondo? “Tutto sommato oggi si possono avere più chance e i rettangoli di calcio, anche quelli importanti sembrano decisamente più ‘vicini’. Anche perché oggi ci sono più strutture sportive, basti pensare ai campi in erba sintetica che rappresentano per tanti aspiranti calciatori una grande palestra. Oggi i giovani che si avvicinano al calcio hanno più occasioni di mettersi alla prova e possono più facilmente dimostrare le qualità tecniche che possiedono. Quando le possiedono”. Ma quanti ragazzi, più o meno talentuosi, riescono a sfondare e a diventare bravi calciatori? “La percentuale non è cambiata nel corso degli anni ed è piuttosto bassa: uno su 1500 ragazzi. Quando va bene”. Ci provano in tanti ma ci riescono in pochi. A proposito di talenti qual è stato secondo lei il calciatore campobassano più importante? “Senza ombra di dubbio Ugo Armanetti. Uscito dal vivaio delle Acli, aveva giocato nel Novara per poi chiudere la carriera nel Campobasso.
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Domenica Sport può contare su 30 persone che ogni settimana confezionano un prodotto diventato il punto di rifermento in regione. Ecco i nomi dei principali artefici e protagonisti di una trasmissione di successo come questa. Oltre al direttore (dal ’96) Antonio Di Lallo ci sono: Erica Mastropietro, Ileana Izzi, Alessandra Mantino, Daniela Ziccardi, Carmen Lagatta, Francesco Iacovantuono, Gianni Bruno, Eduardo Picciano, Silvano Ciccarella, Leonardo Ciampaglia e Luigi Di Lallo Come giocatore aveva delle potenzialità enormi e credo che sia stato anche un talento, oserei dire, sprecato”. Tornando a Domenica Sport, qual è la ricetta vincente per un format che dura da 800 puntate? “Prima di tutto è stata una scommessa riuscita quella di Lelio Pallante che ha voluto investire sullo sport creando una struttura solida e competitiva. Oggi posso dire che la ricetta vincente è quella di avere tanti collaboratori, qualificati e soprattutto disposti a sacrificarsi. La trasmissione funziona perché c’è una macchina organizzativa perfetta, curata in ogni dettaglio. E non solo nella redazione centrale di Campobasso, ma anche in quelle di
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Isernia e Termoli. Ottocento puntate rigorosamente in diretta non sono così semplici da realizzare”. Organizzazione perfetta ma anche una passione senza pari. “Senza non sarei mai potuto andare avanti. Senza quella passione che a distanza di tanti è ancora solidissima non sarei mai uscito di casa per 800 domeniche consecutive. Il piacere di fare questo lavoro è enorme, ieri come oggi”. In 22 anni di dirette, c’è una puntata che le è rimasta nel cuore? “Purtroppo sono due ed entrambe sono state incentrate sul ricordo di due calciatori scomparsi. Mi sono rimaste nel cuore la puntata in onore
di Guido Biondi a cui hanno intitolato lo stadio di Lanciano e quella per la scomparsa prematura di Michele Scorrano a febbraio scorso. Due grandi persone, due grandi perdite per lo sport”. Nella sua lunga carriera di speaker ricorda di aver fatto qualche errore che magari oggi, con la maturità, eviterebbe? “Ripercorrendo tutte le fasi del mio lavoro dico che rifarei tutto e anche se ho fatto qualche errore non avrei problemi a ripetere la mia carriera così com’è. Una carriera che si è avvalsa anche dell’aiuto di ottimi collaboratori, un esempio per tutti Erica Mastropietro che è al mio fianco da 15 anni, è il mio alter ego”.
Se la sente di dare un consiglio a chi si vuole avvicinare al mondo del giornalismo? “Credo che sia fondamentale imparare bene come si lavora e quando si comincia a diventare padroni del mestiere, cominciare a pretendere anche la giusta remunerazione. Io ho iniziato nel lontano 1975 con le Edizioni Enne, lavoravo a Molise Sport. Per un paio di anni, o forse tre, ho cercato di farmi le ossa. Stavo là, e tentavo di carpire tutti i segreti possibili, come ci si muoveva in questo mondo, senza prendere nemmeno una lira. Poi sono andato avanti e oggi eccomi qua”. Antonio Di Lallo ha un difetto che non riesce a correggere? “Sono un po’ permaloso, pignolo e perfezionista” Diciamo la verità: questi non sono propriamente dei difetti, ma passiamo ai pregi. “Tra i pregi penso all’amore che ho avuto e che ho per lo sport e per il calcio in particolare, senza questo amore chissà cosa avrei fatto”.
Una passione che accomuna tutto la staff
CRONACA 32
Un centro della provincia di Campobasso si è trasformato nella Twin Peaks del ventunesimo secolo. Forse anche del terzo millennio. In meno di un anno due storie di abusi sessuali in famiglia. Non appena la Squadra mobile ha reso noto di aver arrestato i padri orchi, il circo mediatico si è scatenato. Tutti a caccia dello scoop più succulento. Il mestiere dell’arrestato, i componenti delle famiglie e le loro età. Particolari utili alla vendita dei quotidiani e a far salire i dati auditel delle televisioni. Dati che incrementano anche la circolazione dei free press locali. Lettori ed ascoltatori inchiodati alla notizia per arrivare ad identificare il colpevole. La maggior parte dei benpensanti vorrebbe
che i padri arrestati per aver stuprato le figlie di 16 e 25 anni subissero un processo- gogna e venissero condannati al massimo della pena prevista dal codice penale. Ma pochi pensano a come le vittime vivono questa situazione. Ragazze che non hanno scelto di essere al centro dell’attenzione. Donne che si trovano in questa posizione senza aver neppure denunciato di essere vittime di violenza sessuale. Sì è così. Nel caso della minorenne è stata proprio la maggiorenne a segnalare che nella sua vita di famiglia c’era qualcosa di patologico. L’episodio della venticinquenne invece è venuto fuori grazie alle indagini coordinate dal capo della Mobile Domenico Farinacci. Ma fino a che punto
Bisogna guardare bene la linea di confine tra “diritto di cronaca” e “rispetto della privacy” è lecito spingersi? Se lo chiedono soprattutto loro, le vittime di quest’onta vergognosa. Un trauma che, se curato male, rischia di segnare per sempre la vita di chi lo subisce. Per le donne sarebbe quindi meglio trattare queste storie con le pinze. Cercando di evitare l’identificazione sia del colpevole che della vittima. Infatti appena si sco-
pre chi è il netturbino 69enne e l’operaio 49enne, in meno di un secondo si arriva a chi sono le ragazze stuprate. Il clamore della notizia ritarda il diritto all’oblio e quindi anche il superamento del trauma. E’ stato questo il motivo che ha spinto il garante per la privacy a dettare norme ben precise sul trattamento dei dati sensibili sulle vittime di stupro. Ed è proprio nel tentativo del rispetto delle regole che la nostra testata ha scelto di non divulgare mai il nome del comune dove si sono verificati gli episodi di violenza. Il garante parla chiaro. “E’ assolutamente vietato – si legge nella legge – divulgare dati sensibili che possano identificare la vittima di una violenza sessuale. Tra questi il paese dove si verificano gli episodi e informazioni relative alla famiglia di provenienza”. Secondo questa normativa quindi è lecito parlare della professione dell’imputato e della sua età. Sono dati forniti dalla stessa Squadra mobile attraverso il comunicato stampa che indica l’arresto.
Il garante :”Mai pubblicare dati sensibili che possano portare a scoprire chi ha subito gli abusi” del paese. Così come avveniva venti anni fa in Molise quando il fenomeno delle violenze sessuali in famiglia era esteso forse di più di quanto avviene oggi. Esempio di questo tipo di giornalismo il famoso volume del giornalista Leopoldo Feole dal titolo “Frantumi, storie di ordinaria violenza sessuale” pubblicato nel 2004. Una raccolta di storie di stupri avvenuti in regione a cavallo tra gli anni 80 e 90. Non si legge mai il nome dei comuni dove sono avvenute le violenze. Ma, allo stesso tempo, sono pubblicate parti di verbali di processo. In un passo di evidenziano anche i collegamenti tra tre casi di miserie umane. Ma senza mai identificare la vittima o le vittime. Un raro esempio di diritto di cronaca e di rispetto del dolore umano. Il dovere dei mass media
è quindi quello di far sapere che il Molise non è la classica “isola felice” dove nulla accade. E’ di far conoscere spaccati della realtà che altrimenti resterebbero nell’ombra. Ma è anche quello di rispettare il confine tra “diritto di cronaca” e il “rispetto della privacy” dei protagonisti della sto-
ria. Facendolo bisogna trovare il coraggio di omettere e di non allinearsi perché “tanto è il segreto di pulcinella”. La nostra testata lo farà continuando a non pubblicare i dati sensibili riguardanti le vittime di violenza è rispettando le regole emesse dal garante. Viviana Pizzi
Sulle ultime storie della provincia di Campobasso si è scatenato un grosso circo mediatico a caccia dello scoop succulento
CRONACA
Si può anche parlare di collegamento tra i due casi sottolineando che alcuni personaggi sono coinvolti in entrambe le vicende. Ma non è affatto lecito dire in quale paese si sono verificati gli abusi. Se in una provincia intera ci possono essere molti operai 49enni con figlie sedicenni in un comune in particolare il cerchio si stringe attorno alla vittima. Una minore costretta a lasciare quella moderna Twin Peaks per non essere più additata e per non sentire gli sguardi della gente puntati su di lei. Lo stesso è accaduto anche all’altra vittima. Lei continua a vivere in paese ma ormai “tutti sanno”. In barba alla privacy ed al diritto all’oblio al quale si appellò anche Donatella Colasanti, la donna sopravvissuta al massacro del Circeo del 30 settembre 1975. Si poteva lo stesso parlare della vicenda senza fare il nome
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RELIGIONI A CONFRONTO 34
Cattolicesimo e Islam? Convivenza mai sottomissione
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oche domande e poche risposte: il professor Paul Akl dopo il convegno a Ripalimosani che forse per lui si è prolungato più del dovuto non si perde in chiacchiere ma si vede che non gli riesce bene sorvolare su un tema che gli è così congeniale: il rapporto tra l’Islam e la civiltà cristiana. Un argomento su cui si potrebbe parlare per ore e dire tutto e il contrario di tutto. Argomento che il professore conosce benissimo. Per cultura personale, per averlo letto sui libri, per aver visto e visstuto esperienze che lui stesso definisce ‘edificanti’. Il professor Akl è uno di quei personaggi che non si fa troppa fatica a definire un pozzo di scienza.
Quel mondo ad Est dell’Italia gli appartiene. Sa delle sofferenze di quella gente che crede fortemente nel suo Dio e che non ha dubbi. Conosce le certezze dell’Oriente, come le pieghe e le piaghe dell’Islam. Dall’alto dei suoi quasi ottanta anni, e di una carriera sempre in ascesa, ha visto passare davanti a sé tanta gente, ha visto scorrere mille storie, combattere mille guerre. Ha vissuto mille tragedie, e sperato per mille tentativi di riconciliazione. Falliti. Più o meno tutti. La distruzione delle torri gemelle a New York ne è un esempio. Una pagina nera da strappare dall’agenda del mondo anche se Paul Akl non nomina mai nel suo intervento quella tragedia che in
pochi minuti ha cambiato il corso della storia. E di storia da raccontare ce n’è parecchia. Per il professore è pane quotidiano. Ne conosce persino i particolari. A dispetto del suo cognome per lui l’italiano non ha segreti, ma parla anche l’arabo e il francese e c’è da scommettere che nella sua enorme valigia di cultura ha fatto spazio anche per altre lingue straniere. C’è un dettaglio che colpisce chi guarda il professor Akl: ha il collarino. Sì è un prete. O meglio è un patriarca maronita. Fa parte di quella popolazione cristiana che vive in Libano, Siria, Palestina e Cipro, frutto di quel primitivo nucleo cristiano che si formò in Siria intorno al Sepolcro di San Marone.
Nucleo che ha rapporti regolari con il Papa pur conservando nei riti religiosi alcune peculiarità. Una storia nella storia che sembra portarci lontano dal nostro mondo. E invece come l’Islam è più vicino di quanto ci possa sembrare e in que-
sto periodo così particolare non possiamo fare a mano del confronto anche perché in Molise di comunità che si ispirano ai dettati del Corano ce ne sono tante: a Campobasso, come a Isernia e Termoli. Tante comunità, destinate ad aumentare. “Gli islamici sono contrari al diritto così come lo intendiamo noi occidentali. Anche quando si allontanano dalla loro terra portano in valigia la sciaria e fanno riferimento alla legge dettata dal Corano che a quanto pare non riporta solo le parole di Maometto. Un po’ come succede per i nostri libri sacri dove non tutte le regole sono state dettate da Cristo”.
Regole ferree che a volte stridono con i tempi moderni. Ma anche questa è una somiglianza tra Islam e Cristianesimo, religione quest’ultima in apparenza più tollerante. Più tollerante rispetto ai matrimoni misti, più moderna rispetto alla condizione della donna. Che nei paesi arabi invece conta poco al cospetto del sesso forte. Anche in fatto di sentimenti. “Per loro il matrimonio non è l’incontro dei consensi tra l’uomo e la donna ma l’unione tra il consenso del pretendente e il tutore della sposa. Donna oggetto e non soggetto del matrimonio”. La tolleranza del cristianesimo si percepisce anche quando lasciamo costruire sulle nostre terre nelle terre le moschee. In Arabia è impossibile innalzare chiese. “Dovremmo basarci sul principio di reciprocità: niente chiese in Arabia niente moschee qui da noi” Akl è categorico. E sulla libertà di religione il professore ci va giù duro: “nei paesi
RELIGIONI A CONFRONTO
Il professor Paul Akl parla della vicinanza dei due mondi di come evitare scontri ma sulla libertà di religione è categorico “E’ una nostra prerogativa loro non l’ammettono”
islamici non esiste libertà di culto perché secondo loro contrasterebbe l’ordine pubblico”. Molte distinzioni ma anche tanti punti in comune tra i due credi: le contraddizioni ad esempio che qualche volta si sollevano all’interno dello stessa fede. La poligamia ne è un esempio. In un versetto del Corano si parla della possibilità di avere fino a quattro mogli purché vengano tutte trattate allo stesso modo. Per molti islamici, che osservano i dettami del Corano la poligamia non è invece ammessa. Chi ha ragione? Difficile, se non impossibile, definirlo. Ma con chi il mondo cristiano potrebbe avviare un proficuo dialogo e magari tentare di trovare punti di contatto, almeno sul sociale? “Con i sunniti c’è poco da fare. La porta è chiusa. Con gli sciiti invece c’è una speranza almeno sul diritto di famiglia. Certo di antinomie e di regole difficili da accettare ce ne sono molte anche nel cristianesimo. Complicato decidere a quale Dio votarsi e quale religione si adatti meglio ai nostri tempi? Forse entrambe, forse nessuna delle due ma il professore Akl sul tema non va troppo per il sottile: non si può scegliere quella più conveniente, bisogna tenersi stretta la propria fede”. Forse però nella libreria di casa oltre alla Bibbia (che non tutti i cristiani posseggono e hanno mai letto) converebbe conservare anche una copia del Corano, perché la conoscenza è l’anticamera del rispetto. Senza non si va da nessuna parte.
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er la primavera - estate 2009 non ci sono mezze misure: la moda impone di scoprire le gambe e di rinnovare il guardaroba con colori choc: giallo e verde soprattutto, ma in vetta alla classifica ecco il viola. In tutte le sue sfumature. Carico e denso o meno accentuato diluito fino al ciclamino. E’ stata Carla (anche senza accento sull’ultima A si capisce che stiamo parlando della premier dame di Francia) che ha sdoganato uno dei colori più belli ma per anni ritenuto poco adatto alla televisione, al teatro e alle occasioni importanti perché il contrario di un portafortuna. Relegato ai paramenti sacri il viola è tornato a calcare le passerelle di Milano, di Parigi e New York. Abiti, giubbotti, jeans pantaloni, nella stagione passata perfino pellicce. Viola sempre e comunque. In tutte le nuance. Da abbinare col giallo, col rosa e per le più audaci anche con l’arancione e il rosso, e se la moda arriva d’Oltralpe… più francese di così non si può. Attenzione anche agli accessori: mai banali. In primo piano scarpe (tante zeppe) e borse anche queste coloratissime. Attenzione agli accostamenti: se il sandalo è giallo la borsa andrà benissimo anche verde. Magari di pelle lucida. A proposito di abiti via alla fantasia anzi alle stampe fantasia. Dai colori forti, vivaci. E’ primavera, se non si osa adesso….
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hi l’ha detto che l’uomo debba vestirsi solo di blu e grigio? La bella stagione arriva anche per il sesso forte che non si nasconde più nei blazer scuri e pantaloni chiari che hanno reso famosi i playboy di una volta. Acqua passata. L’uomo di oggi osa e spinge il piede sull’acceleratore dei colori. Il guardaroba diventa un caleidoscopio. E se il blu resta un pilastro per la scarpa, anche elegantissima è ok, spuntano anche il giallo e il viola. Perfetti i pantaloni bianchi da abbinare a camicie rigate con colori fluo, che sanno di nuovo ed estivo. Un tocco di viola, di verde e di grigio brillante. Tra i capi spalla si fanno strada i nuovi tessuti, anticaldo e soprattutto leggeri, pronti per affrontare ogni viaggio perché se l’uomo vuole ingentilirsi e buttare la corazza non intende perdere l’amore per l’avventura. Le scarpe? Benissimo quelle di tela, magari alte e colorate a contrasto con il resto dell’abbigliamento. Un tocco di giovinezza possibile anche per chi ha superato gli anta, da un paio di lustri.
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di Sergio Genovese ell’angusto ma affascinante mondo dell’educare, sia pure con minori adepti, continua a fare effetto la massima di Nikos Kazantzakis: “...gli insegnanti ideali sono quelli che si offrono come ponti verso la conoscenza ed invitano gli studenti a servirsi di loro per compiere la traversata, poi a traversata compiuta, si ritirano soddisfatti incoraggiandoli a fabbricarsi da soli ponti nuovi.” La morale esalta a modesto giudizio il rapporto tra giovani e adulti, docenti e discenti, genitori e figli. Nella stagione in cui i principi valoriali si sono liquefatti, c’è sempre meno gusto a proporsi come punto di riferimento. Tutto è relativo, percorsi e itinerari non seguono una segnaletica codificata, scarseggiano i maestri figuriamoci le persone capaci di attrarre fiducia e consenso. Siamo allo sbando su tutti i fronti, manca la sostanza e persino lo stile che in un quadro prossimo all’epilogo già sarebbe qualcosa. Un decadentismo precoce che a mio parere incontra sentimenti di rassegnazione da parte della scuola e di una buona
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parte delle agenzie educative, una flebile e quanto mai inutile opposizione da parte delle famiglie e infine una totale indifferenza da parte della classe politica, quella nostra di periferia e quella apparentemente più altolocata di Roma. Quando si vogliono fare le analisi sociali sui motivi della resa incondizionata che ci vede tutti protagonisti, sul banco degli imputati, cotti allo spiedo, finiscono sempre la famiglia e la Scuola. Per carità, nessuna difesa partigiana, è nei fatti. Di fianco a questa verità incontestabile ci sono però anche le responsabilità di chi ci governa oggi e di chi ci ha governato ieri. Quando ero bambino avevo un maestro il compianto Antonio Polcini che parlava dei politici in punta di lingua, grande rispetto per grandi statisti che hanno fatto la storia della nostra repubblica, avevano un respiro affascinante, chi ha il coraggio di negarlo? Avvertivamo, al di là dell’enfasi usata dal maestro, la sensazione non credo effimera, che La Malfa, Berlinguer, Fanfani, Moro, Spadolini e gli altri, rappresentassero un livello della società che incuteva
rispetto, considerazione e una significativa dose di fiducia. Quella storia politica al primo posto del suo operare collocava l’istruzione, altro che razionalizzazioni, pluriclassi e istituti omnicomprensivi. Nei loro ministeri o nelle segreterie dei loro partiti lavoravano fino a tardi controllando persino se tutti gli interruttori della luce fossero stati spenti . Un ricordo più vicino a noi è quello dell’avvocato De Gaglia sindaco di Campobasso negli anni sessanta. Quando bisognava pagare gli spalatori che rimuovevano la neve dalle strade più di una volta utilizzava i fondi personali. Nel trasferire certi esempi ai rappresentanti politici di oggi viene difficile persino fare un paragone. C’è poca differenza tra i parlamentari della capitale e quelli nostrani salvo qualche eccezione. La rusticità che li contraddistingue, la incertezza del lessico ma soprattutto dei contenuti, è disarmante. Gruppi sciolti pronti a cambiare bandiera appena l’ideale del successo o del guadagno personale viene messo in discussione. Nani in doppiopetto col nodo della cravatta che però su-
bito connota la genesi. E’ suggestivo, soprattutto per i nostri giovani, vederli sui banchi di Palazzo Moffa nelle loro singolari liturgie.Al cellulare o con il giornale aperto mentre il collega consigliere si affanna nell’esercizio della parola. Scimmiottano quelli di Roma, vuoi mettere: portare rispetto o pensare di essere un esempio negativo per tutti quelli che li osservano è difficile da metabolizzare, ci vogliono meningi speciali. Pochi giorni fa ho sentito in tv uno dei teatranti richiamare il popolo molisano al rigore. Per sottolineare il momento di ristrettezze sguainava a mo di esempio la decisione di riduzione del proprio sontuoso stipendio. Che tenerezza! I molisani dovrebbero conoscere i retroscena. Quasi tutti sono insorti ed hanno approvato il provvedimento (si tratta solo di qualche centinaio di euro in meno) dietro promessa di un pronto recupero attraverso i mille rivoli di leggi e leggine che appaiono e scompaiono dal cilindro dei padroni del vapore. Povero Kazantzakis, altro che esempi, altro che ponti. E’ tutto franato…..
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La forza dell’esempio
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Etica e nutrizione artificiale di Dr. Marco Tagliaferri Coordinatore Nazionale del Gruppo di Bioetica dell’Associazione Dietetica Italiana
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er secoli fornire acqua e cibo a persone non in grado di procurarsene – bambini, anziani, malati – ha sempre significato un “prendersi cura del più debole” sostenuto da un sentimento di umana solidarietà. Con l’avvento della Nutrizione Artificiale, che costituisce, e non può essere altrimenti inteso, un trattamento sostitutivo in grado di prolungare la vita di una persona, sono emersi, sin dall’inizio, dubbi ed incertezze circa la opportunità o la necessità di porsi un limite al suo utilizzo, ma soprattutto circa chi, quando e come deve decidere il suo inizio o la sua sospensione. Come va affrontato il rifiuto ad alimentarsi? Il Comitato Nazionale di Bioetica nel 1992 affermava che “al centro della attività medico chirurgica
si colloca il principio del consenso. Sono da ritenere illegittimi tutti i trattamenti sanitari extraconsensuali, non sussistendo un dovere di curarsi se non nei definiti limiti dei trattamenti sanitari obbligatori”. Chiaramente tale raccomandazione apriva la porta all’Autodeterminazione della persona malata. Anche il Codice di Deontologia Medica all’Art. 35 riprende il problema del consenso affermando che il “…medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente...” Lo stesso Codice di Deontologia Medica, all’art. 53, afferma che “Quando una persona rifiuta consapevolmente di nutrirsi, il medico ha il dovere di informarla sulle conseguenze di tale decisione. Se la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale”. La recente legge approvata al Senato sul testamento biologico non la pensa così.
D’altronde la Costituzione Italiana all’Art. 32 afferma che “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. E nel caso di malato incapace? Quale deve essere il comportamento? Come si può conoscere se un soggetto, trovandosi in condizione di non capacità di intendere e di volere, avrebbe preferito gli venisse praticata la NA oppure no? Come comportarsi? E’ il consenso presunto detto anche dichiarazioni anticipate di trattamento (il cosiddetto Testamento biologico) che ci dovrebbe venire il aiuto. Il Codice di Deontologia Medica all’Art. 38 afferma che “il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tener conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso”, riprendendo una dichiarazione del Consiglio d’Europa che nel 1996 affermava che “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento non è in grado di esprimere la sua volontà, dovranno essere tenuti in considerazione”. Ma che cosa sono le dichiarazioni anticipate dette anche Dichiarazione di volontà, o Testamento Biologico? Consistono in un “documento scritto da un soggetto capace, che contenga indicazioni circa il tipo di trattamento da adottarsi nel caso in cui il soggetto stesso, per motivi clinici, perde la sua capacità di decisione autonoma”. La Nutrizione Artificiale ha rivitalizzato anche la discussione sulla propor-
zionalità delle cure e, di conseguenza, sulla sospensione della terapia inefficace la cui persistenza potrebbe configurare un eccesso di trattamento detto anche accanimento terapeutico. Ritorna, quindi, con tutta la sua forza il problema del limite da porre alla Nutrizione Artificiale e del chi, quando e come deve decidere. Il Comitato Nazionale di Bioetica, a proposito di accanimento terapeutico ha affermato che “deve intendersi per Accanimento Terapeutico la persistenza nell’uso di procedure diagnostiche come pure di interventi terapeutici, allorché è comprovata la loro inefficacia e inutilità sul piano di un’evoluzione positiva e di un miglioramento del paziente, sia in termini clinici che di qualità della vita”. Tale indicazione suggerisce la necessità di non sottoporre il paziente a cure futili. All’Art. 16 il Codice di Deontologia Medica afferma che “il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente laddove espresse, deve aste-
tamento ordinario di base … ancora … Nutrizione e idratazione vanno considerati atti dovuti eticamente (oltre che deontologicamente e giuridicamente) in quanto indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base per vivere … ancora … anche quando l’alimentazione e l’idratazione devono essere forniti da altre persone per via artificiale, ci sono ragionevoli dubbi che tali atti possano essere considerati “atti medici” o “trattamenti medici” in senso proprio, analogamente ad altre terapie di supporto vitale. Dichiarazione approvata a maggioranza dal Comitato per l’emergere di forti dissensi al suo interno. L’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (A.D.I.) in un proprio documento sottoscritto anche da numerosi ordini dei Medici ha sottoscritto, senza ombra di dubbio, che la Nutrizione Artificiale è un Atto medico, un trattamento, di conseguenza, soggetto alla
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nersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita”. Di fronte a certi interrogativi il Codice Deontologico fornisce risposte, prospettando soluzioni alle quali il nutrizionista e qualsiasi altro medico dovrebbero ispirarsi. Anche la Carta degli Operatori Sanitari della Pastorale della salute recita testualmente che “…l’operatore sanitario è tenuto a praticare tutte le cure proporzionate…”, “Non c’è obbligo invece a ricorrere a quelle sproporzionate…“ La stessa Carta afferma il principio della liceità della interruzione degli interventi quando recita che “è lecito interrompere i mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata, quando i risultati deludono le speranze riposte in essi … perché le tecniche impongono al paziente sofferenze maggiori dei benefici che se ne possono trarre”.
Alcuni interrogativi, quin- di, emergono. 1) La NA va considerata una terapia (e, quindi, assoggettabile alla limitazione terapeutica) e non come una forma di assistenza di base (e, quindi, sempre dovuta e mai limitabile)? 2) Riconoscere il valore dell’autonomia assoluta decisionale del malato (Autodeterminazione)? 3) Esiste un dovere etico di limitare i trattamenti per evitare l’overtreatment (accanimento terapeutico)? 4) Esiste una equivalenza etica del non iniziare rispetto al sospendere i trattamenti? Interrogativi che ancora aspettano risposte definitive. La Carta degli Operatori Sanitari della Pastorale della salute, a tal proposito, afferma che ... l’alimentazione e l’idrata- zione, anche artificialmente somministrate, rientrano tra le cure normali dovute sempre all’ammalato quando non risultino gravose per lui: la loro indebita sospensione può avere il significato di vera e propria eutanasia”… Un pronunciamento forte che include anche la nutrizione artificiale tra le cure di sostentamento di base, quindi, sempre dovute, affermando la non liceità della sua sospensione. Anche il Comitato Nazionale di Bioetica nel 2005 ha affermato che … la nutrizione e l’idratazione, sia che siano fornite per vie naturali che per vie non naturali o artificiali sono da considerare … sosten-
volontarietà della persona malata. D’altronde la realizzazione della Nutrizione Artificiale richiede oggi uno standard operativo di elevato livello che non può che essere attuata dal Medico specialista. Tra tante dichiarazioni anche contrastanti, però, una scelta chiara va fatta. La Nutrizione Artificiale, quale trattamento sostitutivo in grado di prolungare la vita, deve essere vincolata ai principi: 1. delle dichiarazioni di volontà, 2. della proporzionalità delle cure, 3. dell’accanimento terapeutico, 4. del consenso informato? Di San Francesco d’Assisi si narra che “Quando ormai si avvicinavano i suoi ultimi giorni, spossato da una lunga malattia, si fece porre sulla nuda terra, fece chiamare a sé tutti i frati che erano presenti, impose loro le mani e li benedisse, e, come accadde nella Cena del Signore, divise tra loro un boccone di pane. Era sua abitudine invitare tutte le creature a lodare Dio: invitava anche la morte, che tutti fa tremare e tutti odiano, a lodare il Signore, e le si fece incontro lieto, invitandola nella sua casa, dicendo: “Sia benvenuta la mia sorella morte”. Giunto alla sua ora estrema dormì nel Signore. E’ un esempio illuminato ed illuminate di un morire con dignità umana, lontano dal fragore delle moderne tecnologie che spesso si vogliono imporre. Trattasi di un dire si alla proporzionalità delle cure, ed un deciso no all’accanimento terapeutico.
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Fabrizio Brienza Bravo, bello, non convenzionale NEW YORK – NY – Il rutilante mondo dello showbiz, sforna spesso prodotti di consumo, ma non solo beni (?) di prima o inutile necessità, anche talenti artistici nel campo della moda e dello spettacolo in genere. Le meteore, cioè coloro che passano durante un periodo dell’anno, e spariscono nel dimenticatoio, quasi sempre in sincronia con il loro protettore. Le meteore pare, siano quelle che più popolano il limbo artistico, pare siano quelle pronte a fare di tutto per rimettersi in gioco, per tornare anche solo un minuto in tv, per una comparsata, per presenziare il nulla, basta solo vedere la luce rossa della camera che ti inquadra e ti dà l’ok del ‘sei in onda’. Insomma, potremmo stare a disqui-
sire a lungo sulla meritocrazia nel mondo di celluloide o del tubo catodico, forse dovremmo amaramente ammettere che non basta essere bravi. Spesso capita che a conforto di illusorie conferme sulla propria bravura, basti tornare indietro di qualche anno, non conta quanti, per rinfrancarsi con i ricordi degli amici di una volta, di quelli con cui hai condiviso il letto, le prime sigarette, le prime esperienze con l’altro sesso, avvenimenti agonistici, i primi giri nei locali della città. E i ricordi si perdono a Campobasso, nella metà degli ’90, con il dinoccolato ‘molletta’, per tutti era questo il suo nome, era quello spilungone che giocava a basket e che rimbalzava come una pallina magica al Palavazzieri.
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di Charles N. Papa
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Era l’ala del Fiordilatte Delizia Boiano stagione 1988/89, con lui, tra gli altri, Alfio Romito, Flavio Pastorello, Domenico Sabatelli. Era quello che al pub Amadeus (uno delle prime birrerie in città), faceva girare la testa a tutte
Nel 1988 era in forza al Fiordilatte basket
le ragazze e non mancava mai di presenziare alla sera, soprattutto il venerdì, quando, chi vi scrive, era il dj di “Radio Live” (la prima esperienza in città con un dj dal vivo in un pub) e della serata più trendy della città.
Lui è Fabrizio Brienza (Campobasso, 19 settembre 1969) attore e modello ora in America. La sua passione per l’alta moda, il suo fisico possente, i tratti non convenzionali del suo viso, gli fanno puntare i fari dell’alta moda addosso. Subito dopo la laurea come graphic de-
signer a Firenze, grandi brand quali Dolce & Gabbana, Armani, Versace, lo inseguono e lui ne diventa testimonial per svariate campagne pubblicitarie. Insomma, si aprono le porte dell’alta moda per Fabrizio. La partenza dal capoluogo molisano non è da chi va in
pendenti che lo hanno fatto conoscere oltre che al pubblico dei festival, come il Sundance, anche a quello meno di nicchia. La carriera non segue una sequenza lineare e da ‘bravo artista’, Fabrizio è un monellaccio, fa di testa sua, è caparbio, sa esattamente quello che vuole, e rimane sempre al di sopra degli avvenimenti. Ha avuto anche una discoteca, una delle più importanti degli States, un luogo frequentato dai Vip a stelle e strisce. Ma è stato solo un capitolo nella sua vita artistica. Fabrizio si lascia scivolare addosso le cose, le situazioni, è ancora una persona, e non un prodotto dello star system, di quello che ti usa, ti spreme, e ti butta via come buccia d’arancio. La testardaggine di Fabrizio, lo ha reso forte, necessario allo showbiz americano, ma quel tanto che basta, senza debordare o eccedere. E lui non ha ceduto ad alcuna tentazione, da bravo ragazzo qual è. E come ai vecchi tempi, di quando si beveva una birra dopo una partita o di quando si andava il venerdì all’Amadeus: “Ciao Molletta”. L’augurio è di vederlo presto a Campobasso per raccontarci dal vivo la sua carriera.
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Una piccola parte in “Duplicity” con Julia Roberts lo impone al grande schermo
cerca dell’ Eldorado, ma di chi già sa cosa andrà a fare in una nuova terra. E così, sul finire degli anni ’90, Fabrizio decide di mollare tutto, la propria città, genitori, due sorelle, amici, per stabilirsi negli States. Lo raggiungiamo al telefono quando a New York sono le 9:00 a.m., è tempo di colazione mentre da noi si è al digestivo. Risentirsi al telefono dopo tanti anni è stato come tuffarsi nel baule dei ricordi in soffitta, e ritrovarci tutte le belle cose lasciate dall’adolescenza. Una fragorosa risata, una voce che poggia sul diaframma e che scivola subito su un “Come stai Charles?”. L’italiano è uguale, e Fabrizio è come l’avevo lasciato 20 anni fa, un guascone. La notizia più recente su di lui è quella della sua partecipazione al film con Clive Owen e Julia Roberts “Duplicity”. La sua è una parte piccola, è il direttore dell’ hotel dove i due protagonisti si incontrano. Una cosa importante. “Essere nel cast di una produzione così imponente, è come una stagione intera in Italia” spiega Fabrizio. Ma lui già altre soddisfazioni ha avuto, nel 2007 con “The doorman”, dove interpreta sé stesso e con il quale partecipa anche al Torino Film Festival e nei tanti film indi-
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