IL PRIMO - APRILE 2012

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Mensile a tiratura regionale Anno 8 - n. 4 aprile 2012 20.000 copie - Distribuzione con La Gazzetta


s ommario In questo numero

Rubriche La voce del padrone di Ignazio Annunziata

pag. 4

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Sanità

Perduta una grossa occasione

Piazza salotto di Adalberto Cufari

pag. 5

Camera con vista di Antonio Campa

pag. 7

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Il Cerino di Pasquale Licursi

Ecco le pensioni dei consiglieri

pag. 11

Campuascianeria di Arnaldo Brunale

Allegato

Regione

pag. 31

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Il personaggio

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Storia

Colino

lli?

ciaca s o e n e I

Lettere di guerra

Registrazione al Tribunale di Campobasso n°5/05 del 05/03/2005 DIRETTORE EDITORIALE

Gennaro Ventresca DIRETTORE RESPONSABILE

Franco Boccia BLOB DI A. PICCIRILLO SEDE LEGALE Via Veneto, 113 80054 Gragnano (NA) Tel. 0874.318092 - Fax 0874.413631 E-mail: Redazione

redazione@lagazzettadelmolise.it E-mail: Amministrazione-Pubblicità

8 Le tesi vi dell’Avv ncenti ocato

commerciale@lagazzettadelmolise.it

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www.lagazzettadelmolise.it

Sport

Quel giorno di Campobasso-Milan Arte

Ritratto di Antonio Tamburro

www.gazzettadelmolise.com

STAMPA: Castellammare di Stabia Progetto grafico

Maria Assunta Tullo

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Chiesa e Società

Gli anatemi di Monsignore


di Gennaro Ventresca

L’Oscar del mese a Alberto Pistilli Sipio

Zoom sugli anziani o spartito è sempre lo stesso. Chi ha orecchie per intendere intenda, chi deve capire capisca. I pensionati sono alla disperazione. Ci vorrebbe un corpo d’armata per eliminare tutto il marciume nazionale che ha ridotto il nostro Paese com’è. E non da oggi: da almeno mezzo secolo. I pensionati fanno parte di una categoria debole, perché non produce. Tolto qualche caso specifico, sono un peso per la società. Non vengono tenuti in considerazione neppure per le indagini demoscopiche. Anche l’auditel li ignora nel valutazione degli ascolti. Se sei anziano non vali, non fatturi, non hai voce in capitolo negli acquisti, nei viaggi, nelle vacanze, nel cambio dell’automobile. L’anziano è lì, confinato in un angolo della società. Gli passano una magra pensione che non basta tante volte neppure per far fronte alle utenze, i cui balzelli sono tanto frequenti da diventare irritanti. I cittadini che tirano la cinghia non sono una bella immagine della società. Mostrano il lato debole del capitalismo. Per non parlare dei loro costi: sempre ammalati, a far la fila dal medico, in farmacia, e a occupare le corsie degli ospedali. Ci sono reparti che traboccano di anziani sofferenti che aspettano l’arrivo del medico, anche solo di un semplice infermiere, nella speranza di sentirsi dire una parola buona, di incoraggiamento per la loro salute. Mentre il mondo schiude le porte ai giovani, noi, almeno per una volta, andiamo controcorrente, dando spazio in questo numero alle facce rugose degli anziani. Sul palcoscenico abbiamo fatto salire figure di secondo piano, in grado di trasmettere forti emozioni. A venirci incontro è stato un eccellente fotografo, il campobassano Saverio Zarrelli, geometra del Comune che ha avuto sempre un meraviglioso rapporto con le sue reflex. Saverio, molto più di un semplice dilettante, è riuscito a cogliere con il suo obiettivo le espressioni vive di uomini e donne che hanno avuto lunghe storie alle loro spalle. Gente seria, sobria, legata alla casa e alla famiglia che ha capito che non è più il momento di chiacchiere, di baruffe, di sgambetti e imboscate che ci hanno portato alla deriva. Si esce da questa terrificante crisi anche con il loro contributo, con i loro giornalieri sacrifici, con gli insegnamenti che sono in grado di impartire ancora a figli e nipoti. Loro già si sono rimboccati le maniche e aspettano l’Imu come un condannato a morte il plotone d’esecuzione. La gatte da pelare sono tante, e prima o poi bisognerà pelarle tutte. Ma non ci pare giusto che tocchi farlo soprattutto agli anziani a cui si chiede sempre il maggior sacrificio sociale. L’opinione pubblica nostrana ne ha viste tante e s’è scocciata di subire le angherie dei potenti. Vorrebbe risposte serie e tempestive. La classe politica vacilla, gli imprenditori falliscono, le attività commerciali diminuiscono, qualche briccone mette mano nelle casse pubbliche per fini privati, il Molise è pieno di lestofanti. Non sappiamo quali fine faranno le nostre denunce. Quel che sappiamo è che i pensionati meriterebbero un trattamento più accorto. In attesa di sorti migliori, per questa volta, si debbono accontentare della nostra attenzione e di rivedersi nelle foto che Saverio Zarrelli ci ha messo a disposizione. Per un reportage che troverebbe comoda collocazione anche in periodici ben più importanti del nostro.

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Il Tapiro del mese a Edoardo Falcione

empi duri per le imprese molisane. Che si sentono dimenticate dalle istituzioni, oltre che dagli istituti di credito che hanno stretto ulteriormente i finanziamenti. Il presidente degli industriali molisani Edorado Falcione non s’è rassegnato al peggio e ha fatto sentire la sua voce nei confronti dei vertici regionali che sembrano poco disposti a spalmare i finanziamenti, concentrandoli soprattutto su poche (e discutibili) aziende. Per questo Falcione si sente attapirato e come.

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L’EDITORIALE

on è nuovo l’avvocato Alberto Sipio Pistilli a gesti di sensibilità e generosità verso la sua Campobasso. Dopo il sostegno finanziario per ristrutturare la chiesa di San Bartolomeo, il benemerito ha donato al reparto di Oncologia del Cardarelli la somma necessaria per l’acquisto di un’auto e il sostegno per una infermiera, in modo da assicurare il servizio domiciliare e azzerare le liste d’attesa. Un gesto d’altruismo in nome della signora Annina a cui è stata intitolata la fondazione, che gli vale l’oscar.

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di Ignazio Annunziata

La voce del padrone

Ecco i veri nemici di Iorio

Ulisse Di Giacomo, Manuela Petescia, Pierluigi Lepore e Luisa Di Ninno fattori limitanti del governatore

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a fatto rumore in tutto il Molise la prima pagina della Gazzetta del Molise, di domenica 1 aprile. Nonostante la coincidenza con la giornata del “pesce d’aprile”, nessuno ha pensato a uno scherzo. Era tutto vero. Eppure oltre al titolo e alle foto non c’era un solo rigo di accompagnamento. Tutti hanno capito ciò che abbiamo voluto dire. Confermando un vecchio quanto riuscito slogan che recita: una foto vale più di mille parole. Nella riproduzione del foglio in questione si vede Michele Iorio attorniato da bel quartetto che a ben guardare sarebbe proprio il suo limite. Nelle fotine ci sono due donne e due uomini che costituiscono l’entourage del governatore. Esplicitamente si tratta di Ulisse Di Giacomo, senatore e coordinatore regionale del Pdl; di sua moglie, Manuela Petescia, direttrice responsabile di Telemolise, ammiraglia dell’informazione molisana; di Pierluigi Lepore, commissario dello Iacp e coordinatore provinciale del Pdl; per concludere con Luisa Di Ninno responsabile della sua segreteria. Manca all’appello Luigi Mazzuto, un altro fattore limitante del capo. Tutti i personaggi menzionati sono stati fortemente beneficiati da Iorio che li ha portati molto in alto, aiutandoli in diverse maniere. Com’è giusto che faccia un capo con i suoi più affezionati collaboratori. L’opinione pubblica non ci ha messo molto a capire che il Governatore sta perdendo consensi proprio per colpa dei suoi più vicini collaboratori. Malgrado ciò, Iorio, non decide di allontanarli. Prendete Di Giacomo: non brilla di certo per simpatia, con quella faccia burbera; la Petescia con i suoi pistolotti televisivi rivolti ai nemici di Iorio si è trasformata nella controfigura di Emilio Fede; Pierluigi Lepore è talmente debole che risulta persino difficile attaccarlo; la signora Luisa Di Ninno ha mostrato di non essere sempre all’altezza nel ricoprire il delicato compito che le è stato assegnato: in compenso porta a casa cifre rilevanti, in netto contrasto con la linea di austerità che la gente si aspetterebbe. Eccetto Lepore che è di Larino, gli altri tre membri del “comitato” sono di Isernia, città dello stesso governatore che stava per perdere le ultime elezioni proprio per la rilevante flessione registrata dai suoi elettori nella sua città. Fa meraviglia come una persona di intelligenza acuta

come Iorio dopo aver fatto l’analisi del voto, non abbia pensato di cambiare qualche pedina. Cominciando magari dai due segretari provinciali, indicando due brillanti giovani con i quali ripartire per riconquistare le posizioni recentemente perdute. Gli analisti politici hanno pensato chiaramente queste cose, ma nessuno ha trovato il coraggio di scriverle. Forse neppure di dirgliele a parole, al governatore. Così ci ha pensato a uscire allo scoperto la Gazzetta che a Iorio è stata sempre vicina, senza dimenticare di dargli i suoi bravi tapiri. Il PRIMO che della Gazzetta è una costola ha voluto riprendere l’argomento. Pur sapendo di avere il peso di una piuma la nostra testata spera di contribuire ad aiutare il capo dell’esecutivo regionale a ragionare con maggior freddezza, per tracciare un altro solco entro cui far camminare la nuova politica regionale.


di Adalberto Cufari

Piazza salotto

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Petraroia e la politica dei cerchi concentrici

l ruolo di supplenza esercitato dal consigliere regionale del Pd, Michele Petraroia, è impressionante. Per quanto abbiamo potuto, seguendo la fertile emissione di mail e comunicati, abbiamo già messo in evidenza questa sua straordinaria capacità di essere su tutti gli argomenti e sui problemi che investono la pubblica amministrazione, il mondo del lavoro, le organizzazioni sindacali, la sanità, lo sviluppo, il turismo, l’assistenza sociale, la scuola eccetera eccetera. In ognuna delle occasioni che affronta e tratta c’è una sistematica componente critica (del tutto naturale essendo all’opposizione del governo Iorio), ma non mancano tratti salienti di analisi e proposte costruttive. Non pago di questa sua capacità istrionica, spesso va oltre surrogando compiti e responsabilità altrui. Come quando, a seguito del mantenimento a Campobasso della Scuola di polizia, ha bruciato tutti sul tempo con un articolato e sentito ringraziamento alle autorità nazionali che avevano aiutato a lasciare al Molise quella importante istituzione. Così come non manca di interloquire in maniera sistematica con Roma e con l’Europa, assumendo rappresentanze che sarebbero proprie se esercitate da chi regge il governo regionale e di chi ne fa le veci. Si dà il caso, però, che chi regge il governo regionale spesso venga sopraffatto dagli eventi più che governarli e, quindi, rappresentarli. Sicché Petraroia copre vuoti, assenze, distrazioni, debolezze, insufficienze (soprattutto organizzative) dei vertici istituzionali ai diversi livelli.

Chi ha pagato i tributi comunali non può essere coinvolto nell’eventuale buco e nella necessità di coprirlo tirando fuori altri soldi La più recente supplenza è quella operata in vece della giunta e del sindaco di Campobasso nel contenzioso con la società “Esattoria Spa” dove sono in ballo 8 milioni di euro che l’amministrazione rivendica dall’esattore per tributi riscossi e non versati e che l’esattore, a sua volta, ritiene di non dover dare, vantando, lui, di essere creditore. Una brutta faccenda che dal piano amministrativo rischia di finire a quello giudiziario. Petraroia è entrato nella questione, se si può dire, a piedi uniti, mettendo a nudo la storia, chiamando con nome e cognome i soggetti coinvolti, le loro possibili inadempienze e imbracciando il vessillo del tutore dei contribuenti campobassani ha posto e proposto la faccenda in varie sedi e con varie argomentazioni, tale da renderla di pubblico dominio. Insomma, ha fatto esplodere una situazione che non è nata ieri ma

nel 2010, allorché il Comune ha deciso di non rinnovare il contratto all’Esattoria Spa, essendosi accorto che i conti non quadravano. Petraroia ha fatto il botto, e in nome dei contribuenti campobassani ha investito della questione, a mo’ di un ciclone, tutto quanto dell’appartato amministrativo, giudiziario, e politico era investibile: Regione Molise, Prefettura, Corte dei Conti, Procura della Repubblica presso il tribunale di Campobasso, Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, Gabinetto del ministro delle Finanze, sottosegretario di Stato al Tesoro, Direttore nazionale dell’Agenzia delle entrare, Comando regionale della Guardia di Finanza ed altri ancora dei livelli nazionali e regionali. Da problema interno a Palazzo san Giorgio a possibile scandalo amministrativo e finanziario di rilevanza nazionale. Non pago di avere allargato il cerchio a dismisura, ha ritenuto inoltre di chiamare in causa Adiconsum, Adoc, Adusbef, Codacons, Lega consumatori, Movimento consumatori, Unione Nazionale Consumatori, Cittadinanza attiva, Federconsumatori e Confconsumatori. Nella giusta valutazione che i contribuenti campobassani che hanno pagato i tributi comunali non possono essere coinvolti nell’eventuale buco finanziario e nella necessità di coprirlo tirando fuori altri soldi. Contribuenti felici di avere un paladino dei propri diritti. E una supplenza, politicamente redditizia.

La faccenda degli 8 milioni di tributi versati dai contribuenti di Campobasso all’esattore e non riscossi dal Comune sono finiti sui tavoli regionali, ministeriali, e delle Procure penali e contabili

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di Giuseppe Saluppo

Città della salute, un’occasione mancata

S A N I TA ’

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l lungo confronto in quarta commissione sul Piano sanitario regionale ha, forse, fatto dimenticare la necessità di mettere al centro il paziente, il suo sistema affettivo e relazionale e costruire un percorso di cura perfettamente adeguato alle sue necessità per dare vita al progetto della Città della Salute, della Ricerca e della Didattica da far nascere a Campobasso. Sarebbe stata, questa, la vera novità per la sanità molisana nel cui solco innestare una nuova linea di programma attraverso l'ospedale Cardarelli, il centro medico della Cattolica e l'università degli studi con la facoltà di Medicina. Non il veder nascere partiti a favore dell'una o dell'altra struttura, così come è stato registrato, ma una proposta seria, credibile e capace di sviluppare un nuovo percorso per il futuro. E' vero, sarebbero state tante e complesse le componenti da porre a base di questo primo, fondamentale obiettivo del terzo millennio capace di guardare alla salute di noi tutti: un servizio sanitario pubblico sempre più evoluto e integrato; un incremento

di saperi e tecnologie capace di modificare ogni giorno il ruolo del clinico, del ricercatore, del tecnico, dell’infermiere; una volontà pubblica e politica, come la Regione Molise capace di porsi all’avanguardia per qualità del suo sistema sanitario e per quantità di innovazione e di progetti di ampio respiro; una capacità di strategia e di visione per fondere funzioni ospedaliere, sanitarie, di cura, di accoglienza, di formazione e di ricerca in un unico, grande progetto aperto alla città; la determinazione a mettere in relazione tanti saperi e competenze diversi in campo scientifico, didattico, formativo, urbanistico e territoriale. Dentro la Città della Salute, della Ricerca e della Didattica si sarebbero potuto avere tante opportunità. Proprio per questo abbiamo parlato di un progetto delicato e complesso, in cui tutti gli elementi in campo potevano trovare un giusto equilibrio per giungere alla realizzazione finale. Perchè? Perché in questa struttura il cittadino potrebbe contare su attività e competenze di eccellenza in quanto punto di riferimento e di avanguardia in ambito oncologico, neurologico, cardiologico e quant'altro dando, così, luogo a un nuovo complesso sanitario.

Naturalmente un’iniziativa pubblica pensata per il pubblico, ovvero per fornire una nuova piattaforma di sviluppo per tre strutture di eccellenza nella clinica, ricerca e didattica: Ospedale Cardarelli, Centro medico Cattolica e Polo universitario. Queste, per potere essere garanti di qualità avrebbero la necessità di diventare un tutt'uno, per l'appunto un Polo della Salute, con nuovi spazi e prospettive di sviluppo per crescere ed essere ancora più competitive ed assicurare, solo in questo modo, quel salto di qualità che i cittadini si attendono. Il non avere messo in programmazione la nascita della Città della Salute o del Polo della Salute che dir si voglia, è da considerarsi un neo del Piano regionale.


di Antonio Campa

Camera con vista

Il miracolo del venerdì Santo N

ostro Signore non finisce mai di stupirci. Vale la pena parlarne a distanza dai riti della Pasqua, per evitare che la pietra d’angolo del Cristianesimo si riduca a banale cronaca nel correre dell’anno. Nel giorno del Venerdì Santo a Campobasso, intorno alla passione di Gesù si raccoglie un’umanità varia che ne esalta la figura. La processione del Cristo morto e dell’Addolorata è il culmine del sentimento cristiano che si estende a tutti, coinvolgendoli. Chi guarda con occhi mortali, si sofferma sui vizi piuttosto che sulle virtù di quanti, fuori dall’etica comune e all’apparenza poco degni, seguono il Figlio dell’Uomo nel corteo funebre. Atei, comunisti duri e puri, uomini di rango vanitosi e supponenti, lazzaroni di ogni specie si ritrovano a procedere insieme a uomini pii e donne timorate. I più maliziosi tra i campuasciani ogni anno s’industriano nel cercare in processione i volti celati da umili veli di Maddalene e bocche di rosa, avvolte da sobrie vesti. C’è chi invece punta il dito sui tromboni sfiatati che si ostinano a restare nel coro, diventato nel tempo una sorta di casta, quasi quadruplicato nei membri, ottocento persone che occupano da sole cento cinquanta metri del corteo, sfidando le leggi dell’acustica per mantenere l’armonia tra acuti e bassi.

Un contorno da menù a prezzo fisso, che per contrappasso esalta la figura di Gesù, il pescatore di anime e di uomini di ogni specie, che accoglie e perdona tutti. Il miracolo del Venerdi Santo sta nella forte unione dell’intera popolazione, che si ritrova compatta intorno al mistero della passione. Partendo dalla riflessione su questo dato straordinario, i vizi umani che colorano la processione ci appaiono marginali, quisquilie che strappano infine un sorriso di compassione. La processione di Campobasso ha le sue pecche, esse tuttavia nulla tolgono al significato che il popolo riconosce al rito della passione. Il Vescovo ha osservato che il corteo è troppo lungo, ma ciò è inevitabile, perché il senso di appartenenza si esplicita nella voglia di partecipare. Sarebbe straordinario se ci fossero più partecipanti che spettatori. Non si può negare tuttavia la questione dell’apparenza, vero punto critico della processione. Il cronista non ha titoli, né ambisce ad averne, per scagliare la prima pietra. I soldati di Cristo però non hanno bisogno di uniformi, tanto meno di lustrini; cresce invece di anno in anno la differenziazione (ci si augura solo estetica) tra associazioni e congreghe, cui non basta più il blasone per testimo-

niare la propria partecipazione. Perfino gli scout si passano il testimone con gestualità appariscente. Per fortuna ci sono capisaldi confortanti. La croce e i crociferi, gli uomini e le donne che recitano il rosario, e quando cala sera accendono le fiaccole, l'emozionante conforto a carcerati e malati, ma soprattutto la nota lieta dei tantissimi giovani che sfilano composti ed entusiasti, schiaffeggiando il luogo comune sulla crisi religiosa delle nuove leve. Elementi che confortano sulla tenuta della fede cristiana, pronta a risorgere insieme al Signore. A patto che ci si ricordi delle virtù teologali, fede, speranza e carità, quest’ultima un po’ trascurata, assediata da un moderno concetto di solidarietà poco utile e molto strumentale.

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di Aldo Fabio Venditto

Iene o sciacalli? L’informazione televisiva non può fare a meno della satira e delle veline

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Quando l’irriverenza dei comici incontra e si mischia ad una buona dose d’informazione giornalistica, di norma nascono programmi televisivi di successo. Basti pensare a Striscia la notizia, la trasmissione ideata da Antonio Ricci, perennemente in bilico tra inchieste e varietà: un mix sapiente e conturbante di veline e scandali vari che, in oltre vent’anni, ha denunciato il malgoverno e la cattiva amministrazione della res publica attraverso evidenze di grave sperpero di denaro, condite da nefandezze di ogni genere e sconcerie di ogni foggia.

Il taglio è palesemente gaio, non per questo superficiale, persino puntiglioso in alcuni frangenti. Microfono in pugno, l’inviato rincorre assenteisti e maghi, fattucchiere e allibratori, scommettendo sulla reazione di chi viene inchiodato sul fatto, facendo leva sull’imbarazzo innescato da una telecamera puntata diritta negli occhi. La cosa ovviamente infastidisce le ‘vittime’, suggerendo loro comportamenti subito remissivi e colpevoli o repentinamente collerici e volgari. Un siffatto giornalismo non è neanche lontanamente ipotizzabile per le grandi firme dei maggiori quotidiani nazionali, risultando però incredibilmente funzionale per l’intrattenimento televisivo: satira e informazione costituiscono un binomio ossimorico, quasi una definizione per contrasti all’interno della quale trovano cittadinanza la spensierata leggerezza dei lustrini e lo sforzo di rendere conto agli spettatori. Sulla stessa lunghezza d’onda di Striscia la notizia infatti, troviamo anche Le Iene, un format più giovane a giovanile, condotto da Ilary Blasi, Claudio Amendola e Enrico Briganano: “Le inchieste delle iene – scrive il critico Aldo Grasso – sono reportage di genere. Possono toccare temi drammatici come il racket della camorra sulle pompe funebri, possono mettere in crisi il tg Studio aperto perché non fa mai inchieste come le loro e (…) possono dimostrare che la

bonifica della Protezione civile alla Maddalena era una bufala. Insomma, possono apparire come i paladini della giustizia mondiale e svolgere un ruolo di supplenza nei confronti degli inquirenti, ma – sottolinea l’editorialista del Corriere della sera – il loro è e resta un genere televisivo, con le sue regole, le sue aggressività e le sue civetterie”. Resta il fatto che, senza l’intervento dei giornalisti in cravatta scura, numerose indecenze sarebbe finite nel dimenticatoio, retrocedendo ad un’increspatura tra le altre nel mare degli sprechi, delle inefficienze, della più totale assenza di trasparenza gestionale che connota l’Italia e gli italiani. Pare assurdo che gli interessi dei cittadini debbano essere difesi da un manipolo di reporter agguerriti quanto irriverenti: ogni giorno, assuefatti ad una classe dirigente arroccata in se stessa e sorda rispetto alle istanze reali, subiamo piccole e grandi angherie per le quali anche il Molise sale agli onori della cronaca nazionale. Il terremoto, l’imprenditoria privata sostenuta dalla Regione, aeroporti ed autostrade, catamarani, auto blu, favori, condanne, illazioni, ricorsi e chi più ne ha più ne metta. Tutte queste questioni necessitano di soluzioni accorte, rapide, ma accomunate da un unico anelito amministrativo: la volontà di superare gli interessi di qualcuno per garantire servizi migliori ad ognuno. Difficile affermare con sicumera quando e fino a che punto sia positivo che il giornalismo d’inchiesta evolva, lasciando spazio all’intrattenimento. Di sicuro c’è solo l’impossibilità di fare a meno di un contradditorio, di una stampa libera e indipendente, il cui unico padrone sia il lettore. Restando Iene e non diventando sciacalli.

Il giornalismo d’inchiesta evolve e lascia il posto all’intrattenimento senza snaturare la propria funzione di denuncia delle magagne italiche

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Nadia Toffa delle Iene, con il cameramen davanti alla redazione della Gazzetta del Molise


Si moltiplicano i servizi fatti dai grandi circuiti nazionali su vicende che ci riguardano

Nadia Toffa delle Iene, nella foto con Aldo Fabio Venditto, ha squadernato l’ambiente farmaceutico molisano con una serie di interviste piccanti

L’

idea comune, comoda, comprensibile, forse un po’ infantile è che la donna che faccia la Iena abbia una faccia torva, con il naso grosso, la voce cavernicola, insomma una donnona piena di muscoli. Tutto il contrario di Nadia Toffa, figura esile e delicata, visino sfilato, vestito gioiosamente da un caschetto biondo. Una ragazza carina. Non fatevi però ingannare dalle apparenze, Nadia solo nell’aspetto sembra un angioletto. Sotto pelle ha la stoffa della dura che sa fare benone il suo mestiere di cronista d’assalto. Le Iene, si sa, sono sfrontate, vanno dritto al problema. Più di una volta superano la misura, incalzando l’interlocutore con una serie di domande irriverenti. Proprio come ha fatto a Campobasso la giornalista di Mediaset a cui è stato assegnato il delicato compito di fare luce sul famoso (o famigerato?) progetto Mef. La ragazza, prendendo spunto da un ricco filone aperto da La Gazzetta del Molise e in modo peculiare dal brillante Aldo Fabio Venditto,

s’è lanciata a capo fitto sull’argomento. Mettendo insieme con la riconosciuta abilità i vari pezzi, arrivando a bersagliare, col microfono alcuni personaggi di spicco che vanno dal presidente dell’ordine del farmacisti del Molise, Luigi Sauro, passando a un farmacista del capoluogo, Filiberto Castiglione, sino ad arrivare sotto casa del governatore, a Isernia. La collega che indossa la giacca nera e la cravatta è riuscita a tenere sulla corda Iorio, a cui ha impedito per qualche minuto di entrare in auto, obbligandolo a risponderle, mentre l’operatore girava le riprese. Se il Presidente è riuscito, con il mestiere che gli è firma, a respingere il tambureggiare delle domande insidiose, non altrettanto hanno fatto gli altri due intervistati. I quali si sono fatti prendere dall’impeto, comportandosi come hanno testimoniato le immagini viste su Italia 1, in un modo a dir poco censurabile. Al punto da far intervenire per le scuse del caso addirittura il presidente nazionale

dell’ordine, Andrea Mandelli, il quale ha rimarcato che “alle critiche si debba rispondere con la forza delle argomentazioni e non con le argomentazioni della forza e chi attua un atteggiamento diverso ci avrà sempre come avversario”. Da qualche tempo alcuni organi di informazione nazionale stanno facendo a gara a mandare i loro inviati più intraprendenti nel nostro Molise. I programmi che fanno dell’inchiesta il loro cavallo di battaglia si stanno arricchendo di episodi che ci riguardano. E da cui la nostra regione non ne sta uscendo bene. Le Iene sono state solo l’ultimo anello della lunga catena. Se poi c’è di mezzo la sanità si moltiplicano i servizi, perché -fateci caso- da questo settore sono troppi quelli che vorrebbero trarne profitto. Nadia Toffa, restando alle Iene, ha lasciato il segno. Ha fatto un figurone, non altrettanto si può dire dei personaggi che sono finiti sotto la sua lente d’ingrandimento. (da.ma.)

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Continuano a colpire i fulmini di Zeus i dirigenti delle Acli: dopo Rauso è toccato a Toti

Il ricordo di Antonello U

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n’altra croce è stata piantata nel giardino delle Acli. A quella di Antonio Rauso si è aggiunta quella di Antonello Toti. Tecnico il primo, factotum il secondo, due benemeriti del mondo dei calci d’angolo locali. Sarà dura per la società che ha nella signora Rauso la presidentessa trovare i loro successori. Rauso, morto una decina d’anni fa, non ha trovato di fatto mai un adeguato rimpiazzo; si annuncia ancora più problematico immaginare chi possa prendere il posto di Antonello, inserito come pochi nel mondo calciofilo nazionale. Come comprovano mille testimonianze, compresa quella del torneo di Corpus Domini, in cui Toti è riuscito per anni a portare a Campobasso magnifiche società del settore giovanile a livello professionistico. Il torneo di Corpus Domini è stato opportunamente intitolato ad Antonio Rauso che ha dedicato la propria vita ai giovani calciatori delle Acli. Bisognerà vedere che cosa si potrà fare per ricordare Antonello Toti, scomparso in questi giorni ad Ancona, dove ha vissuto negli ultimi mesi della sua vita, accudito dalla so-

rella, unica familiare che gli era rimasta. Al suo funerale gli hanno reso omaggio migliaia di persone della famiglia dello sport, autorità e praticanti, gente comune. Non ci sembra il caso di far ricorso a un linguaggio mieloso per tratteggiare il profilo di Toti. Sono convinto che l’interessato non lo avrebbe gradito. Molto più gli sarebbe giovato sentirsi ricordato per il lungo, costante e prezioso lavoro svolto con i giovani. Compresi quelli che sono passati al Convitto Mario Pagano dove ha svolto per trent’anni il lavoro di educatore, meglio conosciuto come istitutore. Delle Acli Toti è stata l’anima, ha fatto di tutto, dal tecnico al dirigente. Senza cancellare i tempi in cui gonfiava palloni e si occupava personalmente di mandare a lavare le magliette. Nella storia della società calcistica più conosciuta e decorata della regione Toti ha avuto un ruolo insostituibile che non gli ha vietato di prestare la sua opera anche a beneficio di altri club. E’ appena il caso di ricordare i suoi ingressi (e le sue uscite) dal Campobasso calcio che a

livello giovanile ha raggiunto il suo momento più alto con la sua guida. Erano gli anni della B, ma anche in C1 Toti ha fatto sino in fondo il suo dovere. Contribuendo a far maturare un ben mazzetto di ragazzi che si sarebbero fatti rispettare sui campi professionistici. Parpiglia, ad esempio, lo andò a prendere a Brancalone, in provincia di Reggio Calabria; Evangelista lo prelevò a Fiuggi, Ciccio Caruso e Di Lena a Termoli, non si contano i campobassani talentuosi che sono esplosi sotto i suoi occhi. Con il club rossoblù Toti ha coltivato un rapporto sempre sofferto. Dotato di forte personalità che solo i maligni hanno chiamata presunzione Toti ha preteso sempre rispetto. Così appena qualcuno ha cercato di invadere il suo campo d’azione ha preferito prendere cappello e andare via. Con Capone, dopo qualche infruttuosa chiacchierata non si è mai instaurato un connubio. Mentre la sua relazione con il Castel di Sangro è stata lunga e proficua. Profondamente positiva quella con il Trivento di Falcione. (ge.ve.)


di Pasquale Licursi

Il cerino

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Le onde di Santa Croce

l termine Radiazioni non ionizzanti si riferisce a qualunque tipo di radiazione elettromagnetica che non trasporta sufficiente energia per rimuovere completamente un elettrone da un atomo o molecola. Invece di produrre ioni carichi attraversando la materia, la radiazione elettromagnetica ha sufficiente energia solo per eccitare, il movimento di un elettrone ad uno stato energetico superiore. In Chimica, quando un atomo (o una molecola) cede o acquista uno o più elettroni si trasforma in uno IONE. In chimica. In pratica e detta così, le onde elettromagnetiche poste su un traliccio enorme in Località Casale a Santa Croce di Magliano non produce veri e propri Ioni ma ci va molto vicino. E la teoria diventa evidente se un turista per caso decidesse di pernottare sul posto e osservare. Capirebbe in poche ore. Giri la testa e ti accorgi di quanti ioni transitano e sostano sul territorio. E per territorio intendo buona parte del cosiddetto “cratere”. Ora va di moda parlare di onde elettromagnetiche. Dei possibili pericoli sulla salute umana e dei possibili problemi che dette onde provocano anche sul sistema nervoso umano. Non appare incisivo e determinante questo aspetto, almeno nelle mie parti, in quanto se di disturbi si può e si deve parlare a proposito di sistema nervoso, questo non è imputabile alle onde (sembra di parlare del mare) ma a qualcosa di molto più delicato. Che poi le onde possano eccitare questo è scienza. Non chiacchiere. Da qualche anno, diciamo venti, i miei concittadini sono davvero tutti più eccitati, esaltati senza un motivo apparente. Si eccitano per cose che non farebbero girare neanche un cammello e restano muti per cose, al contrario, che richiederebbero azioni forti. Qui c’entrano i tromboni! Tipo, la Turris è al primo posto ma se capita un mi-

lanese e chiede sembra che non vinca una partita da 12 anni. Dopo due ore di conversazione il milanese dice mi dispiace, e noi allarghiamo le braccia in segno di consolazione. Il milanese torna a Milano convinto che la Turris è messa male e invece siamo primi. Natale e Pasqua primi. E questo è solo un esempio, piccolo, di come la chimica e gli ioni hanno trasformato le nostre abitudini. Essendo radiazioni non ionizzanti del tutto ci pensiamo noi a completare il processo chimico e aiutiamo lo ione a venir fuori come si deve. Senza di noi la chimica non potrebbe vantarsi di completare un procedimento complesso e naturale. Sostanzialmente siamo ioni senza neanche saperlo. E ognuno, a intreccio, riesce a contaminare il prossimo e lo ionizza così bene che pur guardandosi allo specchio si vede sempre uguale, come ieri e come domani. Ioni e fieri di esserlo. Questa storia dei tralicci ormai me la porto dietro da quando sono nato. Ero piccolo quando giocavo a pallone sull’erba del Casale e quando arrivava la transumanza. Ma è durato poco. Il tempo di vedere abbattere una neviera bellissima e riempire di cemento quel verde e il giorno dopo montare il traliccio. Ma ancora non ho capito a cosa serve. O comunque pur se

hanno cercato di spiegarmelo non è che ci sono riusciti. Forse anche senza i tralicci già producevamo ioni a quantità industriale ed eravamo predisposti. Vorrei semplicemente capire. Fanno male o non fanno male queste cazzo di antenne? Una volta, me lo spiegate e buonanotte. A parte il romanticismo, la nostalgia, ma ci siamo in questo contemporaneo e dobbiamo accettare ogni cosa, la tecnologia fine a se stessa e tutto il resto. Ma chi amministrava all’epoca me lo può spiegare a cosa è servito piantare tutto quel ferro? Così per semplicissima curiosità. Lo so, abbiamo il telefonino, il computer, il televisore, il rasoio elettrico e da qualche parte dobbiamo pur prenderla la corrente. Ma capire è possibile? Non ipotesi, ma certezza. Poi piantatene un altro di traliccio, anzi altri cento, ma spiegatemi a cosa servono. Nient’altro. Io Ione a tutto tondo mi ci sento davvero. E quando corro ci passo pure sotto i tromboni. E mi fa un effetto strano. All’altezza del traliccio accelero e mi sento un’energia incredibile dentro. Mi spinge una forza strana e misteriosa. Un milione di ioni dentro di me. E sono un po’ fiero di me stesso. Sono Ione come tutti. E oggi essere uguale agli altri è un privilegio.

Santa Croce di Magliano

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L

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e cifre, certe cifre poi, fanno un bell’effetto. Specie di questi tempi in cui ci si fascia il capo, per la crisi che ci attanaglia. Ci sono oltre tre milioni di euro nel bilancio della Regione Molise per il pagamento dei vitalizi agli ex consiglieri. Tanto costano gli “ex”, mettendo in conto Irpef e Irap versati dalla stessa Regione, pari a 83mila euro mensili. Il pagamento contempla anche la reversibilità, figlia della legge approvata dallo stesso Consiglio, pari al 50 per cento dell’importo lordo del vitalizio. In pratica, versando un po’ di più di contributi, il consigliere si assicura che il vitalizio resti in famiglia. Pesando sul contribuente chissà per quanti anni. Nella legislatura in corso il presidente Iorio, avvertendo l’aria pesante, ha annunciare il taglio dei vitalizi ai consiglieri. Attraverso una proposta che intende abolire il vitalizio dei consiglieri re-

Fa accapponare la pelle anche l’artificio che prevede la reversibilità gionali e bloccare, almeno per il 2012 e 2013 l'aggiustamento Istat di quelli in vigore. L’intenzione di abolire il vitalizio consiliare e istituire una alternativa, attraverso un meccanismo contributivo. Sicuramente un bel segnale da dare ai cittadini, dimostrando che ognuno sta facendo qualcosa per affrontare la crisi. In fatto di numeri in Molise la situazione è particolarmente pesante: non è

certo facile digerire il fatto che ogni anno, dal bilancio regionale, escano oltre 3 milioni di euro per pagare i vitalizi di 80 ex consiglieri regionali. La cifra assume connotati più marcati se si pensa che l’intero trasporto scolastico ci costa in un anno 1 milione e 800 mila euro, una vera sproporzione. Tutto ciò è in essere nel momento in cui ai dipendenti pubblici viene impo-

sto il sacrificio del blocco degli aumenti contrattuali nei salari fino al 2018; va spiegato che mentre a tutti i lavoratori dipendenti e ai pensionati vengono diminuite le agevolazioni fiscali (le detrazioni sono le uniche compensazioni per chi paga le tasse alla fonte), e sono costretti a pagare di più i servizi – vedi l’introduzione dei ticket sanitari ai politici c’è sempre un’accorciatoia per arrivare a riscuotere, anche sotto forma di vitalizio, un assegno mensile più alto. Ci auguriamo che a questo punto il presidente della Giunta regionale faccia sul serio con i vitalizi per i consiglieri regionali da abolire, non sia la solita mossa di facciata che si utilizza quando la piazza si scalda e l’opinione pubblica mostra segni di insofferenza. La “casta” deve cambiare passo. Lo pretende la logica di un Molise stanco di subire sempre il peso dei potenti. (G. D.I.)


Ci si chiede con maggiore insistenza quando verranno aboliti i vitalizi dei consiglieri Nome

ANNIBALLE FLORENZIO ASTORE ANGELA BATTISTA DIANA BIANCHINI DE ANGELIS BISCARDI LUIGI CARRINO ELEONORA CATERINA GIUSEPPE CIANCI FRANCO CIAVARRO TECLA CIVARDI ANGELA COLALILLO NICOLINO CONTE SALVATORE CUPAIOLI MARIA DEL TORTO ANTONIO DE SANCTIS CESIRA DE SIMONE LIVIA DI BRINO BASSO DI CESARE ADDOLORATA DI DOMENICO ETTORE DI DOMENICO TOMMASO DI FABIO GIUSEPPE DI GIANDOMENICO GIOVANNI DI GIANDOMENICO REMO DI GIROLAMO ELVIO DI IORIO ALFONSO DI LAURA FRATTURA DI LENA PASQUALE DI LISA DOMENICO DI LISA GASPERO DI MARZO ALFONSINA DI PILLA GIOVANNI DI ROCCO ANTONIO DI STASI GIOVANNI DI STEFANO ANGELO D’AIMMO FLORINDO D’AMBROSIO ALFREDO D’AMBROSIO ANTONIO D’ASCANIO NICOLINO D’ELIA COSTANZO FARINA TULLIO

Importo netto

1.701,49 1.448,01 1.134,59 1.601,34 3.843,19 1.576,52 2.210,95 1.990,79 2.156,54 1.787,50 3.843,19 1.701,49 2.210,95 3.027,07 1.701,49 1.134,59 1.843,05 1.134,59 3.353,52 3.028,97 1.990,79 3.027,07 1.907,58 2.210,95 1.904,28 4.002,12 2.374,17 1.701,49 1.984,61 2.066,74 2.567,46 4.002,12 2.487,34 1.887,41 3.516,74 2.210,95 2.618,18 2.499,37 3.027,07 1.572,13

Nome

FRANCO LIVIA GALLO GIUSEPPE GASDIA MARIA GENTILE GIUSEPPA GIAMBARBA MICHELE GLAVE TERESINA IACOBACCI NICOLA LA VALLE GIUSEPPE LOMBARDI DOMENICO LOMBARDI NORBERTO MANCINI FRANCESCO MARTINO ANTONIO MASELLI IOLANDA MASSA AUGUSTO MASTROIANNI SANTONE MOLININI MARIA NUVOLI PAOLO OCCHIONERO LUIGI ORLANDO EMILIO PAONE NATALINO PELLEGRINO DOMENICO PETROCELLI EDILIO RIZZI VITTORIO ROMANO ANGELO RUGGIERO LEILA RUTA NUNZIO SAJNAJ BARBARA SANTORO ENRICO SASSI EDUARDO SCARANO FRANCA SOZIO ANTONINO TESTA ITALO TORRACO MASSIMO TOTARO MARIO VALENTINI NICOLA VARANESE ANTONIO VAVOLO MARIATERESA VENEZIALE MARCELLO VERRECCHIA MARIO VITIELLO RAFFAELE

Importo netto

1.622,01 1.448,01 1.134,59 1.322,10 1.701,49 1.100,77 2.608,13 3.843,19 2.374,17 3.843,19 3.843,19 1.560,37 1.694,42 3.027,07 1.134,59 1.134,59 4.002,12 1.701,50 3.353,52 3.027,07 2.210,95 3.516,74 3.353,52 2.374,17 1.134,59 1.392,52 1.134,59 3.843,19 2.210,95 896,53 1.701,49 2.546,64 2.863,85 4.002,12 1.701,49 4.002,12 1.134,59 2.101,99 3.027,07 1.701,49

L’elenco comprende anche i nomi di soggetti che usufruiscono della reversibilità

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Elezioni a Isernia

Rosa Iorio candidato sindaco del PDL, a cui si uniscono sei liste di sostegno

Votate, perché disertare le urne non aggiusta nulla, lascia tutto com’è o peggio, al caso Io credo molto alla democrazia e alla possibilità di cambiare le cose con il voto e con la tenacia

Rosa Iorio, lady di ferro I

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ncontriamo la candidata del centrodestra alle comunali di Isernia, Rosa Iorio, dopo uno degli innumerevoli dibatti che la vedono protagonista in questi giorni. Ci accoglie con il solito sorriso, misto all’incessante trillare del telefono e alle incalcolabili strette di mano che frammentano le sue risposte. La punzecchiamo subito con la polemica dei sondaggi fasulli e lei replica schietta: Non faccio sondaggio, io. Non penso al vantaggio o ad un fantomatico ritardo. Il 7 maggio sapremo com’è andata e se ci sarà da festeggiare o meno. Quindi non crede che si arriverà al ballottaggio? Penso di no. Sono persuasa di battere De Vivo al primo turno, perché girando per la città colgo gli umori della gente ed ho sensazioni estremamente positive circa il voto. Ammetterà che c’è malumore in giro, molti scontenti. È vero, ma si tratta di un altro aspetto. Forse sono cittadini che non voterebbero nemmeno per altri candidati, che dicono ‘siete tutti uguali’. Sono convinta che ci sarà una grande astensione, se non riusciamo ad intercettare questo dissenso trasformandolo in un progetto politico e amministrativo per Isernia. C’è poi un'altra questione e riguarda il discre-

dito dei nomi in campo e, in tal senso, il centrosinistra soffre più di noi. Anche altri hanno un cognome ingombrante come il suo? All’inizio si diceva il fatto del cognome: è sempre una Iorio. Però nessuno mi ha mai chiesto nulla del genere, per me hanno parlato la mia esperienza amministrativa come assessore, la squadra che ho costruito e che mi sostiene e, infine, il programma del centrodestra. E i riscontri sono positivi? Ci sono molti isernini che non vogliono votare ed è una decisione che non riguarda Rosa Iorio o la sinistra, ma affonda in una delusione diffusa rispetto alla quale dobbiamo interrogarci per capirne le ragioni. Quando chiedo il voto ai miei elettori non incontro particolari difficoltà, solo l’accortezza e l’attenzione di chi deve individuare un amministratore e vuol essere certo di scegliere per il meglio. Se quello che dico è credibile e, loro se ne accorgono, allora mi sostengono. A mio avviso non c’è molto altro da fare o da dire: se incontri e comunichi la tua proposta, hai più possibilità di convincere. Mi sta dicendo che dopo il crollo delle regionali il Pdl sta riprendendo quota? Sì, le elezioni regionali hanno mostrato una flessione nel gradimento

degli isernini rispetto al passato. È normale, credo sia una dinamica possibile negli anni: i voti si conquistano e si perdono, ma restiamo maggioranza ad Isernia. Resta il risultato positivo del centrodestra e da questo dato dobbiamo ripartire per recuperare il terreno perduto. Comunque il voto regionale non è indicativo di quello che accadrà alle comunali del prossima 6 e 7 maggio: in Regione si discute e si fanno certe cose, al Comune si fa altro. E cosa fa Rosa Iorio per convincere gli elettori? Ho fatto riunioni in tutti gli angoli della città, anche nei condomini. Raramente abbiamo parlato di politica e di partiti. Quasi sempre mi sono state chieste cose concrete, vicine, di normale amministrazione come il traffico, il finanziamento di qualche opera pubblica, la rete fognaria e i marciapiede, l’impianto di illuminazione pubblica o le buche per strada. In molti vogliono sapere se l’Auditorium o il Paleolitico cambieranno il volto della città e, infine, l’occupazione. Il lavoro prima di tutto? Sì è l’argomento principe. Mi si chiede di dare una prospettiva a questa città e io so bene che non è possibile farlo senza assicurare lavoro a chi non lo ha. Purtroppo la disoccupazione è una


La signora punta allo scranno di Melogli dato allarmante e non c’è famiglia che faccia eccezione: tutto il resto passa in secondo piano ed io sento la responsabilità di dover lavorare per il lavoro, per offrire un’opportunità a chi ancora non l’ha avuta. Come intende farlo? Favorendo tutte le iniziative imprenditoriali soprattutto giovanili, cercando i fondi necessari a garantire un supporto economico almeno nella fase di start up. La buona volontà non basta e dovremmo tagliare le spese inutili, davvero tutte, chiudendo le strutture di peso e di mero costo, dedicando nuove risorse a favore della formazione, dell’artigianato, delle imprese locali. C’è poi un altro punto a cui tengo particolarmente. Cioè? La solidarietà. Come amministrazione abbiamo inteso erogare delle borse di lavoro al posto dei vecchi sussidi, cambiando la logica dell’aiuto senza nulla in cambio nel più giusto e socialmente utili sostegno in cambio di lavoro. Un bel successo perché la gente che vive situazioni di conclamata difficoltà, conserva la propria dignità. Parliamo di cittadini con dichiarazioni dei redditi molto basse e senza case di priorità, ai quali vorrei aggiungere altri soggetti che magari una casa l’hanno ma vivono comunque un momento delicato. Non fa parte dei propositi di rilancio a cui già accennava? Solo in parte. Intanto che noi ci attrezziamo per rilanciare l’artigianato, per far rivivere gli antichi mestieri, per creare condizioni agevoli di imprenditorialità, la gente cosa fa? Dal mio punto di vista non si può attendere con le mani in mano, dicendo ‘non posso fare nulla’. Occorre agire e presto. Intanto però gli esercizi del centro chiudono. Noi abbiamo incentivato le attività del centro, ma la verità e che non è sufficiente. L’amministrazione comunale deve e sarà più vicina alla domanda chi vuole riaprire delle botteghe in centro: non sto dicendo che l’8 maggio, magicamente, ci sveglieremo e tutto sarà diverso. Dico che lavoreremo per, con la consapevolezza del problema e della necessità di non chiudersi in logiche politiche dettate dal pareggio di bilancio. Occorrono investimenti e noi li faremo perché se i conti sono in ordine e la città è in ginocchio, non abbiamo amministrato bene, un sindaco non può essere felice. Cosa intende fare per restituire il sorriso agli isernini e alla giunta? Giorno dopo giorno occorre mediare con la normativa e con le esigenze sociali, conseguendo un equilibrio economico diffuso. Voglio una città vivibile. Qui nessuno vuole andare a ballare il sabato sera, ma punta ad un tenore di vita semplice, per pagare le bollette ed eventualmente l’affitto di casa. Lei parla di un’ambizione alla normalità, eppure è stata da poco completata un’opera sovradimen-

sionata alle esigenze della città: l’Auditorium. L’Auditorium non è la nota dolente della città, il problema semmai è che siamo pochi. La struttura è molto bella, importante oserei dire e va sostenuta perché potrebbe diventare per noi un elemento di richiamo e, quindi, fattore di ricchezza culturale ed economica. Quante volte io sono andata nel capoluogo, a Campobasso, per un concerto di musica? Non mi hanno fermato 60 e passa chilometri e, pertanto, credo che l’Auditorium sia un’opportunità per i piccoli centri, a patto che noi riusciamo a creare un cartellone di richiamo, di qualità e di interesse. Non molti sanno che da Isernia partono continuamente i pullman per andare al San Carlo di Napoli, a Roma, ma nessuno dice che oggi è antieconomico muoversi e che, anzi, potremmo essere noi ad ospitare eventi di rilevanza nazionale. Dobbiamo stravolgere le nostre abitudini: il divertimento non sta più fuori, ma anche dentro la nostra cittadina. Penso alle tante associazioni animate da giovani capaci e volenterosi: se tutti insieme lavoriamo per la cultura, noi riusciremo a rivitalizzare Isernia che sta perendo per la crisi economica e non per la passata amministrazione. Se una volta i privati investivano in iniziative, oggi accade molto meno essendo i rischi di un flop finanziario molto alti. Restano i costi di gestione a carico dei contribuenti? Stiamo lavorando perché l’Auditorium si autofinanzi con i locali commerciali e ci riusciremo. Inoltre, puntiamo sul fotovoltaico, creando le condizioni per rendere la struttura autonoma dal punto di vista della spesa energetica e di riscaldamento e condizionamento. Mi facci aggiungere che sul

punto troppo spesso c’è stata guerra tra fazioni politiche e campanili. Cosa intende dire? Isernia non è più la città in sé. Ormai in molti avranno sentito parlare del piano strategico urbano integrato che afferma una logica diversa rispetto al vecchio centro: se la nostra economia va male, a Carpinone ne risentono immediatamente poiché molti ragazzi studiano nelle nostre scuole. Miranda, Sant’Agapito, Longano, Macchia, parliamo di un tessuto allargato per cui è necessario un raccordo che coinvolga anche le borgate, a partire dal trasporto urbano con piccoli automezzi, meno inquinanti possibile, anche elettrici. L’obiettivo è portare quante più persone possibile ad Isernia, nel cuore della città, per viverla, spendere denaro, assistere ad un concerto o fare una semplice passeggiata. Il marchio di fabbrica di Rosa Iorio e del centrodestra? Non aver espresso critiche, tantomeno feroci, nei confronti di nessuno. Non mi piace il termine avversari e allora dirò competitori. Bene, nei loro riguardi io sono stata sempre corretta, gli altri qualcosa su di me la dicono, ma io non accetto le provocazioni e non replicherò con le accuse a tante esternazioni non vere. Così facendo mi fermerei al passato, perdendo tempo invece di comunicare cosa la mia squadra può fare per Isernia. È un appello al voto. Perché no. Allora aggiungo di scegliere le persone che meglio vi rappresentano. Votate, perché disertare le urne non aggiusta nulla, lascia tutto com’è o peggio, al caso. Io credo molto alla democrazia e alla possibilità di cambiare le cose con il voto e con la tenacia. (afv)

Rosa Iorio è convinta di diventare sindaco di Isernia senza ricorrere al ballottaggio

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di Gennaro Ventresca

Personaggi molisani in bacheca

La croce di Colino Per decenni ha fatto il sacrestano in Cattedrale portando la croce ai funerali

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Colino: al secolo Nicola, Trieste e Trento De Santis (foto di Saverio Zarrelli)

ricordi come una candela che sempre più velocemente si consuma, non solo perché la materia grigia si impigrisce, ma perché ci piace dimenticare. E così anche nella nostra memoria si assottigliano le sagome di persone che hanno accompagnato i nostri anni, determinando gli accadimenti quotidiani. Era giocoforza “credere” un tempo. La Chiesa era aperta tutti i giorni, il portone veniva sprangato solo a sera tarda, l’obolo nelle cassette era quello “giusto”, bastava per pagare le bollette. Lo specchio quotidiano della nostra Chiesa non è stato rappresentato solo da preti di frontiera e da sacerdoti formidabili (Don Pasquale, Don Armando), ma da un omino, poco più alto di un soldo di cacio. Sto scrivendo di Colino, diminutivo di Nicola. In verità il “Colino” in questione aveva un nome che era tutto un programma, Nicola, Trieste e Trento De Santis. Campobassano doc come conferma il cognome, Colino ha vissuto con due sorelle, in via Cardarelli. Piccolo, svelto, con la parlata a mitraglietta, i capelli mandati all’indietro, aveva una camminata strana, trascinava i piedi, per questo è stato gioco forza farsi mettere i “ferretti” alle suole delle scarpe, in modo da consumare con parsimonia punte e tacchi. Colino non ha avuto mai un posto di lavoro, si è dedicato alla chiesa, intesa come Cattedrale, dove ha svolto il ruolo di sacrestano di complemento. Una delega piena l’aveva ricevuta per i funerali: toccava a lui portare la croce dietro il carro funebre (in quegli anni il corteo partiva dalla chiesa e attraversava l’intera città, per sciogliersi solo al

passaggio a livello di San Giovanni dei gelsi). Ed è stato proprio questo compito, assolto con uno zelo ostinato, a decretarne il ruolo di “personaggio”. Colino mostrava quasi un senso maniacale nel portare la croce, ogni tre passi alzava il capo per controllare che fosse sempre dritta. L’impugnatura restava ferrea, senza mai allentare la presa per l’intero tragitto. Non c’è stato funerale che non l’abbia avuto come protagonista. Era proprio questo rito ad offrirgli il piccolo reddito. Il parroco, quando veniva pagato dai familiari del defunto, provvedeva a offrirgli una modesta mancia. Per arrotondare Colino chiedeva la questua, dieci lire, questa la sua richiesta. Le monetine venivano disposte sul palmo della mano, spinte dall’alto con il pollice. Quando arrivava a cento lire si recava dal suo amico Renato Tirabasso, il corniciao di via Cardarelli, per farsele incartale in un piccolo bossolo, la “bomba”. Si racconta (fonte Tirabasso) che Colino fosse “dolce di sale”. Dopo essere stato a un funerale non percepì la paghetta dal sacerdote, i parenti del morto non avevano corrisposto le spettanze alla chiesa. Colino, senza perdersi d’animo, si recherò dagli eredi in lutto per richiedere il pagamento. Aggiungendo: “E la prossima volta non ci vengo proprio”. Oltre a Renato Tirabasso, Colino ha avuto un altro grande amico, Antonio D’Attellis, l’ottimo pittore che per decenni ha gravitato su via Cardarelli. L’artista lo ha preso in simpatia, anzi gli ha voluto veramente bene, il suo quadro più conosciuto (la processione dei Misteri) lo ritrae in primo piano tra la folla, mentre stringe la mano a Valentina, una bambina dolce della zona. La fede un tempo poggiava, prima ancora che sul Vangelo, su una trinità molto più terrena: un habitat sociale più semplice e adatto alla dottrina, fatto di fiducia, affidabilità e fedeltà. Che sono le basi di una Chiesa di massa che non può tornare. La gente ora è cambiata, vuole di ogni cosa le prove. E la fede per questo fatica a farsi largo: è una questione antropologica prima ancora che religiosa. I tempi di Colino sono lontani. Eppure è piacevole ricordarli. A me è risultato più facile grazie alla preziosa collaborazione di Saverio Zarrelli che mi ha fornito la fotografia di Colino. Peccato che non sia riuscito a trovarne una in “uniforme”, a capeggiare un funerale. Sarebbe stato il doveroso omaggio a un personaggio da cento carati.

I suoi amici sono stati Renato Tirabasso e Antonio D’Attellis

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di Daniela Martelli

Sembra svanito anche l’ultimo bene di rifugio

Crolla il mattone C

olpa dell’Imu (che ancora non paghiamo), degli aumenti su tutti i fronti, della scarsa liquidità e altro ancora: il mattone, inteso come immobile, ha avuto una caduta libera. Il mercato è fermo. Si sono allungati i tempi per concludere una trattativa. E, soprattutto, i prezzi si sono abbassati. Anche di un buon trenta per cento. Passi per gli immobili datati, per i quali i venditori si sono dovuti adattare, ma il nuovo, come mai il nuovo è crollato così vertiginosamente? Ricordate? A Campobasso in certi quartierini “in” si è venduto anche a 5 mila euri (plurale di euro) a metro quadrato. Acquistare quegli immobili non equiva-

leva a prosciugare i risparmi di una vita, ma anche a ostentare uno status symbol. Chi ha acquistato e abitato nelle case griffate dall’architetto di rango e realizzate dal costruttore rampante s’è sentito unto dal benessere. Di pari passo il mercato s’è dopato. Anche costruzioni fuori mano hanno assunto un valore esagerato. C’è stato un rincorrere da parte delle imprese a costruire senza pensare al peggio. A Campobasso, come se non bastassero i costruttori del luogo, sono giunti come rinforzi quelli della provincia di Isernia. Tutti a edificare mega condomini, belli, elegantemente rifiniti. Nessuno, stando a quel che è accaduto, ha previsto in che pasticcio si stesse cacciando. Così, all’improvviso, il mercato s’è bloccato. Gli immobili sono rimasti invenduti, gli appartamenti per fortuna camminano ancora, sono invece bloccate le vendite dei locali commerciali e per uffici.

C’è una legge economica comprensibile anche ai ragazzi delle scuole medie: aumentando l’offerta e ferma la domanda il prezzo cala. Così il prezzo un po’ al giorno è sceso. Sino a toccare livelli bassissimi. Fatta qualche debita eccezione, per vendere un immobile servono almeno sei mesi, ma spesso si arriva anche ad aspettare un anno. A rallentare le operazioni sono le banche che erogano con il contagocce i mutui, senza i quali non si riesce a fronteggiare l’acquisto. Non abbiamo elementi per scrivere in che percentuali siano circoscrivibili gli utili d’impresa, ma è certo che nonostante gli “sconti” ci saranno certamente. E’ impensabile che si possa vendere senza guadagno. Ne discende una domanda: ma quanto guadagnavano le imprese prima che il mercato si ingessasse?

I prezzi sono scesi anche del 30 per cento, diminuiti i mutui, i tempi di vendita superano anche i 6 mesi

Complicate le contrattazioni di appartamenti, pressoché ferme quelle di locali commerciali e per uffici.

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di Giuseppe Saluppo

Storia di guerra di un molisano

Mandatemi pane duro anche se nero

STORIA

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sono due mesi interi pieni che si vive isolati in una condizione che esaspera, che irrita. Sono due mesi che siamo privi della tanto attese e confortanti notizie della famiglia... C'è bisogno di tutto, di biancheria, di abiti, di pacchi di pane. E l'inverno è rigido. Che agiscano i deputati facciano sentire a chi di dovere la voce di figli, felinamente buttati come cenci sulla strada... Spedite pacchi, pacchi abbondanti di tutto ciò che si può... Il disgraziatissimo 1917 è moribondo. Speriamo che il ‘18 sia a tutti pace, felicità, lavoro. Così scriveva al padre, Ricciotti Montalbò, di Casalciprano, Sotto tenente del 1267° battaglione mitragliatori fatto prigioniero dagli austriaci e internato nel campo di prigionia di Schwarmstedt (Hannover). Le cartoline postali e le lettere conservate raccontano una delle pagine meno conosciute della prima guerra mondiale, quella dei prigionieri italiani. La loro è una storia tragica, storia fatta di fame, malattie e disperazione. Il passaggio, però, dallo stato di combattente a quello passivo di prigioniero era giudicato da Cadorna e dai vertici militari italiani un fatto negativo, se non addirittura una scelta voluta. Tanto che il Comando Supremo ed il Governo fecero mancare qualsiasi aiuto ai prigionieri. Per tutta la durata della guerra il Comando Supremo si preoccupò soprattutto di arginare il fenomeno della diserzione, demandando alla Croce Rossa ed a sodalizi privati qualsiasi iniziativa tesa a rendere meno penosa la cattività dei soldati. ...Caro papà, preparatemi subito un pacco di biancheria pesantissima, maglia, mutande, calze di lana per potermi cambiare. Sono quasi nudo...Mi abbonerete ai pacchi della croce rossa, ai massimi pacchi, scriveva Montalbò il 16 novembre 1917. Oltre al vilipendio, nei lager austriaci e germanici i soldati italiani patirono pene infinite: il clima rigido unito al vitto scarsissimo, l’impossibilità di ricevere con

costanza dalle famiglie alimenti e indumenti, rese possibile una percentuale elevatissima di mortalità. ...E' inutile dirvi che il pacco di viveri finì per incanto in un far di croce. Sono in uno stanzino della baracca in compagnia di altri dieci ufficiali dello stesso battaglione. I più intimi, sette in tutto, ci siamo uniti in famiglia fraterna che solo il dolore può creare. Pensate a quello che vi dico: speditemi quanti più pacchi potete anche di solo pane duro e nero che sia. Era il 3 marzo 1918. Il patrio governo, che pur sapeva le condizioni dei soldati prigionieri, non intervenne mai se non a loro danno: censurò la posta con criteri bizantini, ne limitò l’invio a sole cartoline, impose limitazioni infinite e difficoltà burocratiche d’ogni specie all’invio dei pacchi, vietò la spedizione di generi indiRicciotti Montalbò, di Casalciprano, spensabili, e per lungo tempo lesinò perfino i Sotto Tenente del 1267° battaglione mezzi di trasporto dei mitragliatori fatto prigioniero dagli pacchi stessi. austriaci e internato nel campo di ...Ieri ho ritirato un prigionia di Schwarmstedt pacco di pane da Bologna è giunto in penose condizioni. In ogni modo è stato sem- z'altro di rendere i doverosi onori alle pre il benvenuto...Io sto benino, ma nostalgiche tagliatelle di famiglia. ancora doloro le conseguenze delle Era il 14 luglio 1918. Abbiamo così febbri avute...Ieri mangiai delle voluto leggere quella storia, attrasplendide tagliatelle all'uovo prepa- verso qualche brano di lettera del rate dai miei compagni. A uno di que- Sotto tenente Montalbò, che ne fu sti erano arrivate cinque uova da protagonista, per rendere giustizia a Firenze e poichè avevamo ancora tanti ottimi soldati caduti senza della farina di grano si pensò sen- l’onore della memoria.


Lettere dal campo di internamento di Ricciotti Montalbò

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on vuole essere un messaggio riduttivo quello di qualificare il Molise come una regione per vecchi. Vuol dire che non si muore giovani. E non è poco. Significa anche che la malavita è ancora lontana, perchè la delinquenza organizzata non se la prende con quelli della terza e quarta età. Saverio Zarrelli, il fotografo che ci ha sostenuto con le sue magnifiche foto, ha puntato molto sulle facce rugose degli anziani, cogliendo alcune esemplari espressioni, sulle quali il lettore forse dovrà per qualche attimo riflettere. Donato con i suoi boccioni, in piazza San Leonardo a Campobasso, è l'emblema di una regione povera, ma ancora pulita. In cui c'è ancora chi espone le sue bocce, per farne che? Ancora non s'è capito. E poi quelle donne alla finestra, le altre sulle scale, i giocatori di carte e altri ancora a riposare sulla panchina. I vecchi esprimono sempre qualcosa, per questo abbiamo voluto, per una volta, metterli in evidenza.

Saverio Zarrelli

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Due donne alla finestra. Parlano con il chiacchiericcio tipico delle molisane. Sembrano vive, le loro espressioni sono formidabili. Da valutare con attenzione. Altre due donne parlano all’aperto, per le scale di uno dei tanti comuni molisani. Hanno cose importanti da raccontarsi. Sembra quasi vogliano spiegarsi anche con il fotografo. In basso volto di donna perduto nel vuoto.

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Siamo una regione per vecchi

Pensionati in panchina, in espressioni naturali: chi si sgranchisce, chi si appisola, chi si annoia.

Giocatori di carte all’interno di un circolo le cui pareti grondano attestati e foto incorniciate

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Ritratto di un professionista di spicco della nostra regione

Le sessanta candeline dell’avvocato Ha appena trionfato la sua tesi che afferma che al Nord si evade più che al Sud Foto: Luigi Calabrese

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venuto su tra libri e pallone, i grandi amori della sua vita. Oggi che ha spento 60 candeline avrebbe tanta roba fatturata nel comò da poter stendere un lusinghiero bilancio della sua vita. Ma si sa che i professionisti non sono pantofolai. Al contrario dei dipendenti a reddito fisso smazzano, perché i tempi sono duri anche per loro. Non l’ho mai lasciato, da quasi 40 anni. L’ho conosciuto a Molise Sport, di cui era direttore. Ho scritto per lui articoli sui lupi, De Petrillo, Capogna, Scorrano e via dicendo. Era poco più che un giovane di belle speranze che di lì a poco sarebbe diventato qualcuno. Franco Mancini di professione fa

l’avvocato, lo sanno un po’ tutti nel Molise. S’è scelto un filone un po’ ostico, quello delle finanze, per questo professionalmente la gente comune lo conosce un po’ meno. Fare il tributarista a Campobasso è stata una professione nuova. E Franco ha avuto coraggio e intuito. Sbancando presto il box office, specie per quel che attiene i Comuni, con i quali ha lavorato a lungo, riscuotendo non solo laute parcelle, ma anche ampi consensi. Ha difeso i comuni davanti alla corte di giustizia della Cee già nell’89, con al fianco il rettore Tesauro, mica gente da poco. I comuni molisani (un centinaio) non applicavano l’Iva ad alcuni servizi istituzionali. E fu proprio Mancini

a escogitare la strategia per spuntarla. Lo ritroviamo, sempre a livello comunale, docente dell’Ipsoa e relatore, sempre per conto dell’Ipsoa relatore in importanti convegni di respiro nazionale; eccolo collaboratore di Italia Oggi, sulle cui colonne ha trattato argomenti come quello sulla sanatoria fiscale degli enti locali. Sono diverse le pubblicazioni tecniche date alle stampe, tra cui spiccano “L’imposta del valore aggiunto e il Comune”, “Manuale Iva degli enti locali” e “Implicazioni fiscali e giuridiche del volontariato”. Negli anni 80 emerge per l’attento e rigoroso lavoro con gli enti


Franco Mancini ha sfondato nel campo tributario e ora è diventato un punto di riferimento per i ricorsi dei venditori di auto usate con il regime “carosello” il cui esito sta facendo giurisprudenza

locali, un filone ricco quanto affascinante. Foriero di soddisfazioni professionali e di gratifiche attraverso seminari e convegni. Recentemente ha fiutato un’altra pista che gli sta dando enormi ritorni, visto che sono pochi in Italia che l’hanno seguita. Si tratta di quella che tratta del Regime del margine e regime “carosello” per i venditori di auto usate, provenienti dall’estero. Le prime sentenze favorevoli ai rivenditori hanno fatto da apripista, creando una nuova giurisprudenza del settore. Il felice esito ha fatto da precedente a livello nazionale, tanto sotto la veste penale che tributaria. E’ stato anche consulente sul federalismo fiscale del vertice re-

gionale guidato da Iorio, in cui ha sempre sostenuto che al di là delle apparenze una valutazione più attenta e tecnica di certi fatti avrebbe potuto portare a un riconoscimento al valore del gettito fiscale apportato dagli abitanti del Mezzogiorno: percentualmente evadono più al Nord che al Sud. L’Iva pagata al Sud viene, in genere, trasferita al Nord (dove ci sono le maggiori aziende produttrici). Ed è lì che poi avvengono i maggiori maneggi aziendali, comprese le evasioni. Dal 1989 al ’96 è stato presidente della Banca Popolare del Molise, subentrando, con tanto di votazioni, a Francesco Colitto, un autentico monumento. Lascia in una

stagione difficile per le piccole banche: un disegno nazionale, attraverso una operazione di sistema dei colossi se le “mangia”. E’ avvenuto così anche alla Popolare del Molise che sotto la sua guida vendette il trenta per cento delle azioni al Credito Romagnolo, per 41 miliardi di lire. A sua volta -contro ogni aspettativa- ci fu un’OPA ostile da parte della Rolo Banca: la grande finanza ha sacrificato le piccole entità. Va anche ricordato, in questo lungo curriculum, anche la brillante esperienza vissuta a Campitello ove è stato presidente del Consorzio Campitello Matese che in quegli anni ha raggiunto i suoi picchi. (ge.ve.)

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di Gegè Cerulli

Il capoluogo reclama una migliore vivibilità anche attraverso il ripristino dell’ordine

I

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l tempo accomoda il passato. Così ognuno se lo agghinda come gli pare, facendolo apparire in genere più bello. Sono pochi quelli che dicono che si sta meglio oggi di allora, anche se nel profondo dell’anima non possono negarlo. Campobasso, ad esempio, ha portato non so sino a che punto meritoriamente, l’etichetta di “città giardino”. Pur avendo festeggiato molti compleanni non mi pare di ricordare questo straordinario rigoglio vegetativo di ville e giardini, né tengo a mente terrazzi e balconi fioriti per tutta la bella stagione. Certo, erano altri tempi, la città era certamente più ordinata, più sotto tutela, era inconcepibile che i giovani, nottetempo, andassero in strada a far baccano e in preda ai fumi dell’alcol procurassero danni a panchine e fioriere. A nessuno veniva neppure alla mente l’idea di acquistare una bomboletta di vernice per imbrattare le pareti appena rinfrescate dai condomini. Insomma, era un altro vivere. Sicuramente più potabile. Anche perché in giro c’era meno permissivismo. I vigili di allora, ad esempio, trovavano il tempo e il modo di interrompere con la loro tempestiva presenza le partite di pallone in strada, evitando soprattutto quelle che noi ragazzi avremmo voluto disputare sotto il Municipio, in villa. Al contrario di oggi, in cui ragazzi sudati lanciano con forza la palla da tutte le parti, incuranti di aiuole e persone. Un gruppo di monelli si sfida a pallone anche sul marciapiedi della Cattedrale, anche quando all’interno c’è la funzione religiosa. Nessuno li disturba, così il pallone vola da una parte all’altra, colpendo lampioni e

Ridateci la città giardino

quei poveri fiori che di tanto in tanto il Comune decide di mettere in quelle fioriere a forma di enormi ciotole. In giro c’erano più giardinieri, il Comune ne aveva molti in organico. Così era più facile tenere in buono stato le piante della Villa Comunale (De Capoa); godevano più salute anche le essenze di Villa dei Cannoni, Villetta Flora e Villa Municipio. Da qui forse l’etichetta di città giardino, anche perché i lecci del Corso e di Viale Elena ancora non erano aggrediti dai fumi di scarico delle auto. Erano poche le quattro ruote dei campobassani, poi si sono decuplicate e così anche le piante ne hanno risentito. Diventando rachitiche. Che si ricordi non c’è amministrazione pubblica che abbia mai emessa un’ordinanza per far sorridere i balconi con vasi di gerani, neanche limitatamente alla parte

“nobile” della città. Un po’ alla volta si è perduto il gusto del bello, mentre carte, volantini, buste di plastica e interi scatoloni si sono messi a svolazzare, rendendo tutto più brutto e arruffato. C’è poi il fenomeno dei muri dei palazzi presi letteralmente d’assalto dagli sporcaccioni i quali di notte si moltiplicano, andando a imbrattare con preferenza le pareti che profumano di intonaco fresco e di vernice. I cestini per la raccolta dei rifiuti oltre a essere pochi sono quasi tutti acciaccati. In tanti si divertono ad abbatterli, altri si superano infrangendo le vetrate delle poche fermate d’autobus, una volta venivano prese di mira le cabine telefoniche. Gli spartineve hanno fatto il resto, piegando i ferri delle bordure delle aiuole, demolendo più di un cordolo, mangiandosi con i denti decine di metri di marciapiedi. Rendendo uno spettacolo indecoroso. Al quale nessuno ha posto ancora fine. Dopo le abbondanti nevicate sarebbe stato lecito attendersi la mano di alcune squadre di operai pronti a rimettere ordine, per riparare i danni. Invece tutto s’è fermato. Così Campobasso resta piegata nella sua malinconia. Inutilmente alcuni comitati stanno lottando per vincere la battaglia delle poche isole pedonali. Il ricordo della città giardino appare sempre più lontano e sbiadito. Come ci appaiono lontani i tempi felici delle passeggiate per il Corso. Da studenti non si poteva uscire prima delle 7 di sera, il rischio di incontrare qualche professore era forte. Il giorno dopo potevi stare certo che sarebbe arrivata un’interrogazione. Anche questo solo nelle apparenze è un particolare da niente.


di Walter Cherubini

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on chiamateli “no tav del Molise”, perché – assicurano – non sono contrari al raddoppio della tratta ferroviaria tra Termoli e Lesina, un progetto antico che sta per realizzarsi. Gli aderenti al forum civico di Termoli stanno sostenendo la protesta contro l’accordo siglato da Antonio Di Pietro, all’epoca ministro delle infrastrutture e l’ex sindaco Greco, ribaltando quello precedente sancito tra Berlusconi e Di Giandomenico, che comprendeva un piano di risanamento acustico. L’associazione non è contraria al raddoppio della tratta ferroviaria ma chiede interventi efficaci per evitare l’eccessivo rumore determinato da treni in transito a velocità elevate. La Rfi ha assicurato adeguate barriere acustiche ma il forum civico vorrebbe la copertura dell’intera tratta urbana. Sogni, più che bisogni. Tutte le linee ferroviarie d’Italia, specialmente lungo la costa adriatica, attraversano le città, le spaccano in due per chilometri (si pensi a Pescara) senza adeguate protezioni acustiche. Termoli negli anni si è espansa verso l’interno, in direzione centrifuga rispetto alla costa, il tratto urbano è breve, il treno passa in fretta dal costone di Rio Vivo alla stazione sbucando poi in zona opposta dove a vibrare sono al massimo i vetri di qualche albergo.

Le barriere acustiche, inoltre, alzano solo il livello spaziale del rumore, spostandolo verso i piani superiori e le zone alte delle città. Le coperture degli scali ferroviari restano ovunque una chimera. Anche a Campobasso è stato approntato un piano per la copertura, con la nascita di un centro amministrativo e commerciale sopra i binari. Ottima idea sepolta nelle carte dell’ingegnere progettista. Le perplessità dei cittadini sono legittime, indipendentemente dalla valenza delle argomentazioni. Più che cavalcare una protesta destinata ad esaurirsi in fretta, l’amministrazione comunale meglio farebbe a cercare di riaprire una trattativa con Rfi per ottenere dall’importante opera, che sta tanto a cuore alla Puglia di Nicky Vendola, non solo adeguata tutela ambientale, ma anche un adeguato ritorno economico per la città, visto che il progetto prevede anche un mega parcheggio a due piani sotto l’asse viario di via Trieste ma che, in base all’accordo in essere, sarà la Rfi a gestire per i prossimi trent’anni. Il sindaco Di Brino ha tutte le ragioni e le opportunità per trasformare il raddoppio della tratta Termoli Lesina in un’occasione di sviluppo urbano, dimostrando quella lungimiranza amministrativa che, a quanto pare, ha fatto difetto al suo predecessore, forse abbagliato dal trompe l’oeil proposto da Di Pietro.

La nota La stazione ha bisogno di un restyling Termoli è un posto di mare ma sui binari tira sempre un vento gelido, con qualsiasi tempo. Si pensa a raddoppi di tratta e parcheggi ma non ad assicurare ristoro sulle banchine dei binari dal freddo pungente che spesso costringe i viaggiatori a rintanarsi lungo le scale dei sottopassi. Assolutamente da rinnovare i tabelloni degli arrivi e partenze, le vetuste ma eleganti pensiline in ferro andrebbero liberate dalla ruggine e restaurate. A volte persino gli orologi non sono sincronizzati. Piccole problematiche da risolvere, per offrire un servizio efficiente e un immagine migliore della più importante stazione del Molise.

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Si chiamano codici bianchi. E’ il termine con cui gli operatori sanitari del Pronto Soccorso individuano tutti quei pazienti che manifestano problemi di lieve urgenza. La limitata gravità delle loro condizioni li porta però ad affrontare lunghe attese, specialmente nelle fasce orarie e nei giorni di maggiori afflusso al Pronto Soccorso. Il Codice Bianco individua il paziente che non necessita del pronto soccorso e può rivolgersi al proprio medico curante.

AMBULATORIO CODICI BIANCHI Per dare loro una risposta più puntuale l’Asrem ha attivato, in via sperimentale, presso gli ospedali di Campobasso, Isernia, Termoli e Venafro l’ambulatorio dei codici bianchi, attiguo ai locali del Pronto Soccorso. L’ambulatorio dei codici bianchi è rivolto ai pazienti che accedono impropriamente al Pronto Soccorso in quanto la patologia non riveste alcun carattere d’urgenza e potrebbe essere affrontata a li-

vello territoriale (assistenza primaria o specialistica), cioè dal proprio Medico di Medicina Generale (MMG), dal Pediatra (PLS) o dagli specialisti che ricevono su appuntamento. L’infermiere di triage, dopo aver assegnato il codice bianco al paziente, lo invita a recarsi, nella fascia oraria definita, presso l’ambulatorio appositamente istituito. L’ambulatorio dei codici bianchi ha lo scopo di risolvere numerosi problemi del Pronto Soccorso quali: 1. problemi di spazio, ovvero evitare un sovraffollamento in sala d’attesa e nei corridoi interni; 2. problemi di tempo, soprattutto per quanto riguarda l’attività medica ambulatoriale di visita, la compilazione delle cartelle cliniche, le informazioni e spiegazioni a persone prive di patologie severe ed ai loro parenti; 3. spreco di risorse, professionali medico infermieristiche e specialistiche e di servizi, quali il Laboratorio di analisi e la Radiologia, che devono essere programmate sulle reali urgenze.

Durante il giorno: rivolgiti a loro con fiducia. E’ il medico di famiglia, infatti, che ti visita per primo, ti segue periodicamente, suggerisce come stare bene, ti indirizza verso gli specialisti: non rivolgerti a lui solo per le ricette! Verifica gli orari di ricevimento e informati se ha aderito al programma di disponibilità telefonica: così potrai contattarlo anche oltre gli orari di ricevimento.

L’Asrem ha attivato, in via sperimentale, presso gli ospedali di Campobasso, Isernia, Termoli e Venafro l’ambulatorio dei codici bianchi, attiguo ai locali del Pronto Soccorso. L’infermiere di triage, dopo aver assegnato il codice bianco al paziente, lo invita a recarsi, nella fascia oraria definita, presso l’ambulatorio appositamente istituito. E’ aperto dalle 8:00 alle 20:00.

CAMPOBASSO tel. 0874.409613 TERMOLI tel. 0875.7159472

ISERNIA tel. 0865.442529 VENAFRO tel. 0865.907860

Non si paga il Ticket per la visita. Durante la notte è il servizio di continuità assistenziale. E’ aperta dalle 20:00 alle 8:00, nei giorni prefestivi dalle 10:00 alle 20:00 e nei festivi tutto il giorno. Non si paga il Ticket per la visita

I più gravi passano prima indipendentemente dall’ordine di arrivo ROSSO

paziente in pericolo di vita, viene visitato immediatamente

GIALLO

paziente grave, viene visitato nel più breve tempo possibile

VERDE

paziente non grave, l’attesa può risultare molto lunga

BIANCO

Chiama il 118 e vai al Pronto Soccorso (PS) All’arrivo la gravità del tuo stato di salute viene valutata da un infermiere specializzato che ti assegna un codice-colore (triage).

il tuo stato di salute non è affatto grave e i tempi di attesa sono sicuramente lunghi e imprevedibili. Inoltre si paga il Ticket per la visita (25 euro) e il ticket per ogni altra prestazione specialistica o esame diagnostico. Conviene contattare il tuo medico/pediatra

o rivolgerti all’ambulatorio codici bianchi o alla guardia medica.


di Antonio Di Monaco

Molise antico, problema o risorsa? M

anutenzione, comunicazione e valorizzazione. I tre elementi non “ufficiali” del “Marketing mix” tanto caro agli aziendalisti, calzano a pennello sui monumenti di cui il Molise è ricco e che spesso restano fini a se stessi come un qualsiasi soprammobile. Il problema è senza dubbio più complesso e va affrontato per gradi, iniziando dal primo elemento di questo Marketing mix “adattato”. I monumenti hanno bisogno di manutenzione. È un concetto facile, al confine dell’ovvio: eppure fa fatica a prevalere, quasi si preferisca inconsapevolmente correre dopo e dietro all’emergenza e trovarsi di fronte allo straordinario, dopo aver saltato a piedi pari l’ordinario. Eppure questa fase, dovrebbe essere la prima preoccupazione di chi si pone il problema della tutela del patrimonio antico. In una fase delicata come questa, in anni complessi come gli attuali è indispensabile declinare continuamente la parola manutenzione. Si restaura un monumento? Se ne devono programmare gli interventi di manutenzione per gli anni a venire. Diversamente diventa quasi inutile il restauro. Viviamo agli inizi di un secolo, quello della comunicazione. Il lavoro sui monumenti deve essere raccontato, comunicato, condiviso dall’opinione pubblica. Deve essere fatto con chiarezza e semplicità, per non continuare a dare quel senso di distacco tra pubblico e specialisti. I musei, le aree archeologiche, tutte le testimonianze del mondo antico non possono essere più vissute come reliquie rese enigmatiche di una età dell’oro perduta definitivamente. Erano le quinte della vita quotidiana di ieri, lo devono essere anche oggi con tutte le tutele del caso, altrimenti l’antico sarà subìto e non vissuto. L’ultimo, ma non meno importante passaggio è la valorizzazione. Il bene culturale è di per sé patrimonio che esprime un valore, ha

Qualche settimana fa è stato presentato un libro sul Medioevo e la chiesa di Petrella: una Bibbia scolpita nella pietra che “parla” da otto secoli

anche un palcoscenico: anzi, il palcoscenico per eccellenza, unico al mondo. Manutenzione, comunicazione, valorizzazione: in queste aree vanno cercate le risposte da dare affrontando la politica dei beni culturali in Molise e non solo. Una testimonianza significativa in questo senso, seppur manchi la fase della valorizzazione, è la presentazione, qualche settimana fa a Roma, del volume “Medioevo in Molise. Il cantiere della chiesa di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina” (Gangemi Editore), scritto a otto mani dagli studiosi Walter Angelelli, Francesco Gandolfo, Manuela Gianandrea e Francesca Pomarici. Un incrocio di studi sulla chiesa di Petrella Tifernina che vanta otto secoli di vita, impreziosito dagli affascinanti scorci che l’antico tempio continua a regalare a turisti e residenti. Ma per passare alla fase della valorizzazione, il consigliere regionale Riccardo Tamburro (Adc) ha ricordato, a margine dell’evento, che “la Regione è al lavoro per realizzare l’itinerario del Medioevo”, un percorso tra i luoghi storici e artistici del Molise che si snoda tra Venafro e Termoli. Per non permettere che mentre il Molise odierno va avanti, si sbricioli il Molise antico.

valore. Per cui, ferma restando la sua tutela, il bene culturale non potrà essere visto ancora come un ramo secco, delicato e costoso. Dovrà essere fonte di reddito, non solo perché legato al turismo. È necessario immaginare il bene culturale come investimento: i musei dovranno essere organizzati sempre più come poli per attrarre e non per respingere: dalle comodità elementari (quanto è difficile sedersi oggi in un museo!) fino alla necessità di rendere questi spazi punti di aggregazione e di passatempo tra i secoli. Dai magazzini, la possibilità di prestare, pagando, opere a lungo termine. Dai monumenti e dalle aree storico archeologiche, l’idea di farne

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Quel giorno di Campobasso-Milan

SPORT

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ono passati 30 anni. E sembra ieri. Si giocava al Romagnoli, il nostro amato campo sportivo. Da pochi mesi avevamo conquistato la serie B, con un prepotente girone di ritorno, in netta contrapposizione all’andata che aveva evidenziato diverse sfasature dovute soprattutto alla inesperienza della nostra classe dirigente calcistica: Molinari, Frattura, Di Stefano. In quegli anni, i favolosi anno 80, la schedina del totocalcio era il sogno degli italiani. Nonché lo status symbol dei piccoli club che, a turno, domenicalmente, si ritrovano con le loro partite inserite tra quelle da pronosticare dagli scommettitori. Costava poche centinaia di lire la schedina minima. Quelle poche monete bastavano ad accendere la speranza degli italiani. Si vinceva con il 13, ma a volte anche il 12 era buono per accumulare un bel gruzzolo. Le partite della Serie A e della B si giocavano tutte insieme, di pomeriggio, seguendo l’andamento delle stagioni. Il massimo campionato era formato da 18 squadre, quindi erano 9 i pronostici legati ad esso; due gare venivano scelte tra quello cadetto e altrettante dalla C1, una per girone. L’Avellino era in A, così l’Ascoli; Milan e Lazio, invece, stavano scontando i loro errori (calcio scommesse) in Serie B. Così il destino ha voluto regalare al nostro club la gioia di poter ospitare il grande Milan, appena dopo qualche turno di campionato, iniziato con la trasferta di Roma, con la Lazio che per l’occasione rispolverò due figure scintillanti (Giordano e Manfredonia) che avevano finito di scontare la lunga squalifica. La partenza della nostra squadra fu prepotente, tale da alimentare i primi sogni di grandezza e di riempire oltre ogni attesa il campo sportivo, con la gente che andò a posizionarsi anche sui muri di recinzione, costipando terrazzi e balconi che affacciavano sul terreno di gioco. Lo spettacolo fu pittoresco, il Milan si sentì un po’ frastornato al Romagnoli, tra lamiere, spogliatoi umidi, una stanzetta di 10 metri quadrati che fungeva da sala stampa e una tribuna centrale troppo piccola per fare la sua bella figura

Quando la schedina rappresentava lo status symbol I rossoblù giocarono con il cuore, i rossoneri capitalizzarono la maggior classe nelle grandi occasioni. Pochi minuti prima dell’inizio della partita salirono in tribuna il presidente rossonero Giusy Farina e il suo “secondo”, l’immenso Gianni Rivera. Con affetto e rispetto provinciale tutto il pubblico di quel settore si alzò e si mise a battere loro le mani, con alto senso sportivo. Dopo alcune fiammate, tipiche della squadra più debole, i nostri dovettero cedere alla formazione rossonera che si impose con un gol di Damiani e un altro di Jordan, lo squalo, tornato in cronaca un paio di anni fa, per una litigata con Gattuso, alla fine di Milan- Thottenam di Champions.

Come si può notare dalla schedina N. 7, Campobasso-Milan fu inserita al decimo posto. Con immensa nostalgia ho rivisitato con la mente quella lunga giornata. Pur sconfitta la nostra squadra fece spellare le mani ai nostri tifosi che tornarono a casa comunque soddisfatti. Perché si può anche perdere con i più forti, come avvenne quel giorno. Resta comunque un gradito ricordo e la gratifica di essere stati inseriti in schedina, il top della gloria. Per gli scommettitori non fu difficile indicare con il segno 2 la vittoria del Milan, ma i nostri ragazzi, state pur certi, vendettero cara la loro pelle. (ge.ve.)


di Arnaldo Brunale

Campuascianeria

‘I’

Raccolta di battute

ché bella iurnata e qua ancora nisciune zé ‘mpicca! Durante la dominazione dei Borboni, quando ancora esisteva la pena di morte, la legge del tempo prevedeva che le esecuzioni capitali dovessero svolgersi solo nelle belle giornate di sole, sia per stimolare nel condannato il forte rimorso di dover lasciare il mondo in una bella giornata, sia per favorire sul luogo del lugubre cerimoniale il maggior afflusso possibile di persone che dovevano assistervi. Ciò, naturalmente, faceva la gioia dei commercianti e dei venditori ambulanti, che avevano più possibilità di vendere la loro merce. Se la giornata era nuvolosa, l’esecuzione veniva spostata alla prima giornata di sereno. Nella trasposizione attuale, è solito pronunziare questa battuta colui che, essendo uscito ben presto di mattina, nella speranza di assistere ad un accadimento straordinario, constata la solita routine quotidiana che vive la città. Iésce sole, iésce! Fino a qualche decennio fa, non era infrequente sentire questa invocazione in strada, fatta da qualcuno che, evidentemente stanco delle sventure patite, chiedeva un raggio di sole anche per se. Si vuole che la battuta sia stata coniata da un tale Bellamaronna, originale personaggio della vecchia Campobasso, che la pronunziò per la prima volta, con tono piuttosto risentito, quando vide il sole fare capolino fra le nuvole dopo un lungo e rigido inverno. La Maronna sa chi tè le récchìne! Il vecchio aneddoto racconta degli orecchini trafugati alla Madonna in una chiesa della città. Il sacerdote proferì questa famosa frase durante l’omelia domenicale con intento provocatorio, dopo che aveva tentato inutilmente di scoprire l’autore del misfatto fra i suoi parrocchiani. Morale: La verità di ogni azione è a conoscenza solo di chi la compie. Lassama sta’ u munne pé’ come zé tróva! La persona intelligente mostra tutta la sua sagacia quando sorvola su argomenti che potrebbero far degenerare in lite una discussione animata. In effetti, questa battuta si ricollega ad un aneddoto realmente accaduto. Una sera un gruppo di amici si ritrovò in un’osteria per giocare la passatella, che, come è noto, è un gioco con le carte in cui viene messa in palio una bevuta di vino ad ogni mano espletata. Dopo alcune ore, la maggior parte di essi, chi più chi meno, risultava alticcia, tanto è vero che alcuni tra i meno sobri avevano iniziato a fare discorsi sconclusionati. L’argomento che più fece discutere fu quello del sistema solare e della rotazione dei pianeti at-

torno al sole. Il più addentro alla materia, che poi era quello che aveva intavolato il discorso, per farsi meglio comprendere era ricorso all’ausilio del fiasco di vino che, nell’immaginario, rappresentava il sole, e dei bicchieri pieni di vino dei suoi amici che erano i satelliti. Nel momento in cui si passò alla dimostrazione pratica della rotazione dei satelliti attorno al sole, egli prese il bicchiere dell’amico più vicino e lo avvicinò a se facendogli compiere un piccolo movimento rotatorio. Il gesto fu così rapido che il proprietario del bicchiere, credendo che egli volesse sottrargli la bevuta, glielo tolse dalle mani pronunziando questa battuta ad effetto che provocò la risata generale di tutta la compagnia. Mé pāre u ciucce ‘é Réchizze! Così si definiscono tutte quelle persone che per il troppo lavoro dimenticano perfino di mangiare finendo con l’ammalarsi, così come accadde all’asino di Richizzo, vecchio venditore di ceramiche nella Campobasso degli anni ’40, che, oltre alla grande mole di lavoro a cui era sottoposto quotidianamente dal suo padrone, si ammalò fino alla morte, perché non gli veniva dato da mangiare a sufficienza. Si dice anche: Mé pāre la ciuccia ‘é Paglione! Ogne iuōrne è taluōrne! Ogni giorno è sempre uguale a quello precedente. Anche: Ogni giorno è quello buono. L’economia del discorso determina la giusta applicazione della battuta. Questo modo di dire, in effetti, risulterebbe più complesso, in quanto è stato ripreso “ad usum vitae”, dal Precetto igienico che vigeva anticamente nella Scuola Salernitana “In die perniciosum, in hebdomade utile, in mense necessarium=Una volta al giorno è pericoloso, una volta alla settimana utile, una volta al mese necessario”. Si dice anche: ‘Na vóta all’anne nén porta ranne, ‘na vóta au mese nén porta spese, ‘na vóta au iuōrne è taluōrne! Ognune z’arrangia c’ l’ógna sò! Ognuno si arrangia con le sue unghie! Si fa quello che si può pur di riuscire nella vita. Darsi da fare sempre, purché lo si faccia in modo leale, anche se ogni tanto c’è da ricorrere a qualche piccolo espediente per spuntarla sulla vita. Questo modo di dire si riallaccia alla famosa storiella del leone ferito che fu aiutato da un asino a superare un pendio molto ripido. Il leone, per meglio restare aggrappato alla sua soma durante l’ascesa, gli conficcò le unghie sul dorso, provocando alla povera bestia un forte dolore. Quando, poi, toccò al leone di ricambiare il favore all’asino nell’affrontare la successiva discesa, quest’ultimo, preso da

un raptus sessuale, approfittò della situazione favorevole con tutte le conseguenze imbarazzanti del caso. Alle rimostranze del leone, l’asino ebbe a rispondere con questa battuta. Si dice anche: Zompa chi po’! Ricette u ‘rìlle! Paia ca si r’Agnone! Questo è un detto molto diffuso a Campobasso. Ad un primo approccio, esso potrebbe apparire irriverente nei confronti degli abitanti della simpaticissima cittadina dell’Alto Molise. In effetti, non è così. Infatti, questo invito fu rivolto dalla guardia pontificia ad un soldato di Agnone che, trovandosi a Roma per svolgere il servizio militare, aveva deciso di visitare la Città del Vaticano. In quel tempo, si parla del diciottesimo secolo, per accedervi, si doveva attraversare il ponte Vittorio pagando un modesto pedaggio. I soli Romani avevano libero accesso alla Città Santa, però, dovevano pronunziare la frase: So’ de Roma!, esibendo un documento di riconoscimento ai militi preposti alla custodia del varco. Il povero soldato di Agnone, non avendo né i soldi per pagare il pedaggio, né un documento da esibire al presidio preposto al controllo, provò a fingersi romano nella speranza di farla franca. Sfortuna volle che fra i soldati di guardia al ponte ci fosse un suo compaesano che lo riconobbe e lo bloccò intimandogli di pagare il dovuto con la famosa frase: Paia ca si r’Agnone! Questo aneddoto, per certi versi ma con sfumature diverse, si ricollega ad una storia vera, quella del cardinale portoghese Pedro Hermano che, salito al soglio pontificio nel 1277 con il nome di Giovanni XXI, organizzò una grande festa presso il Vaticano, a cui potevano partecipare gratuitamente solo i suoi connazionali, dichiarando la loro nazionalità ai piantoni preposti all’ingresso della Città Santa, mentre tutti gli altri avrebbero dovuto pagare una tassa di accesso. Naturalmente, ci furono molti romani che, pur di partecipare gratuitamente ai festeggiamenti, riuscirono ad introdursi abusivamente in Vaticano, facendosi passare per lusitani. Da questo piccolo stratagemma è stato coniato il termine portoghesismo, cioè l’abitudine di introdursi furtivamente in un locale, senza pagare il biglietto di ingresso. Va detto che il papato di Giovanni XXI è stato uno dei più brevi, essendo durato solo sei mesi. Infatti, egli morì, insieme al suo seguito, il giorno in cui andò ad inaugurare il duomo di Viterbo. Durante la cerimonia, la volta della chiesa crollò inopinatamente seppellendo sotto le macerie tutti i presenti. L’unico papa portoghese ora riposa nel duomo di Viterbo.

(continua)

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Il

Mix di D’Artagnan di Stella Bedoia

Il Tar salva le Guardie Mediche Sentenza dirimente del collegio calabrese

I

piani di rientro sanitario prevedono tagli al servizio di Guardia Medica. In Molise il numero dei medici dovrebbe scendere da 150 a 90. La normativa prevede, infatti, che vi sia un medico di servizio ogni 3500 abitanti, in regione quindi dovrebbero operare 90 medici di guardia. L’interpretazione è tuttavia superficiale e non congrua. Il vizio sta nel fatto che si identifica il medico in servizio con il presidio di Guardia Medica, organizzato invece sulla turnazione di più medici. Calcolando il rapporto ottimale in modo superficiale, si arriverebbe al

Piazza Dante

Rivoluzione epocale

La piazza che non c’è

Tv, a maggio arriva il digitale

L’imponderabile

A

rriva di soppiatto, solo e sconsolato, vagando con l’aria annoiata sullo spiazzo virtuale dove è facile incontrare gente fuori dal comune. Tonino Molinari allarga la bocca in un sorriso sarcastico, rompe gli indugi e attacca: “Molti anni fa volevo regalare un Palazzetto dello Sport alla mia città ma i politici non lo hanno voluto. Qualche anno dopo avevo trovato un finanziamento per costruire un grande parcheggio sotterraneo in pieno centro e mi hanno subito bloccato. Oggi vorrei pubblicare un libro per raccontare la vera storia del Molise, con fatti e misfatti, ma non riesco a trovare un editore e neanche uno scrittore che raccolga i miei racconti. Ho sempre pensato che questa è una terra di miserabili, ma non credevo si arrivasse a tanto”. (An.Ca.)

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paradosso che a Campobasso, dato il bacino di utenza di sessanta mila abitanti, dovrebbero essere in servizio quindici medici e non come avviene oggi, due per turno (dieci in totale). Uno stravolgimento concettuale che snaturerebbe la Guardia Medica, trasformandola in presidio urbano, svilendone l’essenza di baluardo sanitario diffuso sul territorio. Alla palese stortura interpretativa, ha posto rimedio il Tar della Calabria. Pronunciandosi contro la soppressione di cinque sedi, il Tar ha chiarito che il servizio di continuità assistenziale (ex guardia medica) è

organizzato con una turnazione di un medico ogni dodici ore. La proporzione con gli abitanti non può essere letta pertanto in rapporto al numero dei medici - si legge nella sentenza- ma alla postazione nella sua unicità. Una diversa interpretazione svilirebbe l’obiettivo della efficienza e della capillarità nella continuità, in quanto finirebbe per considerare operativi, ma in modo fittizio per i residenti, tutti i medici, ignorando il dato della turnazione. Secondo il Collegio calabrese per la medicina generale la postazione si identifica con il singolo medico di base, per la continuità assistenziale essa invece si identifica con il Presidio.

Si temono effetti negativi sulle piccole emittenti locali

S

ta passando in sordina perché siamo ormai abituati alle magnificenze tecnologiche nelle comunicazioni. Il prossimo spin-off, il passaggio della tv al sistema digitale, con abbandono dello storico analogico, è tuttavia un evento epocale. Dal 7 al 23 maggio le frequenze televisive passeranno sulle piattaforme digitali con aumento vertiginoso dell’offerta televisiva. Molte emittenti hanno occupato canali sperando di ripetere quanto accaduto all’inizio dell’avventura televisiva libera, a metà degli anni ’80 del 900. Nel Molise, l’intuizione di occupare canali liberi per rivenderli poi ai grandi network, fruttò molto a chi la pose in essere. Oggi il contesto è cambiato, i canali disponibili sono tanti grazie alla tecnologia digitale, il governo inoltre stabilendo un’asta per aggiudicarsi le frequenze e forse un canone di utilizzo ha penalizzato le emittenti locali, specie in Molise. Esperti locali del settore, temono che la rivoluzione digitale “spenga” di fatto le piccole tv, l’aumento di costi, infatti, non si accompagnerà ad una crescita delle entrate, data la crisi generale che frena la disponibilità delle istituzioni mentre la pubblicità commerciale già adesso garantisce scarsi introiti. Walker


Lettera a me stesso

di

Gennaro Ventresca

Quando a scuola volavano gli shiaffoni C

Anche allora i genitori erano attenti che non si esagerasse. Come è accaduto a mia sorella Gabriella che per qualche giorno decise di non andare a scuola perché la maestra le tirava le trecce. Senza darla a vedere usciva di casa e si andava a infilare a casa di una famiglia che se la tenne per qualche mattina, prima di informare i miei genitori. Mio padre Nicola, senza alzare i toni, si recò dal direttore e chiese di farle cambiare sezione. Finì lì, da quel momento mia sorella ha avuto una vita scolastica serena e quella maestra, ripresa dal dirigente, si rimise in riga. Senza le denunce, le telecamere e il tintinnio delle manette. Oramai così familiari anche tra i banchi di scuola, dove si moltiplicano le doglianze dei genitori, per presunti torti subiti dai loro rampolli. I bambini non si picchiano, ma mi sembra che noi che le abbiamo prese dai nostri maestri non siamo venuti su poi così male. La maestra ci ispirava fiducia e confidenza ed era con i genitori una guida. Incontro spesso la mia maestra, ogni tanto mi fermo a salutarla. E a scusarmi ancora

per certe marachelle. Lei è stata sempre dolce e comprensiva. Come quella di mio figlio che ogni volta che lo incontra ancora se lo stringe e se lo bacia. Ogni bel voto equivaleva a una medaglia, i quaderni si tenevano ben conservati in soffitta, qualcuno ce l’ho ancora in uno scaffale del mio studio; ogni rampogna una piccola ferita al nostro orgoglio. Alle medie, altra scuola di formazione, certi professori potevamo anche maledirli, ma li rispettavamo, perché grati di insegnarci cose che non conoscevamo e che senza di loro mai avremmo saputo. Ci preparavano alla vita, a modo loro, ma ci preparavano. Il nostro dovere, qualunque dovere, ben fatto è una religione. Farlo bene corrobora il nostro carattere, lo rende più combattivo. A tutti i giovani raccomando di aprire i libri con religione, senza guardarli superficialmente, perché in essi è racchiuso il coraggio dei nostri padri. Quelli come me guardano avanti, anche se il cuore rimane sempre indietro.

Una scolaresca degli anni ‘50, abituata ad essere educata dai maestri che usavano gli schiaffoni, ma nè studenti nè famiglie protestavano

AT T U A L I T A’

arissimo, ho una immensa nostalgia del passato. Una nostalgia che con il tempo si fa sempre più struggente. Un po’ perché il tempo agghinda il passato; un po’ perché quel passato era sicuramente più succoso del presente e preparava al futuro. Tante cose cambiano, perché cambia il mondo e con il mondo, cambiamo noi; chi in meglio chi in peggio. Restano i principi, restano le regole, restano i capisaldi del sapere. Ai miei tempi, alle elementari, le bacchettate sulle mani e gli scappellotti erano all’ordine del giorno e nessuno di noi osava dire ai genitori di aver preso una scapaccione perché, come minimo, gliene arrivava un altro. Altri tempi, altro tipo di educazione. I genitori erano convinti che qualche sberla quando si è piccoli e particolarmente disubbidienti, non ha mai fatto male a nessuno. Forse mi sbaglio e mi sbaglio anche nel vedere in certi genitori un atteggiamento iperprotezionistico che cerca di tenere i figli sempre lontani dalla realtà della vita.

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L’arte di

Antonio Tamburro Ritratto di uno degli artisti più apprezzati del Molise che ha sfondato soprattutto con il ciclismo

Q

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uesto servizio vuole dare una immagine completa e chiara dell’attività di un artista molisano che, stranamente, è più conosciuto in campo nazionale e internazione che a casa sua. Stiamo scrivendo di Antonio Tamburro, isernino di 63 anni, di cui hanno parlato e scritto in molti, ma soprattutto su cui parlano i fatti. La sua arte pittorica è alta. I suoi successi espositivi vasti e qualoùitativamente eccelsi. In questo scritto non faremo nulla per aggiungere inchiostro a quello dei grandi critici che hanno recensito la fertile produzione del pittore pentro. Qui proveremo a stratificare la sua produzione, in modo da far capire al lettore di chi stiamo scrivendo. Tamburro ha lavorato da sempre con intensità e veemenza, pensando più a fra quadri che parole. La sostanza del suo fare emerge nello

scorrere la sua lunga biografia che in qualche modo dovrebbe fare un po’ arrossire gli addetti ai lavori della nostra regione che lo hanno, in qualche frangente, colpevolmente trascurato. Sarà stato che Tamburro, dopo aver studiato a Napoli, ha preso altre strade. Scegliendo Perugia per trascorrere un quarto di secolo della sua vita. Nella colta città umbra l’artista nostrano ha presentato alcune mostre di spessore he hanno riscosso un rilevante successo, anche a livello commerciale. Non è il caso di perdersi in preamboli. Veniamo subito al nocciolo che dalla nostra tradizione si è sviluppata in tradazioni lontane. La sua produzione è feconda, e spazia in svariati campi. Per trovare la sponda giusta nella Gazzetta dello Sport che gli commissiona la realizzazione del

loto della Maglia Rosa, simbolo del novantesimo Giro d’Italia. A maggio del 2008 l’Ente Editoriale della Guardia di Finanza gli commissiona la realizzazione delle opere che serviranno per l’illustrazione del Calendario Storico della Guardia per l’anno 2009. Uno dei suoi momenti più luminosi è avvenuto nel 2008 in cui ha realizzato il manifesto per i Campionati del mondo su strada di ciclismo di Varese che gli offre l’occasione per presentare una personale dedicata al ciclismo. “I ciclismo e i suoi protagonisti”. Restando allo sport lo troviamo anche a Pescara in occasione dei Giochi del Mediterraneo. Le sue opere dedicate al ciclismo vengono esposte nella sede della Casa Italia, quartier generale degli azzurri del Coni. Tra le penne nobili che hanno scritto di Antonio Tamburro è appena


Il pittore isernino ha realizzato il manifesto per i mondiali di ciclismo su strada di Varese (2008)

La Gazzetta dello Sport gli ha commissionato il logo per la Maglia Rosa del 90° Giro d’Italia La Guardia di Finanza i disegni per il Calendario del Corpo il caso di ricordare ciò che ha tratteggiato Alberto Sughi, scomparso da pochi giorni. Il quale ha spiegato: “La tua pittura, rifuggendo da ogni definizione di tendenza, spesso gioca d’azzardo e vince in nome della libertà dell’arte”. Egli afferma che la pittura “è più forte di me. Mi costringe a dipingere quello che vuole lei”. Mentre la critica più competente lo colloca tra i pittori “post moderni”. Da rimarcare un editoriale pubblicato da Giorgio Mondadori, di cui Urbano Cairo era alla presidenza; il testo è stato curate da un “grande” quale Gabriele Simongini, l’intervista è di Barbara Tamburro. Imperdibile il catalogo della sua mostra sul ciclismo, con un breve quanto prezioso intervento di presentazione di Gianfranco Josti. (d.m.)

Ha vissuto a Perugia e ha frequentato studi pittorici come quelli di Remo Brindisi e Alberto Sughi

Antonio Tamburro nel suo studio isernino

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di Alberto Tagliaferri

Gli anatemi di Padre Giancarlo sul sociale L’

orgia di melassa, accompagnata da rulli di tamburi non ci è mai andata giù. Tutti santi, tutti eroi, tutti padri o nonni della retta via. Tutto maiuscolo, tutto superlativo, magnifico e commuovente sino alle lacrime. Di padre Giancarlo, come ama essere chiamato, si sentono e leggono solo servizi elogiativi. Il vescovo di qua, il vescovo di là. Qualcuno si è persino spinto a immaginarselo Papa, il nostro vescovo. Saltando addirittura la promozione a Cardinale.

In queste righe non abbiamo alcuna intenzione di fare le unghie a monsignor Bregantini, appena definito da qualcuno, su scala nazionale, il vescovo sindacalista. E’ solo il caso di accostare questa definizione a ciò che Bregantini ha detto a proposito della riforma dell’articolo 18, affermando che l’uomo non va trattato come una merce. Lo stesso vescovo, nella serata di Pasqua, si è unito ai sindacalisti molisani che, davanti alla Cattedrale, hanno tenuto una conferenza stampa per tratteggiare il momento difficile che stiamo attraversando sul piano del lavoro. Sembra finito il tempo in cui la chiesa di occupava di anime e basta. Ora pensa anche al sociale, interessandosi del lavoro che è la principale fonte di reddito, senza il quale è difficile vivere una vita serena e quindi sana. Eppure la Chiesa ne avrebbe di cose a cui pensare: crollano i battesimi, i molisani che dichiarano di aderire ai principi cattolici sono meno del 50 per cento, diminuiscono i matrimoni cattolici, i luoghi di culto sono tristemente vuoti. Ma c’è altro a cui dedicarsi. Il breve discorso del vescovo davanti alle carceri di Campobasso, in occasione della processione del venerdi santo, è stato un graffio profondo ai suoi censori. Il prelato si è soffermato su tre punti: il carcere, le cui porte, per una qualsiasi ragione, possono spalancarsi per ognuno di noi; gli ammalati che soffrono; il lavoro, vero dramma di questa società. E ha poi ricordato che in giovedì di passione è andato nelle carceri a lavare i piedi ai carcerati. Mostrando un profondo gesto di umiltà e d’amore. Bregantini da quando ha lasciato la locride, accompagnato nel giorno del suo insediamento molisano da una folta schiera di fedeli provenienti dalla Calabria che lo hanno salutato con rimpianto, ha lasciato le sue orme. S’è capito subito che non fosse un vescovo qualsiasi. Già il suo aspetto formale (barbetta sale e pepe ben curata) ne ha fatto una persona speciale. Ben lontana dai colleghi che l’hanno preceduto, troppo chiusi e formali. Certo, non a tutti va giù di ritrovarsi un vescovo sempre in prima linea pronto a discutere di tutto, per questo lo critica. A nessuno però è venuto in mente di pensare che padre Giancarlo non sia uno straordinario trascinatore (ricordate il corteo pro-Cattolica?). Forse ai potenti non piace quest’uomo che non se ne sta con le mani ai fianchi e che non perde occasione per farsi trovare pronto a combattere battaglie sociali, incontrando in questo modo il consenso della maggioranza dei cittadini, anche di quelli che non frequentano le sacrestia.

Padre Giancarlo Bregantini sempre al centro del sociale

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di Domenico Fratianni

ultimo libro di Luciana Catalani, “Le Alghe Rosse”, porta con se, di riflesso, anche un soffio di Molise, essendo l’autrice andata in sposa con il regista Giovanni Fago, la cui madre era nata a Sant’Elena Sannita, ridente paese patria dei profumieri d’Italia. Un libro che segna un percorso di scrittura di grande qualità e compiutezza stilistica; gli altri due volumi portavano il titolo “Aurora”, una raccolta di racconti del 2003 e “Il Nido nella sabbia” del 2007, sempre a cura delle Edizioni Robin. Luciana Catalani che scrive con una tecnica quasi cinematografica e teatrale, racconta la storia di Ada, valente archeologa di successo che, dalla sua villa in riva al lago, riflette sulla sua vita passata tra segreti e allucinazioni di cui soltanto il lago era stato spettatore segreto e costante. A riportarla al passato in cui Ada aveva vissuto sempre in prima linea nelle sue lotte politiche degli anni settanta, pensano i suoi vecchi compagni di un tempo, con i quali aveva vissuto i sogni utopici della rivoluzione e della Comune, nella stessa casa, con gli stessi ideali volti tutti contro la società, la famiglia e le istituzioni. Torna, così, a destarsi di nuovo la sua coscienza con l’inevitabile ribellione al suo attuale immobilismo. Il libro manifesta subito, oltre al già accennato apparentamento con il clima teatrale e delle fiction televisive, anche una parentela stretta con altre due arti, la danza e la pittura. E ho letto con trasporto proprio con la lente della deformazione professionale, da pittore, trovando in esso oltre ad un grande equilibrio ed una sapiente struttura architettonica d’insieme, una forte

energia positiva che sapeva incanalare i moti dell’animo dei suoi personaggi, in maniera struggente e mai statica. Voglio dire che tutto, ambiente, situazioni e personaggi venivano a trovarsi e a vivere dentro un movimento continuo, purificatore, tanto che la mia lettura era portata a considerare un altro rapporto stretto che la scrittura della Catalani mi suggeriva, la pittura. Da pittore, quindi vedevo l’autrice sdoppiarsi, diventando pittrice dal respiro etico con una sua particolare tavolozza ricca di ge-

neroso impasto. La vedevo, insomma, tutta tesa alla realizzazione di immagini significative e definitive oscillanti, tra brillii di luce, in un rapporto vitale con le sue creature e la natura circostante. Una ricerca della luce intesa più che in maniera impressionistica (come nei fondali di Monet) che tendeva a declinare, in sintonia con i moti dell’animo dei suoi personaggi, in schegge espressionistiche, imparentandola spesso con note che richiamavano alla mente un certo Surrealismo, con riferimenti sia a Freud che a Marx che, con l’autrice, venivano a giocare una partita di vitale importanza. E il suo “lago” (chissà perché mi veniva in mente anche una certa pittura di Munch) a fare da fondale misterioso, in cui la nota dominante rimaneva quel rosso inquietante, come le sue alghe, a simboleggiare tutti i dolori del mondo. E con l’occhio del pittore non potevo non considerare un’altra nota di primaria importanza come la freschezza della sua scrittura che reggeva sempre, fino in fondo, con la stessa forza iniziale. Un bel volo, quello della Catalani che dopo i suoi primi due volumi (che per certi versi hanno fatto da prologo alla sua ultima ricerca), conferma compiutamente il suo stato di grazia. E trovo anche molto bella e significativa la sua ultima citazione del quarto stato di Pellizza da Volpedo, nella quale la spinta politico/sociale, veniva a fondersi con un grande sentimento poetico di fondo.

ARTE & CULTURA

L’

Il rosso dominante nella scrittura di Luciana Catalani

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di Walter Cherubini

Molise 2020, cronache dal futuro RUBRICHETTA

25 gennaio 2020

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Isola pedonale, ecco il referendum I commercianti del centro di Campobasso hanno indetto un referendum per la chiusura dell’intera zona al traffico, con introduzione di autobus elettrici. La decisione, arriva dopo otto anni di sperimentazione relativa alla riapertura del corso e di piazza prefettura. I dati statistici, hanno evidenziato che è cresciuto in modo esponenziale il traffico automobilistico ma non il volume di affari degli esercenti. Quanto ai parcheggi in centro, specialmente lungo piazza Prefettura, molti cittadini. Se ne servono abitualmente per le lunghe soste, vanificando il privilegio per i commercianti del posto.

30 maggio 2020 Il Guerriero Sannita torna a destra Dopo la rottura con Cristiano Di Pietro, Giovanni Muccio per le prossime regionali ha proposto un alleanza alle formazioni di destra. No comment di Mancini e Mauro, il senatore Di Giacomo ha osservato invece che raramente due debolezze messe insieme fanno una forza.

24 Ottobre 2020 Zuccherificio, no di Romano a Capone Appare scontata la cessione di una forte quota azionaria all’impresa Ca-

pone, conosciuta per la gestione del Campobasso calcio. A rappresentarla nel CdA dello zuccherificio sarà Gaudiano Capone. Il nuovo socio, secondo indiscrezioni, proporrà di affidare la direzione tecnica a Molino, mentre Todino dovrebbe occuparsi del personale. Anna Favi curerà le relazioni industriali. Pronta la reazione del consigliere dell’opposizione Massimo Romano, contrario

alla soluzione, che ha annunciato la pubblicazione di un dossier sull’impresa di Montella.

16 dicembre 2020 Luminarie natalizie, è polemica Minacciano la serrata i commercianti del capoluogo, dopo la decisione del Comune di non contribuire in nessun modo agli ad-

dobbi ed alle luminarie che rallegrano il periodo natalizio. L’assessore Colagiovanni, a nome della Giunta Municipale ha risposto a muso duro alle proteste delle varie associazioni di categoria, dichiarando che ormai sulla questione il capoluogo è diventato un caso unico in Italia, dopo che anche ad Isernia e Termoli i commercianti hanno deciso di provvedere in proprio.

La foto curiosa

Il parchimetro è qui! Una macchinetta distributrice dei biglietti, su corso Fratelli Brigida a Termoli, era nascosta da auto e impalcature. Qualcuno ha pensato bene di piegare il segnale verso il dispositivo per meglio indicarne la posizione.


Zibaldone Il paradosso a realtà supera spesso la fantasia. In Molise ci sono 291 dipendenti regionali ogni 1000 abitanti, mentre in Lombardia ne bastano 34. Non serve un grande “chef” per scodellare un’altra chicca che consente di spiegare in che pasticcio ci siamo ficcati. A pagarne le conseguenze sono i nostri giovani che, al contrario dei loro genitori, si dibattono in lunghi studi universitari, specializzazioni e master all’estero per trovare lo straccio di un posto che il più delle volte parte da una retribuzione di 1000 euro al mese.

L

In Lombardia ci sono 34 dipendenti ogni 100.000 abitanti, nel Molise 291 Mentre i giovani boccheggiano e vivacchiano alla meno peggio c’è una lunga lista di nomi che tiene alta la spesa pubblica. Per farsene un’idea è appena il caso di ricordare che mentre ti aspetti che i potenti si abbassino gli stipendi ti accorgi che con un artificio se li aumentino; ti aspetteresti l’eliminazione delle pensioni d’oro, macchè: le salvano; vorresti consolarti con la notizia della diminuzione dei costi

I senza Polpetta er tutti era Polpetta, o se volete, Pulp. Logicamente aveva un nome Piero Ioffredi, morto improvvisamente a 43 anni, negli anni più fecondi della sua vita. Campobasso perde un personaggio straordinario per fisico, simpatia, contatto con la gente, specie quella Piero Ioffredi al secolo Polpetta abituata a consumare sino in fondo la notte. Edoardo Falcione Polpetta con una idea geniale, una decina d’anni fa, ha aperto una birreria in via Porta Napoli che è diventata un polo di attrazione dei giovani. Non c’è stato campobassano che non si sia bevuto un calice di birra da Polpetta, non solo i giovani. Il suo locale era anche un covo di interisti, ma ci si trovavano a loro agio anche gli juventini, che avevano sempre materiale per ingaggiare diverbi su scudetti taroccati. E’ rinomato l’amore di Polpetta per i colori rossoblù, per anni ha seguito i lupi in casa e in trasferta e, dicono quelli della Nord, nessuno più di lui si faceva sentire in curva. Con un santino particolare (fascia di sindaco al petto) si è presentato alle ultime elezioni comunali, riscuotendo più simpatia che voti. Polpetta era tutto questo e altro. Soprattutto è stato un amato figlio della città uscito di scena troppo presto.

P

di Eugenio Percossi

del Palazzo: li fanno crescere; allora provi a pensare all’eliminazione delle Province: niente da fare, servono; eliminare gli sprechi? Macchè, li raddoppiano; far pagare gli evasori? Macchè: pagano sempre gli stessi. Si fa tutto con il denaro pubblico e nella maggior parte dei casi a stigmatizzare questo vezzo giovanile e senile sono proprio quelli che si nutrono con i soldi che arrivano dal Pa-

lazzo, attraverso finanziamenti esagerati, a volte completamente inutili. Questi vizi fanno della nostra regione una terra disastrate che non riesce a creare più prospettive giovanili. Nella maggior parte dei casi i giovani riescono ad andare avanti grazie all’aiuto dei genitori e addirittura dei nonni. Senza questi sostegni farebbero veramente fatica ad andare avanti e mai penserebbero di mettere su famiglia.

Iscrizioni: Alberghiero a gonfie vele, bene anche l’Industriale sindacati mordono i polpacci dei politici, ma intanto gli studenti diminuiscono e, per caduta, le classi si assottigliano. I dirigenti scolastici, chi più chi meno, si danno da fare per tenere al meglio il pennone del comando. Ma i numeri, a volte, sono impietosi. Prendete l’Istituto Tecnico per Geometri di Campobasso. Ci sono state stagioni che aveva sezioni che arrivavano sino alla F, ora, almeno relativamente ai nuovi iscritti che andranno tra i banchi dal prossimo settembre, sembra che ci si fermi alla lettera A. Il glorioso istituto che una volta si chiamava Leopoldo Pilla e condivideva il palazzo dei ragionieri in via Veneto, sta vivendo una brutta stagione. Anche perché la scuola segue un po’ i suoi trend. Come la moda. A decretare il momento difficile dell’istituto che da diversi anni, in onore di un illustre matematico, si chiama Pittarelli, è stata forse la crisi che sta attanagliando il settore edilizio e dei lavori pubblici. Se il Tecnico per Geometri scende sta invece salendo vertiginosamente l’Istituto Professionale per il Turismo e alberghiero che a Termoli è riuscito a intercettare ben 231 iscritti, un numero veramente rilevante. Rinforzato, per la verità, dalla mobilità attiva degli studenti della Puglia e dello stesso Abruzzo. Tuttavia 231 iscritti alla prima classe sono veramente tanti. Un bel balzello è riuscito a compierlo anche l’Istituto Tecnico Industriale “Marconi” di Campobasso capace di formare ben 8 prime. Cosa che non era mai accaduto neanche negli anni fulgidi, in cui la popolazione scolastica regionale era più numerosa ovunque. I licei mantengono le loro posizioni, così l’Itas Pertini che sia pur a fatica dovrebbe ripresentare la stessa forza dell’anno in corso. Standard anche la posizione degli altri istituti professionali che soffrono la crisi del terziario: i giovani benché ci sia sempre meno richiesta di lavoro intellettuale preferiscono scegliere altre vie, anziché quelle delle professioni.

I

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La nuova iniziativa editoriale che trasforma il lettore nel protagonista della notizia

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anche informazioni di pubblica utilità saranno accessibili ovunque attraverso un’interfaccia molto intuitiva. Ogni elemento può essere condiviso sui principali Social Network, inviato per

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