IL PRIMO - MAGGIO 2012

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Mensile a tiratura regionale Anno 8 - n. 5 maggio 2012 20.000 copie - Distribuzione con La Gazzetta


s o mmari o In questo numero

Rubriche La voce del padrone di Ignazio Annunziata

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Appello al sindaco Di Bartolomeo

Piazza salotto di Adalberto Cufari

pag. 5

Camera con vista di Antonio Campa

pag. 7

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Il Tar ordina: si torni al voto

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Solo spine per Rosa

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Il maggio nero di Iorio

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Padre Lino lancia l'allarme droga

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Bandiera blu ma turisti pochi

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Marco Viti un arbitro per la A

Il Cerino di Pasquale Licursi

pag. 10

Campuascianeria di Arnaldo Brunale

Allegato

pag. 31

cci u n e t n Mirco A A col Toro torna in

Registrazione al Tribunale di Campobasso n°5/05 del 05/03/2005 DIRETTORE EDITORIALE

Gennaro Ventresca DIRETTORE RESPONSABILE

Franco Boccia BLOB DI A. PICCIRILLO SEDE LEGALE Via Veneto, 113 80054 Gragnano (NA) Tel. 0874.318092 - Fax 0874.413631 E-mail: Redazione

redazione@lagazzettadelmolise.it E-mail: Amministrazione-PubblicitĂ

commerciale@lagazzettadelmolise.it

27 Il lascito di Miche le Praita no

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STAMPA: Castellammare di Stabia Progetto grafico

Maria Assunta Tullo

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di Gennaro Ventresca

L’Oscar del mese a Tonino Rosari

A ognuno la sua parte on l’ho mai scritto con tanta convinzione come adesso, nella speranza che dopo tanta negatività, nelle settimane e nei mesi successivi qualcosa di positivo dovrà pur accadere per quanti hanno perso il lavoro o disperatamente ne cercano uno nuovo. Il problema è che il precariato professionale ne genera uno sentimentale, e quindi una vita precaria. Mi chiedo: come farà il piccolo e povero Molise a tirarsi fuori da un impiccio così grosso? Le stime degli economisti non promettono nulla di buono, si pensa che non basti una generazione per venire fuori da questa crisi stringente. I numeri sui quali riflettere sono sconcertanti. E non mi riferisco al Pil reale procapite che è sceso di quasi cinque punti percentuali nei due anni duri della recessione di origine finanziaria, il 2008-2009. Di altri numeri voglio scrivere, ma sempre di numeri si tratta. Numeri che però, per una volta, esulano dall’economia e che tengono conto della reale situazione della nostra regione. Su 136 comuni ce ne sono in Molise qualcosa come 125 che non superano i 5.000 abitanti, di cui 64 scendono addirittura sotto i mille abitanti; appena 11 sono quelli che superano le 5.000 anime e che configurano la nostra regione come un territorio per vecchi. In cui poter vivere con il basso sussidio della pensione, perché i pensionati si sa hanno poche pretese, per questo spendono poco. E nella maggior parte dei casi riescono a fare anche un modesto risparmio, per sostenere figli e soprattutto nipoti. Questi ultimi non avendo un reddito proprio senza quel piccolo sostegno vivrebbero un’esistenza ancora più difficile. La nostra terra sino alla scorsa generazione era da considerare un’isola felice. Proprio quello che poteva essere visto dall’esterno come un fattore limitante era invece una delle sue più grandi risorse. Nei piccoli comuni la vita costa meno. Dal pane all’artigiano, ogni cosa è più a portata di mano e di portafogli. Per questo anche chi aveva deciso di trasferirsi in città ha deciso di fare un passo indietro, prendendo in considerazione di restarsene in paese. Il pane nei nostri piccoli comuni costa ancora 2 euro al chilo, cinquanta centesimi in meno dei supermercati; il muratore si accontenta della “giornata”, così il meccanico, l’idraulico. I capelli si fanno ancora con 6 euro, e la passata di barba ne costa 3; le donne tengono in ordine i loro capelli pagando shampoo e piega la modesta cifra di 10 euro. Insomma, si può vivere. Ma sino a quando sarà possibile tirare avanti con questo ritmo? Nel Molise abbiamo avvertito solo lievemente la crisi industriale, potendo in genere giovarci dello stipendio che arriva dall’ente pubblico, la scuola, la sanità, la regione, le amministrazioni locali, le banche e via discorrendo. Nella maggior parte delle case entrano due paghe fisse che tengono al sicuro dal pericolo della recessione e della disoccupazione. Ora però quei posti che sembravano infiniti si sono assottigliati, sino a esaurirsi del tutto. Per questo tutto è diventato più complicato. Prendete i cassintegrati: stanno andando avanti con ciò che passa loro lo stato e la regione. Ma da qui a poco anche quei ristori sono destinati a venir meno e la realtà è destinata a presentare un pesante conto. Vedo una brutta stagione per le nuove leve, come comprovano le facce dei loro genitori, e dei rispettivi nonni che appaiono rugose come mattoni, non solo per lo scorrere del tempo, ma per i pensieri che si moltiplicano.

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Il Tapiro del mese a Felice Di Donato

on nasconde il dissapore per la sentenza del Tar il consigliere regionale Felice Di Donato, il quale vede la ripetizione del voto come il fumo negli occhi. Unico eletto nella lista di Alernativ@, il dottore dai capelli color rame, ma che si è prontamente smarcato da Ruta non seguendolo nel PD, è rimasto senza un vero partito. Nel frattempo si sta guardando intorno, in modo da trovre una giusta collocazione. Tutto questo però lo ha giustamente attapirato. Molto meglio se le cose fossero rimaste come prima.

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L’EDITORIALE

roprio in coincidenza con i tagli che arrivano da Roma, ove hanno stabilito di ridimensionare i comitati provinciali, Tonino Rosari, Presidente del Coni di Campobasso, ha lanciato un lusinghiero messaggio attraverso lo svolgimento dei Giochi della Gioventù, a cui hanno partecipato centinaia di giovani delle scuole medie della provincia campobassana. Dando vita a una festa sportiva meravigliosa che ci ha riportato indietro negli anni, in cui lo sport aveva un gusto più genuino e saporito.

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di Ignazio Annunziata

La voce del padrone

Appello al sindaco Di Bartolomeo L’

erba alta assedia le scarse aiuole che ci sono in città. I bambini e i loro genitori in Villa dei Cannoni (dietro il Municipio) affondano i piedi sui prati irregolari e non tagliati o lungo sentieri in alcuni tratti coperti da vetri e pezzi di ceramica. Le panchine sono in rovina, un cestino dei rifiuti è talmente arrugginito che può rappresentare un’insidia per chi si avvicina a gettare le carte. La fontana non c’è più, e sul basamento della scultura bronzea di Gino Marotta sono incollati manifesti che annunciano le serate nei pub e nelle discoteche. Questo è il manifesto di Campobasso dei giorni nostri. Sono venuto subito al sodo per riferire lo stato di degrado

del capoluogo che, a dire di Gino Di Bartolomeo nella sua fruttuosa campagna elettorale, avrebbe dovuto cambiare passo. Così non è stato, perché la città non solo è rimasta ai livelli bassi di Di Fabio, ma qualora fosse possibile, è andata addirittura più giù. “Colpa dei soldi”, va ripetendo dal suo ingresso nel Palazzo il sindaco. Il quale certamente avrà le sue ragioni, anche se alla maggior parte dei campobassani pare che abbia da un pezzo superata la misura con le sue stucchevoli doglianze. Prendete i cordoli dei marciapiedi, le protezioni metalliche delle aiuole e gli spartitraffico: sono in uno stato

Fondaco della Farina: uno dei più belli angoli della città intasato di auto

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di abbandono che mette tristezza. Sono il triste retaggio dello sgombro neve che è stato effettuato in tutta fretta, per liberare le strade e i marciapiedi dall’immenso manto nevoso. Anche se da manovratori esperti ci saremmo aspettato qualcosa di meglio. Ci vorrebbero veramente pochi soldi per ridare decoro alla città; in via Umberto, angolo via Mazzini, è riverso a terra da mesi un secchiello di metallo che è stato abbattuto dallo spartineve; nessuno si è neppure perorato di portarlo a rifiuto, lasciandolo sfacciatamente sul marciapiedi. C’è una cosa che crea rabbia: la gente neppure più protesta, tanto si sente impotente. In altre occasioni si sarebbe inviperita, oggi no, accetta passivamente tutto. Un discorso a parte lo meritano i volantini e i cartoni ammassati senza legacci a tutte le ore, nei posti più disparati. Mi piacerebbe sapere se per caso sia stata elevata qualche contravvenzione agli sporcaccioni della città. La mia curiosità mi spinge a chiedermi se per caso qualche verbale sia stato elevato a certi scostumati proprietari di cani che portano a spasso per la città i loro animali, dimenticando di pulire i loro escrementi. Amo gli animali, ma detesto quei signori (e signore) che assurgendo a rango di “amici degli animali” mostrano di non aver il minimo rispetto per la città e i cittadini. Ritengo che il mancato controllo non sia legato alla carenza economica, le leggi ci sono e andrebbero rispettate, con rigore. Per questo invito il sindaco a essere più attento alla sua città, che sostiene di amare più di se stesso.


di Adalberto Cufari

Piazza salotto

Le Province in crisi d’identità L

a Costituzione assegna alle Province competenza sulla scuola, sulla viabilità, sulla formazione professionale, l’ambiente, il turismo, la caccia e pesca, e un ruolo di coordinamento territoriale. Questo sulla carta. Nei fatti, di tutte queste competenze possono fare, e fanno, ben poco. Tanto è vero che molte Province per darsi un tono e per tentare soluzioni di finanza autonoma, si sono date alle partecipazioni societarie: chi, come Pavia, Como e Lecco (nella Milano-Serravalle, rimettendoci le penne); Imperia e Savona (nell’Autostrade dei Fiori) e Lucca (nella Ligure-Toscana); o chi, come la Provincia di Roma, nel trasporto aereo (Aeroporti di Roma). La Provincia di Campobasso s’era data al turismo e al commercio partecipando al capitale sociale della Campitello Matese Spa e al (defunto) Ente Fiera. Poca cosa. Un leggero palliativo contro il dolore dell’inattività. L’una e l’altra scelta poi fatte cadere nel vuoto, con un piccolo appesantimento finanziario. Insomma, un’esperienza negativa, perfettamente coerente con l’incapacità, tutta molisana, di creare e incentivare iniziative. Campitello Matese arranca nella faticosa speranza di uscire dal pantano delle località “che potrebbero, ma non possono”; l’Ente Fiera s’è liquefatto alla prime polemiche e incomprensioni tra la Regione Molise (che ha fatto finta di credere allo sviluppo mercatale)

e il Comune di Campobasso, che avrebbe voluto la leader-ship dell’Ente nonostante Palazzo san Giorgio sia una realtà senza storia alle spalle, senza prospettiva davanti, e con un senso del presente del tutto privo di consistenza. Il dato di fondo del problema delle Province è racchiuso nella ormai stanca e stancante polemica tra chi le giudica necessarie e chi inutili. E mentre si discute e si polemizza, le Province sono aumentate di numero (5 nel 2005 in Sardegna e altre 7 - Aversa, Avezzano, Bassano del Grappa, Melfi, Sibari, Sulmona e Venezia orientale ancora in lizza). Anche il Molise ha covato l’idea di una terza Amministrazione Provinciale con sede a Termoli. Idea balzana, pur sempre affacciata e, per di più, anche discussa. Come dire: al peggio non c’è limite. Dunque, quale futuro per questi Enti territoriali? Il problema rimarrà aperto fintanto, come abbiamo accennato, non sarà affrontato in maniera seria e responsabile l’argomento relativo al loro potenziamento attraverso il trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni, o toglierle di mezzo. Fintano alle funzioni fin qui trasferite non saranno associate le risorse finanziarie e il personale, discutere del ruolo delle Province sarà sempre una pantomima istituzionale priva di significato. E’ accaduto per il servizio di collocamento; accade per la Formazione Professionale e per gli atri compiti assegnati in materia

ambientale. Trasferimenti che non hanno presa sul terreno delle concretezza. Volgarmente si dice che senza soldi non si cantano messe. Senza soldi, le Province non celebrano alcunché. Eppure - secondo il parere del presidente dell’Unione delle Province Italiane “Le Province sono istituzioni deputate al governo dello sviluppo. Quel ch’è certo, però, è che così come sono messe non ce la fanno ad andare avanti”. Ci tornano alla mente anche le parole del responsabile (allora) degli Enti Locali della Margherita, Beppe Fioroni: “Le Regioni devono completare la devoluzione e accanto alle funzioni devono trasferire anche risorse e personale e, soprattutto, le deleghe sull’urbanistica. Un Comune non può aspettare quattro anni per vedersi approvato il Piano regolatore dalla Regione. La Provincia potrebbe farlo in due mesi”. E tra un parere e l’altro; tra un augurio e l’altro; una promessa e l’altra, intanto, non si cava il ragno dal buco. Per cui si torna all’origine: le Province servono o non servono? Servono nella misura in cui sarebbero destinatarie del riordino delle competenze degli Enti locali non come duplicazione di ruoli, ma capacità di coordinamento e di pianificazione, lasciando alle Regioni il compito legislativo e agli enti locali quello gestionale. Non servono, invece, nel momento in cui si decide di non decidere, lasciandole nel limbo della indeterminatezza.

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di Giuseppe Saluppo

Campobasso come caricatura di città C

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ampobasso? Una città asfittica,bloccata da problemi irrisolti, quasi in attesa di, improbabili, salvifici, avvenimenti esterni; in preda ad una generale assenza di elaborazione e direzione politica, un Consiglio Comunale impegnato in dispute astratte e demagogiche, una guida amministrativa, schiacciata dal quotidiano, incerta e contraddittoria, un Governo cittadino, parolaio, colpevole di tante, troppe, promesse mancate ed una opposizione, a volte compromissoria altre velleitaria, non in grado di proporsi come alternativa concreta e credibile. Diciamocelo con franchezza e sia pure nella formula che la concisione di questa analisi impone: la città appare sempre più caricatura di città.

Quella che aveva una propria forte identità, che aveva il segno distintivo in un ricordo, oggi è solo un residuo del passato, ha smesso di pensarsi. Lo stupore che suscita nel visitatore (sempre più mordi e fuggi, sempre più all-inclusiv, sempre più ignorante) sta proprio in questo suo essere vestigia fossile, scrigno di bellezze, sì ma di bellezze passate, non luoghi. La fotografia della città dei Monforte? Basta uscire dalla cinta muraria, lo scenario è desolante. Ci sono due uniche direttrici dello sviluppo urbano. O il sogno svizzero di alcune periferie quasi prive di luoghi di commercio e socializzazione o l’inurbamento informe di uno spontaneismo incontrollato e inespressivo su cui domina l’estetica del brutto. Questa crescita senza identità è dipesa in gran parte da strumenti urbanistici inesistenti, da interessi economici e di potere ma soprattutto giustificata dalla

previsione, rivelatasi errata, che il futuro sarebbe dovuto essere quello della città diffusa, senza più anima, senza più centro e una tendenza. Così come lo era stato nel passato. Una città ideale, sia pure tendenzialmente ideale, non perchè fondata sulla perfezione dei suoi rapporti ma perchè capace di esprimere, appunto degli ideali, plasmata da una cultura “politica” nel senso più pieno e originario del termine. Quindi, in fondo, è l’assenza di politica che determina lo sviluppo informe del territorio e l’impoverimento di stimoli e funzioni vitali. Da tempo, però, la politica a palazzo San Giorgio ha smesso di essere vitale perchè non più capace di guardare al domani attraverso il rispetto del costruito e, soprattutto, di quello che ancora resta da fare. L’appello che va fatto è dunque di tornare ad affrontare il cuore del problema, il significato che alla città deve darsi per far sì che questa esista.


di Antonio Campa

Camera con vista

Corpus Domini, occasione di cambiamento F

inirà tutto a birra e salcicce, con fumo sgradevole ad ammorbare le strade. La sagra del Corpus Domini del 2012 non sarà diversa dagli anni scorsi, ad eccezione per lo spettacolo serale, che negli ultimi anni ha visto esibirsi in piazza fior di cantanti. Stavolta, vista la crisi e il lutto regionale, se tutto va bene arriveranno i Nomadi, più volte ospiti delle feste molisane, anche nelle campagne del Feudo e sempre amatissimi. L’alternativa scherzosa, è vedere sul palco Sindaco e consiglieri cantare. Ai tempi di Litterio, che in gioventù si dilettava nell’arte, forse l’esperimento avrebbe avuto successo, complice anche uno show man come Michele Libertucci. Una serata senza grossi nomi ci riporta al passato, quando nelle feste di piazza si esibivano sedicenti artisti che locandine generose pompavano definendoli noti cantanti “della Rai Tv”. Oggi le televisioni sono più di cento, i canali di musica abbondano, poi c’è internet con you tube, dove puoi deliziarti con filmati musicali di qualsiasi genere e di ogni tempo, si può ascoltare persino Reginella del Molise in varie versioni. Al Sindaco del mio buen ritiro estivo, l’anno scorso ho suggerito di non spendere soldi per le orchestrine in occasione della festa di ferragosto, ma di montare un impianto stereo con le playlist dei migliori cantanti del mondo, risparmiando anche il costo del palco. Ha seguito il consiglio e la piazza s’è riempita di giovani, protagonisti di uno spettacolo spontaneo, memorabile per quel piccolo borgo. Il capoluogo di regione è altra cosa, non è pensabile agire come in un paese dell’hinterland dove tanti anni fa Claudio Villa fu pagato a cambiali perché il comitato feste non aveva raccolto abbastanza fondi da soddisfare il cachet del reuccio, oppure come in un altro borgo dove un cantante estemporaneo arrivò da Roma in motocicletta. La festa del Corpus Domini si fonda sul duplice tema dei Misteri al mattino e della processione del Santissimo Sacramento nel tardo pomeriggio. La sera, regredisce a fiera anonima come ce ne sono tante, tra ambulanti che offrono sempre la stessa merce, africani che stendono e raccolgono sveltissimi i ninnoli a ogni passaggio di vigili e poliziotti, in un gioco delle parti

tra il farsesco e il patetico. Poi ci sono gli arrosti misti, la porchetta e per gli amatori persino la scapece di Vasto, oltre al “musso” che ormai é pietanza ordinaria in città. Specialità che si accompagnano volentieri a fiumi di birra, come avviene in qualsiasi posto d’Italia, tanto chi beve poi non guida, sa va sans dire. In tempo di crisi servono idee e un indirizzo che coniughi le esigenze della sagra con il suo corredo paesanotto (una volta l’anno non guasta) e la necessità di qualificare la ricorrenza sotto l’aspetto religioso ma anche sul piano culturale, con giuste attenzioni per la tradizione tipica e peculiare della città, i Misteri. Molinari, nemico giurato della sagra, al culmine della sua popolarità propose di dare risalto all’arte del Di Zinno, alla capacità di grande artiere dimostrata grazie ai suoi ingegni di ferro battuto, all’apparenza esili ma in grado di sostenere molti corpi a peso morto da oltre due secoli. I percorsi possibili sono tanti, senza rischi di scadere nella pacchianeria. Ciò conforta sul successo del Corpus Domini anche quest’anno, con o senza cantanti della Rai Tv. Un'altra riflessione si collega alla divertita provocazione lanciata da Di Bartolomeo sullo spettacolo animato dai consiglieri comunali. Il repertorio del Fuciliere non potrebbe che essere quello della canzone popolare, assai poco tutelata nel capoluogo. Il Corpus Domini rappresenta l’occasione per rilanciare e approfondire, pur nelle forme del divertimento, le tematiche della canzone campuasciana. Luoghi, tempi, atmosfere, ricordi che valgono bene una serata amena sotto le stelle, tra un boccone, una chiacchiera, una strusciata di corso e un saluto galante, sperando che non piova.

La crisi e le traversie politiche fanno immaginare una festa in tono minore, con la paventata rinuncia al cantante di grido per la serata. Potrebbe essere invece l’occasione per rilanciare altre forme di spettacolo e divertimento, con più attenzione alla cultura tradizionale del capoluogo.

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Si chiamano codici bianchi. E’ il termine con cui gli operatori sanitari del Pronto Soccorso individuano tutti quei pazienti che manifestano problemi di lieve urgenza. La limitata gravità delle loro condizioni li porta però ad affrontare lunghe attese, specialmente nelle fasce orarie e nei giorni di maggiori afflusso al Pronto Soccorso. Il Codice Bianco individua il paziente che non necessita del pronto soccorso e può rivolgersi al proprio medico curante.

AMBULATORIO CODICI BIANCHI Per dare loro una risposta più puntuale l’Asrem ha attivato, in via sperimentale, presso gli ospedali di Campobasso, Isernia, Termoli e Venafro l’ambulatorio dei codici bianchi, attiguo ai locali del Pronto Soccorso. L’ambulatorio dei codici bianchi è rivolto ai pazienti che accedono impropriamente al Pronto Soccorso in quanto la patologia non riveste alcun carattere d’urgenza e potrebbe essere affrontata a li-

vello territoriale (assistenza primaria o specialistica), cioè dal proprio Medico di Medicina Generale (MMG), dal Pediatra (PLS) o dagli specialisti che ricevono su appuntamento. L’infermiere di triage, dopo aver assegnato il codice bianco al paziente, lo invita a recarsi, nella fascia oraria definita, presso l’ambulatorio appositamente istituito. L’ambulatorio dei codici bianchi ha lo scopo di risolvere numerosi problemi del Pronto Soccorso quali: 1. problemi di spazio, ovvero evitare un sovraffollamento in sala d’attesa e nei corridoi interni; 2. problemi di tempo, soprattutto per quanto riguarda l’attività medica ambulatoriale di visita, la compilazione delle cartelle cliniche, le informazioni e spiegazioni a persone prive di patologie severe ed ai loro parenti; 3. spreco di risorse, professionali medico infermieristiche e specialistiche e di servizi, quali il Laboratorio di analisi e la Radiologia, che devono essere programmate sulle reali urgenze.

Durante il giorno: rivolgiti a loro con fiducia. E’ il medico di famiglia, infatti, che ti visita per primo, ti segue periodicamente, suggerisce come stare bene, ti indirizza verso gli specialisti: non rivolgerti a lui solo per le ricette! Verifica gli orari di ricevimento e informati se ha aderito al programma di disponibilità telefonica: così potrai contattarlo anche oltre gli orari di ricevimento.

L’Asrem ha attivato, in via sperimentale, presso gli ospedali di Campobasso, Isernia, Termoli e Venafro l’ambulatorio dei codici bianchi, attiguo ai locali del Pronto Soccorso. L’infermiere di triage, dopo aver assegnato il codice bianco al paziente, lo invita a recarsi, nella fascia oraria definita, presso l’ambulatorio appositamente istituito. E’ aperto dalle 8:00 alle 20:00.

CAMPOBASSO tel. 0874.409613 TERMOLI tel. 0875.7159472

ISERNIA tel. 0865.442529 VENAFRO tel. 0865.907860

Non si paga il Ticket per la visita. Durante la notte è il servizio di continuità assistenziale. E’ aperta dalle 20:00 alle 8:00, nei giorni prefestivi dalle 10:00 alle 20:00 e nei festivi tutto il giorno. Non si paga il Ticket per la visita

I più gravi passano prima indipendentemente dall’ordine di arrivo ROSSO

paziente in pericolo di vita, viene visitato immediatamente

GIALLO

paziente grave, viene visitato nel più breve tempo possibile

VERDE

paziente non grave, l’attesa può risultare molto lunga

BIANCO

Chiama il 118 e vai al Pronto Soccorso (PS) All’arrivo la gravità del tuo stato di salute viene valutata da un infermiere specializzato che ti assegna un codice-colore (triage).

il tuo stato di salute non è affatto grave e i tempi di attesa sono sicuramente lunghi e imprevedibili. Inoltre si paga il Ticket per la visita (25 euro) e il ticket per ogni altra prestazione specialistica o esame diagnostico. Conviene contattare il tuo medico/pediatra

o rivolgerti all’ambulatorio codici bianchi o alla guardia medica.


di Aldo Fabio Venditto

L’anomalia recidiva del Molise A

nomalia recidiva. Per la seconda volta nella storia repubblicana le elezioni regionali molisane vengono invalidate a causa di gravi vizi nelle firme a corredo delle liste e delle candidature. Errori ingiustificabili che gettano ombre sinistre sulla capacità organizzativa dei partiti e sulla credibilità di taluni soggetti, inciampati in una procedura niente affatto farraginosa, di gestire con cognizione di causa la res publica. Dopo il ribaltone del 2001, quando Michele Iorio sgambettò Giovanni Di Stasi eccependo circa la documentazione delle liste dei Comunisti italiani e dei Verdi, stavolta è il governatore a subire il giudizio del Tribunale amministrativo regionale, danneggiato dalla faciloneria dei funzionari di Progetto Molise, Alleanza di centro, Unione di centro e Grande sud. Che dire, poi, dell’ammissione in deroga e della successiva estromissione del candidato Nicola Eugenio Romagnuolo, la cui segnatura in calce alla candidatura non sarebbe stata autenticata? A tal proposito, la Camera di consiglio presieduta da Goffredo Zaccardi ha disposto l’annullamento dei verbali elettorali delle sezioni di Campobasso e di Isernia, comprensivi delle tabelle di scrutinio e delle eventuali, successive, correzione dei dati elettorali dei singoli seggi, sottoscritti dagli uffici centrali circoscrizionali di Campobasso e di Isernia. Così facendo, di fatto, rende nulla la proclamazione degli eletti dell’11 novembre scorso, costringendoci a tornare alle urne. La faccenda suggerisce una duplice interpretazione. Politicamente, il centrodestra ha vinto: è questo il dato incontrovertibile, matematico, pur alla luce dell’esiguo distacco tra le due coalizioni. Tuttavia il successo è chiazzato dall’alone di una irregolarità. Il 17 ottobre è apparsa una macchia, un’ombra oggi palesemente stampata sulla radiografia giudiziaria del copro elettorale molisano che, sarà pure un’entità collettiva, ma

necessità di chiarezza, certezze, salubrità amministrativa. Onde evitare dubbi si è reputato indispensabile cancellare l’esito delle consultazioni invalidando la causa prima dell’anomalia e restituendo ai cittadini il diritto a un governo democratico, reale e non virtuale. Risulta invero impossibile, in tal senso, stabilire con ragionevole certezza cosa sarebbe accaduto se le sigle irregolari non fossero state ammesse al voto: non è un’argomentazione retorica, poiché l’approccio formale si incista direttamente e con effetti concreti nel risultato delle urne, decretando una discrepanza – teorica per i legali del centrodestra, capitananti da Colalillo e sostanziale per l’avvocato Di Pardo del centrosinistra – tra la vittoria di ottobre del governatore Iorio e la presunta sconfitta, al netto del vantaggio (improprio) di oltre 36mila voti che, di fatto, ha falsato le elezioni. Se la maggioranza ha difeso il dato acquisito – valutando “insignificanti” i vizi riscontrati e difendendo la vittoria della coalizione di governo, pur aprendo a correttivi per quanto concerne la composizione del Consiglio regionale – la sentenza numero 652 del 1998, in riferimento alle votazioni regionali della Sicilia, fissa un limite inequivoco all’annullamento del voto: una percentuale ridotta di consensi e nessun seggio conqui-

Il 17 ottobre scorso è apparsa una macchia, un’ombra nel corpo elettorale della nostra regione

stato dalla lista impugnata poiché, in caso di conseguimento di almeno un seggio, i vizi da formali muterebbero in sostanziali, con lo stravolgimento della volontà popolare. In questo modo, Paolo Frattura ottiene la possibilità di concorrere nuovamente alla presidenza della Giunta regionale, sperando i due leader vogliano abdicare alla politica degli aggettivi, fumosa e inconcludente, sottraendosi al teatrino delle accuse reciproche e imboccando subito la strada del coraggio e del rinnovamento. Perché l’abbrivio elettorale non prefiguri un semplice rimpasto, l’avvicendamento di qualche faccia: servono prospettive, idee e per assurdo, anche errori, purché non siano gli stessi di sempre. Tanto nelle firme a corredo delle liste, quanto nell’amministrazione di una regione troppo piccola per uscire indenne da un anno di campagna elettorale.

Il Tar ci ha restituito il diritto a un governo democratico, reale e pertanto legittimato dalle urne

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di Pasquale Licursi

Il cerino

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Il miracolo di Cosco

oglio raccontarti una storia. Che sembra una favola ma è vita vera. L’Andria di Vincenzo Cosco si è salvata. Arrivato che praticamente era già retrocessa è riuscito a svegliare un po’ tutti e garantire un risultato che sa di miracolo solo per chi non conosce il mister di Santa Croce di Magliano. Ad Andria si andava a contestare. Con l’arrivo di Cosco si andava a festeggiare e incoraggiare. Ora è facile dire ma quando arrivi e ti ritrovi senza i migliori (venduti per necessità di Bilancio) e con calciatori giovanissimi non sai da dove cominciare. Gli altri non sanno dove iniziare. Ma Vincenzo Cosco lo sa benissimo. Come lo sapeva l’anno scorso a Campobasso, anche lì arrivato in un momento disperato e poi tutti hanno visto cosa è riuscito a Vincenzo Cosco festeggiato dai giocatori dell’Andria dopo la conquista della salvezza in I^ Divisione combinare. Ma non è questa la storia che voglio raccontare. Io c’ero al Degli Ulivi nell’ultima di per allenare è distanza infinita. Nave nessuno. Gli schemi si fermano ad un Campionato. E ho visto e sentito i tifosi nell’oceano per arrivare in America. E certo punto poi è cuore e cervello. Algridare solo il suo nome. Perché, a quando arrivi la prima cosa che vedi è trimenti lui sarebbe restato qui e si saparte ogni cosa, Cosco si fa amare e la statua della Libertà in mezzo all’ac- rebbe accontentato di un piatto di voler bene. Ci mette passione e tutto il qua. E gridi Americaaaaaaaaaa. È la verdure e della Villa Comunale. Scenresto. Molisano atipico. E tiene tutto rappresentazione di un sogno che dendo in macchina verso Termoli vedi dentro. Conosce il calcio e soprattutto sembra normale ma è davvero grande. cose strane. Per esempio una rotonda conosce le persone e sa leggere le Infinito. Tu sei lì, in uno stadio vero e enorme costruita per l’accesso alla emozioni come pochi. Riesce a tra- non ti rendi conto di quanta strada ci zona industriale di Montelongo. In smettere la sua passione e colpisce al vuole per essere su quel prato, in una pratica è più grande la rotonda di tutta cuore. Da ogni giocatore prende il Puglia ricca e lontana anni luce da un la zona industriale. E dici all’amico che massimo, perché dà il massimo. Gli vo- Molise povero e dimenticato. E vedi il guida che il Molise è una Regione così. gliono bene e per lui si dannano mister camminare e senti la sua voce Ha l’aria migliore del mondo, la cucina l’anima. Tutti. Allo stadio era una festa anche se non parla. In quella passeg- migliore del mondo, un mare pulito, di colori con il mister che salutava in giata leggi la sua storia, che è una sto- una bella montagna e cercano in tutti mezzo al campo. Un molisano al centro ria bellissima. A tanti non piace, ma i modi di distruggere la nostra vera e e Andria ad applaudire. Ti viene la solo perché non sono loro i protagoni- autentica ricchezza. Non aveva bisopelle d’oca e non ti sembra vero solo sti, ma per me è come se l’avessi vis- gno di una rotonda assurda. Ma c’è. Poi perché magari lo conosci da sempre e suta io. Cosco un po’ rappresenta mentre arrivi in Puglia vedi uliveti stusai che dietro quel saluto c’è una vita anche la rivincita di tutti noi che da- pendi, un mare preciso e bellezze artidi arrampicate e di sudore. C’è una vo- vanti al bar parliamo per perdere stiche conservate e turisti. Tanti turisti. glia matta di sfidare il mondo e cercare tempo e in attesa del sugo e vino rosso. E ti chiedi come mai. E dice che didi vincere. Magari chi applaudiva non Ci sembra strano vederlo salutare pende dagli uomini, da chi in qualche sa nemmeno da dove viene quel ra- Stroppa o Galderisi, Corini o Sottil, Ra- modo ha gestito tutto questo negli ulgazzone coi capelli lunghi e giacca blu stelli ma è lì che spiega e loro che timi quarant’anni. Qui da noi passa ma applaude dopo il pranzo della do- hanno visto la Serie A ad ascoltarlo. sempre e comunque un concetto che menica. Ma io lo so. Ci vuole poco ad Lui sa perfettamente che oltre gli con lo sviluppo c’entra poco. Assiarrivare ad Andria dal basso Molise, schemi sono le motivazioni che fanno stenza passiva e disperazione. Anche ma in macchina e autostrada. Arrivarci i risultati. La voglia di di non essere chi ci abita, ormai, si è convinta che il


à t i s o i Cur

Prova costume uesta foto la dedichiamo alle signore che hanno l'ossessione dei chili di troppo. Per la maggior parte delle donne la prova costume è diventata un incubo. Ecco, facciano in modo di guardare le abbondanti pieghe di questa signora e capiranno che anche qualche rotolino superfluo non è poi la fine del mondo. Si può essere carine e seducenti anche con qualche chilo in più. L'importante è star bene dentro.

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Altro che euro uanta nostalgia per la lira. L'euro, per i comuni mortali, è stato un duro colpo al portafoglio. In questa simpatica foto si vede la differenza che c'è tra una “bella diecimila” e una “brutta dieci euro”. Con la prima si riusciva a fare la spesa e a mettere un po' di benzina in serbatoio; oggi con dieci euro che dovrebbero essere l'equivante di ventimila lire non si compra un bel nulla e in fatto di benzina non si bagna neppure il serbatoio. Ridateci la lira, altro che moneta unica. L'Inghilterra che è rimasta alla vecchia divisa, lira sterlina, viaggia con un altro passo rispetto al nostro Paese.

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La Escort di Silvio

futuro è una piccola ipotesi e si aspetta. Non si sa bene cosa ma si aspetta. Basta pagare le bollette e guardare la televisione per sempre. I più aspettano, ma chi ha semi di vita dentro non può farlo e non lo farà mai. Dicevo all’amico autista di guardare i volti della gente allo stadio, di entrare in quei sorrisi. Nelle strade, sul porto di Trani vedevi persone in qualche modo serene e contente. E gli applausi al mister che è felice. Qui da noi non c’è più questa voglia di vivere delle domeniche pugliesi. Non c’è più. E in un contesto simile ti rendi conto di quanto sia difficile sfondare. Nella vita come nel calcio. E Cosco ha sfondato. Anche se non riesci ancora a crederci. Lo vedi lì, in mezzo al campo e dici che ce l’ha fatta. È un

professionista vero. E ti fa piacere anche essergli amico. Questo suo sfidare continuamente la vita gli ha iniettato nelle vene un carattere un tantino diffidente e strano. Con spigoli di pietra. Ma nella vita è difficile fidarsi dei destini. Del suo e degli altri. La lotta rende aspri, acidi anche, ma veri. Lo Special ha capito più di tutto che nel calcio come nella vita conta la comunicazione. Le passioni umane. Trasmettere anche le paure, con gli occhi che guardano lontano. Un po’ quello che ha fatto Mourinho a Madrid. Motivazioni. Altrimenti il Barcellona avrebbe sempre vinto. Motivare un calciatore normale vale molto di più che avere tanti fuoriclasse in squadra. Ma bisogna essere credibili e fari illu-

minanti. Lui lo è davvero. E ti sembra strano vederlo al Degli Ulivi salutare i tifosi e ti commuovi un po’. Ti sembra magia la vita e ti trasmette speranza vedere Vincenzo Cosco ad Andria salutare il pubblico con segno di vittoria. Ti sembra strano perché siamo abituati a perdere prima di provarci, siamo abituati alla sconfitta prima di ogni cosa. Sembra già tutto scritto. Per fortuna non è così per tutti e non è stato così per Mister Cosco che ha vinto grandi partite nella vita e sa che il calcio è solo un modo per guardarsi allo specchio e vedersi senza rimpianti. E piacersi, come ascoltare una bellissima colonna sonora di Ennio Morricone. Questo è bellissimo davvero.

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di Alberto Tagliaferri

Ci siamo fatti ancora

RITORNO ALLE URNE

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ontinuiamo così, facciamoci del male. La strana guerra della politica, vana più che crudele (o sarà crudele più che vana?), lascia polemiche e feriti sul campo. Dopo mesi di ripicche e dispetti, gli ultimi fuochi di primavera sono stati devastanti. Prima cosa: ci siamo fatti riconoscere. In undici anni, per la seconda volta il voto dei molisani è stato annullato. Pedissequamente si è ripetuto lo stesso copione del 2000, questa volta a campi invertiti. In quella occasione a ricorrere fu il centrodestra che fece ripetere le elezioni vinte dal “mancino” Di Stasi; in questi giorni c’è stata la sentenza del Tar che rimanda i molisani alle urne. Salvo poi vedere cosa dirà il Consiglio di Stato, quando si troverà a esaminare il ricorso presentato dai legali di Iorio, tra i quali spicca il brillante e misurato avvocato Umberto Colalillo che già fu protagonista undici anni nel far prevalere la tesi dell'allora perdente. Quello che ci si chiede in questo pezzo è come sia possibile che i professionisti della politica, talune volte, siano così maldestri da combinare i pasticci che hanno generato tutto questo sconquasso. Nel raccogliere le firme c’è stato un eccesso di superficialità in alcune liste del centrodestra; c’è però chi assicura che anche nell’altro schieramento (che poi ha perduto) non è che tutto sia andato così liscio: se per caso il voto avesse dato ragione a Frattura, molto probabilmente avremmo assistito a un ricorso proveniente dalla parte di Iorio. Proprio qui sta il nodo: a destra, al centro e a sinistra si gestisce un appuntamento serio come le elezione con scarso zelo, addirittura con superficialità. E questo fatto induce ad avere un romantico rimpianto per un personaggio (di tale si tratta) che per decenni ha avuto il coraggio di candidarsi a ogni tornata elettorale che gli è capitata sotto mano, senza mai trovare sponda nell’elettorato. Antonio Piciocco, un semplice barbiere con negozio in una traversa di via 4 Novembre, ha avuto il merito di presentare addirittura prima di ogni altro la sua lista (estrema destra), bella, linda, corredata delle firme giuste, con l’aggiunta di un congruo numero di “riserve”. Se un dilettante della politica (Piciocco, appunto), da solo, tra una insaponata di barba e un taglio di capelli “collo e basette” non è mai incorso in una “sbucciatura”, come mai chi fa della politica un mestiere altamente redditizio scivola sulla classifica buccia di banana? Abbiamo ancora davanti agli occhi le scene di giubilo esibite da Paolo Frattura all’atto del pronunciamento della sentenza del Tar; di converso sono ancora impresse nelle nostre pupille le facce ceree dei “colonnelli” del centro destra, costretti tra l’altro a inventarsi fumose dichiarazioni difensive in grado di giustificare l’esito del processo. E’ stato invece particolarmente apprezzato il comportamento dell’avvocato Colalillo, il quale dopo essersi congratulato con il più giovane collega Di Pardo, arrivando persino ad abbracciarlo affettuosamente, si è limitato a chiosare: “Le sentenze non si criticano, ci si appella”. Proprio come farà lui per conto di Iorio,

andando al Consiglio di Stato. Gli altri, invece, hanno sciorinato teorie più o meno argomentate. Sorvolando sugli errori di base che hanno armato la mano dei ricorrenti che, chissà perché, sentono la vittoria in tasca, qualora da Roma obbligassero i molisani a tornare alle urne in autunno.


riconoscere

Per la seconda volta in 11 anni il Tar capovolge il responso delle urne per colpa di chi non sa raccogliere neppure le firme

COSA E’ SUCCESSO

L’annullamento riguarda le operazioni di voto del 16 e 18 ottobre del 2011; il verbale di proclamazione dell’Ufficio elettorale centrale di Campobasso datato 11 novembre 2011; il verbale dell’ufficio elettorale circoscrizionale di Campobasso, stilato il 15 novembre e quello di Isernia, del giorno prima; nonché tutti i verbali delle singole sezioni e gli atti conseguenti e connessi. Più specificatamente i ricorrenti hanno ottenuto la revoca della precedente riammissione, operata sempre dal Tar, delle liste di Molise civile e Progetto Molise per anomalie nelle firme a corredo della domanda di ammissione, nonché della candidatura di Nico Roamagnuolo, anch’egli escluso in prima battuta dal Tribunale di Campobasso e, accettato in seconda battuta, dai giudizi del collegio amministrativo.

CONFUSIONE

Tra Molise civile Progetto Molise c’è stata sempre un po’ di confusione. Dovuta sicuramente al “Molise”, ma soprattutto alla fantasia che è venuta meno a chi ha formato quei movimenti, usando un nome comune che induce all'errore. Per caduta il destino ha voluto che siano stati proprio questi due schieramenti a determinare i pasticci che stanno togliendo il sonno a Iorio, a tutti gli eletti e alla pletora di seguaci che in caso di ribaltamento della situazione vedrebbero sfuggirsi di mano pregevoli posizioni di comodo a livello economico e di potere.

CURA DIMAGRANTE

Ipotizzando il ritorno alle urne emerge che verrà applicata per la nostra regione, per la prima volta, anche senza l'approvazione dello statuto, la legge nazionale che riduce il numero dei consiglieri e degli assessori. Da 30 consiglieri più il presidente della giunta, si passerà a 20 più il presidente. Gli assessori (scenderanno da sei a quattro) conserveranno anche il ruolo di consiglieri. Questa drastica cura dimagrante non piace a nessuno di quelli che attualmente siedono sui banchi di via 4 Novembre, neanche a quelli del centrosinistra che, sempre nell'ipotesi del nuovo voto, dovranno tornare a pigolare voti tra gli elettori. E aggiudicarsi la riconferma non sarà facile.

LE FRASI CELEBRI

Iorio: “Non ho barato. Le liste che mi hanno sostenuto sono state vidimate e quindi rimesse in gioco dagli organismi giudiziari”; Frattura: “E' finita l'era Iorio, ora il vento è cambiato”; Di Giacomo: “La decisione del Tar non ci convince”; Di Pietro: “Scoperto l'inganno: volevano barare”; Iorio 2: “In caso di nuove elezioni vincerò ancora io”; Frattura 2: “Non importa chi sarà il candidato del centrosinitra: l'importante che vinca”.

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di Gegè Cerulli

Ugo fa il ciclone e spazza via Rosetta U

n politico senza galloni è entrato a pieno titolo a Palazzo San Francesco. Tra lo stupore generale Ugo De Vivo, un competente e misurato avvocato, ha battuto al ballottaggio la favorita Rosa Iorio. La sorella del Governatore ha perduto in modo netto, piegata dal vento contrario che le si è abbattuto contro. La tempesta provocata dal Tar che ha deciso di rimandare alle urne i molisani ha colpito la signora dai capelli biondi in modo implacabile.

Nel capoluogo pentro, dove ha avuto tanto, l’elettorato non gli perdona la scelta di famiglia e gira le spalle al Governatore

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Il popolo è sovrano, le sue decisioni non si discutono si accettano. Come impone la democrazia. Tuttavia qualche spiegazione bisogna pur trovarla a questo risultato, per così dire eclatante. Una sconfitta, peraltro in casa, da parte di Michele Iorio non era certo stata prevista. Isernia, per decenni, era stata la sua roccaforte. Le prime avvisaglie erano comunque arrivate lo scorso ottobre, alle regionali i suoi concittadini che pure per anni

si erano giovati dei ristori, a volte pantagruelici, offerti dal loro illustre concittadino, gli hanno voltato le spalle. Dando un primo segnale del malessere che regna nel capoluogo pentro, dove evidentemente si avvertiva, senza darla neppure tanto a vedere, la voglia di rinnovamento. La smania di salire di Rosetta l’ha esposta alle maldicenze popolari. Che sarebbero diventate decisive ai fini del risultato.


Contro pronostico a Isernia si impone l’avvocato De Vivo, uomo placido che non buca il video ma che sfrutta il vento a favore dopo la sentenza del Tar

A bocce ferme, con il vincitore che educatamente sorride senza abbandonarsi in inutili schiamazzi collegati alla vittoria, e con la sconfitta che si morde le mani è appena il caso di fare una breve analisi del voto. Gli isernini hanno voluto punire la cupidigia del Governatore che ha tentato di allargare il potere attraverso i membri della sua famiglia. Come se non fossero bastate le aspre polemiche legate alla posizione di prestigio dei figli, qualcuna finita anche nelle aule giudiziarie, Michele Iorio ha pensato di affidare lo scettro del comando della città nelle mani di sua sorella Rosa. Facendo smuovere anche i prestigiosi legionari dei “grandi” giornali. Rizzo, qualche giorno prima del voto, sul Corriere delle sera, gli aveva riservato un editoriale particolarmente appuntito, da non passare inosservato. In altro momento la signora Iorio, donna amabile, colta e garbata, avrebbe vinto con disinvoltura le elezioni a sindaco. Con tutto il rispetto

per il suo ruolo professionale e per la stima che si porta appresso, Ugo De Vivo sembrava proprio il candidato comodo, da poter essere sbucciato e mangiato senza difficoltà. Ma la tempistica ha stravolto la scena. Se uno decide di produrre cappelli quando la moda sceglie di andare a capo scoperto sbaglia tutto e va a finire male. A Isernia” la gente, in questo momento, ha deciso di uscire senza cappello. E lei, Rosetta, suo malgrado, ne ha dovuto prendere atto. Il destino ha voluto che proprio in maggio, mese delle rose, Rosa abbia trovato sul suo percorso solo spine. Senza volere le ha disseminate sulla sua strada proprio il fratello Michele che pure le vuole profondamente bene e che avrebbe voluto apporle i galloni di comandante della città tanto cara alla famiglia. De Vivo, dal canto suo, porta un nome, Ugo, che sarebbe tanto piaciuto a Massimo Troisi, i nomi brevi fanno più presa, sono svelti, facili da ricordare e danno un senso confidenziale.

Anche Rosa è un nome breve, se vogliamo un nome d’altri tempi, ora le ragazze si chiamano in maniera diversa, Katuscia, Asia, Sole e via discorrendo. La vulgata vuole che a far perdere Iorio (Michele) sia stata la malefica sentenza del Tar che è stata posizionata, non si sa sino a che punto in modo solo casuale, proprio sotto data. Chi scrive è convinto che non ci sia stato alcuno tranello a danno del Governatore, nessuno alla vigilia si sarebbe aspettato per Isernia la coda dei “supplementari”. Secondo pronostici la partita si sarebbe dovuta chiudere già al primo turno. Poi le cose sono andate in modo diverso. Il Tar ha pensato solo a giudicare sulla base degli atti processuali. I giudici non hanno pensato alle conseguenze politiche legate all’imminente voto. E qui forse una piccola osservazione ci sta anche bene: meglio sarebbe stato rinviare la sentenza di una settimana. In modo da mandare gli isernini a votare senza condizionamenti.

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di Gennaro Ventresca

Il Governatore è ancora vivo Q

uesto mese di maggio 2012 rimarrà scolpito per sempre nella memoria dei fratelli Iorio. Michele e Rosa, due che vanno d’amore e d’accordo e che si sono ritrovati spesso in sintonia anche fuori dalla porta di casa.

ROSETTA Il pomeriggio di giovedi 17 maggio il Tar ha annullato l’esito delle elezioni regionali dello scorso ottobre, obbligando i molisani a tornare al voto; appena tre giorni più tardi gli elettori di Isernia, il feudo di Iorio, mica di un comune qualsiasi, hanno scelto di mandare a Palazzo San Francesco, a prendere il posto di Gabriele Melogli, non la favoritissima Rosetta Iorio, ma un uomo mite, di poche parole, ma che promette di battersi al limite delle sue possibilità, l’avvocato Ugo De Vivo, senza passato politico e privo di agganci con il potere, espressione della società civile. Va subito spiegato che sarà complicato per il nuovo sindaco pentro governare. Molto probabilmente non gli basterà la sua faccia da brava persona, né saranno sufficienti le sue qualità di uomo di legge. La ragione è semplicissima: a Isernia si è verificato un caso che ha pochi precedenti (chiamato in gergo “anatra zoppa”), ha vinto il centrodestra, ma il sindaco è l’espressione del centrosinistra. Gli elettori isernini, senza rendersene conto, hanno determinato uno scenario inedito, attraverso il quale sarà complicato venirne a capo. Anche se le prime dichiarazioni di De Vivo appaiono bonarie e tranquillizzanti, nonostante gli acuti di Rosetta che aspetta al varco l’uomo che l’ha battuta.

ERRORI Iorio è sbiancato. Dopo la sconfitta di Isernia a momenti sveniva. Per intere notti ha provato a spiegarsi che cosa abbia determinato questo stravolgimento della scena. Non sappiamo quale risposta si sia data, ma è certo che qualche punto di domanda se lo sarà posto, sulle scelte fatte con i collaboratori. Il segretario regionale e i due provinciali lasciano alquanto a desiderare: le loro scelte hanno determinato alcune preoccupanti falle nel PdL. Tuttavia i suoi colonnelli sono stati bravi a stilare i nomi che hanno composto la lista a Isernia e altrettanto brillanti a trovarsi gli alleati nell’area di centro-destra. Come testimonia il largo consenso avuto in termini di consiglieri. L’elettorato, da quel che si è capito, ha invece voluto punire il Governatore proprio per l’arroganza mostrata nel proporre un membro della sua potente famiglia, per farne il sindaco della sua città.

Michele medita di sventare il voto, attraverso il ricorso, ma si sente sicuro di risorgere nei 6 mesi che portano all’autunno “caldo” Complicato governare Isernia con una maggioranza del centrodestra e un sindaco di centrosinistra Anche qui si prospetta l’ipotesi di ritornare a votare

GOVERNATORE La decisione del Tar era nell’aria da mesi. Si era capito subito che nel raccogliere le firme per la presentazione delle liste, alcuni movimenti del centrodestra avevano commesso qualche errore. La sentenza del tribunale amministrativo del Molise ha in pratica rimandato alle urne i molisani, anche se bisognerà attendere l’esito del controricorso (al Consiglio di Stato) per sapere se in autunno ci aspettano nuovamente le urne.

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REAZIONE

Il mese di maggio ha spostato l’ordine delle cose in casa Iorio e, per caduta, nel centrodestra. Dallo schieramento rivale già pregustano una vittoria alle regionali, in autunno. Si va ripetendo che “il vento sta cambiando”. Molti indizi fanno credere che sia così. Anche se in sei mesi (tanti ne dovrebbero passare, in caso di voto) molte cose potrebbero ancora succedere. Iorio, indiscutibilmente, è un fuoriclasse della politica, nessuno nel Molise lo vale. Neppure Vitagliano capace di sdoppiarsi, passando dalla fede ostinata al Governatore a “sciolti si balla”. Molti amici di Iorio, dopo aver portato a casa prebende, favori per loro e i loro congiunti, ora fanno gli schizzinosi, chiedono il distinguo, si smarcano, fanno insomma i sofisti. Succede sempre così quando si sta preparando una “rivoluzione”. Ma ci andassero cauti, perché il capo è tosto e imprevedibile. Nel suo arco ha ancora frecce velenose da utilizzare. E non è detto che siano destinate solo a chi sta con il centrosinistra.


Il mese di maggio è stato traumatico per la famiglia Iorio costretta a incassare due pugni allo stomaco in tre giorni, ma Michele ruggisce ancora e medita “vendetta”

Michele Iorio è al suo terzo mandato consecutivo da Governatore

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di Giuseppe Saluppo

Tre celebrazioni per tre Molise diversi

STORIA

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e celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia che si sono avute nel Paese, sollecitano una riflessione comparativa con quelle omologhe del centenario e del cinquantenario. Tre Italie tra loro molto diverse: la prima, quella del 1911, è una nazione giovane protesa verso la crescita; la seconda, quella del 1961, ha la sicurezza del successo economico che sta conseguendo; la terza, quella di oggi, è impantanata nei suoi molteplici problemi. Ecco cosa è possibile cogliere dalle tre fotografie guardando, in retrospettiva, quanto avutosi in Molise. La commemorazione del cinquantenario dell’Unità d’Italia venne condotta, nella maggioranza dei casi, in modo molto retorico, inneggiante alla patria e al “nuovo inizio”. Furono soprattutto i letterati, narratori e poeti, che meglio espressero questo tipo di commemorazione. Una festa, nella quale, le controversie legate all’Unità

vennero presentate e reinterpretate come conseguenza di caratteri personali difficili, di antipatie, non di problemi sociali o conflitti tra forze politiche. A Campobasso veniva inaugurato il busto bronzeo di Giuseppe Garibaldi alla presenza dell'onorevole Angelo Pavia. Sorgerà fra poco anche il monumento al figlio del Sannio (Gabriele Pepe), ed intorno a questi due altari, o giovinette virtuose o baldi giovani dell'età future, apprenderete la bella, la grande, scintillante istoria delle patrie venture ed ai figli da voi nati tramanderete il culto della reverenza, il pungolo dell'imitazione, l'entusiasmo della fattività, santa triade di sentimenti che tutti dobbiamo nutrire per la magnifica ascesa di questa Italia. Era l’Italia che voleva dimostrare all’Europa la crescita culturale, economica e sociale avvenuta in mezzo secolo.

(Foto Trombetta)

Lo scoprimento della targa - Parla l’on. Cannavina

Crescita economica che sarebbe rimbalzata con forza in occasione dei cento anni nel 1961. Il centenario, infatti, si svolse all'insegna della rievocazione delle tappe principali del Risorgimento. I fatti, certo, erano sempre quelli. Ciò che era mutata era, semmai, la percezione complessiva del fenomeno, che allora si offriva ancora ricca di retorica e proponeva una visione "agiografica" dei protagonisti della stagione risorgimentale. Colpiva particolarmente, così si leggeva sui giornali dell'epoca a partire da "Molise Nuovo", una certa visione "unanimistica" del Risorgimento, quasi che l'Unità d'Italia si fosse compiuta con l'unanime accordo a schierarsi sotto le bandiere di casa Savoia. Con forza, allora, erano le figure risorgimentali a dare il senso della Patria. Così i tanti precursori molisani da Leopoldo Pilla a Tito Barbieri non dimenticando le grandi e nobili figure di Cuoco e Pepe. Ben diverso lo spirito della commemorazione del centocinquantenario dell’Unità d’Italia che si è tenuto in condizioni più difficili rispetto alle precedenti commemorazioni con un Paese diviso tra sostenitori della questione meridionale e sostenitori della questione settentrionale. Questa, infatti, è caduta nel momento di massima tensione sul concetto dell’unificazione nazionale. C'è chi ne ha voluto leggerla come un errore e che comunque sarebbe stato meglio metterla in discussione, dal momento che il Meridione frena il resto del Paese per la sua inefficienza e il suo cattivo utilizzo dei trasferimenti di risorse finanziarie. A questi si sono contrapposti, al Sud, quanti sostengono che la questione meridionale sia ancora valida e che l’arretratezza del Meridione dipenda dalle spoliazioni compiute immediatamente dopo l’Unità e continuate per oltre un secolo. Ben si situa, allora, quanto posto dal prefetto di Campobasso, Stefano Trotta, con la celebrazione tenuta dinanzi il monu-


Tre Italie tra loro molto diverse: la prima, quella del 1911, è una nazione giovane protesa verso la crescita; la seconda, quella del 1961, ha la sicurezza del successo economico che sta conseguendo; la terza, quella di oggi, è impantanata nei suoi molteplici problemi

mento di Gabriele Pepe. Una figura simbolo che riuscì a sconfiggere chi, pure, non riusciva a tollerare che in Italia "un vento sterile" agitasse "la polvere del passato", in cui l'amore fosse "un inganno e il pudore un artificio" e soprattutto che gli italiani, dalle "fronti velate di una nube oscura", avessero un "ferro vile che colpiva solo nell'ombra", nascessero "vecchi sotto un sole invecchiato" e non avessero lo stesso "sangue dei loro antenati". Così Gabriele Pepe arrivò a sfidare a duello il poeta francese che naturalmente, secondo il codice d'onore dell'epoca, non poté sottrarsi al confronto che si svolse il 19 febbraio 1826 a Firenze, a Porta San Frediano, e fu brevissimo: Lamartine riportò una lieve ferita a un braccio e l'onore nazionale fu salvo. Tre tappe, tre momenti distinti che hanno segnato la storia del nostro Paese. Non era facile impresa, nelle condizioni politiche in cui la Penisola tornò a trovarsi dopo il 1815, non facile impresa intendersi, chiarire programmi e mezzi per attuarli, scendere dalle aspirazioni, variamente sentite nelle varie regioni, all’azione, guadagnar proseliti, cioè sollecitare le molte forze inerti, orientarsi in mezzo alle correnti della politica europea per poterle utilizzare ai propri fini. E si ebbero le varie tappe segnate da insuccessi e sconfitte che tutti conoscono, ma anche da mobilitazione crescente di uomini e di pensieri, da una coltura tutta intesa a formare coscienze e illuminare menti, dall’apparizione di personalità altamente rappresentative e capaci, nel tempo stesso, di dare una propria impronta alle successive fasi di sviluppo, dal consolidarsi delle volontà attraverso sacrifici individuali e familiari quali forse — come diceva Mazzini — pochi altri Risorgimenti hanno affrontato e sofferto. Insomma, una innegabile se pur faticosa ascesa, nelle separate membra di un popolo che voleva diventare Nazione.

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Una stupenda immagine di Walter Mussini sintetizza i colori brucianti della vegetazione in Villa dei Cannoni a Campobasso



di Gegè Cerulli

Gli Angeli e i Diavoli di Campobasso TRADIZIONI

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e elucubrazioni del diavolo e l’aria algida della Tunzella. Si potrebbe liquidarla qua la sfilata dei Misteri. Niente può classificarli meglio in una definizione didascalica. Ci sono angeli che volano nel cielo, quasi sempre azzurrino, e tanti altri figuranti, alcuni che un po’ alla volta hanno cambiato fisionomia. Il tempo non risparmia nessuno, facendo pagare a ognuno il proprio ticket. Ci sono poi i portatori, da non confondere con i portantini, questi ultimi sono di servizio negli ospedali. Autentici “Macisti” si sobbarcano il peso che gli è dovuto, annervando i muscoli e asciugandosi il sudore. Ci sono più di tre chilometri da percorrere, la fatica è immane. Il gettone niente male, ma non vale certamente il sacrificio. C’è una rincorsa di bambini che si iscrivono per tempo per farsi appendere in posizioni così innaturali, nel vuoto, spinti anche dai genitori che non vedono l’ora di far diventare protagonisti i loro rampolli. Paolo Di Zinno, un campobassano d’altri tempi, s’inventò la sfilata dei Misteri, costruendo in modo ingegnoso le “anime” che formano l’ossatura di ogni carro senza ruote. Ci si chiede ancor oggi se valga la pena ricorrere ancora al nutrito esercito di portatori, molto meglio sarebbe utilizzare i motori, come si usa fare per la sfilata del Carnevale. Ma i campobassani doc non ne vogliono proprio sapere. Ve lo immaginate Cosmo Teberino, già maresciallo dei Vigili Urbani, cosa direbbe nel vedere stravolgere i “suoi” Misteri? Teberino da sempre ha preso una forte passione per il Misteri. Ormai sono passati 80 anni da quando debuttò, era un bambino, come figurante. Da allora tra lui e i Misteri è nato un

amore viscerale che non ha subito neppure un momento di crisi. Il maresciallo non si sa bene se come forma coercitiva o solo per trasmissione ereditaria ha tramandato ai suoi ragazzi la passione per il vanto della città di Campobasso. Così Liberato, Antonietta e Giovanni, i suoi tre figlioli in ordine cronologico, non hanno fatto in tempo neppure a camminare senza l’ausilio del girello che già sono saliti sulle tavole che formano il basamento dei 13 carri. Giovanni è diventato Sant’Isidoro, non ha mai pensato di cambiare pelle, tanto gli piace il santo che degnamente rappresenta. Due persone si faranno carico di accudire ogni mistero anche quest’anno. In tutto saranno in 26. Anche qui si tratta di gente che ha in cuore l’amore per la città, i Misteri non solo per loro sono veramente tutto. Come comprovano le decine di migliaia di persone che ogni anno affollano strade e marciapiedi, mentre i Misteri, partendo dal Museo di via Trento partono, intorno alle 10, per attraversare le principali strade del centro e farsi ammirare anche da numerosi forestieri che restano puntualmente estasiati dello spettacolo. Ci sono tante storie che converrebbe conoscere, legate ai Misteri. Non mancano le pubblicazioni e i filmati che le raccontano. C’è poi da fare la conta dei fotografi che ogni anno si moltiplicano per fissare le immagini più belle, il diavolo che morde la carne cruda, la Tunzella che non tradisce, i bambini che sorridono, nonostante l’innaturale posizione in cui sono appesi, i portatori, la bandarella, i venditori di palloncini e di bibite, gli applausi per tutti, i questuanti, il vescovo con la sua benedizione. Ma che vuoi di più dalla vita?


di Gennaro Ventresca Un frate ha dedicato la sua vita alla chiesa e al sociale, decidendo di combattere gli stupefacenti

L’allarme di Padre Lino U

n frate di bell’aspetto, ma duro come una roccia. Si potrebbe definire così Padre Lino Iacobucci da Toro, ma campobassano d’adozione. Scrissi una volta di lui definendolo “il frate bello”, per spiegare soprattutto come fosse fatto dentro, più che per esplicitare i suoi lineamenti fini e regolari, ci rimase un po’ male, ritenendo vacua la definizione. Un frate deve essere prima di tutto un frate, specie se appartiene alla congregazione dei Minori conventuali. Per questo lascio da parte l’aspetto esteriore e scrivo di lui, per ciò che fa da decenni per la chiesa e per la società. Padre Lino ha spento da poco 65 candeline, mettendosi tante esperienze dietro le spalle. E’ aggregato alla comunità di Sant’Antonio di Padova, ma a buona ragione può essere chiamato “scarpa leggia”, essendo sempre in movimento. In agro di Toro, dove ha fondato la Comunità La Valle per il recupero dei tossicodipendenti, segue gli sventurati, usando metodi spiccioli, ma non per questo poco umani. In certe occasioni ci vuole il rigore, perché la droga è tiranna e non ci sta ad essere debellata. In quel posto di campagna, un po’ fuori mano, una trentina di intossicati provano a ritornare alla vita. Lavorano e si curano, nell’intento di potersi inserire nuovamente in società. Ma non finisce qui il lavoro del frate. Il quale si divide, frequentando il Sert, presenziando convegni, stando accanto alle famiglie. Le quali famiglie, nella maggior parte dei casi, sono le ultime a sapere i punti deboli dei loro figli. Si drogano presto i nostri ragazzi. “Anche a 13 anni”, spiega Padre Lino, senza tradire emozioni. E, aggiunge: “I genitori dovrebbero vigilare meglio ed essere più presenti nella vita dei loro figli”. Alcune cose bisognerebbe spiegarle, a rischio di essere ripetitivi: oggi la vecchia erba di Woodstock è stata soppiantata da sostanze ben più pericolose: lo “skunk” e vari cannabino-sintetici.

Una volta gli spinelli erano meno dannosi, oggi molte cose sono cambiate. La scienza ha spiegato che l’uso cronico di cannabis è in grado di scatenare crisi psicotiche. Ma oggi si sommano le prove che il rischio psicosi aumenti in chi usa “skunk”, il nuovo tipo di cannabis, prodotto in serra. Ed è ancora più elevato per chi fa uso di “spice”, contenenti cannabinoidi artificiali e ciononostante venduti su Internet come legali. Padre Lino sa come sta cambiando la scena. Si è fatta una cultura scientifica per essere padrone della chimica e dei danni che essa produce. Per questo ogni volta che parla non si limita a fare il classico discorso da “prete”. Lui va a fondo, e spiega: “La marijuana di oggi è più allucinatoria e pericolosa”. E aggiunge: “E’ cambiata la cannabis con i suoi derivati hashish, marijuana e olio di cannabis: sono molto più potenti”. Alle piante di cannabis sono subentrate colture intensive di varietà, che possono arrivare a essere cinque o sei volte più nocive. C’è un altro aspetto da tenere d’occhio: il prezzo delle droghe. Padre Lino sottolinea: “Mentre tutto è aumentato a dismisura, da quando c’è l’euro l’unica cosa che non ha subito rincari è stata la droga, accessibile un po’ a tutti. Specie ai ragazzi che iniziano a farsi le prime fumate nei bagni delle scuole medie. Coi professori e i presidi molte volte ignari. Per non dire delle famiglie che nicchiano, credendo che i loro figli siano autentici angioletti”. Il frate di frontiera non abbassa la guardia. Come dimostra la fermezza esibita anche nel corso di un dibattito televisivo a Tele Regione. Con piglio duro Padre Lino ha usato toni perentori, avvertendo giovani e famiglie a non farsi cogliere impreparati. Pur sapendo che le parole volano e che gli toccherà, al pari di tanti altri benemeriti che operano nel settore, battersi caparbiamente contro il dilagare dell’uso delle droghe.

Padre Lino Iacobucci guida la Comunità La Valle di Toro

I ragazzi si drogano nelle scuole già a 13 anni Una volta gli spinelli erano meno dannosi, l’uso di cannabis è in grado di scatenare crisi psicotiche Tutto è aumentato tranne la droga che è rimasta ai livelli della lira Le famiglie dovrebbero vigilare maggiormente sui loro figli

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di Walter Cherubini Riconoscimenti ambiti e consueti per la costa molisana ma le problematiche restano

Il mare è sempre più blu, ma il turismo non luccica

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a bandiera blu è il premio che annualmente numerose località balneari ottengono per la bellezza e la pulizia del mare. Un premio “politico”, in chiave turistica, come dimostra la rotazione periodica dello stendardo tra i centri costieri della nostra regione, che più in generale premia e accontenta gli sforzi degli amministratori in tutta Italia. Il Molise va giustamente fiero del premio, anche se inflazionato e meno importante delle Vele di Lega ambiente, frutto di una visione troppo élitaria della vacanza. Sulla costa molisana, si vive di turismo più pendolare che stanziale. La crisi economica potrebbe riportare a scenari solo in parte dimenticati, stabilimenti semi vuoti e spiagge libere affollate, con corposi picnic consumati in spiaggia. Del resto, nella fredda Pasquetta di quest’anno, i ristoratori che operano sulla costa hanno aumentato i costi del pur lauto e gustoso pranzo in modo eccessivo, a riprova di una supponenza che la bandiera blu rischia di esaltare. Al contrario, l’ambito riconoscimento dovrebbe stimolare il circuito economico turistico marinaro ad adeguarsi alle esigenze delle moderne vacanze, più corte ma più intense. La concorrenza è spietata e qualificata, bastano

cento chilometri in più per ritrovarsi a contatto con un altro modo di concepire il rapporto con i turisti, attraverso offerte che trovano il Molise riluttante nell’adeguarsi, anche se sono stati notevoli gli sforzi migliorativi nella gestione dei lidi. E’ il resto dell’offerta che è moscio, con una contraddizione evidente. Gli alberghi puntano sulla qualità che fa lievitare i prezzi, le case in fitto hanno costi molto elevati mentre la tipologia del turista resta per lo più quella della famiglia piccolo e medio borghese. Ciò spiega lo scarso flusso in entrata da fuori regione e di conseguenza la peculiarità “pendolare” dell’estate al mare in Molise. La critica è notoriamente più semplice della soluzione dei problemi. E’ un dato di fatto tuttavia che i servizi di spiaggia restano carenti come le proposte di animazione nell’ambito degli appuntamenti ameni tipici dell’estate. A Termoli, c’è un evidente regresso rispetto ai tempi di Di Giandomenico e Franzese. L’estate è sempre più capricciosa, il tempo delle vacanze diminuisce e proprio per questo il turista pretende, a volte a torto, un’intensità che il Molise non riesce a offrire, per questioni di mentalità prima ancora che di disponibilità. Molti anni fa il settimanale

“Sette giorni Molise”, che apparteneva al gruppo editoriale di questo periodico, propose all’amministrazione di Termoli di seguire l’esempio di Otranto, dove avevano allestito una strada panoramica intorno alle mura del castello, che collegava il porto alla parte turistica della città. Molti anni dopo il progetto è stato realizzato intorno al borgo vecchio termolese ma la viuzza non è stata attrezzata al meglio, con adeguata illuminazione e localini da tre soldi, dove gustare un drink e godersi lo spettacolo del mare. Manca l’attenzione per le chicche sulla nostra costa, ancora grossolana nei modi, dove il riconoscimento della bandiera blu diventa un punto di arrivo, un tirare a campare, non lo stimolo, la scintilla per fare meglio, in virtù di una concezione del turismo che non prescinde dalla peculiarità locale, ma che deve comunque avere come obiettivo finale la piena soddisfazione degli ospiti paganti. La conclusione è ovvia ma esemplare: il tornaconto dipende dall’offerta. Non è un concetto banale, al contrario impone una scelta tra il contentarsi di una dimensione di secondo piano e il proporsi per uno sviluppo turistico che punti a superare l’ostacolo di un provincialismo che forse sazia, di certo non nutre.

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Un giovanissimo campobassano si sta facendo onore nel mondo arbitrale

L’escalation di Marco Viti D

i arbitri si parla sempre quando salgono al proscenio per qualche errore che viene messo in evidenza dalle tante telecamere che seguono ormai da anni le partite, da diverse angolazioni. A bocce ferme siamo però tutti convinti che arbitrare sia veramente difficile, anche perché nel Bel Paese è molto bassa la cultura sportiva. Club e tifosi vogliono vincere a tutti i costi, per questo sono disposti a perdonare ogni cosa ai propri beniamini, ma a non far passare neppure una sbavatura al poverocristo che per scelta è stato designato a dirigere la partita. Il Molise da qualche anno nel mondo arbitrale è rappresentato da un bel mazzetto di giovani promesse e una certezza. Le promesse, come si ricordava, sono tante; la certezza è sola una: Marco Viti. Il nostro conterraneo benché viva da qualche anno a Parma, dove dirige una stazione di servizio, si è conquistato sul campo il diritto ad arbitrare in Serie B. Appena può torna nella sua città per trovare i familiari (il padre è un giornalista) e gli amici, soprattutto quelli del mondo arbitrale che sono molto uniti e formano una squadra coesa. Per Marco le cose, nella serie Cadetta, non erano cominciate certamente bene quest’anno. Alle prime apparizioni è incappato in una sfortunata direzione. A danno del Pescara di Zeman, club che è finito sotto i riflettori sin dal momento in cui il boemo ha firmato il contratto con gli abruzzesi. Zeman, nel bene e nel male, resta un magnifico personaggio che fa sempre notizia. E fecero notizia le sue pungenti dichiarazioni nel dopo partita di Modena, dove la sua squadra, per un paio di sbucciature di Viti, perdette una partita che avrebbe potuto prendere un’altra piega.

Il nostro corregionale ha raggiunto la Serie B e ha le carte in regola per scalare la Serie A L’arbitro di Campobasso solo quando rivide le immagini in tv si rese conto di aver sbagliato qualche decisione ai danni degli adriatici, ma era troppo tardi. E ci rimase di stucco, temendo di poter aver un contraccolpo psicologico al suo primo anno di B. Invece il ragazzo molisano ha raccolto tutte le sue energie nervose, ha continuato ad allenarsi con puntiglio e appena i suoi capi lo hanno rispedito in campo ha mostrato di aver superato con autorità il delicato momento. Va spiegato che Marco Viti è l’unico arbitro molisano di calcio a essere salito così in alto. Di questo passo è destinato a raggiungere al più presto anche la Serie A, categoria che fu conquistata negli anni Sessanta solo da un altro nostro concittadino, Antonio Vitullo, un postale che negli ultimi anni della sua carriera arbitrale si trasferì a Roma, dove continuò a timbrare lettere e cartoline. Arbitrare rappresenta anche una discreta fonte di guadagno. Questo vale logicamente per chi raggiunge almeno la Lega Pro. Tra i dilettanti i compensi sono minimi, immensi i sacrifici. Anche nel mondo arbitrale si è abbattuta la mannaia dei tagli, così sono pressoché sparite le deroghe per l’utilizzo del mezzo proprio. Ne discende che si debbano usufruire dei trasporti pubblici. E per uno che

Un’infelice direzione contro il Pescara sembrava avergli complicato la carriera, ma si è ripreso alla grande

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abita a Campobasso capite benissimo che diventa un’impresa raggiungere Terni o Cosenza. Non è il caso per Marco Viti che dopo essersi fatta la gavetta ormai viaggia in aereo, riceve tutte le attenzioni da parte dei club e grazie alla sua bravura sta guadagnando anche qualche soldino. (ge.ve.)


L’attaccante del Torino deve molto a suo padre che ha creduto in lui anche da bambino

Un bomber per papà P

adre e figlio. Questa è una storia che ha funzionato da subito. Cosa rara, nel mondo dei calci d’angolo. Dove, generalmente, i padri sono spesso gli ostacoli maggiori dei figli. I genitori, infatti, nella maggior parte dei casi, con loro fare iperprotettivo, ne condizionano il rendimento, facendoli spesso sparire dal circuito del calcio che conta. Qui si scrive di un ragazzo molisano, terra sempre avara di talenti. Nella quale, per la verità, sono pochi i forgiatori, anche per mancanza di strutture e di organizzazione societaria. Mirco Antenucci è uno di noi, nel senso che è molisano di Roccavivara, uno dei tanti piccoli comuni che si affacciano sul fiume Trigno e che per la socializzazione fuori le mura guardano più verso il mare che all’interno. Così capita che Mirco, come tanti suoi coetanei, mostri di avere il bernoccolo del pallone. Il padre, l’ispettore di polizia stradale Domenico, non crede ai suoi occhi. Per ore se lo guarda e ogni volta che lo vede segnare gol nella piazza del paese o nel campetto di Roccavivara lo immagina già proiettato verso grandi platee. Succede così un po’ a tutti i genitori che vorrebbero per i loro ragazzi un comodo futuro, con l’aggiunta della gloria. Proprio come accade nel mondo dei calci d’angolo, quasi sempre soffice. Almeno per quelli che ce la fanno. Due sue corregionali, entrambi di Campobasso, Stefano Vavolo (portiere), figlio dell’amico Mario, e Damiano Cianfagna (difensore centrale) figlio del collega Giovanni, non ce l’hanno fatta. Pur avendo doti che facevano pensare al meglio. Mirco, Stefano e Damiano sono andati insieme a Giulianova, nel settore giovanile del club giallorosso che si è tradizionalmente distinto per l’attenzione con i ragazzi. Prima di trasferirsi con il Giulianova Mirco Antenucci ha firmato il cartellino per il San Paolo di Vasto. Ogni giorno lo accompagnava, percorrendo la Trignina, papà Domenico, costretto a fare peripezie per far coincidere i turni di servizio con le esigenze filiali.

Ogni giorno Domenico Antenucci da Roccavivara accompagnava il suo ragazzo a Vasto per gli allenamenti Mirco ha vinto la classifica cannonieri ad Ascoli in serie B prima di debuttare in A con il Catania Mirco e papà Domenico hanno fatto subito “chimica”. Intendendosela alla grande. Poche volte Mirco gli ha dovuto ricordare di seguire gli allenamenti in silenzio, senza attardarsi a fare polemiche con gli altri genitori e con i tifosi comuni. Da militare papà Antenucci ha saputo mantenere disciplinatamente il suo ruolo. Limitandosi a esultare quando il suo ragazzo gli riempiva il cuore di gioia con i suoi gol. La storia va avanti. E la fortuna aiuta Mirco che sfrutta lo sfarinamento del Giulianova che entra in crisi finanziaria e si affida alla linea verde. Così l’attaccante molisano non ci mette molto per farsi apprezzare e infila 12 reti nelle porte avversarie, in Serie C1. Da quel momento per Mirco cambia la vita. Papà lo segue con passione e spera di poterlo accompagnare con lo sguardo ancora più su. Infatti dopo qualche anno di gavetta ad Ancona, Venezia e Pisa lo spinge sino ad Ascoli, in B. Lì Mirco supera ogni attesa e segna 24 reti, le stesse di Gior-

gio Chinaglia E Stefano Rebonato, diventando capocannoniere. Il Catania che ha già preso il suo cartellino lo fa giocare in A, dove è un po’ chiuso dalla presenza di tanti campioni arrivati dall’Argentina, tra questi anche quel bambolotto di Maxi Lopez. Così a gennaio dell’anno scorso si trasferisce al Torino, per tentare di raggiungere la A. Ma il Toro è una squadra un po’ matta e pur avendo un organico faraonico non ce la fa. In compenso conferma Antenucci che pur con una concorrenza tremenda diventa titolare, confinando Rolando Bianchi, il capitano, in panchina. Segna e gioca alla grande, come perno d’attacco del gioco di Ventura. Segna e sogna. La A ormai è sua. Papà, senza farsi vedere, ha tirato fuori il fazzoletto nella gara decisiva che ha sancito la promozione del Toro e del suo gioiello di famiglia. Per asciugarsi le lacrime di commozione. Ha pianto come un bambino Domenico Antenucci, il mentore di suo figlio Mirco. (ge.ve.)

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Il lascito

Il dottor Michele Praitano (81 anni) durante la sua vita ha collezionato importanti opere d’arte che ha regalato di recente alla Sovrintendenza di Campobasso

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di Gennaro Ventresca

di Michele Praitano Q

uesta è una bella storia. Tutta da raccontare. Scivola nel Dopo aver lasciato tutto alla Sovrintendenza si è mondo dell'arte e del sentimento. Ce l'ha dettata un conservato per sé e la sua amabile signora Lillina campobassano gentile, con i tratti del gentiluomo. Un Gonzales solo le opere prodotte personalmente. Che professionista nel campo della medicina che per de- sono comunque belle e significative. Sono autentiche cenni ha fatto il dentista, in uno studio alla moda, con fi- gemme i suoi disegni, da ritrattista di vaglia. Nel suo nestre che affacciano sulla Cattedrale. Ma non è di album c'è racchiusa una parte della storia campoprotesi e di carie che intendiamo scrivere, in questo bassana, facce che si sono spente ma che sorridono spazio. Michele Praitano è molto altro. E per questo in- e vivono grazie ai suoi lavori. tendiamo scrivere dell'altro. In attesa di dare dignità alle opere donate da MiE' notorio che il nostro concittadino abbia avuto da chele Praitano un primo passo è stato fatto per rengiovanissimo una profonda passione per l'arte, in derne fruibili al pubblico una ventina. Si tratta di modo particolare per la pittura. La “cotta” l'ha presa pezzi pregiati che vanno dal già citato Annigoni, a quando ebbe modo di incontrare l'illustre pittore ArLuca Postiglione, Luca Giordano, Francesco Paolo naldo De Lisio, a Castelbottaccio, negli anni difficili Diodati, oltre ad altri artisti molisani. della guerra. Il contagio più forte gli arriva con la A questi vanno accostate altrettante opere di Giufrequentazione con Giuseppe Ottavio Eliseo, la cui seppe Eliseo, per lui “zio collezione -gestita proprio Peppino”, un uomo bello da Michele Praitano- è e prestante, funzionario stata acquistata dalla ProIl noto collezionista della Banca d'Italia, con il vincia (Presidente Chieffo) fuoco dell'arte nelle vene. e che in parte di recente è ha donato alla Sovrintendenza Da quel momento l'intestata proposta a Palazzo 150 preziose opere resse per il bello fissato su Pistilli, nei pressi di Pauna tela o su una tavola di lazzo Iapoce, nel centro legno s'è radicato nel giostorico. Si tratta di una pivane Praitano. Il quale nacoteca in sedicesimo che Un primo passo verso con il reddito del suo lacomunque rappresenta un la realizzazione di una pinacoteca voro si è messo a collezioprimo passo per aprirne nare quadri e sculture. una degna delle opere di l'apertura di Palazzo Pistilli Da quel momento il cui si dispone e del ruolo professionista ha readel capoluogo. con una parte della collezione lizzato una collezione Va ricordato che i lavori privata di prim'ordine. di don Peppe Eliseo sono di Peppe Eliseo grazie anche Mettendo insieme opere stati custoditi in uno scandi maestri contemporatinato, senza che in oltre all'opera del sovrintendente nei, andando indietro vent'anni nessuno si sia Daniele Ferrara 600,700,800. interessato a trovargli una Tra i molisani spiccano i adeguata collocazione. nomi di De Lisio, Biondi, Il chiodo fisso di PraiScarano, Paglione. Tra i tano è di veder sorgere a Esposte opere di Annigoni, nazionali emergono 4 maCampobasso una degna Postiglione, Luca Giordano, gnifici pezzi di Pietro Arripinacoteca, frutto delle goni a cui Praitano è molto opere da lui donate, somDiodati, Scarano e De Lisio affezionato. mate a quelle di “zio Il primo quadro di ArPeppe” e ad altri lasciti di rigoni fu acquistato dal collezionisti e di artisti collezionista proprio a della nostra regione. La Firenze, nello studio del grande artista. Lo pagò vivacità mentale del sovrintende Ferrara dovrebbe 300 mila lire, oggi vale 40 milaeuro. fare il resto. Non è difficile pensare all'ex GIL come Ma c'è molto altro, come comprova la sua immensa sede della pinacoteca campobassana, ma dopo collezione che si compendia di circa 150 pezzi, per l'inaugurazione avvenuta lo scorso agosto tutto seml'esattezza 147, comprese alcune sculture. Una colle- bra essersi fermato. Né la fondazione Molise Cultura zione che ha donato ai Beni Artistici della Regione, è stata capace, allo stato dell'arte, di rimuovere i grazie anche al meraviglioso rapporto che ha insatu- chiodi della politica, sempre troppo lenta. rato con il giovane sovrintendente Daniele Ferrara In attesa di colmare un vuoto nel panorama cultuche ha iniziato a frequentare casa Praitano anche in rale regionale il punto di saldatura tra Praitano e modo amicale. Ferrara è un bel messaggio che viene lanciato alla Praitano vive in una zona residenziale, tra le più cittadinanza e ancora più forte agli amministratori belle della città, in un elegante appartamento ador- che domicchiano, riparandosi dietro al comodo sipanato solo di quadri di sua produzione. rio di “non tengo dinero”.

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i n i r e i s Pen

Elezioni, tributi, ipermercati e carri armati

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di Arnaldo Brunale

Campuascianeria

A colpi di battute P

é’ ‘ssa lenga tu té truove appìse! Durante il periodo della dominazione borbonica i delatori ed i sobillatori venivano giustiziati pubblicamente mediante impiccagione. Probabilmente, il detto fu coniato proprio in una di queste circostanze, allorquando, negli ultimi aneliti di vita, un condannato continuò imperterrito a reiterare le accuse per le quali lo stavano giustiziando. I carnefici, per nulla intimoriti, proferirono al suo indirizzo questa famosa battuta. Di questa battuta esiste anche la variante: Tu pé ‘ssa lénga si muōrte ‘n croce! Essa si riferisce ad un povero malcapitato che, giunto alle soglie della vecchiaia, era solito dirigersi quotidianamente in chiesa per pregare ad alta voce sotto un grande crocifisso per chiedere la grazia a nostro Signore di fargli trovare una moglie giovane, bella, ricca ed onesta. La scena si ripeteva monotona da molto tempo creando imbarazzo e fastidio nei fedeli presenti. Il sacrestano, per porre fine a quella pantomima, pensò bene di risolverla a modo suo. Un giorno si nascose dietro una colonna ed alla ennesima invocazione dello strano personaggio, imitando con voce solenne quella di Gesù, disse: Sé vuò’ ‘na mugliéra ha ra esse’ brutta, morta ‘é fame e puttana! A quella battuta il poveraccio si alzò di scatto indignato ed al tempo stesso impaurito dandosela a gambe levate; però, prima di uscire dal tempio, si rivolse per un’ultima volta verso la croce pronunziando la famosa frase: Tu pé’ ‘ssa lénga si muorte ‘n croce! Préséntūse e fesse come a le suldate ‘é Giacchine! Questo detto è rimasto famoso negli anni. Oggi vuole rimarcare la saccenza di una persona che non ha né titoli, né meriti nell’economia di un determinato contesto sociale. Detta persona, priva di argomenti validi, si cimenta in imprese più grandi di lei, finendo con il soccombere e fare magrissime figure, come la fecero i soldati di Gioacchino Murat che, mal equipaggiati, ebbero la pretesa di fronteggiare un nemico armato fino ai denti rimanendone annientati. Quisse è suonne patì’! Desiderare ardentemente che un sogno si avveri o sperare nei miracoli non è proibito. Quando, poi, queste

speranze sono espresse ad alta voce, di fronte ad altre persone, allora ci si sente rispondere con questa battuta. Il perché si dica così, non è dato sapere, anche se la logica ricondurrebbe ad un dialogo avvenuto tra due compari, dove uno dei due esterna all’altro i suoi grandi progetti da realizzare. Probabilmente, la convinzione dell’irraggiungibilità degli stessi ha fatto sì che chi ascoltava si esprimesse con questa battuta verso il “sognatore”. Quisse nén è sante ca fa méracule! E’ un’affermazione che, per un certo verso, si ricollega alla battuta Tè canosche pīre!, ripresa dal sonetto di Giuseppe Altobello Lu sante che nen fa meracule. Essa si riferisce ad un povero sventurato che, al colmo della disperazione, si recò in chiesa per chiedere una grazia ad una statua lignea di un santo. Le sue invocazioni erano così convinte e sofferte che destarono l’attenzione di un fedele, il quale mosso a compassione dalla sofferenza del miserabile, e sapendo che una statua non potesse accogliere richieste di miracoli, lo riportò alla dura realtà con questo tipo di battuta. Nella vita corrente si è soliti fare questa esternazione, con tono sarcastico, all’indirizzo di una persona che vuole apparire agli occhi degli altri in maniera difforme da quella che effettivamente è nella vita. Sante Martine! Passa e camìna! E’ il classico augurio che un estraneo fa quando visita una casa dove si è intenti a fare la salsa, affinché l’intera operazione vada a buon fine. Al suo augurio, i padroni di casa rispondono: Passa e camìna! Sapive tutte chesse e nén si iūte a Napule a fa’ u fesse? Domanda molto ironica che si è soliti porre a chi, in una determinata compagnia, si comporta da saccente. Perché Napoli? Perché in questa metropoli, molto vicina a Campobasso, una volta, le persone di cultura, o chi aveva qualcosa da dire, lo facevano salendo su un banchetto che le poneva all’attenzione della gente di passaggio.

Sé nén magne chiame a Mazzamauriélle! Mazzamauriello è un personaggio partorito dalla fantasia popolare locale per evocare un folletto. Secondo la credenza pagana, esso era di piccola statura, vestito di rosso, con in testa un berretto conico a sonagli dello stesso colore, che viveva fra le pareti domestiche, offrendo aiuto a chi lo rispettava (solitamente partecipava la sua presenza protettiva lasciando escrementi davanti alla porta di casa della persona individuata), vendicandosi con chi lo malediva. Una volta questa “minaccia” era rivolta a tutti quei bambini che dimostravano pigrizia nel mangiare, nella speranza che essi, irretiti dalla paura, finissero con il nutrirsi. Sé sé e mò vè Andrea ca porta u pesce! Battuta polemica che vuole evidenziare la lentezza con cui una persona porta a compimento un incarico. Probabilmente essa trae origine da un aneddoto locale che racconta di alcuni clienti di un noto pescivendolo di Campobasso che una mattina aspettarono invano il suo arrivo. Dopo una lunga attesa, si trovò a passare nei pressi della rivendita una persona che era al corrente del mancato arrivo del pescivendolo (il maltempo gli aveva impedito di ritirare la merce a Termoli) e notando un suo amico tra la gente, lo salutò chiedendogli cosa stesse a fare lì di buon mattino. L’amico gli rispose che stava aspettando il pescivendolo. A questa affermazione egli pronunziò al suo indirizzo questa battuta con tono sarcastico. Come dire: Hai voglia di aspettare! Si nu cazzone amérécane! E’ una battuta con cui si apostrofa una persona dalla corporatura accentuata, che dimostra di essere particolarmente ingenua nei modi di fare. Il detto, probabilmente, fu coniato per la prima volta alla fine della seconda guerra mondiale, allorquando i soldati americani, ben nutriti e forti di aspetto, benché disponibili al massimo nei confronti degli italiani, spesso venivano raggirati dai ragazzi nel tentativo di ottenere qualche pezzo di cioccolata o altro di cui sfamarsi.

(continua)

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di Bernardo Donati

Oltre il contado

Il Preside Monti non va al cinema S

ono passati settantuno anni da quando Gary Cooper interpretò il professor Bertram Potts nel film “Ball of fire”, titolo tradotto (male) in italiano come “Colpo di fulmine”. La trama ruota intorno ad un gruppo di letterati impegnati per anni nella stesura del vocabolario completo della lingua, comprensivo anche del più insignificante fonema. Quando l’opera omnia sembrava ormai completa, nel Palazzo della cultura assoluta entrò per caso una banda di gangster, parlando uno slang sconosciuto agli impettiti letterati. Crollò così l’illusione di ingabbiare la lingua e il professor Potts pensò bene di consolarsi con la bellissima e spigliata Barbara Stanwyck, la bionda che faceva parte della banda. Il film assurge ciclicamente a metafora sulla sicumera dei dotti di turno. E’ ora la volta degli economisti e dei burocrati, innamorati pazzi delle dure regole che impongono ai comuni mortali per salvarlo dall’abisso. Una sorta di religiosità laica basata quasi per paradosso su una visione oscurantista e pauperistica del mondo moderno, che

può redimersi solo affidandosi ai grandi ed opulenti sacerdoti della tecnocrazia, i quali hanno nel sistema bancario la loro Chiesa. Né la Merkel né il Preside Monti hanno il tempo per il cinema. Peccato. La storia tuttavia si ripete e così basta lo sghiribizzo di una fanciulla smaliziata, che stavolta si chiama Borsa, per trasformare i profeti dell’economia in Dei falsi e bugiardi. Il guaio è che a pagarne le conseguenze come al solito sarà la gente normale, perché i geni al potere, forti dei loro patrimoni cresciuti grazie a quel mondo che censurano e vorrebbero riformare per il bene comune, torneranno alle amate e redditizie professioni o si godranno, beati loro, pensioni d’oro maturate grazie a quel sistema retributivo che sostengono essere alla base del dissesto delle casse dello Stato. Domanda: ma se tutto ciò è vero e i lavoratori dovranno pagare fior di contributi per una pensioncina da tre soldi, non sarebbe il caso di riformare il sistema contributivo, riducendo gli oneri che appesantiscono il costo del lavoro, senza benefici e a danno di tutti?

L’episodio storico

Tasse, la tragica lezione di Prina Nell’aprile del 1814 il Ministro delle Finanze del Regno italico voluto da Napoleone, Luigi Prina, vicino di casa di Alessandro Manzoni, fu massacrato da una banda di sedicenti insorti a colpi di bastone e ombrello. Il supplizio proseguì per ore, il già nevrotico Manzoni insieme al cugino Giacomo e alle loro famiglie, fu testimone impotente (e in seguito reticente) del massacro. La colpa di Prina, essere “L’esattore dei francesi”. Un’accusa immotivata. Lo dimostrano due direttive che il ministro diede ai suoi dipendenti. Nella prima, scriveva: “Raddoppiamo di sforzi e di zelo ma non obliamo giammai che una nuova imposizione è spesse volte conseguenza dell’operato di chi mal amministra”. Nella seconda: “Si fugga il rimorso di esigere le tasse ma anche la tentazione di procacciarsi compiacenze e lodi col proprio agire”. Una tragica lezione che il direttore Befera e gli uomini del fisco non dovrebbero ignorare. WalKer

Piazza Dante - La piazza che non c’è

L’isola pedonale ilvestro Delli Veneri era capogruppo socialista a palazzo San Giorgio la sera in cui, in una tesissima seduta del consiglio, Enzo Di Grezia strappò la fiducia come Sindaco grazie ad un solo voto di scarto giunto tra mille titubanze dal consigliere Ida Sarli. Durante il dibattito, il notaio così si rivolse al Sindaco: “Caro Di Grezia, sei disposto ad inimicarti molti commercianti e una parte di cittadini, attuando la chiusura delle strade del centro? Se avrai questo coraggio, il nostro voto non ti mancherà”. Era il 1992. Venti anni dopo Big Gino ha

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cancellato la parvenza di zona a traffico limitato fatta di tre strade e mezza ideata dal centro sinistra. Ha sbagliato il Sindaco, ma è sciagurato opporsi buttandola in politica. Per ritrovare l’isola che non c’è, cancellata dal Capitan Uncino di Palazzo San Giorgio, non serve Peter Pan ma piuttosto il senso civico, concetto evanescente quanto la nostra piazza, a Campobasso. Basterebbe ignorare i permessi, non transitando in auto né parcheggiando in centro. Scelta da sognatori, in un luogo dove la maleducazione impera, non solo tra gli automobilisti. Non provare nuove

strade però lascerebbe all’impasse la ex città giardino, che rischia la deriva verso un napoletanesimo deteriore, censurato solo a parole. (An.Ca.)


Lettera a me stesso

di

Gennaro Ventresca

Quei cinema come nidi d’amore poggiate alla cabina dell’operatore. L’audio si sentiva una schifezza, ma in compenso si aveva modo si stare accucciati alla morosa. Meglio ancora si stava al Savoia, tutto palchi e anfratti. Più lei ci stava e più si saliva di piano, sino ad arrivare all’ultimo, con i sedili in legno che scricchiolavano, ma lontano da occhi indiscreti. Nei piani più alti ci andavano solo le coppie più smaliziate, visto che Salvatore Ciarlante, il macchinista-direttore, chiudeva spesso un occhio e faceva finta di non accorgersi di baci e abbracci troppo appassionati. Brava persona Salvatore: ne ha visti di intrecci dietro la macchina da presa. Non solo fidanzati, ma anche amanti si sono dati appuntamento al buio. Come si chiamavano quelle ragazze ormai perdute nella galassia del tempo? Adriana, Letizia, Elisabetta, Silvana e c’era anche Marirosa, appena arrivata dall’America. Accettò di vedere un film con me, ma rifiutò sdegnosamente di prendere le scale, obbligandomi a un palchetto, allo scoperto, si vedeva e si era visti. Si andava al cinema in gruppo, ma poi ognuno sceglieva il posto migliore. Le due coppie di pol-

troncine al primo piano del Savoia erano perennemente occupate. Per farle proprie bisognava anticipare tutti, aspettando che aprisse la biglietteria. Il primo spettacolo iniziava alle 15, ma quello più affollato partiva alle 17, in modo che alle 19 fossimo già fuori, per fare qualche vasca per il Corso. Per poi tornare a casa alle 20. L’ora della cena. Si cenava tutti insieme una volta, altro che “mamma stasera non torno. Lasciami qualcosa nel piatto”. Sono cominciati al buio del cinematografo molti amori. Ci si avvicinava con circospezione, senza darla tanto a vedere. E a forza di stringere mani e fianchi, se lei ci stava si poteva pretendere anche qualcosa di più. Se il film era romantico e appassionato erano più fecondi i baci e languide carezze. Siamo andati avanti così per lunghi anni. Poi l’università, le nuove amicizie, le rinnovate frequentazioni ci hanno mutato la vita. Al resto ci hanno pensato i multisala, con le mastodontiche poltrone al posto delle sedie di legno, l’audio in stereofonia, cancellate le tracce di quegli approcci malandrini che riemergono nella mia memoria.

ATTUALITA’

C

arissimo, come si chiamavano quei cinema? Ariston, Savoia, Modernissimo e Odeon. C’era anche il Pidocchietto. Ma quello ha funzionato poco e solo di domenica. Non c’era traccia in quella stagione dei multisala. Il cinema stava in città. Ed era il nostro ritrovo preferito. Non solo per innamorarci di James Bond, ma anche per sentire pronunciare per la prima volta in uno schermo “puttana”, durante la “Dolce vita”. Per quel film c’era il divieto ai minori di 18 anni, ma molti di noi entrarono prima del fatidico compleanno al Savoia che proiettò il capolavoro di Federico Fellini. Una parola che per strada usavamo tutti, facendone spesso anche un uso esagerato, lì invece ci conquistò più della scena madre di Anitona che si faceva il bagno nella Fontana di Trevi. Se l’Odeon ci ha aiutati a svezzare a colpi di pellicole di cappa e spada e di western, sono stati gli altri locali i nostri nidi d’amore. L’Ariston con la sua comoda “galleria” è sempre stato un posto molto intimo per gli innamorati; non ti dico del Modernissimo che aveva un paio di fila di sedie ap-

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di Tiberio Occhionero

Nel maggio di 111 anni fa Ururi dava i natali a

Oreste Licursi Un temerario interlocutore molisano per Croce e Garibaldi

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l nostro Oreste Licursi [Orèsti Luvëxhìnit Lëkurëzìravet] - vispo quanto mai e di una disarmante socievolezza sin dalla primissima infanzia - alle elementari, frequentate con singolare entusiasmo, si rivela uno scolaro modello. L’ottimo Eleuterio De Rosa(1), il suo maestro, ammette candidamente di non avere ormai più nulla da insegnargli. Ai genitori, Luigi e Giulia De Rosa (ramo Lalakèl), consiglia vivamente di assecondare le straordinarie doti di apprendimento del loro settimogenito nato ad Ururi il primo maggio 1901. Detto, fatto! Nell’ottobre 1912 il piccolo Oreste entra nel Convitto Nazionale “Mario Pagano” di Campobasso. Il triennio delle Medie Inferiori? È costellato di ottimi risultati, al punto che qualche insegnante comincia a sentirsi terribilmente “inadeguato” nei confronti... di questo “moccioso seppur geniale rompiscatole arbërèsh”! L’angusto Molise gli va decisamente “stretto”. Bisogna salpare per nuovi lidi anche se, nel frattempo, l’Italia si viene a trovare in guerra con l’Austria-Ungheria di Francesco Giuseppe I d’Asburgo (“Cecco Beppe”). Nel settembre 1915 il quattordicenne rampollo dei Licursi, preceduto dalla fama di autentico enfant prodige, raggiunge Napoli. Accolto nel prestigioso Regio Liceo Ginnasio “Garibaldi”, intraprende, con grinta e passione, la “scalata” agli studi umanistici. Le sue materie preferite? Italiano, Storia e... Latino. Ben presto, of course, riesce a catturare l’attenzione di docenti severissimi come Raffaele Niola(2) e Giovanni Lanzalone(3). Il Nostro, come invaso da sacro fuoco (di “foscoliana” memoria!) per le patrie lettere, brucia le tappe. Difatti, già agli albori del 1918 (in terza classe ginnasiale), i risultati trimestrali

Oreste Licursi

evidenziano il suo alto grado di preparazione e versatilità in tutte le discipline. Abbiamo detto 1918? Ecco altre date salienti legate all’ultimo anno di vita del nostro Oreste. FEBBRAIO “18 / All’amatissimo padre Luigi, che festeggia il LV compleanno, scrive un biglietto nella lingua di Cicerone: «Exire Magnus ex tugurio Vir potest. Ad multos annos, Pater! = Anche da una modesta famiglia può nascere un Grande Uomo. Auguri e per moltissimi anni ancora, Papà!».

APRILE / Pietro Pellizzari, Preside del Liceo Ginnasio “Garibaldi”, accoglie un ospite d’eccezione: Ezio Garibaldi(4), in visita lampo nella Capitale dell’ex Regno delle Due Sicilie. Il Capo dell’Istituto delega (motu proprio!) l’arbërèsh Licursi, in rappresentanza di tutti gli studenti, a dare il benvenuto al nipote dell’Eroe dei Due Mondi! «Signor Capitano», esordisce Oreste, «desidero salutare ed onorare in Voi, a nome dei miei compagni di scuola, l’Ardimentoso Italico Combattente forgiato da tre anni di epica trincea antiasburgica e tutta l’Illustre Progenie di Giuseppe Garibaldi, il Prode Vessillifero del nostro Risorgimento! A proposito, memore delle mie lontane origini albanesi e “prigioniero” di un forte richiamo nazional-popolar-patriottico, ho il privilegio di richiamare dalle brume del passato uno straordinario e lusinghiero giudizio sul Principe Regnante Nicola I Bàlshit-PjètritNjëgùshit del Montenegro (Augusto Genitore della Nostra Amatissima Regina Elena). In una lettera da Caprera, parlando delle più stimabili Nazioni d’Europa, il Vostro Leggendario Nonno scriveva: “Il Montenegro primeggia incontestabilmente tra queste e non so se sia maggiore il genio guerriero del Principe Nicola(5) o l’eroismo impareggiabile del suo popolo. Entrambi sono di grandissimo merito”!». 24 MAGGIO / In un piccolo teatro partenopeo è in corso la presentazione dell’ultima “fatica” del filosofo Benedetto Croce(6): “Teoria e Storia della Storiografia”. Sono presenti, oltre all’autore, Giustino Fortunato (uomo politico ed eminente studioso meridionalista) e Eduardo Scarfoglio, il fondatore del prestigioso quotidiano campano “IL MATTINO”.


Ezio Garibaldi (dx) con sua madre

A moderare l’incontro è stato chiamato il dinamico prof. Raffaele Niola. Quest’ultimo, ad un certo punto dei lavori, invita il pubblico ad intervenire nel dibattito. Silenzio assoluto. In platea (ospitante convegnisti da tutta Italia) siedono, in prima fila, due giovanissimi imberbi che ascoltano seriosi. Il più vicino al tavolo della Presidenza, dopo una manciata di “interminabili secondi”, scatta in piedi rubando la parola: «Esimio Prof. Croce, due scarni quesiti. 1° - Oggi cade il terzo anniversario della nostra entrata in guerra. Questa, ne siamo certi, avrà (prima o poi) un epilogo superbamente positivo ed eroico per i Fatidici Destini e la Gloria Imperitura dell’Italia nazional-liberal-sabauda, la “Grande Proletaria” come ebbe a definirla il poeta Giovanni Pascoli! E dopo? Ci ritroveremo a vivere in una Nazione più rispettata, amalgamata, equa? 2° - Nel marzo dello scorso anno crollava miseramente il plurisecolare Impero di Tutte le Russie per mano dei rivoluzionari bolscevichi e (si sussurra!) grazie ad alcune proditorie compiacenti forze finanziarie... giudaico-massoniche! Ora, nell’eventualità dovessero dissolversi, a fine guerra, anche gli “odiati” Imperi Centrali (l’Austria-Ungheria di Carlo I d’Asburgo e la Germania di Guglielmo II Hohenzollern) la nostra vecchia tremebonda Europa potrebbe trarne giovamento dal punto di vista geopolitico o sarebbe condannata a subire, nei prossimi decenni, delle tragiche ed imponderabili conseguenze nefaste per alcune sue Nazioni?». L’illustre cittadino di Pescasseroli nonché nipote di Bertrando e Silvio Spaventa, rivolto al moderatore bisbiglia in dialetto: «Ma da do vè chisto guaglione?». Subito, di rimando, l’imbarazzatissimo prof. Niola: «Perdonate, Don Benedetto. È un mio allievo al Liceo “Garibaldi”. Si chiama Oreste Licursi e viene dai vostri Abruzzi». «È la prima volta», riprende il filosofo fissando con bonomia il suo

Benedetto Croce

giovane temerario interlocutore, «che mi imbatto in uno studente dalle doti intellettuali quasi... divinatorie! Anche noi crediamo fermamente in una ineluttabile radicale catarsi dell’Italia, all’insegna (però) del Diritto, della Libertà e dell’Uguaglianza sociale. Riguardo, inoltre, alla sorte ultima degli Imperi menzionati, formuliamo sinceri auspici affinché il nostro vecchio Continente non abbia, negli anni a venire, a pentirsi amaramente di una loro deprecabile mutilazione o scomparsa. Diciamo questo perché gli Stati o le Nazioni non possono perire a causa dell’eventuale malvagità dei rispettivi Governi!». Ah, dimenticavamo. E l’altro temerario imberbe della platea? Risponde al nome di... Gobetti, Piero Gobetti(7). 26 GIUGNO / Oreste, in una lunga missiva ai suoi cari, annuncia gli esiti (più che strabilianti!) dell’anno scolastico 1917-18. L’accesso, quindi, alla quarta classe ginnasiale (o seconda liceo) è assicurato. Riguardo alle vicende belliche in corso, da lui seguite sul quotidiano di Napoli “IL MATTINO” e sul settimanale “LA DOMENICA DEL CORRIERE”, segnala che un suo compagno di classe (appartenente ad una nobile famiglia partenopea) è scomparso da casa. Si paventa che possa essersi arruolato in incognito, come più volte avrebbe confidato agli amici più stretti. E la salute? Va bene. «Tuttavia giorni fa», ricorda Oreste, «ho avvertito un lievissimo mal di testa accompagnato da una linea di febbre ed un quasi impercettibile movimento intestinale...». FINE OTTOBRE / Esattamente quattro mesi dopo questa lettera, il Nostro è visitato, inopinatamente, da una orrenda impietosa signora “Spagnola”, che gli ruberà la ancora gagliarda e radiosa giovinezza! Il giorno 26, assieme ad un manipolo di altri giovani (di fresco eroicamente immolatisi sul rosso Piave per preparare l’imminente Epopea di Vittorio Veneto), Oreste Licursi raggiunge i Campi Elisi!

Piero Gobetti ANNOTAZIONI (1) - Nato nel 1869 ad Ururi. Gli annali cittadini lo ricordano come il primo e stimatissimo Insegnante Abilitato di Scuola Elementare della nostra Comunità. (2) - Docente di Storia Moderna e Contemporanea. (3) - Docente di Letteratura Italiana. Nato nel 1852 a Vallo della Lucania (Salerno). Allievo prediletto del grande Francesco De Sanctis, gode ottima fama di poeta, critico letterario e scrittore. (4) - Dodicesimo ed ultimo figlio di Ricciotti (a sua volta quintogenito di Giuseppe Garibaldi) e dell’inglese Constance Hopcraft, nasce a Riofreddo (Roma) nel 1895. A sedici anni partecipa alla spedizione di suo padre in Grecia. Nel 1914, lasciato l’impiego alle acciaierie di Terni, va nelle Argonne assieme al padre e ai fratelli Bruno e Costante. Nel maggio 1915 partecipa alla guerra contro l’Impero austro-ungarico nella Brigata “Alpi”: tre volte ferito, Medaglia d’Argento e promozione sul campo a Capitano. Piccola digressione. Un nipote di Camilla Licursi (una delle cinque sorelle di Oreste) avrà il privilegio di incontrare ed intervistare a Roma, nell’autunno del 1979, la nobildonna prussiana Erika Knopp von Kirchwald (seconda moglie di Ezio Garibaldi, venuto a mancare dieci anni prima). (5) - Discendente, per via diretta maschile, da Gùshi Bàlsha a sua volta fratellastro del quinquisnonno paterno di Bàlsha III (Principe Regnante del Montenegro dal 1404 al 1421) ultimo Titolare della Prima Dinastia Albanese. (6) - Nato a Pescasseroli (l’Aquila) nel 1866. Nominato Senatore del Regno d’Italia (nel 1910) dal Sovrano Vittorio Emanuele III. Ha simpatie politiche per Giovanni Giolitti e diviene neutralista nel 1914. L’anno dopo accetta l’ingresso dell’Italia nella Quarta Guerra d’Indipendenza (24 maggio 1915 - 4 novembre 1918), ma non senza criticare aspramente gli eccessi della propaganda antitedesca. Nel dopoguerra ricoprirà la carica di Ministro alla Pubblica Istruzione (ultimo Governo Giolitti) dal 15 giugno 1920 al 4 luglio 1921. (7) - Futuro uomo politico e scrittore. Coetaneo di Oreste, nel 1922 pubblica il celebre saggio “La rivoluzione Liberale”. Gobetti, che morirà a Parigi nel 1926 (per i postumi di una aggressione, patita in Italia, ad opera di alcuni sciagurati e sedicenti “squadristi mussoliniani”!), vede nel Fascismo ...... l’Erede delle insufficienze storiche della Democrazia! A questo punto, chi scrive (uno “sfrontato” ed incallito nazional-anarco-conservatore), chiede umilmente venia a quegli sparuti ed ineffabili “pseudodemocratici italioti” con la puzza sotto il naso se, involontariamente, ha contribuito ad alterare l’equilibrio dei loro trigliceridi. Ma tant’è. La Verità Storica (nuda e cruda) prima di tutto, sempre!

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Il

Mix di D’Artagnan

l diesse era Vittorio Caligani, un guru; il mister una cara figura per il poplo rossoblù, Tony Pasinato; il centrocampista di regia un altro vecchio rossoblù, Giuseppe Donatelli; la squadra il Taranto, Serie B, campionato 1987-88. La foto ritrae il gruppone delle due squadre, schierate al centro del campo allo Jacovone, per l'amichevole tra la formazione jonica e quella montenegrina del Buducuost. Il primo giocatore a sinistra, ricciolino, è Savicevic che aveva 21 anni e fu opzionato proprio dal Taranto che aveva messo gli occhi anche su un altro talento, Mijatovic 19 anni (secondo in basso a sinistra con la maglia azzurra). A quei tempi in Lega si discuteva di far tesserare anche tra i cadetti i giocatori stranieri. Non se ne fece nulla. Peggio per il Taranto che avrebbe perduto due straordinari campioni che avrebbero vinto, il primo con il Milan e l'altro con il Real Madrid una coppa campioni a testa. Anche Pasinato ci rimase male. Mentre il nostro Campobasso, appena retrocesso anche per mano del Taranto, agli spareggi di Napoli, già stava scendendo di classe.

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Ciao, Elvio Di Girolamo stato il primo assessore alla sanità della regione Molise nel’70, eletto con circa cinquemila voti, ai tempi della Presidenza di Carlo Vitale. E’ però restrittivo considerare un politico Elvio Di Girolamo, morto di recente a 86 anni, personaggio straordinario, dal carattere forte, capace di farsi amare e contestare. Conseguita la laurea in medicina grazie al sostegno negli studi di uno zio vescovo, è rimasto molto legato al territorio, in Il dottor Elvio Di Girolamo, detto “Barbetta”, tempi in cui il dottore era l’unico rifein una foto di molti anni fa rimento nelle zone rurali. Elvio batteva campagne e paesi perché per lui la visita domiciliare era un dovere professionale. Il popolare “barbetta”, era molto conosciuto e stimato non solo a Fossalto, suo paese d’origine, ma anche nell’hinterland, da Torella ai Codacchi, fino al capoluogo. Prima della malattia che ne ha limitato l’attività, oltre alla professione amava la campagna, nel suo casolare di San Tommaso si trasformava in contadino. Sposato con la dottoressa Pasqualina Lombardi, storica farmacista di “Grimaldi” a Campobasso, lascia tre figli, il primogenito dottor Donatino, Agnese e Giusy, entrambe farmaciste.

E’

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Salviamo la casa e riapriamo i casini iamo entrati in Europa con uno scellerato cambio di lira-euro. Un piatto di pasta che nelle trattorie costava diecimila lire, il giorno dopo veniva servito a dieci euro, cioè ventimila lire, Una vergogna. Siamo così arrivati, dieci anni dopo l’introduzione della moneta unica, a ritrovarci in una situazione economica decisamente complicata, dalla quale sarà difficile venirne fuori. Tutti hanno arraffato, perché quando c’è da arraffare ognuno arraffa. Lasciando di stucco solo quelli a reddito fisso che hanno dovuto solo subire. Nel Molise, ma credo anche altrove, la media borghesia sta pagando il prezzo più alto. Mentre gli altri, dico gli artigiani e i commercianti si sono adeguati alla svelta. Mettendo lestamente le mani nelle tasche dei nostri concittadini. Le recessioni economiche portano sempre con sé depressioni psicologiche. La gente, anche quella che ha qualche risparmio alla Posta non ha più voglia di uscire di casa, di fare acquisti. Non ride più, perché non saprebbe di chi o di cosa ridere. Io non faccio parte della schiera dei grandi economisti che trova sempre il modo di mettere una pezza a colore, ma non sono fesso e la storia la conosco. Non so se sia veramente maestra vita, ma una cosa la insegna: se tiriamo troppo la corda ci resta in mano lo sciacquone. E se ci resta in mano lo sciacquone sono guai. Per tutti, non solo per la media borghesia. Ma anche per chi sta ai vertici della piramide. L’IMU ci fa tremare e quando il popolo trema vuol dire che qualcuno trama. Se vogliamo salvarci salviamo la casa e riapriamo i casini, frequentatissimi prima che venisse introdotta la legge Merlin.

S


di Domenico Fratianni

Lo stato di grazia di Giorgio Morandi

premiato con Carrà e De Chirico. E poi la fortuna critica; cominciò Longhi, poi vennero Bagghianti, Brandi, Arcangeli…. tanto per citane alcuni. Tutti perfettamente concordi nel riconoscere al maestro bolognese quello stato di grazia di stampo poetico. Era amatissimo, dunque, nonostante non fosse un uomo dal carattere facile; anzi era scontroso anche con i suoi collezionisti che tentavano, inutilmente, di commissionargli quadri. Morandi (che amava Cèzanne e Piero della Francesca, ossia lo spazio e la luce) lo si apprezzò subito per quelle sue bottiglie che sembravano essere dei paesaggi; un microcosmo che si allargava fuori da ogni spazio e tempo. Realizzò tanti dipinti simili, ma mai nessuno uguale. E poi, le sue incisioni che

erano il fulcro stesso della forma pittorica. Di quest’arte antica il principe fu Rembrandt e fra i principi fu annoverato Morandi; perché nell’incisione il bianco della carta e il nero dell’inchiostro, suggerivano sempre colori differenziati, zonature diverse che non si opponevano solamente come luce e ombra. Morandi riuscì a trasferire il codice del segno inciso nel codice della pittura. Questo il segreto della sua grandezza. Infatti con quella sua linea tremolante, riuscì a cancellare la precisione dell’occhio sull’oggetto, mandando all’immagine della struttura disegnativa, la stessa struttura di quella della pittura. Questo era Giorgio Morandi, lo spirito intimo più nascosto nella storia dell’arte figurativa del nostro Novecento.

ARTE & CULTURA

L

onghi, il grande critico d’arte, sosteneva che Giorgio Morandi fosse “uno dei migliori pittori viventi in Italia” e Giulio Carlo Argan, altra firma prestigiosa nel capo delle arti figurative, lo citava come “il più grande pittore del Novecento italiano”. Morandi e i suoi oggetti e la sua Bologna. Gli oggetti erano sempre gli stessi che conservava gelosamente in un ripostiglio e ai quali dava, magistralmente, il soffio della vita. Quegli oggetti, quelle sue bottiglie, erano il pretesto per studiare lo spazio e la luce, con quell’umiltà consapevole di che conosce i segreti del mestiere. E a Bologna, la città a lui tanto cara, era il luogo incantato delle sue visioni visionarie; da via Fondazza, non si muoveva quasi mai, tranne due volte per le sue mostre a Lugano e in Germania e, in Italia, solo qualche salto per le Biennali o Quadriennali. Ma a via Fondazza c’era tutta la sua vita. Insieme alle due sorelle che lo accudivano e lo veneravano, riceveva (quando voleva) ospiti importanti e artisti da tutto il mondo; si racconta che il grande Stravinsky bussò più di una volta alla sua porta e sempre, le sorelle: ”non può, sta lavorando”. Perché Morandi aveva allestito il suo il suo Atelier proprio in casa, accanto al suo letto e con i suoi strumenti da lavoro tutt’intorno in un disordine solo apparente. Alle finestre le tendine/velario per filtrare la luce e tenerla costante. Inutilmente le Avanguardie tentarono di sedurlo. So, di certo, che ora il suo Ateliercamera da letto è stato risistemato, tornando tutto al suo posto. Il sindaco di allora Cofferati provvide all’acquisto dell’appartamento, per aprirlo al pubblico. So anche che a New York, il Moma possiede tre Morandi; uno acquistato direttamente dall’artista, subito dopo la biennale del 1948, dove venne

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Per fortuna che Gino c’è...

Il nostro vignettista Alvaro sulla scorta della crisi finanziaria ha immaginato come risolvere il problema del “concertone” di Corpus Domini: sul palco Gino Di Bartolomeo come cantante solista.

Il cocktail di Pinko

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Fiorina e Francesca D’Amico (a destra) posano sorridenti circondate dal noto DJ di Radio Deejay Federico Russo e da un gruppo di modelle per il cocktail party by Mixage


Zibaldone

di Eugenio Percossi

Dopo 13 anni nella nostra città il professore va in pensione

Il Rettore Barletta lascia il Convitto U

ltimi giorni di scuola, non solo per gli studenti ma soprattutto per un magistrale personaggio del mondo della scuola, Aldo Barletta. Dopo 13 anni di permanenza a Campobasso, il Rettore del Mario Pagano, per sopraggiunti limiti d’età, va in pensione. Lasciando sicuramente un vuoto all’interno del Convitto che ha avuto il merito di rilanciare, dopo anni grigi, alcuni dei quali contraddistinti anche da alcune antipatiche vicende giudiziarie. Il Mario Pagano, dove hanno studiato, come convittori, illustri molisani

del passato, era diventato un po’ per scelta e un po’ per caduta, una specie di museo, cupo e tetro, con rari contatti con l’esterno. Aldo Barletta gli ha dato una ventata d’aria fresca, rinnovandolo nel corso del suo lungo e proficuo magistero. In 13 anni è cambiato quasi tutto, dall’apertura del Liceo Scientifico europeo, alla ristrutturazione del monumentale edificio, alla rivitalizzazione del parco, trasformato in un autentico orto botanico, al continuo contatto con il pubblico che ha potuto usufruire della magnifica aula magna per gli appuntamenti culturali e sociali. Convegni, concerti, presentazione di libri, mostre pittoriche e tanto altro hanno trovato ospitalità in quei locali. In cui si è formata una giusta miscela tra visitatori, studenti e convittori. Va ricordato che Aldo Barletta, grazie

separati dalla nascita

Raffaele Bonanni e Ferruccio Capone

al suo carattere aperto è stato capace con spontaneità di permearsi nel tessuto sociale della nostra città, diventandone una parte integrante. Come conferma il fatto di essere sempre circondato indifferentemente da amici un po’ snob e da gente comune. Inutile ricordare che più di qualcuno, tra i suoi giovani colleghi, ambisce a prendere il suo posto, la cui scelta spetta alla Direzione regionale scolastica. Chi ambisce a subentragli non ha forse valutato sino in fondo il rischio di sostituire un uomo che ha conquistato tanti galloni. Il Rettore saluterà il personale del Convitto nel corso di una serata, fissata nell’aula magna il 5 giugno, alla quale prenderanno parte anche alcune autorità e un nutrito gruppo di amici campobassani.

La voce di Maurelia Carafa M

Raffaele Bonanni

R

Ferruccio Capone

affaele Bonanni è sindacalista Cisl, dal 2006 è diventato segretario nazionale, rieletto nel 2009. Di origini abruzzesi, della provincia di Chieti, ha iniziato a lavorare nel ramo edile in Val di Sangro. E' noto per la sua coerenza. Ferruccio Capone è nato in Irpinia e si occupa di costruzioni e lavori pubblici. E' sindaco di Montella, suo comune di nascita. Da cinque anni è il presidente del Campobasso calcio con cui ha ottenuto, sia pur solo per decreto, la promozione in Lega Pro. Ha un pessimo rapporto con la piazza campobassana e va famoso per la sua incoerenza.

aurelia Carafa, sorella di Mauro e Sergio, è una bella giornalista campobassana che negli anni Ottanta, dopo aver fatto la gavetta a Telemolise, anche come conduttrice del TG delle ore 14 (quello più seguito), ha lasciato la nostra terra per fermarsi a Roma. Dove si è data da fare per ritagliarsi uno spazio. Passando da una redazione all'altra, fermandosi poi alla Rai. Nel frattempo ha avuto modo di migliorare la dizione, copiendo passi da gigante. Come testimonia la sua padronananza nella conduzione del GR1 e in quella di una rubrica che va in onda, sempre alla radio, a tarda notte.

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