IL PRIMO - MARZO 2012

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Mensile a tiratura regionale Anno 8 - n. 3 marzo 2012 20.000 copie - Distribuzione con La Gazzetta

Annalisa Minetti testimonial di “Lo sport per tutti�


s o mmari o In questo numero

Rubriche La voce del padrone di Ignazio Annunziata

Piazza salotto

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Le strategie di Angelo Piunno

pag. 5

di Adalberto Cufari

Controcanto

pag. 6

di Sergio Genovese

Camera con vista

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pag. 7

di Antonio Campa

Il Cerino

pag. 11

di Pasquale Licursi

Campuascianeria

pag. 31

di Arnaldo Brunale

Allegato

pag. 4

Giudiziaria

di Ricordo ò Montalb

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Oculistica

Le mani d’oro di Ermanno Dell’Omo Amministrative

Una Rosa per Isernia Sanità

Braccio di ferro Cardarelli-Cattolica

Registrazione al Tribunale di Campobasso n°5/05 del 05/03/2005 DIRETTORE EDITORIALE

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Gennaro Ventresca DIRETTORE RESPONSABILE

Angelo Santagostino E-mail: Redazione

redazione@lagazzettadelmolise.it E-mail: Amministrazione-Pubblicità

8 Master

commerciale@lagazzettadelmolise.it

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plan

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www.gazzettadelmolise.com

Politica

I compensi degli onorevoli Campobasso

Le pietre del Palazzo

STAMPA: Sprint Italia Castellammare di Stabia (NA) Progetto grafico

Maria Assunta Tullo

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Sport

Il Campobasso del Canada


di Gennaro Ventresca

L’Oscar del mese a Vittorio Esposito

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o merita a pieno titolo questo oscar il minuscolo Vittorio Esposito per aver dato un alto senso del fair play sportivo, nei minuti finali di Termoli-Torres, valevole per l'accesso alle semifinali della Coppa Italia nazionale di eccellenza. Il numero 10 del club adriatico volutamente ha calciato fuori dai pali della porta di Deliperi un calcio di rigore, concesso con eccesso di magnimità dall'arbitro, col risultato a favore dei molisani. Esposito si è guadagnato gli applausi del pubblico, il ringraziamento degli avversari e un plauso a livello nazionale.

Il Tapiro del mese a Savino Cannone

l senso fotografico delle proporzioni non ha minimante deformato il paesaggio naturale dell’eccezionale nevicata che è stata riportata, con una serie di servizi di scrittura e con meravigliose foto, nel numero scorso. Un “PRIMO” da collezionare, come avevamo scritto in copertina. E per quel che si è capito i lettori hanno accolto il nostro consiglio andando letteralmente a caccia della preziosa copia che per la generosità dell’editore ha goduto anche di una maggiore tiratura. Mi imbarazza riconoscerlo, perché stiamo parlando di un evento che ha prodotto ingenti danni in una regione già di per sé martoriata da altri guai; ma le fotografie della grande nevicata hanno suscitato in me un’attrazione morbosa. La sfida architettonica dei cumuli troppo alti perché la nostra mente possa spiegarne gli equilibri, rappresenta un passo ulteriore nella ricerca dell’estetica. Guardando quelle immagini abbiamo provato una dimensione di piacere inesplorato. Quel senso di violazione della natura ha suscitato un turbamento che assomiglia alla seduzione. I grandi fotografi della contemporaneità si sono sbizzarriti nella raffigurazione dei giganti di neve e di ghiaccio che umiliano con la loro stazza i poveri casolari, i capannoni in cui gli animali hanno avuto la peggio. Lasciando nella disperazione gli allevatori. La sfida di piccoli uomini che hanno usato non solo turbine, ma anche pale e unghie per farsi largo nella tormenta, è stata consegnata alla storia. Lunghissimi servizi e pagine memorabili sono state dedicate all’evento. Ma altrettanto romantici sono gli acquerelli che hanno dipinto i momenti delicati e puliti della tormenta di neve. La neve non è stata capace di spezzare le ginocchia ai molisani. Li ha solo piegati e sfiancati. Appena l’aria è tornata a essere più gentile la gente si è rimessa laboriosamente al lavoro, per ricominciare. Ha saputo andare incontro alla primavera, a prescindere dalla natura.

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È

rimasto particolarmente attapirato il direttore della Cattolica per gli ultimi eventi che hanno costretto la sua struttura a sospendere gli interventi di emodinamica per mancanza di convenzione con l’Asrem che a sua volta ha attivato il servizio al Cardarelli. In questo modo si sono intrecciati ulteriormente i rapporti e sono cresciute come sufflè le polemiche. Savino Cannone però spera di poter rimettere tutto a posto, anche perchè la Cattolica con la cardiologia ha svolto da sempre un servizio di eccellenza.

Senza mancare di rispetto al mondo delle professioni. Con la piena consapevolezza che un paese avanzato ha bisogno della loro preparazione, non mi riesce difficile ammettere che in fatto di liberalizzazioni si è fatto ben poco. Criticare, come qui si sta facendo, espone a controcritiche durissime da parte di chi esercita la rappresentanza di ordini professionali. Da anni i liberisti invocano l’elevamento della concorrenza nei più diversi settori dell’economia. Ma anche questa volta il governo è stato troppo prudente, mentre i partiti restano troppo porosi a interessi elettorali conservativi. Così ci si ritrova a sbandierare le liberalizzazioni che non ci sono. Mi sapete dire che vantaggio ne trae il cittadino se a Campobasso aprono altri tre o quattro studi notarili? E se le farmacie anziché essere 12 diventeranno 15, dov’è il vantaggio? Nessuno ci ha spiegato che faremo a meno di recarci dal notaio per atti che potrebbero essere fatti dal segretario comunale o dal geometra. Né ci hanno indicato in che modo potremo risparmiare sui farmaci, i quali restano tutti nelle mani dei farmacisti. Nel Molise, poi, per mantenere aperte le farmacie di comuni disagiati deve intervenire la Regione con un contributo annuo. Altrimenti la struttura non si potrebbe neppure mantenere. Mi sarei aspettato da Monti che con i suoi sodali ha imposto agli italiani e quindi ai molisani di lavorare di più, prima di andare in pensione, un analogo trattamento per i professionisti. Invece niente. Continueranno a pagare sempre gli stessi. E non è un bel segnale. Nonostante l’arrivo della primavera.

L’EDITORIALE

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L’inutile primavera

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di Ignazio Annunziata

La voce del padrone

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mpari dai suoi colleghi. Vada anche per un sol giorno a Vasto. E, giacchè è sulla strada, si allunghi sino a Pescara. Non le chiedo di sacrificarsi molto, questione di trecento chilometri, andata e ritorno. Dia una spiata alle due città che le ho appena citato. La prima con un meraviglioso centro storico; l’altra, tutta nuova, con strade larghe e piatte. Vasto è poco più piccola di Campobasso; Pescara due o tre volte più grande. Ma con un unico denominatore: rispettano i pedoni, riservando loro il centro. Per passeggiare, incontrarsi, far correre i bambini, far pattinare i giovani, pedalare gli anziani. Lei, invece, ha detto troppi si, comodi e piacevoli. Stravolgendo quel poco di buono che avevano fatto i suoi predecessori, in fatto di traffico. Quasi non credevo che avrebbe riaperto Piazza Prefettura che compiacere quattro (si, proprio quattro) commercianti, infischiandosene di un’intera città che era contraria. Qualche sera fa a Telemolise ho sentito con le mie orecchie che aveva promesso a un commerciante di via Mazzini, in diretta telefonica, in caso di vittoria elettorale, che avrebbe riaperto la strada in un certo senso di marcia. Ma come, mi sono detto: può una

città essere gestita in base alle richieste dei singoli? Voglio solo sperare di aver capito male. Sa, la televisione è un mezzo di comunicazione eccezionale, ma ha anche il limite che si segue a casa, mentre si discute, si mastica un boccone un po’ salato, si risponde al telefono. A Vasto, tanto per non distaccarmi dal tema, hanno creato un’isola pedonale da fare invidia. La gente può camminare a piedi serena e godersi tutto ciò che la seducente città adriatica sa offrire nella sua parte alta, che poi è la più bella. A Pescara da Piazza Salotto, sino alla vecchia stazione, è un autentico continuo salotto. Senza macchine, i pavimenti lisci, i cassonetti della spazzatura nascosti in gabbie di legno. La gente non deve guardarsi dalle auto, può stare seduta ai tavolini di Berardo e Camplone o del caffè Venezia e godersi il bello della città che ha dato i natali a D’Annunzio. Lei ci aveva provato a “sfondare” anche quei pochi metri di Corso. Non contento della discutibile ordinanza che riapre alle auto due volte al giorno, nelle ore di punta, con la scusa della neve aveva riacceso il caos. E se non fossero intervenuti i cittadini e alcune associazioni ci saremmo ritrovati rin-

chiusi sullo stretto marciapiedi dei negozi per farci una passeggiata con gli amici e per sgranchirci le gambe. Qui non si tratta più di destra o di sinistra, ma di futuro. Di bambini che non sanno dove andare. Di aria piena di gas di scarichi. Di una città che potrebbe dare un buon esempio a tante altre e che invece deve prendere lezione anche da Vasto. L’aria che respiriamo è questione di vita o di morte. L’uso dell’automobile non lo è. E’ solo confusione. Sindaco Di Bartolomeo le persone che due anni e mezzo fa (quasi tre, ormai) vennero in piazza a festeggiarla quando è stato eletto hanno cambiato opinione sul suo conto. Troppe volte l’hanno sentita dire “vedremo”. E poi -purtroppo- hanno visto quello che non avrebbero voluto vedere. Promettere eccezioni e sconti può compiacere qualcuno, ma dispiace alla maggioranza. E siccome siamo in democrazia tenga conto del parere dei più. Sindaco Di Bartolomeo qui non centrano i soldi che mancano. E’ solo questione di volerle le cose. E noi vogliamo una città più vivibile. P.S. A proposito, ma è proprio così difficile emettere un’ordinanza che vieti il volantinaggio, che provoca uno dei maggiori degradi cittadini?


di Adalberto Cufari

Piazza salotto

Lo strumentalismo culturale con cui si predica bene e si razzola male

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ecentemente ci siamo posti l’interrogativo “Si può essere ambientalisti militanti e, nello stesso tempo, progettisti di opere pubbliche e private che con la tutela dell’ambiente hanno poco da spartire?” E ci siamo dati la risposta: “Certamente no. Sarebbe una contraddizione in termini.” Eppure, ci sono ambientalisti militanti che progettano opere pubbliche (e private) in aperto contrasto con la salvaguardia dell’ambiente. Il velo dell’ipocrisia è stato sollevato dal consiglio regionale dell’Aiig, l’Associazione degli insegnati di geografia giunta al trentesimo anno di vita, un lungo tempo e un lungo cammino sulla strada della tutela e della valorizzazione del territorio nelle sue specificità ambientali e paesaggistiche. Motivo in più per assegnare al rilievo sulla inconciliabilità tra l’essere ambientalista e allo stesso tempo progettista di opere che collidono con la tutela dell’ambiente un titolo di merito, un riconoscimento culturale, un atto di coraggio. Il fine nobile è distinguere il grano (ovvero gli ambientalisti veri) dal miglio (ovvero i finti ambientalisti affaristi). La separazione deve essere netta, evitando commistioni, fraintendimenti, e polemiche. Della faccenda dovrebbe farsi carico il sistema amministrativo molisano (Regione, Province e Comuni) estromettendo dall’apposito registro in cui vengono accolte e accreditate con il marchio di associazioni ambientaliste aggregazioni che dietro la finta facciata verde muovono storie ed interessi di tutt’altra natura. Spesso sono sigle di comodo, con poche decine di soci, ma in grado di alzare la voce, di mettersi di traverso, paraninfi delle peggiori operazioni speculative. Che elaborano e rappresentano politiche e posizioni autarchiche nel modo e nell’essere ambientalisti. In questa loro contraddizione del vivere ed operare trovano paradossalmente finanche appoggio e riscontro. Non va dimenticato il caso di un sedicente circolo ambientalista del Basso Molise capace di interdire le

Ambientalisti, progettisti di parchi eolici e altre porcherie procedure per l’istituzione del Parco del Matese giunto 20 anni in dirittura di arrivo. Bastarono 15.000 firme raccolte in maniera autarchica (così almeno raccontano le cronache) a stoppare un provvedimento che avrebbe modificato in profondità, e in meglio, il destino del Massiccio del Matese. Mai più firme o interdizioni invece nell’opporsi alle cave estrattive disseminate nei punti più belli del territorio molisano, persino nei Siti d’importanza comunitaria (Sic) e nelle Aree tutelate, né per fronteggiare seriamente e convintamente il dilagare degli impianti eolici e fotovoltaici anche ridosso delle aree archeologiche. Accade, in maniera straordinaria e stupefacente, di registrare la presenza di funzionari delle istituzioni e, peggio ancora, di titolati rappresentanti di talune delle Associazioni che si dicono e passano per ambientaliste, tra i progettisti di questi parchi eolici che stanno infestando e deturpando il Molise. Nel pattume culturale molisano queste anomalie si alimentano, si sviluppano, e fanno finanche tendenza. Bisogna trovare pertanto un antidoto a questo andazzo, a questo prevalere della contraffazione culturale sulla chiarezza e sulla linearità dei compiti e dei comportamenti. Per evitare cioè che passino per deontologicamente corretti i progettisti dei maggiori parchi eolici del Matese, con la spilletta appuntata sul petto di vecchi e inveterati ambientalisti. E tutti gli altri progettisti-ambientalisti che spiluccano

su più tavoli e in diverse pietanze. L’antidoto consiste nell’accreditare e dialogare unicamente con le Associazioni la cui struttura e rappresentanza regionale è affrancata da ogni forma di sostegno e/o di finanziamento da parte delle Istituzioni (per essere davvero libere e indipendenti), rispettose dello statuto nazionale cui fanno capo e riferimento, ancorché dotate di un curriculum che provi e documenti la loro coerenza culturale e comportamentale e degli associati. Continuare a tollerare l’equivoco e il compromesso di ambientalisti e di associazioni ambientaliste coinvolti in operazioni di inquinamento, distruzione e alterazione ambientali, equivale a perpetuare lo scempio in atto con l’aggravante di una complicità politica, culturale e morale che segnala il Molise tra le realtà italiane in progressivo, inarrestabile degrado (politico, morale e culturale).

La Regione dovrebbe evitare di accreditare nell’apposito registro del settore “Ambiente” le associazioni e le aggregazioni che dietro la facciata verde muovono storie ed interessi di ben altra natura

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di Sergio Genovese

Controcanto

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bocce ferme e senza la impulsività di una lettura fatta a caldo, (meglio sarebbe dire a freddo...) a costo di apparire retrodatato e inattuale, mi voglio fermare ancora ad analizzare l’evento neve affrontato nella nostra città capoluogo nello scorso mese di febbraio. Il volume della neve scesa è stato impressionante. Già questo avrebbe dovuto indurre la piazza ad avere un maggiore senso di tolleranza e comprensione. Ma tant’è! Entro nel merito. Credo che l’Amministrazione Comunale dopo i primi tentennamenti abbia lavorato bene. Per la verità mi ha sorpreso poiché la stessa non funziona per l’ordinario minimo (pulizia dei quartieri e del Cimitero, mancanza di segnaletica stradale, vedi strisce pedonali, che prima o poi favorirà, purtroppo, qualche disgrazia soprattutto in alcuni posti pericolosissimi come l’ incrocio di Via Mazzini). Dunque il Sindaco e la sua squadra funzionano nell’emergenza ma trascurano il quotidiano. L’atteggiamento, onestamente, per certi versi è incomprensibile. I vigili del fuoco sono stati encomiabili. Pronti ad ogni richiesta di soccorso, hanno sempre abbassato la testa e hanno pedalato poiché il loro background si è consolidato negli anni. Da sempre hanno metabolizzato spirito di corpo e di altruismo. Ogni volta che sono intervenuti non si sono preoccupati di portare al proprio seguito operatori avvezzi ai flash o all’uso di qualche telecamera. Soprattutto nella trincea delle strade innevate erano presenti tutti, bassi e alto graduati. L’Ing. Strazzullo non ha diretto le ope-

Bravi, meno bravi e show man razioni da un salotto televisivo ma era sulle scale mobili assieme ai suoi uomini. La protezione civile ha fatto la sua parte anche se la soverchia presenza in Tv del suo condottiero Giarrusso (sembrava ad un certo punto che la gente potesse persino nominarlo per l’isola dei famosi...) ne ha offuscato un po’ l’immagine poiché in tanti, giustamente, è viva la convinzione che nel momento del bisogno tutti devono dare l’esempio, devono rimboccarsi le maniche e stare sul pezzo. E’ questione di stile ma lo stile, si sa, è come il coraggio di Don Abbondio. Di certo operare per gli altri e allo stesso tempo percorrere spazi in abbrivo di popolarità personale, mal si coniuga con il valore assoluto dello spirito di servizio soprattutto quando si parla di portare aiuto al prossimo. Può essere pretestuosa e

provinciale tale considerazione? Ai lettori il giudizio definitivo oppure allo stesso Arch. Giarrusso. A questo proposito tutti quei sindaci (Alemanno è stato il portabandiera nazionale) che hanno impugnato la pala in presenza di tanti fotografi e operatori televisivi, sappiano che la gente con la testa sulle spalle non si fa incantare, avrebbe apprezzato minore scenografia e maggiore sostanza. Per Roma il livello della polemica è scesa nel sottofondo di quei palazzi ricchi di storia che invece hanno assistito, metaforicamente, a controversie via etere come nei peggiori condomini di periferia. Il primo cittadino che sventolava la comunicazione della protezione civile facendo il giro di tutte le televisioni nazionali, ci ha fatto persino venire il dubbio che Roma fosse la nostra

Giuseppe Giarrusso, capo della Protezione Civile

capitale tanto il livello si era abbassato. Che dire di tutti quei cittadini che non hanno rinunciato all’uso delle automobili persino nei momenti di peggiore tormenta? A molti Campobassani, sottoscritto compreso, non è stata data la possibilità di camminare sul tappeto bianco, nel ricordo malinconico della gioventù che è andata via. Non è stato possibile rivivere certi momenti indimenticabili nei quali la neve abbondante ti faceva sentire padrone di spazi più grandi e dove potevi ascoltare solo il rumore dei fiocchi e del tuo passo. Per colpa di tanti pigmei non si sono potute rilanciare certe emotività di cui la nostra città, un tempo, era custode e testimone. Infine mi sarebbe piaciuto in una delle tante conferenze stampa organizzate da Mons. Bregantini, che invitasse tutti i parroci della città, nei giorni peggiori, a tenere aperte le Chiese per offrire riparo alle persone bisognose. Proprio durante le nevicate le porte mi sono sembrate chiuse più degli altri giorni. Eppure davanti alla Cattedrale campeggia un avviso per la “utenza” che indica gli orari in cui la Chiesa apre e chiude. Come cambiano i tempi! Una volta l’indimenticabile Don Pasquale Pizzardi apriva la Cattedrale alle sei di mattina e la chiudeva a serata inoltrata. Tutt’al più ai fedeli con un avviso veniva indicato l’orario delle Sante Messe…


di Antonio Campa

Camera con vista

Il muro dei tifosi

Il Campobasso di Capone viaggia verso la salvezza ma ha perso per strada tutto il suo pubblico, che ne segue le gesta sbirciando rancoroso la tv. Grazie ai punti ottenuti nella prima fase del torneo con Provenza, la truppa di Imbimbo sta compiendo un’impresa destinata tuttavia a passare malinconicamente sottotraccia

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l lettore permetterà una riflessione sulle paradossali vicende calcistiche del Campobasso, giunto tra mille difficoltà ad un passo dalla salvezza tra i professionisti, purtroppo con la novità clamorosa della totale disaffezione del pubblico, scaduto a valori numerici da “Torneo dei Pini”. Il cronista, tifoso di lungo corso, ad ogni inizio di torneo si lascia irretire dall’amante sportiva, protagonista ancora del nostro spelacchiato palcoscenico calcistico per il suo attraente passato, grazie al quale Ferruccio Capone si lasciò convincere da Ignazio Annunziata a rilevare il club molisano. Ogni anno tuttavia si resta delusi, per colpa di un copione rovesciato in cui la prima donna patisce i capricci dell’impresario. Il Presidente del sodalizio rossoblù sostiene che ci sia un muro tra squadra e città. Errata corrige, il muro esiste, ma tra società e piccolo mondo campuasciano, spesso spocchioso, a volte patetico, borioso come un cavallo da carrozza (buona gioventù e mala vecchiaia), ma con una dignità che impedisce infine di plaudire alla volubile gestione societaria. “Meglie nu sfizie de ciente ducate” si dice dalle nostre parti. I tifosi del Lupo non vanno allo stadio solo quando si vince. Hanno vissuto esaltanti stagioni sul filo del punto per non retrocedere, come nel 1984 con Mazzia in panca e Tacchi goleador. E quanto più appassionante, a pensarci bene, fu la stagione successiva, con una squadra quasi spacciata dopo due sconfitte consecutive in casa eppure capace di risalire la china, grazie ad un carattere straordinario, alimentato dal feeling con tifosi, città e media! Aveva intorno a trenta anni Ferruccio Capone quando Zenga, pur sconfitto con la sua Sambenedettese al vecchio stadio da una spettacolare incornata in tuffo di Scorrano, dichiarò al cronista: “Lasciami dire che Campobasso ha un pubblico straordinario”. Due anni dopo, Castagner vinse 2-0 col Milan nella bolgia del Romagnoli e per tutto l’anno non perse occasione

per elogiare e magnificare l’ardore dei sostenitori rossoblù. Lo zar Maiellaro quasi vent’anni dopo sostenne che la vera risorsa del Lupo era l’imponenza della curva nord. Il vero, unico ed inimitabile muro dei tifosi. Ferruccio mirava e sognava di fronte all’epopea dell’Avellino di Sibilia, in Molise intanto il calcio assumeva le dimensioni di un grande fenomeno sociale. Osservò Agroppi in merito: “Il Campobasso non è il paladino della regione, la squadra tuttavia è convinta di essere tale grazie all’euforia che avverte intorno”. Chi ha fabbricato il muro che ancora si erge alto e solido, meglio farebbe a premurarsi di abbatterlo al più presto, senza aspettare che succeda come a Berlino, illudendosi che basteranno la salvezza non analizzata nel suo divenire, gli immancabili “Volemose bene” e gli strascicati quanto acritici salamelecchi, per riportare i tifosi allo stadio. Se Capone a inizio anno avesse detto “Le risorse sono limitate, lotteremo per salvarci”, il pubblico avrebbe compreso, lo stesso avrebbe fatto quando per necessità sono state ridimensionate ambizioni e squadra, se ci fosse stata opportuna franchezza. Bisognava parlar chiaro, col cappello in mano, non in testa. Si è preferito invece fabbricare mattoni pregni di polemiche pretestuose, impastati con paranoie e supponenze, perfino con superbo mutismo di fronte ad un aiuto concreto dopo tanti lai inascoltati. Salvare la categoria sarà decisivo per il futuro. Nessuno rema contro il Campobasso, anche perché i tifosi rossoblù da più di trent’anni si ritrovano periodicamente a dover fare i conti con le presunte cordate, ben conoscendo purtroppo il peso di chi intreccia le funi. Sanno pertanto che l’addio di Ferruccio, salvo che Eduardo Falcione non decida di subentrargli, significherebbe ripartire dall’ Eccellenza. Chi ha eretto con tanta pervicacia il muro, bene farebbe ad abbatterlo con altrettanta foga.

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di Giuseppe Saluppo Ricordo di un illustre chirurgo del vecchio ospedale

Montalbò, l’anima del Cardarelli U

na leggera zoppìa dovuta ad una ferita rimediata nel corso della Prima guerra mondiale; tutta la vita professionale spesa per dotare Campobasso e il Molise di un vero ospedale; la rinuncia a più lauti guadagni per restare nella sua terra a svolgere la funzione di medico-chirurgo. Potrebbe essere racchiusa in questi tratti la figura di Luigi Montalbò, medico chirurgo, nato a Casalciprano il 10 gennaio 1885 e deceduto a Campobasso il 15 aprile 1966, nel momento in cui la questione Cardarelli torna in cronaca. Si deve alla sua opera, infatti, la realizzazione del primo, vero ospedale in Molise: il Cardarelli, per l’appunto, che egli volle fosse intitolato al suo maestro. Anche perchè, come ebbe a dire nel suo intervento inaugurale, “egli primo gettò il seme della protesta ribelle, contro la turpe iniquità delle cose inumane, elevate, nella sua terra, a sistema di vita normale, per la paziente umiltà di un popolo buono”. Il lento fluire dei tempi ci porta, spesso, a dimenticare la nostra storia, quasi a volerne cancellare le tappe come se alle nostre spalle ci fosse il deserto. Dimenticando, in questa maniera, quanti hanno creduto nella

sfida di restare in questo lembo d’Italia, si sono battuti per il suo progresso civile e ne hanno amato le sue negatività come le positività. “Una tappa meravigliosa nel cammino ascensionale della nostra cara provincia si è avuta, indubbiamente, con l’inaugurazione dell’ospedale Antonio Cardarelli”, leggevano i molisani sulle colonne de Il Molise Fascista, in quella domenica del 3 luglio 1927, che riportava la cronaca dell’inaugurazione del nuovo nosocomio avvenuta il 18 giugno. Fino ad allora era in funzione una sorta di lazzaretto, aperto ai meno abbienti e ricovero per i soldati, perchè chi poteva beneficiava della clinica Altobello situata qualche passo più in là. Nel 1925, però, a seguito delle dimissioni del professore Marcello Barone, si liberava il posto di primario chirurgo. A vincere il concorso bandito dall’ente, Luigi Montalbò che aveva affinato la sua tecnica presso l’Istituto chirurgico di Napoli diretto dal professor Fabrizio Padula (scienziato di fama nazionale, chirurgo principe, ma, sopra ogni cosa, maestro di vita e di sapienza, di virtù e di sacrificio), fino ad ottenere la libera docenza in Patologia Speciale Chirurgica e Propedeutica clinica.

Il ruolo di chirurgo lo portava a svolgere il ruolo di direttore e così, per ben due anni, lavorò sodo intorno al progetto di ristrutturazione del vecchio edificio che non aveva più le caratteristiche di un ospedale civile funzionale trovandosi in cattivo stato di manutenzione, privo di ogni idonea attrezzatura e insufficiente ai bisogni della popolazione. Con il Consiglio di amministrazione, guidato da Alberto Florio, fu avviata la progettazione del nuovo ospedale con le 100mila lire in cassa, un sussidio di 200mila lire del Duce e altrettanti soldi stanziati dalle amministrazioni comunali e provinciali di Campobasso. Per chiuderli, però, fu necessario l’intervento di Antonio Cardarelli che, con una sua "commovente" lettera, riuscì ad ottenere ulteriori 200mila lire dal Duce. Campobasso e la provincia ebbero così il primo, vero ospedale con sessanta posti letto divisi in due reparti, chirurgia e medicina, e due sezioni, maternità e venerei. Lo stesso era dotato inoltre di: un gabinetto di radiologia e radioterapia, di un gabinetto di analisi, di ambulatori polispecialistici, di un centro antirabbico e uno di medicina sociale

Una foto datata del vecchio Cardarelli che è diventato sede della ASREM

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Montalbò avrebbe continuato fino alla morte a spendersi per la medicina e per il suo Cardarelli. E là dove esisteva un antico edificio, mezzo diroccato ed inidoneo, sorse un Ospedale che si impose all’ammirazione di tutti

che diventerà, successivamente, dispensario antitubercolare. Negli anni seguenti, esercitando con passione e dedizione la sua attività di chirurgo, avrebbe utilizzato risorse proprie per l’acquisto di attrezzature moderne e mandato tutta la sua clientela privata al Cardarelli, permettendo così che l’Ente potesse far fronte alle sue esigenze finanziarie. Una crescita che portava il Cardarelli di Campobasso, alla Mostra Ospedaliera della XVIII Fiera di Milano del 1937, ad ottenere un risultato inaspettato tanto che nel 1941 il Ministero dei Lavori Pubblici incaricò l’architetto Claudio Longo di redigere il progetto di massima di un nuovo ospedale per la spesa di 18 milioni di lire. A causa della guerra in atto, però, il progetto non ebbe seguito. Montalbò avrebbe continuato fino alla morte a spendersi per la medicina e per il suo Cardarelli. "E là dove esisteva un antico edificio, mezzo diroccato ed inidoneo, sorse un Ospedale che si impose all’ammirazione di tutti". La dedizione alla professione, la passione civile e l’amore per la sua terra e verso i corregionali lo consegnano alla storia nonostante i tanti viaggiatori distratti.

Luigi Montalbò

Nel 1925 a seguito delle dimissioni del professore Marcello Barone, si liberava il posto di primario chirurgo. A vincere il concorso bandito dall’ente, Luigi Montalbò che aveva affinato la sua tecnica presso l’Istituto chirurgico di Napoli diretto dal professor Fabrizio Padula

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di Anna Maria Di Matteo

La Regione prepara il pacchetto anti-crisi L

a crisi morde anche in Molise, anzi in Molise gli effetti sembrano essere ancora più pesanti. I comparti produttivi della regione sono pressoché paralizzati, i cantieri edili lavorano a rilento, molti hanno addirittura chiuso i battenti. Una situazione drammatica che la Regione ha deciso di affrontare con l’adozione di strumenti mirati. L’assessore Michele Scasserra sta incontrando tutti i rappresentanti delle associazioni di categoria per illustrare il pacchetto anti-crisi che il suo assessorato ha elaborato e sul quale chiede suggerimenti, ove è possibile e soprattutto condivisione. L’associazione degli Industriali del Molise, per bocca del presidente Falcione, non era stata tenera nei confronti della Regione, accusandola di pensare soltanto alle sorti dello Zuccherificio e della Solagrital, istituendo una task force sull’agroalimentare. La risposta di Scasserra non si è fatta attendere, annunciando una serie di provvedimenti per fronteggiare la crisi e soprattutto sostenere le Michele Scasserra imprese. Accesso al credito, internazionalizzazione e innovazione tecnologica, smobilizzo dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione: sono gli assi sui quali si svilupperanno i principali interventi della Regione. L’esecutivo, in sostanza, si sta muovendo cercando di camminare nel solco tracciato anche dal governo centrale. All’interno delle misure per il credito sono previsti incentivi alla capitalizzazione, anche attraverso erogazione diretta dei finanziamenti che potrebbero essere concessi attingendo da fondi regionali, con il supporto delle banche e della Cassa depositi e prestiti. E poi c’è la spinosa questione dell’accesso al credito. Quando si parla di banche si tocca un nervo scoperto. E’ sempre più difficile, anzi pressoché impossibile, ottenere finanziamenti da parte degli istituti di credito, alle prese con problemi di liquidità. Una situazione che crea una sorta di corto circuito sull’economia regionale. E allora

l’intenzione del governo regionale è quella di individuare forme per incentivare le banche a partecipare ad attività a sostegno della ripresa economica. La Regione accompagna con finanziamenti le aziende che investono capitale proprio. Finanziamenti che possono essere un moltiplicatore di quello che l’azienda decide di patrimonializzare. Al tempo stesso l’esecutivo chiede alla banca di seguirlo in questa direzione, condividendo lo sforzo non solo con una garanzia ma con una erogazione diretta. “Abbiamo già trovato condivisione da parte di due o tre importanti istituti di credito- ha spiegato l’assessore Scasserra La stretta al credito si sta facendo sentire adesso. Chiederemo che le banche siano più elastiche. Sarà una partita difficile, perché non dipende solo da noi e dagli imprenditori ma perché vi sono le banche, appunto che pure sono imprenditori. Bisogna lavorare in una logica di compartecipazione. Favoriremo anche una misura di piccolo prestito, destinato alle piccole imprese che hanno difficoltà ad ottenere dalle banche somme di minima entità”. Il presidente della Giunta dovrebbe deliberare con erogazioni dirette, prendendo una parte di risorse previste dai fondi Fas per cercare di concedere contributi a condizioni agevolate. E sulla disponibilità dei fondi, è sempre l’assessore Scasserra ad assicurare l’impegno dell’esecutivo. “Non mi aspetto sorprese perché ne ho già parlato con il presidente e con altri assessori. Poi si tratterà di elaborare i regolamenti, per attivare i primi strumenti. Comunque posso assicurare che i tempi non saranno biblici. Per quanto riguarda, invece, le risorse, si tratterà di fare un discorso selettivo all’interno dei fondi Fas che saranno rimodulati. Dovremo sgomitare un po’ in Giunta. Ma secondo me la somma dovrebbe aggirarsi tra i dieci ed i quindici milioni di euro”, ha concluso Scasserra. La Regione prova a ripartire e affrontare il periodo di estrema difficoltà economica. E chiede la collaborazione ed il senso di responsabilità da parte di tutti i soggetti e le categorie interessate.

Credito e smobilizzo dei crediti verso la Pa i principali interventi

L’assessore Scasserra chiede la condivisione e l’impegno da parte delle associazioni di categoria

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di Pasquale Licursi

Il cerino

Ricordando Lucio C

i si sveglia dal torpore secolare quando dalle città arrivano notizie strane, incredibili. La morte, si sa, fa parte di un nostro percorso, di noi stessi e sempre bisogna fare i conti con lei. Sempre. Ma Lucio Dalla non doveva morire. O almeno doveva aspettare ancora un po’. Un altro album, magari e poi andare. Ma così non può ingannarci il tempo, non è giusto. In questa parte di mondo l’artista bolognese ha lasciato un vuoto, qualcosa che mancherà, qualcosa di cui sentiremo il bisogno quando di sera si spegne la vita e si resta soli, ma non di quella solitudine che fa piangere o dannare. E poi accendi lo stereo e indossi le cuffie. Spari il volume. E chiudi gli occhi. Lucio Dalla sapeva leggere la gente, i sentimenti, e li riempiva di musica bellissima. Raccontava non la vita ma il sogno della vita e non è la stessa cosa. E amava il Molise o questa parte del Molise. E’ venuto a cantare per contestare il profitto, per difendere le sue isole e per difendere il mare che amava più di se stesso. Lo incontravi al bar sulla piazza e ti chiedeva il nome. Sorrideva sempre, me lo ricordo bene. Oppure affacciato dalla finestra di casa a Urbino mentre guardava i giovani universitari passare. Lucio Dalla era un po’ meridionale. Aveva preso il meglio di questa gente e amava la luce, l’ombra e la tenerezza dei nostri paesaggi puliti e vergini. Stranamente i molisani restavano in silenzio e lui difendeva la loro terra e il loro mare. Ai suoi concerti quello che ti sembrava bello era l’atmosfera e la dolcezza dell’insieme. Alle Tremiti, sua seconda patria, lo incontravi in canottiera e pantaloncino e magari in compagnia di un Campari ti spiegava la meraviglia della vita, di questo primo tempo che prima o poi deve finire. A me fa male pensare alla morte di Lucio Dalla. Fa male perché ora che ascolto la sua voce mi rendo conto di una presenza che non c’è più. Non c’è più ma c’è per sempre. Nella tipica indifferenza molisana l’addio di Dalla sembra avere scosso queste rocce secolari e ferme che sono (e siamo) noi molisani. In uno dei suoi brani più belli e conosciuti parla del mare, ma un mare come metafore, un mare come spiegazione, un mare come mistero e come profondità. Quel mare ci appartiene, è il nostro mare. E dal nostro mare gli è arrivata l’ispirazione superba e la musica. Dal nostro mare che incrocia e devia verso la Jugoslavia, porto straniero ma vicino. E in mezzo a quel mare, magari, trivelle altissime e mostruose per capire fin dove possa arrivare la cattiveria umano, il suo profitto che non tiene più conto ormai della bellezza, patrimonio infinito della natura. Lui è sceso da Bologna per difendere la nostra bellezza e il nostro mare e noi lo abbiamo applaudito e abbiamo cantato con lui le sue canzoni. Noi, spettatori fermi. Lui ci ha chiesto di difendere la nostra terra e la bellezza di questo territorio. Poteva non farlo, ma l’ha fatto. Un marziano. Ci ha detto di svegliarci, di

stare attenti e difendere un territorio tra i più belli perché puro, libero, trasparente. Per questo è anche un po’ molisano, uno di noi. E per questo domani dovremo fermarci almeno un minuto e pregare per lui. Piano, pregare piano. Magari allontanandoci dal centro e arrivare tra l’erba o vicino a una fontana e cantare forte una sua canzone. Cantare, come fosse una preghiera. Perché quando muore uno così non puoi far finta di niente e ti devi fermare. In qualsiasi posto ti trovi. Devi fermarti. Amen

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di Gegè Cerulli

Iorio il più longevo Ecco la storia dei 12 presidenti della Regione

E

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ra il 1970. Esattamente il 7 giugno. E i molisani andarono a votare per la prima volta per eleggere in perfetta autonomia i propri consiglieri regionali. La legge ancora non consentiva di votare direttamente per il Presidente, il quale veniva scelto dal partito che aveva vinto le elezioni. Che in quegli anni era la Democrazia Cristiana. I seggi già oltre 40 anni fa furono 30. Vanno al voto l’80 per cento dei molisani, confermando che l’interesse per il nuovo organismo fu alto. Va anche riconosciuto che la DC era forte di una organizzazione perfetta: usava un’infinità di giovani staffette per portare al voto gli anziani, gli ammalati e i distratti. Anche questo fu uno dei motivi dei suoi mirabili successi. La DC vince facile. Superando la soglia del 50 per cento (52,08 per l’esattezza), portando in consiglio 16 consiglieri; il PCI, invece dovette accontentarsi di 5, gli altri nove vennero fuori dai partiti minori. La prima presidenza venne assegnata a Carlo Vitale, già sindaco di Campobasso e presidente della squadra di calcio del capoluogo che sommò ben 9.500 preferenze. Il suo mandato dura tre anni, benché giovanissimo Vitale viene stroncato da un infarto e lascia il posto al suo più fedele collaboratore, l’isernino Giustino D’Uva, già assessore della sua giunta, che chiude il mandato. La DC vince nuovamente le elezioni anche nel 1975, capeggiata dal raffinato termolese Florindo D’Aimmo, già delfino di La Penna. La DC flette ma non si piega, perdendo un due per cento di consensi, mentre D’Aimmo fattura 10.500 voti, mille in più di Vitale. D’Aimmo rimane in carica per 7 anni, attirato dal fascino del Parlamento viene eletto per quattro volte alle politiche. Al termolese succede Giustino D’Uva che torna in sella per la seconda volta, anche questa della durata di due anni. La morte di D’Uva spalanca la porta della presidenza ad Adolfo Colagiovanni, consigliere sin dal 1970, che resta in carica sino a fine mandato (1985). Paolo Nuvoli, della provincia di

Ieri e oggi: Florindo D’Aimmo (1975-1982) e Michele Iorio (2001…)

Isernia, anche lui democristiano diventa nuovo presidente. Con 18 seggi su 30 vince ancora la DC ed elegge l’esperto Nuvoli, forte di tre elezioni consecutive e di tante presenze nell’esecutivo. Nella DC si registrano parecchi mal di pancia. Così Nuvoli va fuori ed entra al suo posto Fernando Di Laura Frattura (1988) che guida sino a fine legislatura due monocolori dc.

Il peso delle correnti gioca un ruolo decisivo nella quinta legislatura (1990), in cui si alternano tre presidenti. Enrico Santoro (Isernia), Gino Di Bartolomeo (Campobasso), Gianni Di Giandomenico (Termoli), rispettando la geografia regionale. Nel 1995 il centro sinistra approfitta del cambiamento che si verifica nel Paese e piazza un suo uomo al comando del Molise. Si tratta del ma-


40 ANNI DI STORIA I Presidenti della Regione Molise Presidenti

Partito

Periodo

Carlo VITALE Giustino D’UVA Florindo D’AIMMO Giustino D’UVA COLAGIOVANNI Paolo NUVOLI

DC DC DC DC DC DC DC DC DC DC L’Ulivo G. Misto L’Ulivo L’Ulivo F.I. F.I. PDL

1970-1973 1973-1975 1975-1982 1982-1984 1984-1985 1985-1988 1988-1990 1990-1992 1992-1994 1994-1995 1995-1998 1998-1999 1999-2000 2000-2001 2001-2006 2006-2011 2011-........

Enrico SANTORO Luigi DI BARTOLOMEO Giovanni DI GIANDOMENICO Marcello VENEZIALE Michele IORIO Marcello VENEZIALE Giovanni DI STASI Michele IORIO Michele IORIO Michele IORIO

Strapotere della DC sino al 1995, ma dopo tangentopoli cambia tutto gistrato isernino Marcello Veneziale che sconfigge Quintino Pallante per un pugno di voti. Succede di tutto in questa legislatura, anche di ritrovare Iorio accanto a Roberto Ruta che più avanti sarebbe stato suo sfidante. E lo stesso Iorio viene nominato presidente della regione, ma per una serie di sgambetti interni si vede costretto a lasciare la poltrona nuovamente a Marcello Veneziale.

Intanto Iorio si lascia affascinare da Berlusconi e da Forza Italia e ne diventa il leader molisano. Nel 2000 Iorio e Di Stasi vanno al voto. Vince il secondo che si impone per 600 voti. Ma la gloria dura poco. Appena un anno dopo, in seguito a un ricorso, si torna alle urne e l’isernino vince alla grande: 115.700 voti contro 83 mila del rivale. Inizia lì la cavalcata del Governatore.

Cinque anni più tardi (2006) ci prova Roberto Ruta a frenare il potere del forzista. Ma perde nettamente: 112.000 voti contro i 95.000 dello sfidante. Nel 2011 il duello è stato palpitante. Secondo alcuni ancora aperto per via dei ricorsi. Iorio ha vinto per un niente. Il suo rivale Paolo Di Laura Frattura, figliolo di Fernando, sembrava in testa, ma poi c’è stato il colpo di scena.

Marcello Veneziale il primo vincitore del centrosinistra

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di Mimmo di Iorio

Annalisa Minetti ha stregato Campobasso P

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iù che una giornata di sport è stata nalisa Minetti di realizzare tutti i suoi stono limiti, i limiti ci sono per le peruna lezione di vita quella regalata da sogni, andando oltre i soliti cliché che, sone che hanno paura. Abbandonatevi Annalisa Minetti. Mai banale o reto- purtroppo, ancora troppo spesso ciralle paure – ha continuato la Minetti rica. Ma semplicemente vera. Una condano la vita dei diversamente abili. rivolgendosi agli studenti – ma con la donna forte che non ha permesso alla “Amo moltissimo le sfide – ha dichia- consapevolezza che esiste il coraggio sua disabilità di condizionarle la vita. rato ai tanti ragazzi presenti – ed odio per superarle.” Al contrario è stata lei a condizionare tutte quelle che persone ch mi dicevano Quel coraggio che le ha permesso di la sua vita. A scegliere, a lottare e ad ‘forse questo tu non lo puoi fare’. Più essere la prima ipovedente a parteciabbattere barriere. Con la sola forza di dicevano così e più io apprezzavo la pare a Miss Italia, nel 1997, e giungere volontà. Perno su cui si è basata la sua vita. La mia vita, perché quella delle tra le prime dieci aggiudicandosi la faesperienza e valore che ha cercato di persone che pensavano non ce la fa- scia di ‘Miss Gambissime’. E che le ha trasmettere alle centinaia di ragazzi cessi era limitata e ridotta. Non esi- consentito di partecipare e vincere il presenti. La cantante milaFestival di San Remo, nel 1998. nese è stata a Campobasso E quel coraggio che oggi, a 35 per prendere parte al proanni, le sta consentendo di getto ‘Io vado di corsa…e tu?’ realizzare l’ennesimo sogno: ideato dalla provincia di partecipare alle Paralimpiadi Campobasso in collaboradi Londra 2012. Il minimo l’ha zione con il Cip Molse e teso centrato, ora attende la convoalla valorizzazione dello sport cazione. Ulteriore testimoper tutti. nianza che tutto nella vita è Annalisa Minetti è riuscita possibile. Basta volerlo. a calamitare l’attenzione “Odio che qualcuno dica ai radelle nuove generazioni, gazzi che sono svogliati e che come nemmeno il più osannon hanno volontà. Peggio annato dei calciatori sarebbe cora quando sento qualcuno riuscito a fare. Anche perché esclamare che non capiscono. si è parlato di valori e di sport Non c’è al mondo una persona puro. Dal quale forse i moche non sa, ma soltanto qualLa cantante milanese è stata delli sportivi attuali sono cuno che ancora non sa di esmolto distanti. Tutto con semsere una persona straordinaria. nel capoluogo per partecipare al plicità, simpatia ed ironia. Per questo vi dico – ha afferAnzi autoironia, spesso sinomato rivolta ancora agli stuprogetto “Io vado di corsa…e tu?” nimo di grande sensibilità ed denti – che tutto si può fare, intelligenza. Quella sensibibasta volerlo ardentemente. Soteso alla valorizzazione lità e quello spessore umano gnate qualsiasi cosa, perché poche hanno permesso ad Antete riuscirci.” dello sport per tutti La frase più bella l’ha regalata al termine del racconto sulla storia che l’ha portata alla cecità in seguito alla malattia. “Ho lasciato alla mia testa la possibilità di vedere ciò che con gli occhi pensavo di non vedere più. Oggi vedo molto più di ieri, io oggi vedo con il cuore, e questo è un modo spettacolare di osservare la vita.” Giù scroscianti ed ininterrotti applausi per una persona certamente speciale, a prescindere da ciò che è riuscita a realizzare. Una lezione di vita che è valsa per un giorno certamente più di ore e ore trascorse sui libri di scuola. Per quei ragazzi, forse, Perrella, De Matteis, Minetti e Colaci a Palazzo Magno d’ora in avanti sarà meno difficile sognare.


Da Miss Italia a San Remo sino al sogno delle paralimpiadi di Londra 2012, passando per la malattia che l’ha portata alla cecità : un racconto che ha emozionato tanti studenti

Oggi vedo con il cuore ed è un modo spettacolare di osservare la vita

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di Lino Santone

La tavola di San Giuseppe L’

acquerello descritto dal poeta riccese Michele Cima nella poesia Z’Arrecoste arramaie S. Gesèppe, coincide con il disgelo primaverile che annuncia appunto la festività di San Giuseppe. A Riccia e in molti paesi del Molise il 19 Marzo si festeggia San Giuseppe. È la festa che come diceva mia zia Annina “mette a dura prova la fabbrica dell’appetito”. Infatti le tredici pietanze offerte ai poveri ospitati in casa, una donna, un uomo e un bambino, che rappresentano la sacra famiglia, faceva si che per quel giorno si vivesse nell’abbondanza situazione sconosciuta negli altri giorni dell’anno. Ricordo con assoluta nostalgia i San Giuseppe degli anni 60 quando il menù era solo di scampere (magro). Mia zia iniziava a trafficare in cucina una settimana prima. Il primo dubbio da dissipare era: “quale baccalà comprare? Il crispello o il San Giovanni? E i ceci sarebbero stati sufficienti? E ancora, chi rompe le noci e le mandorle?”. Poi proseguiva l’inventario: Bisogna prenotare il forno per il pane e i mescotte (biscotti), travasare il vino, controllare la langella (giara) dentro la quale dormivano i peperoni, le pere, e i cavolfiori; acquistare le arance, il riso e ricordare al lattaio di portare cinque litri di latte per l’antivigilia.

Insomma la casa era tutta un movimento di persone e cose, nell’area c’erano mescolati decine di odori e fragranze. Io avevo il compito di assaggiare la pasta di ceci che serviva come ripieno per i cavezune. Tutti mi chiedevano: “È buona? Ze sente a cannelle? E u mele è juste?” Rassicuravo tutte le massaie presenti: Ziucce, Zia Pina, Mamma, Teresa, Maria. Era tutto in ordine gli ingredienti tutti magistralmente amalgamati. “Quanta cavezune ce vunne ssci?“ Dieci ventane concludevo io !!! il giorno della festa, il 19 marzo, dopo la messa in onore del santo e la processione ci si ritrovava a tavola: Io. Il bambinello…Ze Cole, San Giuseppe e Zia Stella, la Madonna.Le donne di casa recitavano la litania: “Protettore dell’agonia tu mi assisti in morte mia con Gesù e con Maria”. Poi finalmente il pranzo! Prima pietanza, antipasto di San Giuseppe: peperoni sotto aceto, pere sotto aceto, cavolfiore sotto aceto, alici sotto olio, polpettine di tonno, salmone e/o baccalà. Seconda pietanza: spaghetti ammugliecate (con mollica). Terza pietanza: linguine con polpettine di tonno e/o baccalà. Quarta pietanza: baccalà e cavolfiore arracanate. Quinta pietanza. Baccalà con la pastella. Sesta pietanza: peperoni sotto aceto ripieni. Settima pietanza: fagioli

lessi all’olio crudo. Ottava pietanza: lenticchie lesse all’olio crudo. Nona pietanza: ceci lessi all’olio crudo. Decima pietanza: arance all’insalata all’olio crudo con aglio tritato e zucchero. Undicesima pietanza: agrodolce di noci, mandorle, nocciole, uva passa in mosto cotto. Dodicesima pietanza: riso con il latte, cannella e vaniglia. Tredicesima pietanza: cavezune ripieni di ceci (calzoni). Una struggente sinfonia di sapori e colori che a pensarci bene ora per allora non era altro che una celebrazione religiosa del ringraziamento per la vita che con la primavera tornava a sbocciare. Ci accompagnavano a tavola aneddoti e sentimenti che rinforzavano in noi la volontà di essere riccesi rispettosi delle nostre tradizioni, delle nostre origini di popolo fatto di artigiani e contadini nutriti al solidarismo cattolico che con le proprie tradizioni riconosce di essere popolo di Dio. La modernità non riesce a scalfire la fierezza di appartenere ad una comunità ancora riconoscibile nelle proprie tradizioni come dice egregiamente il poeta Giovanni Barrea nella sua poesia “San Geseppe” inserito nella collana “Viarelle de fore”: “Mo che i purelle stanne tutte bbone A Ricce nen po’ perde a tradezione”.

Z’Arrecoste arramaie S. Gesèppe “Ze stà tennènne ‘a vigne e z’è ‘ngegnate A fa’ ‘che pizzetélle de scaténe, ze mónne u ‘rane, ‘a mènnele è sçuppate ze stà ‘bbuzzènne u pire e ‘a ‘meréne. Nen chiove da parecchie e z’è ‘ffelate U tempe cummacchè ‘a vorie méne, i majse so’ bèlle e repassate e ndi strappare ze so’ fatte i léne. Ze so’ misse ncurrénte i valluncèlle, strónche u cafóne i cacchie de nu chiuppe che na ‘ccettola che fa: ttapp-ttuppe. Strille ‘a curnacchie, allucche u crastiarélle P’a vìe ‘che ciucce vè’ carche de ceppe, z’arrecoste arramaie San Giuseppe”

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di Alberto Tagliaferri

L’argomento del giorno del capoluogo è legato alla sede della Regione

Ecco cos’è il Masterplan I 18

l progetto è di quelli faraonici. La catasta di carte s’è già fatta consistente: l’opposizione accanita a presentare emendamenti e la maggioranza finalmente ritrovata intorno al sindaco hanno dato fiato a un programma che sembrava destinato a dormire chissà per quanti altri anni. Si è parlato a lungo di Masterplan in questi ultimi tempi. Amministra-

tori, tecnici e cronisti hanno offerto il meglio di se, istillandoci il senso dei nostri incommensurabili limiti e della nostra estrema pochezza. Prima di tutto nessuno ha provato a spiegarci così sia un Materplan, facendoci arrivare pian piano al senso della materia solo attraverso i discorsi. Mentre sarebbe stato più utile spiegare di cosa si tratti. Anche se, in

ultima analisi, la gente ha compreso che riguarda qualcosa di veramente mastodontico e che quindi, come tutti i grandi progetti di cui si è parlato, difficilmente verrà a luce. Per Masterplan bisogna intendere le strategie di indirizzo, attraverso le quali uno o più soggetti pubblici o privati delineano un’azione di programmazione finalizzata all’ottenimento di un risultato atteso; è quindi una locuzione utilizzata per indicare il coordinamento strategico di atti di programmazione altrimenti indipendenti. Addentrandoci ancor più si spiega che il Masterplan è una sorta di piano d’azione in cui vi sono delineati gli obiettivi da raggiungere, definite le competenze, le responsabilità egli strumenti che i singoli attori rappresentano quindi uno strumento di assunzione politica di impegni verso strategie condivise. Una specie di piano guida per disegnare il futuro di Campobasso.


In difficoltà la Campobasso dei “migliori” che continua a contestare pur essendo in minoranza Va ricordato che non si gioca più al Romagnoli da 27 anni. E che quindi in passaggio dal Comune alla Regione della superficie sportiva risale a quasi 30 anni fa. Durante i quali si sono spese troppe parole, lasciando le cose come stavano. L’acquisizione dell’ex Hotel Roxy sempre da parte della Regione sembrava aver dato un colpo di accelerazione al progetto di massima, ma per anni non è successo niente. Non si sono costruiti gli uffici della regione né si è dato decoro al sito, posto proprio all’ingresso della città, quindi come manifesto pubblicitario. Non sappiamo quanti ricordano che pur senza usare il termine alla moda “Masterplan”, Tonino Molinari aveva immaginato per Campobasso un progetto folgorante sull’argomento. Partendo dall’idea di utilizzare il sottosuolo del Romagnoli per i parcheggi, raggiungibili anche attraverso un tunnel scavato all’ingresso di via Porta Napoli, in modo da snellire il traffico in città. Di Bartolomeo, spesso nell’occhio del ciclone, per via dei suoi piagnistei legati alla mancanza di risorse economiche, improvvisamente ha deciso di cambiare marcia. A metà mandato sembra intenzionato a lasciare la sua griffe alla città. Molti si sono monumentalizzati come nobile minoranza senza riuscire a capire quanto conformista, corrivo,

Di Bartolomeo ha cambiato marcia e ora mira a lasciare la sua griffe alla città

risaputo e trito sia inveire contro Di Bartolomeo che nel frattempo ha recuperato consensi. La prosopopea di chi si raffigura come un eroe insieme a un manipolo di intransigenti che dice di agire per il bene della città, ne viene fortemente scalfita. Chi credeva di essere il rappresentante della Campobasso dei migliori, si ritrova rappresentante della Campobasso dei contestatori. Sono 15 gli studi di progettazione pronti a partecipare alla gara, da cui dovrà uscire il vincitore. L’area complessiva è di 26

mila metri quadrati (poco più di due ettari e mezzo), di cui solo 2.000 metri quadrati serviranno per erigere le nuove costruzioni. Si parla di cifre enormi, intorno ai 200 milioni, che dovranno essere reperiti per metà dagli enti pubblici e gli altri 100 milioni dai privati che dovrebbero rifarsi con la gestione dei 4 livelli di parcheggio sotterraneo e dei negozi. Va anche ricordato che l’attuale amministrazione sta lavorando per ridurre le cubature previste da studi passati, concordati con l’amministrazione passata (centrosinistra). Che si è disinteressata delle colate di cemento di cui oggi si parla e si scrive con aria scandalistica.

Spaventano i costi (200 milioni) più delle polemiche dell’opposizione in comune

La notizia

La spia dal cielo T

empi duri per gli evasori. Monti non scherza, bussando forte alle porte di chi ha “dimenticato” di accatastare gli immobili. Attraverso l’aerofotogrammetria (fotografia aerea) lo stato mediante l’AGEA, che opera per conto dell’Agenzia del territorio (ex Catasto) è riuscito a fotografare l’intera penisola. Per realizzare una vera copertura fotografica con macchine digitali di ultima generazione. Le foto vengono scattate e riportate in scala su carta, in modo da poter fare a tavolino un confronto tra l’edificato e il censito. In questo modo è stato possibile individuare eventuali discrasie tra il censito e il non censito. Sono stati così scoperti i fabbricati abusivi e quelli non accatastati, consentendo un recupero complessivo di oltre 500 milioni di tassazione. Ogni due anni l’Agenzia passerà in rassegna le varie regioni, per monitorare eventuali nuovi abusi. Nel Molise sono stati identificati migliaia di casi sanzionabili. La spia che viene dal cielo ha colpito duro. (al.ta.)

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Roberto De Rensis

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Con un alto senso fotografico Roberto De Rensis ha saputo cogliere uno degli aspetti piĂš suggestivi di Campobasso. Appostandosi in una collina, nella parte sud del capoluogo, di buon mattino, ha afferrato un momento di rara bellezza: l’alba che si fa largo tra la nebbia che avvolge le case piĂš basse, lasciando liberi i Monti, le montagne di Frosolone innevate e il grattacielo che svetta in pieno centro. La foto è stata intitolata: Un sogno chiamato Campobasso. Una foto che ti riconcilia con il bello.

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I fratelli Michele e Ugo Russo accanto a un manichino del nuovo Show room Silver cerimonia uomo di Via Veneto e, nella pagina accanto, sempre in posa in un angolo dell’elegante locale che assicura oltre agli abiti da cerimonia per uomo (sposi e invitati di rilievo) anche camicie, scarpe, cravatte

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Aperto lo show room SILVER I

negozi del centro, se ben curati, non è detto che debbano necessariamente subire il peso della grande distrubuzione. Come testimoniano le inziative dei fratelli Russo, che non sbagliano un colpo. Forte di una esperienza trentennale nel campo della moda Silver, dei fratelli Michele e Ugo Russo, ha aperto una sezione del suo ampio e accogliente negozio di via Veneto a Campobasso dedicata alla linea cerimonia uomo che fa prevedere un altro successo commerciale della rinomata società che anche in questa circostanza si segnala per l'alto rapporto tra qualità e prezzo. L'azienda ha impresso un timbro di gusto ed eleganza nel suo show room, motivando l'investimento con una ricca proposta di abiti da cerimonia con quattro marchi di prestigio: Coveri, Egon Furstenberg, Collezione Ardenti cerimonia, Andrea Versali, i quali per tessuti, rifiniture e manifatture reggono autorevolmente il confronto con le principali griffe nazionali. A completare le proposte sono disponibili camicie, cravatte e scarpe eleganti.

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L’escalation di Angelo Piunno D

icono di lui che ha un intuito legale fuori dal comune. Da farne un animale forense. Senza darsi arie Angelo Piunno è diventato tra i più rassicuranti penalisti del capoluogo. Salito al proscenio per il processo Molinari per l’incendio del palazzo di giustizia di Napoli, difeso assieme al più giovane collega Erminio Roberto, Piunno si è guadagnato sul campo la considerazione della gente. Che lo ha scelto come difensore dei casi più spinosi. Certo che per i miracoli si sta attrezzando. Il riferimento a Michele Sepede non è casuale. Infatti il professionista, sempre in coppia con il brillante Roberto, non ha potuto fare granchè per sottrarre il suo assistito dalla severa condanna, per il doppio omicidio della suocera e del padre. In queste ultime circostanze Angelo Piunno si è segnalato per una convincente difesa a favore di Ignazio Annunziata, editore della nostra testata. L’avvocato è uscito vittorioso da una vicenda delicata che poneva sul banco degli imputati Annunziata, denunciato dall’onorevole Sabrina De Camillis, per un presunto caso di estorsione.

Piunno ha opposto un’atteggiamento ferreo per smontare il pesante capo d’accusa. Riuscendo a trionfare nei confronti dell’accusa. Il giudice unico Giampiero Scarlato, infatti, ha assolto il nostro editore che è stato colpito da una lieve condanna a due mesi di reclusione, solo per l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Sabrina De Camillis, parlamentare del Pdl, nel 2008 si era rivolta ai Carabinieri di Larino contestando il comportamento di Annunziata che, a suo dire, avrebbe pubblicato articoli diffamatori, lesivi a lei e al marito. Alla base del presunto comportamento di Annunziata ci sarebbe stato un contenzione di 2.500 euro, somma richiesta verbalmente (per mancanza di uno documento) dall’editore per il pagamento di abbonamenti di giornali. Come è stato accertato in aula. L’avvocato Piunno, nella sua flottante arringa ha evidenziato come gli articoli pubblicati sul giornale La

L’avvocato Angelo Piunno

Gazzetta del Molise non avessero scopo diffamatorio, altresì stavano a dimostrare i lauti compensi della De Camillis nel periodo in cui ha ricoperto contemporaneamente la doppia carica di parlamentare e consigliere regionale.

L’avvocato ha fatto assolvere il nostro editore da un pesante capo d’accusa sollevato da Sabrina De Camillis

Il presidente dell’Assindustria non ci sta

Basta con polli allo zucchero E

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doardo Falcione (nella foto) grida forte e chiaro: “Non ci sto”. Seccato delle stucchevoli notizie che ogni giorno infarciscono l’informazione locale. Il Presidente degli industriali molisani non ce l’ha con gli organi di stampa, ma con la classe politica che sembra essere attratta solo da questi due poli: Bojano-Termoli. Eppure ce ne sarebbero di situazioni delicata da prendere in esame nella nostra regione. Il grido di allarme di Falcione appare più che legittimo. Va

bene lo zuccherificio, va bene Solagrital, ma le altre cose le vogliamo prendere in esame? Per risolverle, naturalmente, non solo per fare esercizio dialettico. Falcione da quando è a capo dell’associazione degli industriali è andato giù più di una volta. Accendendo con Iorio un vivace discussione a distanza. Infatti il Governatore non ha tardato a dare la sua risposta: “Il Molise ha tanti problemi, non solo quelli degli industriali”.


Presso Villa Maria l’eccellente oculista ha appena operato un bimbo di nove mesi nato cieco

I

l PRIMO gli ha dedicato persino una copertina. Per testimoniare l’alto valore medico del professionista. Che, all’epoca, era direttore del reparto di oculistica dell’ospedale Vietri di Larino, struttura che ha intercettato, grazie alla bravura dei suoi dottori, un numero rilevante di pazienti di altre regioni. Ermanno Dell’Omo è senza dubbio il miglior oculista del Molise. Se avesse osato di più, scegliendo di lasciare la sua terra, quindi la sua famiglia e le sue radici, sarebbe balzato senza dubbio al proscenio nazionale. Ove, nonostante la scarsa visibilità del Molise, s’è comunque ritagliato, per luce riflessa, un proprio spazio. Va detto che con cotanto maestro sono venuti fuori eccellenti colleghi i quali pur essendo bravissimi riconoscono a Dell’Omo quel tocco magico che loro ancora non posseggono. Tra i suoi più convinti sodali c’è il dottor Nando Di Salvatore che dirige il reparto a Villa Maria, a Campobasso. Le cronache ricordano che il dottor Dell’Omo, proprio a Villa Maria, assistito dai colleghi della clinica, ha eseguito un delicatissimo intervento agli occhi di un bimbo albanese di appena 9 mesi. Un intervento che ha richiesto il solerte impegno di oltre due ore e mezzo. Nato, in pratica “cieco”, per colpa di una cataratta bilaterale congenita il bambino è dovuto ricorrere all’intervento del chirurgo, in sala operatoria. Il bimbo, Gerardo, assistito dalla mamma Violeta e da un’assistente sociale, Illka, è stato sottoposto all’operazione che è perfettamente riuscita. I cristallini opachi del bambino sono stati sostituiti, in modo da restituirgli l’immediato ripristino dei mezzi ottici necessari per il normale sviluppo neurosensoriale. E’ il caso di ricordare che una decina d’anni fa, quando il famoso calciatore olandese Davids già dell’Aiax, Milan e Juventus fu colpito da un intrigante problema visivo, la vulgata molisana volle che a

Le mani d’oro di Dell’Omo operarlo, per restituirlo al calcio, fosse stato Ermanno Dell’Omo. Si trattò di una gratifica immotivata: Davids non è stato neppure visitato dal nostro illustre conterraneo. Il quale ha sempre spiegato con alto senso di onestà la verità. Senza attribuirsi meriti che invece spettano ad altri. Gli sono bastati i suoi, niente affatto inferiori.

Restando nel mondo dello sport ci piacerebbe proprio sapere da quando Rino Gattuso, centrocampista del Milan, sarebbe tornato alla pratica agonistica, se invece di finire in un centro che lo ha curato per quattro mesi per poi scusarsi per aver sbagliato terapia, fosse stato preso in cura da Dell’Omo. (ge.ve.)

Cartolina dal passato

Stazione di Termoli

A

nni 50, i colori della piazza prospiciente la stazione ferroviaria danno il senso di un passato che suscita molti ricordi, qualche riflessione e anche sorrisi. L’immagine, richiama l’annuncio dell’altoparlante citato nel titolo ma c’è tutto un mondo che passa sotto i nostri occhi in questa cartolina. Siamo ormai abituati ai super Bus con tutti i comfort e ci appaiono strane le corriere dai colori variegati e forti (all’epoca chiamate anche “Postali” perché effettuavano il servizio di trasporto della posta). Dopo le tre corriere, s’intravede una “giardinetta” auto sconosciuta per i giovani, era un’utilitaria più lunga della norma che consentiva il trasporto di più persone o di merci nella parte posteriore. Faccia attenzione il lettore all’ambulante in basso a sinistra, che esce dalla stazione e si dirige verso la corriera forse per rimediare qualche spicciolo, oppure per ripartire verso casa, piazzando il carretto nel bagagliaio. Sullo sfondo, il mitico Hotel Corona, mentre lo scalo è chiuso nella zona dove ora si accede alla parte nuova della stazione. Il resto della piazza mostra la mancanza assoluta di traffico, forse per la scarsa quantità di auto circolanti all’epoca. L’ampia carreggiata, dimostra che se l’attuale amministrazione comunale eliminasse il capolinea degli autobus, la piazza ne guadagnerebbe molto. (an.ca.)

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di Aldo Fabio Venditto

Rosetta la femminista U

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na continuità differente. Le sorti del centrodestra isernino sono nelle mani di Rosetta Iorio, in pole position per la corsa allo scranno di primo cittadino nelle imminenti amministrative di maggio. La sorella del governatore, assessore in carica ai Lavori pubblici, sa più di altri quanto determinate sia conquistare il voto femminile per spuntarla su minoranza, compatta e agguerrita come non mai. Nel corso dell’ultima tornata elettorale regionale però, il Partito democratico non ha candidato nessuna donna, presentando una lista maschilista e condannando Paolo Frattura alla sconfitta. Di machismo sembra affetto anche il Movimento cinque stelle di Antonio Federico e Beppe Grillo, mentre il Popolo della libertà lancia segnali di pentimento dopo l’affaire Ruby. Rosetta rappresenta, in tal senso, la possibilità per il gentil sesso di restituire la pariglia agli uomini, forte del sostegno dell’universo rosa che sta lentamente conquistando la ribalta amministrativa. A tirare la volata a Lady Iorio è la deputata lesbo-democrats Anna Paola Concia: “Gli uomini hanno fallito – scriveva lo scorso ottobre sulle colonne de L’Unità – e il nostro paese non cresce perché non investe su metà del suo capitale umano. È antidemocratico e antieconomico ostacolare il nostro contributo alla rinascita italiana. Guardiamo al Molise, dove non è bastato aver inserito nello Statuto del Pd l’obbligo del 50% di presenza femminile nelle liste. I nostri dirigenti se ne fregano. Ed è un segnale di miopia politica e di preoccupante distanza dalla realtà”. Le femministe si spostano così dalla bandiera rossa al caschetto biondo dell’assessore che dovrà pure trasformare il partito de “la patonza deve girare”, celeberrima esortazione telefonica di Silvio Berlusconi, nel soggetto cardine di una nuova identità di genere, lo strumento per affermare il contributo rosa nell’amministrazione della res publica. Nel Belpaese sono 868 i Comuni amministrati da donne, il 10,73% del totale. Le prime cittadine guidano complessivamente 4milioni e mezzo

Lady Iorio è in pole position alle comunali di Isernia Un suo successo sbiadirebbe l’alone di machismo della politica molisana e del Popolo della libertà

Rosa Iorio

Il centrodestra rifiuta l’immagine del superuomo seduttore, alla Berlusconi. Scarica Ruby e le altre, affidandosi alle comprovate capacità amministrative dell’attuale assessore ai Lavori pubblici. Funzionerà? di italiani, poco più del 7% della popolazione residente nello stivale e, di norma, i conti pubblici ne risentono positivamente con risultati d’esercizio davvero soddisfacenti. Purtroppo esse risultano una vera e propria rarità nel Meridione (5,75%), mentre hanno gioco facile nel Nord della penisola (27,31%), dove le public manager danno prova di lungimiranza amministrativa, sovrastando i colle-

ghi in quanto a mediazione politica. Donna è bello insomma, anche se nei centri urbani con un numero di abitanti paragonabile a quello di Isernia, le sindachesse sono solo 28 (il 3,23% del totale). Ma c’è già chi giura che, a metà maggio, se ne aggiungerà un’altra. Senza dimenticare le deleghe assessorili, anch’esse banco di prova del nuovo corso del Popolo della libertà.


di Walter Cherubini

Cardarelli e Cattolica, convivenza possibile Serve un cambio di mentalità adeguato ai tempi, pena la soccombenza reciproca Cardarelli

Cattolica

T

onino Martino fu l’unico politico locale che, di fronte all’ebbrezza per la conquista della Cattolica, strappata da Florindo D’Aimmo alla Basilicata (col via libera di Emilio Colombo), pose ben prima della posa della prima pietra la questione dei costi della struttura per la regione Molise. Il Presidente dell’Ordine dei Medici, Domenico Petracca, in un’intervista a un settimanale considerò inevitabile la concorrenza con le strutture sanitarie locali: “Come potrebbe garantire altrimenti prestazioni d’avanguardia, dai costi straordinari, senza un gettito garantito da attività di routine?”. L’arrivo di Papa Wojtyla e i traffici per la sistemazione topografica dell’Istituto, l’orgoglio per l’approdo del presidio e l’illusione di risolvere qualche problema occupazionale, distolsero le attenzioni dal dibattito sui costi di gestione. Del resto, era un periodo in cui nessuno immaginava la prossima fine della DC, garante indefessa dell’ancienne régime, in anni in cui non esistevano leggi di bilancio e il debito pubblico uno strumento amministrativo. Il Cardarelli aveva già una sua

identità ben precisa, figlia dei tempi. Se la Sanità era vista come il chiavistello per puntare ai più alti incarichi amministrativi, l’Ospedale appariva la mangiatoia bassa del sindacalismo e del consenso elettorale, un banchetto cui partecipava pure l’opposizione, grazie ad intese consociative. Il declino però non è stato provocato solo da assunzioni senza concorso né meriti, da cambi di qualifica e infornate di personale giunto dai territori dei Rais, dall’eccesso di scialo o da scricchiolii strutturali. La malattia del Cardarelli è stata e continua a essere la strenua difesa dello status quo, un atteggiamento di auto referenza che ha dato buon gioco a pochi e danneggiato molti. L’accidia è un peccato capitale e nel capoluogo è storicamente tra i più commessi. Un’intuizione di Vittorio Rizzi chiuse la guerra logistica sulla Cattolica che, grazie alla scelta del Sindaco, guardò dall’alto in basso il Cardarelli. La sistemazione ha subito sintetizzato il complesso d’inferiorità della struttura pubblica, con annesse meschinità e mediocrità.

Ora le cose sono cambiate e, come avviene a volte, per accadimenti non previsti. L’obbligo di sanare il deficit di bilancio ha imposto un virtuosismo amministrativo che nella Sanità è reso ovunque difficile sia dal retaggio del passato sia dalla mancanza di risorse per sostenere i costi della medicina d’avanguardia, basata su tecnologie in continua evoluzione oltre che sull’ eccellente preparazione professionale degli operatori. Il San Raffaele, aldilà delle cattive condotte di pochi, è un esempio dirimente. Sparare a raffica sulla Sanità è cattiva e diffusa abitudine, ma un appunto alla Cattolica va fatto. Come mai nonostante il prestigio, l’appeal e l’indiscussa professionalità degli operatori, l’estate scorsa è bastato un prospetto di taglio fondi dalla Regione Molise, imposto dal deficit, a mandare in ambasce l’Istituto? Il direttore Cannone sparò a salve, minacciando addirittura il blocco delle attività, dimenticando di dire a chi avrebbe fatto danno il provvedimento. L’impressione è che la deriva assistenzialista sia contagiosa. La revisione strategica e le conseguenti sinergie professionali tra Cardarelli e Cattolica, non sono legate solo alle risorse da ottimizzare, ma anche ad altri fattori contingenti. Ad esempio, la crescita zero del Molise rende difficile investimenti a lungo termine in neonatologia e pediatria. Lo stato delle cose, nei prossimi anni porterà a una convivenza d’interesse tra le due principali strutture sanitarie del Molise. Iorio dovrà esprimere il meglio della sua arte politica per evitare il peggio. Il rischio, infatti, è che una sinergia potenzialmente proficua si trasformi in una serrata quanto deleteria tenzone politica, come già fanno temere i processi alle intenzioni che si stanno intentando e gli interessi trasversali che alimentano la polemica. Più che la fine, il prevalere degli egoismi segnerebbe un nuovo ingiustificato trionfo dell’auto referenziazione.

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Si chiamano codici bianchi. E’ il termine con cui gli operatori sanitari del Pronto Soccorso individuano tutti quei pazienti che manifestano problemi di lieve urgenza. La limitata gravità delle loro condizioni li porta però ad affrontare lunghe attese, specialmente nelle fasce orarie e nei giorni di maggiori afflusso al Pronto Soccorso. Il metodo del Triage è utilizzato all’arrivo di tutti i pazienti in Pronto Soccorso, dove l’accesso alle cure non avviene sulla base dell’ordine di arrivo ma sulla gravità delle loro condizioni. In questo ambito permette di stabilire un ordine tra i soggetti che vi giungono, dando le apposite cure prima ai casi più gravi e di seguito ai meno gravi. Il grado di urgenza di ogni paziente è rappresentato da un codice colore assegnato all’arrivo, dopo una prima valutazione messa in atto da un infermiere specializzato e preposto a questo compito. Il Codice Bianco individua il paziente che non necessita del pronto soccorso e può rivolgersi al proprio medico curante.

AMBULATORIO CODICI BIANCHI Per dare loro una risposta più puntuale l’Asrem aprirà, in via sperimentale, presso gli ospedali di Campobasso, Isernia, Termoli e Venafro l’ambulatorio dei codici bianchi, attiguo ai locali del Pronto Soccorso. L’ambulatorio dei codici bianchi è rivolto ai pazienti che accedono impropriamente al Pronto Soccorso in quanto i sintomi della patologia non riveste alcun carattere d’urgenza e potrebbe essere affrontata a livello territoriale (assistenza primaria o specialistica), cioè dal proprio Medico di Medicina Generale (MMG), dal Pediatra (PLS) o dagli specialisti che ricevono su appuntamento. L’infermiere di triage, dopo aver assegnato il codice bianco al paziente, lo invita a recarsi, nella fascia oraria definita, presso l’ambulatorio appositamente istituito.

L’ambulatorio dei codici bianchi ha lo scopo di risolvere numerosi problemi del Pronto Soccorso quali: 1. problemi di spazio, ovvero evitare un sovraffollamento in sala d’attesa e nei corridoi interni; 2. problemi di tempo, soprattutto per quanto riguarda l’attività medica ambulatoriale di visita, la compilazione delle cartelle cliniche, le informazioni e spiegazioni a persone prive di patologie severe ed ai loro parenti; 3. spreco di risorse, professionali medico infermieristiche e specialistiche e di servizi, quali il Laboratorio di analisi e la Radiologia, che devono essere programmate sulle reali urgenze. L’istituzione dell’ambulatorio dei codici bianchi intende centrare una serie di importanti traguardi: oltre a ridurre i tempi di attesa per i casi con minore priorità e garantire una maggiore fluidità per i pazienti in condizioni più gravi (codici contrassegni dai colori rosso e giallo e verde), consentirà di raccogliere alcune informazioni (tipologia della domanda, area di provenienza), che potranno essere utili per poter programmare in futuro una risposta territoriale. L’obiettivo quindi è anche di far comprendere all’utenza la differenza tra il ricorso al Pronto Soccorso, necessario nei casi di emergenza e urgenza, e l’utilizzo dei servizi territoriali, che rappresentano il percorso assistenziale più idoneo nei casi di lieve gravità. Presso il Pronto Soccorso si registra, soprattutto nelle ore centrali della giornata, un eccessivo afflusso di pazienti definiti, secondo i criteri di accesso (triage) come codici bianchi. Tali pazienti spesso sono costretti a lunghe attese, nei casi in cui i medici del P.S. sono impegnati nel trattamento di pazienti più gravi. Questi pazienti potranno continuare ad attendere il loro turno o potranno scegliere di avvalersi del nuovo servizio ambulatoriale.

Durante il giorno: rivolgiti a loro con fiducia. E’ il medico di famiglia, infatti, che ti visita per primo, ti segue periodicamente, suggerisce come stare bene, ti indirizza verso gli specialisti: non rivolgerti a lui solo per le ricette! Verifica gli orari di ricevimento e informati se ha aderito al programma di rintracciabilità telefonica dalle ore 8:00 alle ore 12:00 e dalle 16:00 alle 19:00 tutti i giorni esclusi i prefestivi e i festivi.

L’Asrem aprirà, in via sperimentale, presso gli ospedali di Campobasso, Isernia, Termoli e Venafro l’ambulatorio dei codici bianchi, attiguo ai locali del Pronto Soccorso. L’infermiere di triage, dopo aver assegnato il codice bianco al paziente, lo invita a recarsi, nella fascia oraria definita, presso l’ambulatorio appositamente istituito. Non si paga il Ticket per la visita.

Durante la notte è il servizio di continuità assistenziale. E’ aperta dalle 20:00 alle 8:00 e, dalle 8:00 alle 20:00 nei giorni prefestivi e festivi. Non si paga il Ticket per la visita

I più gravi passano prima indipendentemente dall’ordine di arrivo ROSSO

paziente in pericolo di vita, viene visitato immediatamente

GIALLO

paziente grave, viene visitato nel più breve tempo possibile

VERDE BIANCO

paziente non grave, l’attesa può risultare molto lunga il tuo stato di salute non è affatto grave e i tempi di attesa sono sicuramente lunghi e imprevedibili. Inoltre si paga il Ticket per la visita (25 euro)

Chiama il 118 e vai al Pronto Soccorso (PS) All’arrivo la gravità del tuo stato di salute viene valutata da un infermiere specializzato che ti assegna un codice-colore (triage).

e il ticket per ogni altra prestazione specialistica o esame diagnostico. Conviene contattare il tuo medico/pediatra o rivolgerti all’ambulatorio codici bianchi o alla guardia medica.


di Antonio Di Monaco

Parlamentari i redditi 2011 on line

Operazione trasparenza ancora opaca L’

operazione trasparenza per il governo e, più in generale, per la classe politica è scattata lo scorso 21 febbraio. Ma non tutti si sono allineati. Anzi. Ad eccezione dei membri della squadra di Monti (premier compreso), a Montecitorio soltanto un terzo degli eletti (205 su 630) ha firmato la liberatoria per mandare su Internet i dati della propria situazione patrimoniale, mentre a Palazzo Madama appena un sesto degli inquilini ha reso pubblici sul web i propri guadagni. Eppure, i redditi degli onorevoli vanno consegnati ogni anno alle Camere e sono pubblici per legge negli archivi dei palazzi. I presidenti Fini (Camera) e Schifani (Senato) non hanno ancora firmato la liberatoria, così come Alfano, Bossi e Tremonti. Tra i deputati molisani, in primis l’ex premier Berlusconi che ha optato per il seggio di questa regione, hanno risposto in blocco quelli dell’Italia dei Valori. Antonio Di Pietro per primo (e che in quanto a buoni esempi non si smentisce mai), seguito a ruota da Anita Di Giuseppe (anche se formalmente eletta in un collegio della Lombardia). In soldoni (nel vero senso della parola), il reddito dell’ex presidente del Consiglio, dichiarato nel 2011 e relativo al 2010, è di 48.180.792 euro, ben otto milioni in più rispetto a 365 giorni prima ed è sempre in cima alla classifica. Per quanto riguarda beni immobili e mobili, l’unica variazione che risulta è l’acquisto di un immobile a Lampedusa il 28 giugno dello scorso anno. Inoltre, per quanto attiene allo stato civile, l’ex premier risulta “separato”. Non risultano variazioni di rilievo, invece, per autovetture, imbarcazioni e partecipazioni nelle società. Tra i beni immobili intestati a Berlusconi, ri-

Tra i deputati molisani, Di Pietro dichiara un imponibile di poco superiore ai 180mila euro, mentre la collega Di Giuseppe si attesta sui 125mila; Silvio Berlusconi sfonda con 48.180.792 euro, 8ml di euro in più dell’anno scorso

sultano due appartamenti in uso abitazione a Milano, due box e altri tre appartamenti sempre a Milano e una comproprietà. Nella dichiarazione dei redditi è poi iscritto un immobile nel Comune di Lesa e alcune proprietà nell’isola di Antigua, che passano a 2 rispetto alle 3 del 2009. Il 730 relativo al 2011 del Tonino nazional popolare, riporta 186.407 euro alla voce “reddito complessivo”, mentre l’imponibile scende a 182.207 per l’acquisizione di qualche terreno nella natale Montenero di Bisaccia e la vendita di un’automobile. L’ex sindaco di Campomarino, Di Giuseppe, dal canto suo, non si discosta di molto dal suo leader di partito, dichiarando 125.510 euro: nessuna variazione patrimoniale rispetto al 2010, per cui il reddito complessivo coincide con la base imponibile. Nessuna traccia, al momento, invece, sul sito Internet di Camera e Senato del resto della pattuglia molisana: Sabrina De Camillis e Ulisse Di Giacomo (Pdl), Giuseppe Astore (gruppo Misto). Sarà solo questione di tempo? Intanto, il lavoro in funzione della lotta alla corruzione del ministro alla Pubblica Amministrazione, Patroni Griffi, va avanti. Il successore di Brunetta sta studiando anche una norma per imporre che siano resi noti i redditi di chi ricopre incarichi pubblici visto che spesso risulta difficile scoprire quanto guadagna un manager o dirigente pubblico. Ma la carenza di trasparenza è diffusa sia a livello centrale sia locale. I dati chiesti e parzialmente raccolti dal ministro vengono consegnati alle commissioni della Camera, le quali daranno un parere sul tetto agli stipendi (294mila euro, come previsto dal decreto Salva-Italia). Il

Antonio Di Pietro Anita Di Giuseppe

Silvio Berlusconi

Sabrina De Camillis

Ulisse Di Giacomo

Giuseppe Astore

problema è che, sui tagli degli stipendi troppo alti, diversi parlamentari, sollecitati dai super-dirigenti pubblici, spingono il governo nella direzione opposta. Ma l’esecutivo, nato sotto il segno della sobrietà, sembra deciso a resistere in nome del buonsenso e della giustizia sociale. Lasciando, ancora una volta, i buoni propositi lettera morta.

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di Alberto Tagliaferri

Lo stemma di Monforte

Lo stemma della città

Le pietre mute del Palazzo V

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ia Cannavina una volta si chiamava via del Borgo. Ed era una delle porte della città. La porta non c’è più: era troppo stretta, per questo fu abbattuta. Per consentire alle carrozze dei pochi notabili campobassani di poter accedere con disinvoltura verso piazza San Leonardo. Della porta si sono salvati un paio di pezzi di pietre, su cui sono scolpiti due stemmi. Che sono visibili nell’androne del Municipio, poste ai piedi della statua equestre di San Giorgio che nelle intenzioni della Chiesa che la fece costruire coi soldi dei fedeli avrebbe dovuto trovare posto in una piazza. Per fare bella mostra di sé. La decisione di collocarla proprio all’ingresso del Palazzo di Città non è stata poi così infelice. Purtroppo quelle due pesanti pietre stanno lì a significare tutto e niente. Manca persino una bacheca che ne spieghi il significato e la provenienza. Per distrazione o pressappochismo amministrativo ancora non si è capito. Certo, sono pochi i campobassani che frequentano gli uffici comunali a prestare attenzione alle due pietre. Probabilmente gli stessi impiegati neanche si saranno interrogati sulla loro radice. Facendo rivoltare nella tomba nientemeno che il grande filosofo Benedetto Croce che a suo tempo se ne interessò, in ragione di una visita a Campobasso ne fece fare un disegno da pubblicare su uno dei suoi tanti libri. Il filosofo nato a Pescasseroli e vissuto a Napoli lavorò con impegno per portare a conoscenza la biografia di Cola Monforte, signore della nostra città. Di cui in pochi sanno dire più di due parole. E’ bene ricordare che il nobile scelse di vivere sulla collina dei Monti e investì tutti i suoi averi per trasformare il suo palazzo in un castello, o meglio in

La statua di San Giorgio e le due pietre anonime del Palazzo

una fortezza. Creò una nuova e robusta cinta muraria alla città, inglobando un’area molto più ampia rispetto al vecchio perimetro medioevale. Cola non ebbe enormi disponibilità finanziarie e fu costretto a ridimensionare i suoi piani espansionistici. Fu costretto a dare il meglio di sé, invece, come capitano di ventura. Con le sue truppe combattè al fianco di Giovanni d’Angiò, il doge di Venezia, e Carlo di Borgogna.

Sulla prima pietra, a sinistra dell’ingresso, c’è lo stemma nobiliare; sull seconda pietra è inciso quello della città di Campobasso, con le sei torri; nel 1775 la nostra città venne liberata dalle angherie del duca Mario Carafa della Spina. Queste poche cose potrebbero essere ricordate ai cittadini e ai rari visitatori del nostro capoluogo, dotando il sito comunale di una bacheca che ne illustri il significato. Piccole cose, ma utili.


di Arnaldo Brunale

Campuascianeria

E la battuta continua N

el continuare l’articolo pubblicato sul numero di Febbraio di questo mensile, si riportano nuove espressioni verbali che arricchiscono il decalogo delle battute quotidiane che è solito adoperare “u campuāsciane” durante un discorso o una chiacchierata amena con gli amici e se ne spiega il contesto in cui esse sono state coniate. Belle Sante e belle Maronne nén cé sta nisciune riāule ca zé l’accatta! E’ la famosa battuta che un venditore ambulante della Campobasso degli anni ’50 del secolo scorso ebbe a pronunziare un giorno che nessuno comprava la sua merce, costituita da arredi sacri e da piccole statue raffiguranti santi. Le nuove generazioni non la conoscono; mentre, fino a qualche anno addietro, essa era proferita da chi non riusciva ad ottenere i risultati desiderati nel commercio o in qualsiasi altra iniziativa, pur avendo propèoste interessante da proporre. C’ nu piēre abballa e c’ ‘na corda sóna! E’ colui che deve industriarsi per poter tirare avanti decorosamente, non avendo molti mezzi finanziari a disposizione, come quel famoso musicante zoppo e scalcinato che cercava di guadagnarsi da vivere, esibendosi in strada con una chitarra ad una sola corda ed improvvisando un improbabile ballo. Cchiù piscia Marianna e cchiù Marianna ‘uāragna! Battuta nota solo alle persone più anziane. Essa era il motto di un tale Bombolone che, durante la calura dei mesi estivi, vendeva il ghiaccio grattato, corretto con sciroppi alla frutta, stazionando con il suo baracchino all’angolo della villetta Flora, prospiciente all’attuale bar Lupacchioli, una volta conosciuto con il nome di Casina. Marianna era l’appellativo che aveva dato ai sifoni che contenevano gli sciroppi; per cui, ogni qualvolta azionava il pulsante che favoriva l’uscita di un piccolo spruzzo del succo sul ghiaccio, egli pronunziava questa frase, con ciò volendo dire che più metteva in funzione il congegno dei sifoni e più, per lui, era garantito un maggior guadagno. Cé ha cacate u cane ‘é Scardocchia! Battuta sarcastica, risalente agli

anni ’40-’50 del secolo scorso, che si pronunziava quando si voleva sottolineare la scarsa prodigalità di una persona nel fare regali o l’eccessiva moderazione nel razionare porzioni di cibo. Essa faceva riferimento al cane di un noto barbiere di Campobasso che, a detta di alcuni, riusciva a fare essiccare ogni cosa là dove faceva i suoi bisogni. Cuōséme fa u tarramote! Nén so’ cazze mie! Battuta ironica che si attaglia su una persona indolente e minimamente interessata a tutto ciò che le succede attorno. E’ il massimo del menefreghismo! Essa si ricollega ad alcuni aneddoti riferiti da Eugenio Cirese nel suo testo: “Gente Buona – Libro sussidiario per le scuole del Molise”, del 1925, che si riportano di seguito: 1) “Ze dice ca Cuòseme nascette a Campuāsce ma forze nn’è lu vere, pecchè ógne paiese tè nu Cuòseme. Addò ze chiama Cicce, addò Denate, ‘ddò ‘Ntonie e ‘ddò Necola, ma pe chelle che facètte quande fu vive, sempe Cuòseme iè! Mentre Cuòseme steva durmènne ‘n grazia de Die, all’ampruvvise menètte ru terramote. - Cuòseme! Cuòseme! ‘lluccatte la moglie Giacinta - avezete: iecc’ a ru terramote! - Cuòseme z’arevutatte all’atra via dicenne: - E che me ne ‘mporta a me? Nen nzò guaie miè - . E rechiudette l’uocchie.”. 2) “’Na vota Cuòseme, pesante come ièva, z’abballuttatte pe tutte le scale de la casa. La moglie, sentènne da la cucina quille rumore ‘ncupe, ‘lluccatte: - Cuòseme, che t’è succièsse? - Songhe cadute! - Oh, marammè! E te sciè fatte male? Sacce ‘sse storie i’? E z’addurmètte.”. 3) “N’atra vota Cuòseme cascatte dentr’a nu fosse ‘nnanze a la massaria e z’abbagnatte re piede. ‘Nvece da scì, ca ru fuosse ieva vasse, z’acchiappatte a na tóppa de ièrva e cumenzatte a ‘lluccà: - Giacinta! Giacinta! - Che vuò! - So cadute dentr’a ru fosse! - E mbè? Ièsce. - Giacinta! Nen me viè ttoglie? E iècche me stiénghe!”. Fotte e gnaulea! Battuta che ha origine in una casa di benestanti campobassani, dove un imbianchino, infastidito da un cane che lo molestava mentre lavorava, non trovò di meglio che appioppargli un calcio per allontanarlo. Ai guaiti del cane, che nel frattempo era fug-

gito di casa, il proprietario chiese all’imbianchino la causa dei lamenti del cane. L’operaio, per non dire di avergli dato un calcio, rispose con questa battuta in stretto dialetto campobassano, volendo dire che il cane non si stava lamentando, ma guaiva di piacere perché si stava accoppiando fuori casa con un altro cane. Ha fatte la fine ‘é ron don Pauline! Le fonti raccolte su questa affermazione forniscono due versioni completamente diverse fra di loro. 1) Don Paolino, nobile campobassano dell’800, caduto in disgrazia per il suo amore per le donne, per il gioco e per la bella vita, si ridusse ad una vita talmente povera che, in vecchiaia, dimenticato da tutti, non ebbe nemmeno il necessario per illuminare la casa, ricorrendo all’uso di qualche pezzo di legno ardente in sostituzione della candela. 2) Don Paolino, sacerdote campobassano dell’800, elargì tutti i suoi averi ai poveri, riducendosi alla più nera miseria, tanto che, non sapendo come comprare le candele per la sua chiesa, ricorse all’ausilio di legni ardenti al loro posto. E’ evidente che, qualsiasi sia la vera versione dei fatti, la battuta si adatta a tutte quelle persone che, in gioventù, sperperano senza ritegno tutti i loro averi, finendo sul lastrico in vecchiaia. Ha fatte la scuperta ‘é ron Nécola Iocca ca récette ca la neve quanne zé squaglia addéventa acqua! Don Nicola Iocca è un personaggio stravagante non campobassano noto per le sue scoperte ovvie. Siamo accostati a lui quando facciamo affermazioni scontate. A Bonefro dicono “E’ fatte ‘a scuperte ‘Colejocche, ch’è rotte l’ove ch’a segghiocche!” Ha fatte l’accatte ‘é Maria Vrenna: accatte a ulme e venne a rāse! Pare che la battuta si riferisca a Maria di Brenno, moglie di Ladislao di Durazzo, che fu costretta ad assistere allo sperpero dissennato di tutte le ricchezze di famiglia da parte dei figli. Siamo soliti esprimerci così all’indirizzo di quella persona che si mostra poco accorta nel trattare i suoi affari, finendo quasi sempre con il rimetterci.

(continua)

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Il

Mix di D’Artagnan Poliglotta: un uomo parla 50 lingue

Falcione: abbassiamo N l’Imu per le imprese P

er la prima volta negli ultimi decenni stiamo vivendo la crisi del mattone. Ne sanno qualcosa soprattutto le imprese edili che si ritrovano con un numero rilevante di unità immobiliari invendute. Sulle quali però sono costrette a pagare l’Imu. Per fronteggiare tale stortura il presidente dell’assindustria molisana Eldorado Falcione sinsta attivando per sensibilizzare i sindaci a ridurre per questa categoria di contribuenti le aliquote.

Arte: Luciana Picchiello a Bari L’

artista di arte moderna, la bionda Luciana Picchiello, ha ottenuto un altro gradito riconoscimento: l’Archivio di Stato di Bari le ha organizzato una interessante mostra “Mare Mediterraneo”, attraverso un percorso emozionale tra luoghi e memoria. Non è facile per i molisani trovare sponda fuori dalla nostra regione. La Picchiello evidentemente fa eccezione, visto che grazie anche alla bravura del suo manager e compagno do vita Tony Notar, sta trovando diverse porte aperte. La nostra concittadina si muove in un campo artistico ampio che piace al pubblico e alla critica.

Sesso: basso uso del Condom M

entre in California il Condom arriva per posta ai giovani, per poter combattere in questo modo le malattie sessuali, si scopre che in Italia l’uso del contraccettivo meccanico è in netta diminuzione. Gli ultimi dati dichiarano che nel Molise siamo al di sotto del 10 per cento. Come dire che solo un uomo su dieci usa in preservativo per i suoi rapporti amorosi.

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el mondo si parlano 6.909 lingue, ma se rapportiamo la varietà degli idioi presenti in una certa area geografica alla sua popolazione, scopriamo che la massima concentrazione è ai tropici. Va rimarcato che nella nostra testa abbiamo la possibilità di imparare molte lingue; gli scienziati stanno scoprendo come il cervello si attrezza per apprendere più idiomi. Bisogna ricordare che uno dei maggiori poliglotti contemporanei è Alexander Arguelles di Chiacago il quale conosce bene 30 lingue ed è in grado di parlarne 50.

Sanità

Alta la mobilità passiva A

bbiamo sei strutture pubbliche, tre case di cura, due centri di eccellenza, ma in qualche modo, in maniera incomprensibile, registriamo 90 milioni di euro di mobilità passiva (molisani che si vanno a curare in altre regioni). La sanità molisana resta sempre una profonda voragine nel sistema economico molisano. C’è sicuramente qualcosa che non funziona. Se è vero che la Cattolica ha il 45 per cento di mobilità attiva (persone di altre regioni che si curano nelle nostre strutture) e il Neuromed addirittura l’80% che da sole determinano un saldo positivo tra la mobilità passiva e quella attiva. Si va fuori regione non solo per gli interventi cardiaci delicati, ma anche per parti e per la riabilitazione. E’ storia recente la vivace disputa che si è accesa per il trasferimento graduale di alcuni reparti dal Cardarelli alla Cattolica. Che, come si ricorderà, era nata per far funzionare 312 posti letto, ma oggi che è cambiata la situazione, ne ha appena 150. Per razionalizzare i costi si è pensato di far funzionare nuovamente a “tavoletta” il centro, senza togliere le funzioni proprie al Cardarelli.

Denaro ringrazia Enzo Bianchi M

ichele Denaro, uno dei personaggi più noti del capoluogo (è stato vigile inflessibile), ci ha scritto per rimarcare l’eccellente professionalità del dottor Enzo Bianchi del S.S. Rosario di Venafro, ospedale finito nel mirino dei tagli della sanità molisana. E’ lì che il campobassano si è sottoposto a un delicato intervento ortopedico all’anca. Riscontrando capacità e alto senso umano del primario e dell’intero reparto. Denaro ha puntualizzato l’eccellenza ospedaliera, dimostrandosi contrario ai tagli indiscriminati. E suggerisce di attribuire un bell’oscar al dottor Bianchi e un tapiro alla maggioranza regionale che sta tagliando a destra e manca.


Lettera a me stesso

C

Un imponente palazzo (Municipio), da poco rimesso a nuovo, rossastro, pomposo, si pavoneggia con le sue cento finestre: dirimpetto c’è una piazza bellissima che viene perennemente macchiata dalla presenza di venditori ambulanti, da espositori di auto con gli ultimi modelli, da trenini in corsa, persino da un calesse trainato da un pony. Una piazza macchiata dalle stigmate del vizio e delle cattive abitudini. Altre costruzioni restaurate tentano di dare al Corso una parvenza di civiltà, e se si cerca di ficcar l’occhio ai fianchi, alle spalle o dirimpetto si trovano marciapiedi spaziosi anche se mal curati: il pavimento traballa, gli scivoli sono insicuri, le basole stradali hanno le fughe senza malta. Basterebbe un po’ di attenzione da parte degli amministratori per farne una vera e propria Piazza Salotto. Iniziando dall’emettere un’ordinanza che imponga ai residenti di adornare balconi e finestre con vasi contenenti gerani e altre piante fiorite.

Gennaro Ventresca

In contrapposizione alle finestrelle del centro storico dalle quali pendono i panni stesi, ingentiliti dalla poesia del vaso di basilico e del popone sospeso. Il sipario propone con maggiore frequenza spettacoli improvvisamente brutti: muri imbrattati dai wraiters, giornali sfogliati che svolazzano mischiati a volantini e depliant gettati di qua e di là, senza il minimo rispetto. Questi spettacoli sono brutti, nauseanti, schifosi: è la cattiva parola, ma è la parola: hanno distrutto tutta la nostra tela d’illusione. Un po’ alla volta l’occhio si sta abituando al brutto, senza che nessuno intervenga, ferendo l’animo di chi conserva ancora la sensibilità per le cose gentili. Da pochi giorni l’hanno persino riaperto al traffico e alla sosta, tra l’indifferenza generale. Il Corso è il Corso. Voglio sperare che resti sempre la parte più bella della città, ma se le cose dovessero continuare su questa tangente prevedo giorni bui per noi campobassani.

AT T U A L I T A’

arissimo, ci sono gli alberi, i lecci per l’esattezza, che formano la poesia di tutti i paesi civili del mondo. Ci sono anche alcune pianticelle tisiche, mal piantate, coltivate male, non protette e viceversa, esecrate, odiate, perseguitate dalle autorità stesse, dai cittadini e dai monelli: tanto che sarebbe meglio sradicarle, anzichè assistere a quella lenta agonia di cui nessuno ha pietà, non il sindaco, non l’assessore ai giardini, non i proprietari di case e negozi, dimenticando che il verde è riposo degli occhi, sogno vago dell’anima. Sto parlando del Corso che era, doveva essere, dovrebbe essere l’apportatore dell’aria, della salute, della pulizia di migliaia e migliaia di anime campobassane. Per chi abbia anima sensibile, questa strada assume un simbolo elettissimo, è l’emblema della solidarietà umana sente la necessità di elevare prima fisicamente e poi moralmente il popolo del capoluogo. Questo nella mente di chi lo volle, dopo la visita ai tuguri e alle catapecchie, dopo l’orrore che ne ebbe l’animo dei maggiorenti, questo era il compito del Corso. Il Corso doveva salvare il popolo campobassano: e poiché le labbra che domandano, non sempre sono esaudite da labbra che conoscano la verità, poiché il difetto di cui tutti siamo malati è la fretta, poiché tutto ci sfugge, così noi possiamo credere che il Corso abbia dato al popolo campobassano tutto quello che gli mancava e sopra tutto possano crederlo tutti quelli che passano qui un giorno o un mese, o solo decidano d’indugiare a fare una passeggiata. Il Corso è il luogo dei nostri incontri, dove potersi salutare anche solo conoscendosi di vista, dove s’accendono gli amori anche solo attraverso uno sguardo galeotto. Il Corso è il Corso. Nessuno potrebbe definirlo meglio. Guai se non ci fosse, significherebbe cancellare la storia della nostra città. È piacevole il Corso: è l’emblema della città, più del Castello e della stessa collina che lo sorregge. Eppure questa illusione non resisterebbe a un’osservazione più minuta. Alla seconda, alla terza, alla decima volta che si attraversa questa magnifica strada, volgendo gli occhi a manca, a dritta, lo scenario seducente ha qualche strappo.

di

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Ricordo di una bella coppia che ha fatto la storia di Campobasso

La famiglia Benvegnù L

a storia Stava lì, piantato proprio nel bel mezzo del corso, nel marciapiede di centro. Una specie di ombelico del mondo della nostra piccola e coinvolgente città. La vetrina luminosa, capi eleganti di target mediofine esposti in vetrina ad annunciare il cambio di stagione. Un locale profondo che terminava con una scala che portava al piano di sopra, ove era stato ricavato un delicato ammezzato. Per quelle scale scendeva lei, Giuliana De Luca, conosciuta come la Benvegnù. Era bionda, alta, snella e con i lineamenti rifiniti la signora della moda di Campobasso. Le stava accanto, con pari dignità e distinzione, suo marito Francesco Lalli, meglio conosciuto come Checchino. Un bel fisico, impreziosito da un paio di baffi all’inglese. Hanno lasciato il segno Checchino e Giuliana, belli, eleganti, distinti e cordiali con la gente. Dal comò, inutilmente, Campobasso ha cercato di tirar fuori una coppia che la valesse. Accrescendo in questo modo il rammarico per chi non c’è più. Va spiegato che Benvegnù non è stato un nome di fantasia, ma un cognome, di “nonna” Irma, una modista che piantò le sue radici nel capoluogo, negli anni 20. Quel nome è stata una garanzia, un pass partù della moda. La scomparsa di Checchino Lalli, avvenuta sotto Natale, all’età di 91 anni, ci offre l’occasione per riportarlo all’attenzione del lettore, assieme alla sua solare signora. Checchino arrivò da Salcito, uno dei tanti minuscoli comuni della provincia. A Campobasso trova Giuliana con la quale mette su famiglia. Nascono Nicola che dopo aver fatto altro, da qualche anno ha riaperto un negozio (via Roma) con la griffe Benvegnù e Carmela che svolge la professione di avvocato. I due si distinguono per il target del loro esercizio commerciale. Che si staglia dalla media locale. Il successo li arride. E la loro vita sembra una fiaba. Durante l’estate poi la famiglia “Benvegnù” viene allietata anche dal rientro per le vacanze di Guido De Luca, fratello di Giuliana, un impenitente Don Giovanni che vive a Roma e si presenta con una MG celeste, cappello e papillon da urlo. Ma la vita, a volte, si trasforma in un brutto film. Giuliana, bella, sciccosa e invidiata per tutto, viene investita davanti al Roxy. Inizia lì il suo calvario, seguito da una brutta malattia che la mette all’angolo per un decennio, prima di spegnere l’interruttore.

Giuliana De Luca e Checchino Lalli meglio conosciuti come Benvegnù hanno guidato per decenni uno dei negozi di moda più esclusivi del capoluogo

Checchino resta solo e dopo qualche tentativo di proseguire in solitudine l’attività commerciale decide di vendere il magnifico negozio del corso. L’insegna Benvegnù si spegne, mentre la città cambia le sue abitudini. Perdendo i pezzi più pregiati Checchino Lalli se n’è appena andato, lasciando un profondo vuoto nei suoi figli Nicola e Carmela e nella nipote Giuliana che porta il nome della sua amata compagna e, ovviamente, di quanti gli hanno voluto bene. Negli appositi spazi destinati ai necrologi appena un paio di manifesti. A conferma che i tempi mutano e che in fretta si dimentica. Mentre il fiume straripa il figlio Nicola, con un altro target sta tentando, in via Roma, di rifare gli argini. Usando il vecchio e caro brand “Benvegnù”. (ge.ve.)

Giuliana Lalli e Checchino Lalli hanno formato un sodalizio commerciale e familiare tra i più sciccosi del capoluogo. La bellissima signora se n’è andata 15 anni fa, il fascinoso marito a Natale.

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La cerimonia degli addi

Ciao Salvatore Messina Q

uando scompare un personaggio si pensa subito a ciò che è stato. Facendo passare in secondo piano il vuoto che ha lasciato nell’ambito della sfera familiare. E’ successo così anche a Salvatore Messina il cui cuore ha smesso di battere in uno dei giorni più freddi dell’interminabile inverno campobassano. Il suo black aut era nell’aria. Da tempo aveva smesso di venire a leggersi Tuttosport ai tavoli di Lupacchioli e discutere di pallone. Camminava con aria dimessa e aveva scarsa voglia di parlare. La malattia che lo aveva assalito tre anni fa, pian piano se lo è mangiato. Salvatore è stato per un lungo tragitto della sua vita il principale impresario di spettacolo del Molise. Al contrario di altri colleghi che hanno svolto il mestiere a tempo parziale ha scelto questa strada, sbattendosi alle spalle la porta del commercio. La sua famiglia di esperti commercianti guardò con diffidenza quella scelta, ma poi si è dovuta rendere conto che il “ragazzo” aveva seguito il suo uzzolo. Non si contano i successi professionali raggiunti nella sua lunga carriera, con Anna Oxa, Fausto Leali, Fiordaliso, Mario Merola e tanti altri artisti di grido che hanno fatto parte del campionario. Nel momento di maggior splendore aprì un ufficio di rappresentanza a Milano, in modo da poter seguire da vicino i suoi assistiti. Non si contano le volte che ha portato i suoi cantanti a San Remo. A Campobasso, la sua città, di tanto in tanto ha portato qualche “pezzo buono”, regalando anche uscite di personaggi di spessore quale Piergiorgio Farina, violinista raffinatissimo, presente alla premiazione dello Sportivo dell’anno.

E’ scomparso il principale impresario artistico del Molise Pur vivendo lontano dalla sua città Salvatore ha conservato un affetto profondo per Campobasso e gli innumerevoli amici campobassani. A volte, quando tornava dalle sue tournèe, si fermava prima davanti al Bar Centrale e poi andava a casa, dalla sua famiglia, la moglie Rosaria e i quattro figli, Toni, Giusi, Nico e Maurizio. Una bella famiglia numerosa. Era

fatto così, aperto e disponibile. Aveva preso a cuore anche i New Harlem, un gruppo di notevole spessore artistico del capoluogo. Assicurò loro una squillante tournèe in Sardegna, ma il rapporto finì lì: i quattro orchestrali avendo un lavoro principale diverso da quello artistico non lo hanno potuto seguire per evidenti ragioni. (ge.ve.)

Cordoglio per l’ex sindaco di Venafro

L

Addio Enzino Ottaviano o hanno chiamato Enzino, pur avendo una bella stazza. Amici e avversari dell’arengo politico gli hanno voluto bene. Cosa unica, specie a Venafro, ove la guerra di fazioni è stata sempre alta. Vincenzo Ottaviano è morto in questi giorni, chiudendo un percorso contorto. La sua vita può essere suddivisa in due segmenti: prima e dopo l’incidente d’auto. E’ stato il sindaco di Venafro più longevo, la gente della sua comunità ha contribuito a portarlo anche in consiglio regionale, per farsi rappresentare al meglio. Poi, una notte, un terribile incidente. Da quel momento tutto è cambiato. Intorno a lui è calato il silenzio e una profonda commozione da parte dei suoi concittadini che gli hanno voluto bene, venendo ricambiati. A Venafro la sua morte, anche se annunciata, è stata accolta con profondo cordoglio. I cittadini non hanno dimenticato il suo laborioso lavoro amministrativo, condito sempre di un esclusivo senso di umanità. Familiari, amici, politici e semplici molisani lo hanno pianto, dopo averlo rimpianto. E non crediate che stiamo scrivendo frasi fatte, fotocopiate. Abbiamo solo riportato il senso delle cose e gli umori di chi l’ha conosciuto bene. (da.ma.)

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Ginestra e cemento è un romanzo che narra il viaggio dell’autore accompagnato da Francesca verso i luoghi cari della sua vita

Un viaggio nelle stagioni di Pasquale Licursi RECENSIONE LICURSI

L

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eggendo il libro di Pasquale Licursi ho avuto la conferma che i romanzi (quelli veri) sono le tavole periodiche dei sentimenti. “Ginestra e cemento” è quello che si dice un romanzo del nostro tempo (sul nostro tempo, per il nostro tempo, dal nostro tempo). Ed il racconto di un viaggio: “Se non ci fossero i treni o le navi e gli aerei nessuna cosa sarebbe possibile e nessun percorso realizzabile”. “Una strada, un mare ha sempre un inizio e da qualche parte finisce. Prima o poi finisce. E’ un po’ come la vita. Inizia e finisce e dentro ci sei tu con le tue strade”. Pasquale Licursi è un intellettuale che si è messo in cammino, raccontando con una prosa, giusto mix tra l’asciuttezza di Corrado Alvaro e i ricami di Nantas Salvataggio, un viaggio tra tante strade e tante città, dove si consumano storie che vivono in te. Il romanzo ti rapisce, è di una commuovente, dura bellezza e, alla fine, rasserenante. Licursi che è nato a Santa Croce di Magliano, dove tutt’ora vive, ha diviso la vita in quattro stagioni. Spiegando che “In un posto o in un altro non è uguale la primavera. E’ la musica che cambia e pensi a come potrebbe cambiare se sei fermo di fronte a un panorama insieme alla persona giusta che non parla, ma sospira”. “L’estate ha il sapore della velocità, di una corsa folle verso le cose e verso la vita. E ti illudi come in nessun altra stagione”. “Nella provincia del mondo sento l’odore del vino nelle botti di rovere e moscerini impazziti che volano”. “È legna che brucia, fumo di camini, latte caldo e marmellata. Neve bianca e luci di Natale”. La lettura risulta leggera, favorita dall’abilità dell’autore che fa scivolare le pagine come il suono di un’arpa. Soffermandosi sulla poesia di Alda Merini con i suoi fiori sul balcone di

Pasquale Licursi assieme a Erminia Gatti che mostra la copertina del romanzo Ginestra e cemento

cemento. E di quanta vita ha regalato agli altri, prima di morire. Lasciando strofe bellissime che si possono leggere pur senza essere poeti. Sono facili da capire come la musica alta è di rapida presa anche se non si conosce il pentagramma. Recanati, Urbino (il luogo dei suoi studi, con Carlo Bo come rettore), Firenze, Napoli (tra gente che vive all’aperto e sempre in salita, ove riposa a Fuorigrotta il suo poeta del cuore, Leopardi). Lo ha accompagnato nel suo viaggio Francesca, una ragazza dolce che sa ascoltare e che sa muoversi tra i sentimenti dell’anima. Godendo la bellezza dei luoghi e delle chiacchierate colte, il Caffè Gambrinus dove Croce passava le ore ai tavoli al-

l’aperto e Maradona faceva impazzire il mondo. Un viaggio resta sempre una storia d’amore formidabile. La più bella in ogni senso. E Pasquale Licursi chiude il suo gagliardo romanzo rivolgendosi a Francesca, la cui immagine porterà per sempre dentro. Spiegando: “Tu sei la mia città, Francesca. Quella senza un treno che ti porta e senza una stazione che ti aspetta”. In quanto a voi, lettori, vi consiglio di leggerlo questo romanzo di Pasquale Licursi. “Ginestra e cemento” (Morgan Miller edizioni, 16 euro) va letto. Vedrete che vi verrà voglia, passato qualche giorno, di rileggerlo. I protagonisti del romanzo sono solo due, per questo sarà più facile fissare meglio tutti i loro contorni. (ge.ve.)


di Domenico Fratianni

Il respiro dell’epopea popolare

*** Dopo sessant’anni, torna il romanzo che ha consacrato Jovine come maestro del nostro Nove-

cento. Le Terre del Sacramento apparso nel 1950, postumo, a poche mesi dalla morte dell’autore e subito insignito del Premio Viareggio, sono le Terre di un Feudo incolto della Chiesa, confiscate dallo Stato dopo l’Unita e approdate, non si sa come, in mano alla “Capra del diavolo”, di nome Enrico Cannavale, un possidente velleitario e senza spessore umano. In realtà, il romanzo è il riscatto di una classe subalterna (i contadini), che prende finalmente coscienza dei propri diritti. Come in Signora Ava, l’altro grande romanzo di Jovine pubblicato nel 1942, la scena ha come sfondo il Mezzogiorno d’Italia - il Molise - con i suoi miseri e sfruttati cafoni e i suoi notabili inquieti e accidiosi. Non mancano anche i preti, divisi tra la paura e il privilegio. Ma con le Terre, lo scatto in avanti di Jovine è notevole: il “tempo” non è più quello lirico/fiabesco, quasi mitologico di “gnora Ava”; la miseria e le lotte per la terra non sono più quelle ataviche e immutabili di stampo verista, ma trasudano lacrime e sangue, quello del primo dopoguerra, segnato dall’avvento del fascismo e dai manganelli delle camicie nere. Lo sguardo del narratore coglie una realtà espressionisticamente in movimento, preludio di un domani migliore e più libero. Non a caso, il protagonista del romanzo è un giovane, Luca Marano, che a differenza di Pietro Veleno, incontrato in Signora Ava e diventato brigante per disperazione, rappresenta l’emblema della speranza, mettendosi alla testa dei braccianti per rivendicarne il diritto alla speranza e alla giustizia. Ma è anche il romanzo delle donne: Clelia, fedele cugina di secondo grado di Enrico Cannavale, con il quale dividerà mal volentieri un rapporto solo carnale, e Laura, più lontana parente di Enrico che diventerà sua moglie e rappresenterà la figura centrale, furba, scaltra e anticonvenzionale che prima prometterà ai contadini un contratto di enfiteusi, poi li abbandonerà alla violenza degli

squadristi. La vera sostanza del romanzo, come giustamente sottolinea Francesco D’Episcopo, è riposta nel rapporto intimo che Luca, nome evangelico, stabilisce con la religione, in un confronto/scontro tra due personaggi centrali della problematica esistenziale di Jovine: l’angelo e il diavolo. Luca rappresenta l’Arcangelo chiamato a liberare il mondo dalle perfidie del diavolo, rappresentato dalla “Capra”, nella persona di Enrico Cannavale, personaggio egoista e decadente. E sarà un prete, Don Giacomo Fontana, a dare a Luca la forza e la chiarezza di un possibile futuro diverso e più libero, provocando quella vera rivoluzione interiore che una falsa idea di religione non era mai riuscita a creare in lui. E torna anche la vocazione più autentica del Molise, nato pastorale e diventato agricolo, in un Sud sconvolto da frane e smottamenti storici che, con il sopraggiungere del fenomeno fascista, farà diventare la nostra Regione, osservatorio privilegiato di una storia nazionale. Ed è proprio nel momento in cui le Terre, per geniale intuizione di Laura Cannavale, vengono bonificate dalla “maledizione”, che Luca Marano perderà la vita, tradito da una Società Anonima che, con il suo potere economico, si libererà per sempre di lui, profeta eroico e disarmato. Il pianto delle donne, prima fra tutte la madre Immacolata, sul suo corpo, riporterà alla mente il Cristo Crocefisso sul Golgota.

ARTE & CULTURA

A

proposito delle Terre del Sacramento, riproposto dopo sessant’anni da Donzelli Editore, con introduzione dello studioso Francesco D’Episcopo, mi tornano in mente le continue discussioni avute con Giose Rimanelli che, nel mio studio e davanti al cavalletto, mi raccontava della sua collaborazione con Francesco Jovine e della prima stesura del romanzo che Giose dattiloscrisse. Rimanelli contava fraterna amicizia non solo con Jovine ma anche con la sua consorte Dina Bertoni; insomma era considerato come uno di famiglia. Giose era solito raccontarmi a proposito della morte di Jovine: “Francesco giaceva morto sul letto, e i becchini lo stavano preparando. Io ero l’unico presente. Lo vestirono in fretta, smaneggiandogli il corpo. Erano smilzi e vestiti di nero, persino allegri, come nei romanzi russi. E uno disse: Era grasso il maiale!. Mi accorsi allora che stavo piangendo e strinsi forte i pugni contro di lui. Solo allora mi accorsi di un giovane rossiccio, con pizzetto e baffi ben curati. Sono, mi disse, Giuseppe Jovine, nipote di don Ciccio”. Così come dicevo per Signora Ava così è anche per le Terre del Sacramento; i due romanzi giustificavano il mio essere pittore, con quegli elementi di natura riscontrabili nella mia tavolozza (il fiume, il mare, il vento, la pioggia e il sole e, anche la rabbia e la disperazione subito pronte, queste ultime, a ricomporsi in un respiro di speranza). E quelle angolosità dei volti dei personaggi che da bambino disegnavo sulle pareti della mia casa natale a Montagano, con il grande forno sempre acceso, dove artigiani e contadini si scaldavano dai rigori invernali, aggirandosi come in un grande palcoscenico, desiderosi di trovare/ritrovare una dignità perduta e sempre sognata.

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La formazione del North Vancouver

La Mascotte del Campobasso canadese

L A CURIOSITA’

Q

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uesta volta più che la foto curiosa poniamo all’attenzione dei lettori una chicca che arriva direttamente dal Canada, precisamente da North Vancouver, una cittadina che appartiene all’area metropolitana di Vancouver, nella Columbia britannica, nel grande bacino occidentale che dal Canada arriva oltre confine fino a Seattle nello stato di Washington. La curiosità riguarda una squadra di calcio nata nel 2009 e che si chiama “North Vancouver Campobasso”, una formazione dilettante che partecipa al campionato metropolitano (un bacino di tre milioni di abitanti) e ha vinto per tre volte il titolo approdando nella prima divisione. Va ricordato che le squadre professionistiche canadesi sono poche e partecipano al torneo della lega calcistica degli Stati Uniti. La squadra ha come stemma un Lupo molto somigliante a quello del Campobasso italiano, le sciarpe dei tifosi portano la scritta “Forza Lupi”. Solo i colori sociali sono diversi, verde e blu, in omaggio alla comunità locale. Nata su iniziativa di alcuni molisani, tra cui il Presidente del club Cusano e l’allenatore Alfredo De Lucrezia, la squadra è diventata una sorta di centro sociale, grazie a varie iniziative che vanno dalle gite oltre confine a Seattle per seguire il football americano, alle conviviali nelle occasioni più importanti dell’anno. Un piccolo mondo molisano lontano tra l’altro dalla grande concentrazione di conterranei che si registra tra Montreal e Toronto. Qui siamo dall’altra parte del continente, sulla costa pacifica, all’inizio del grande nord. Un posto ideale per far ruggire i Lupi, anche nel calcio. (an.ca.)

Il Lupo canadese ringhia e vince a Vancouver

Campobasso e le sciarpe dei tifosi

Il mister Alfredo De Lucrezia con una fan speciale


Zibaldone

di Eugenio Percossi

Conosco un posticino

Concetta e Giovanni Gianfelice

I

cavatelli sono il piatto forte della nostra cucina di terra. Nelle altre regioni neppure li conoscono. E più di qualcuno ci casca, confondendoli con gli gnocchi. Che sono ben altra cosa.

I cavatelli sono cavatelli. E per essere tali andrebbero cavati a mano. Come usano fare ancora tante mamme e nonne. Ci sono alcuni ristoranti del capoluogo che vanno alla grande con questa portata: ogni giorno se li fanno cavare da casalinghe dalle mani d’oro. In modo da non disperdere la tradizione. Sono buoni anche quelli fatti a macchina, ma è chiaro che dallo stampino escono pezzetti di pasta tutti uguali che denotano la mancanza artigianale. Il condimento è il vero successo dei cavatelli. I quali si sposano bene con la carne di porco. Per l’esattezza con le “tracchiulelle” (costantine di maiale). Non si sbaglia se nel sugo ci si fa scendere anche qualche pezzo di salsiccia che una volta veniva servita sul colmo del piatto, dei cavati, per impreziosire la portata e farne un piatto unico.

separati dalla nascita

Elsa Fornero e Paola Falcione

Elsa Fornero

E

Paola Falcione

lsa Fornero, ministro del lavoro e delle pari opportunità, è salita al proscenio per le sue lacrime in diretta e soprattutto per il rigore. Esteticamente la componente dell’esecutivo di Mario Monti ha molti punti in comune con Paola Falcione, dirigente del Comune di Campobasso. Che secondo i bene informati sarebbe una donna tosta e austera, proprio come la ministra. Entrambe le signore hanno deciso di rimettere in ordine i conti: La Fornero su scala nazionale, la Falcione nel Palazzo di città.

Sono numerose le variazioni al tema. Quando al mercato c’è disponibilità di verdura i cavatelli combinano un bel matrimonio con gli spigatelli (cime di rapa); ora tira molto l’accostamento con i Giovanni Gianfelice broccoletti. Chi ha provato un piatto di cavatelli non li lascia più. Attenzione: non tutti li sanno fare come si deve. Sughi troppo scuri e pesanti non vanno bene. Il segreto sta nel tenere leggero il piatto, usando pomodoro al posto della salsa e olio in vece dei grassi animali. Se non volete sbagliare indirizzo: Concetta a via Larino e Giovanni alla Tintiglia, madre e figlio.

Un gelato in rosa N

on s’è ancora capito se si tratti di prestanomi. Ma vista l’alta percentuale sembra proprio di si. Le molisane, infatti, vantano un particolare primato: sono titolari del 50 per cento delle licenze di gelaterie e pasticcerie. Lo sottoscrive l’Unioncamere che non s’è forse chiesto se le donne della nostra regione siano così emancipate con i dolci. Va ricordato che anche nelle altre parti del Paese la percentuale in rosa delle “pasticciere” è alta, appena al di sotto del 50 per cento. E anche qui resta il dubbio.

Nuove farmacie, si sblocca l’iter L

a Regione Molise ha recepito la sentenza del Tar sull’istituzione delle nuove farmacie in base al decreto liberazioni emanato dall’ex Presidente Monti nel 2012. Dopo la conferma del Consiglio di Stato, riguardo i criteri per l’applicazione dello standard di una farmacia ogni 3500 abitanti, l’assessore alla Sanità Sabusco ha dichiarato alla stampa che la giunta è pronta ad applicare il dettato dei tri-

bunali amministrativi, che prevede il calcolo sull’intera regione, come richiesto dalla federazione dei farmacisti e non su base distrettuale, come aveva previsto la Regione. Il sistema, porterà all’apertura di 25 nuove farmacie che non avranno vincoli territoriali. I trecentomila abitanti del Molise, infatti, consentono l’operatività di 85 farmacie. Allo stato se ne contano 60 alle quali vanno aggiunte le parafarmacie. Secondo indiscrezioni, la metà delle nuove farmacie saranno aperte da figli e nipoti di affermati professionisti già operanti storicamente sul territorio.

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La nuova iniziativa editoriale che trasforma il lettore nel protagonista della notizia

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