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“Il controllo degli indicatori di rischio può ridurre il rischio di perimplantite e la perdita dell'impianto”.
La prevenzione è fondamentale, in tutte le fasi “Il controllo degli indicatori di rischio può limitare la perimplantite e l’eventuale perdita dell’impianto”.
Giovanni E. Salvi | Svizzera Professore associato, vicepresidente e direttore del programma di laurea, Università di Berna, Scuola di medicina dentale
Intervista a cura di Marjan Gilani
“Le complicanze biologiche intorno agli impianti sono una realtà che dobbiamo affrontare”, dice Giovanni Salvi, professore associato presso il Dipartimento di parodontologia dell’Università di Berna. È convinto che i medici possano evitare che gli impianti raggiungano lo stadio finale della perimplantite, se i problemi vengono rilevati precocemente.
Prof. Salvi, l’espianto è un peso emotivo per i pazienti. Quanto spesso gli impianti danno esito negativo?
Prof. Salvi: La perdita precoce dell’impianto avviene circa nell’1-2% dei casi quando il processo di osteointegrazione è disturbato.¹ Ciò può avvenire per ragioni come la mancanza di stabilità primaria, l’infezione dopo l’inserimento o un carico precoce involontario. Un fallimento successivo di un impianto può invece verificarsi a causa di una diagnosi tardiva o del mancato trattamento della perimplantite. La perimplantite è una malattia infiammatoria scatenata da biofilm batterici. Si caratterizza per la presenza di sanguinamento al sondaggio e/o suppurazione, l’aumento della profondità di sondaggio rispetto agli esami precedenti e la presenza di perdita ossea oltre i consueti cambiamenti del livello osseo crestale derivanti dal rimodellamento osseo iniziale.²
La prevalenza riportata per la perimplantite varia dall’1 al 47% (media 22%).³ Tuttavia, l’ampia gamma di prevalenze citate in letteratura riflette l’elevata eterogeneità delle soglie cliniche e radiografiche adottate per la definizione della patolo-
“Quando lasciamo che un impianto raggiunga lo stadio finale della perimplantite, nessuno può fare un miracolo per salvarlo”.
gia, che rende difficile una stima precisa della prevalenza della perimplantite.
Qual è la chiave del controllo della perimplantite?
Sono stati identificati diversi indicatori di rischio che possono portare all’insediamento e alla progressione della perimplantite. Pertanto, il controllo di tali indicatori di rischio può limitare la perimplantite e l’eventuale perdita dell’impianto. Questi rischi possono includere uno scarso controllo della placca eseguito autonomamente⁴, il consumo di tabacco⁵, una parodontite pregressa trattata⁶, restauri con accesso inadeguato per il controllo della placca⁷, la presenza di cemento in eccesso⁸, la mancanza di regolarità nel seguire le cure di mantenimento⁹–¹⁰ e il mancato trattamento della mucosite perimplantare¹¹.
Purtroppo non tutti gli impianti possono essere salvati a lungo termine dopo aver trattato la perimplantite. Ad esempio, 5 anni dopo il trattamento chirurgico della perimplantite con debridment a lembo aperto, aggiunta di antimicrobici sistemici e regolare cura di mantenimento, si è osservata comunque la perdita dell’impianto nel 17% dei casi.¹²
Come si procede quando l’e-
spianto è l’unica alternativa?
Gli impianti che hanno perso completamente l’osteointegrazione sono mobili e possono essere espiantati senza dover sollevare un lembo mucoperiostale. Pertanto, dal punto di vista diagnostico, valutare la mobilità dell’impianto è inutile poiché riflette un danno irreversibile. Se è presente un’osteointegrazione residua e l’impianto non è mobile, si possono usare strumenti speciali per svitare l’impianto con o senza sollevamento di un lembo. Se la situazione lo impone, è possibile sollevare un lembo e rimuovere solamente l’osso necessario per svitare l’impianto.
L’uso di biomateriali può aiutare dopo l’espianto?
In primo luogo, i pazienti devono essere informati sulle indicazioni, l’origine e la documentazione scientifica dei biomateriali utilizzati dopo l’espianto. Come illustrato nel caso clinico (fig. 1), dopo l’espianto può essere necessario utilizzare biomateriali come complemento alla ricostruzione della cresta alveolare con un blocco di osso autologo. Questo può essere realizzato utilizzando un materiale di osso bovino deproteinizzato (Geistlich Bio-Oss® o Geistlich Bio-Oss Collagen®) ricoperto da strati di una membrana barriera di collagene riassorbibile (Geistlich Bio-Gide®). Nei casi di aumento del volume dei tessuti molli perimplantari, può essere considerato l’uso di una matrice di collagene (Geistlich Fibro-Gide®).
Gli impianti posizionati dopo l’espianto sono ancora predicibili?
Dopo l’espianto, è indicata una rivalutazione della situazione clinica e radiografica. A seconda del disturbo principale segnalato dal paziente e dei rischi residui, occorre prendere in esame varie opzioni per la nuova riabilitazione protesica che possono comprendere sia ri“L’ampia gamma di prevalenze citate in letteratura per la perimplantite riflette l’elevata eterogeneità delle soglie cliniche e radiografiche adottate per la definizione della patologia”.
costruzioni mobili che fisse supportate da denti o impianti. Nonostante la percentuale di sopravvivenza più bassa degli impianti collocati in siti di precedente espianto¹³, è possibile anche considerare un piano di trattamento comprensivo di nuovi impianti.
Come vengono preparati i pazienti alle complicanze dell’impianto, tra cui la possibile perdita?
A volte i pazienti non sono sufficientemente informati sulle complicanze tecniche e biologiche a lungo termine di un impianto. I segni delle complicanze iniziali, come l’infiammazione dei tessuti molli e la perdita ossea iniziale, non sono accompagnati da sintomi rilevabili dal paziente, come il dolore o la mobilità dell’impianto. Pertanto, la diagnosi precoce da parte degli odontoiatri¹⁴ e il trattamento delle complicanze iniziali⁹, ¹¹ sono fortemente consigliate per prevenire danni maggiori o addirittura la perdita dell’impianto.
Quando è stata l’ultima volta che ha dovuto espiantare un impianto?
Un espianto non dovrebbe essere la prima scelta quando si è in presenza di complicanze. Molto di recente, tuttavia, ho dovuto procedere all’espianto di un impianto di grande diametro inserito nella zona estetica subito dopo l’estrazione del dente senza rispettare un corretto posizionamento protesico e restaurato con una corona cementata non accessibile per il controllo della placca.
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H Fig. 1: Prevenzione fallita: Un paziente di 33 anni aveva perso i denti 12 e 13 (schema FDI Dental) in un incidente sportivo. Gli era stato inserito vestibolarmente un impianto subito dopo l’incremento del sito. Il sito aveva mostrato un’infezione precoce e la guarigione dei tessuti molli era subottimale. Dopo la diagnosi di perimplantite, il paziente è stato indirizzato alla clinica universitaria di Berna per il trattamento.
| A Situazione clinica iniziale di corona su impianto in area 13 con estensione mesiale a sbalzo. | B Radiografia periapicale che documenta una perdita ossea estesa intorno all’impianto a livello dell’osso nell’area 13. | C Situazione intrachirurgica dell’impianto a livello osseo 13 prima dell’espianto. | D Rialzo del pavimento del seno e blocco osseo proveniente dalla zona retromolare utilizzato per l’incremento del sito 13 (per gentile concessione del Prof. V. Chappuis, Università di Berna, Svizzera). | E Blocco osseo ricoperto con Geistlich Bio-Gide ® (per gentile concessione del Prof. V. Chappuis, Università di Berna, Svizzera). | F Nuova corona avvitata su impianto 13 con estensione mesiale a sbalzo. | G Radiografia periapicale del nuovo impianto a livello tessutale nell’area 13. | H Linea del sorriso del paziente dopo la consegna della nuova ricostruzione su impianto.