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Da leggere (o rileggere)
insieme di fogli e foglietti fitti di frasi, riflessioni, pensieri, ricordi, copiati e ricopiati, per allenare mente e calligrafia. Tutti hanno sempre invidiato la mia calligrafia, così precisa, regolare, pare stampata. Specchio della mente, dico io; ma attenzione a cosa vedete perché nella mia testa ci sono solo io: solo io so davvero cosa penso, cosa voglio, cosa intendo e vi manipolo tutti, come mi pare e piace.
Benvenuti in ogni caso i complimenti, sempre che siano sinceri e, per esperienza, posso dire che non lo sono quasi mai. Trattasi di adulazioni.
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Sono una persona diffidente per natura e parca di lodi, lo ero soprattutto con i miei familiari che me lo rinfacciavano di continuo . Stai sempre a decantare gli altri, mi rimbrottavano. Certo – rispondevo io – chi si loda si imbroda e, soprattutto con mia figlia, non volevo passare per genitore poco imparziale. Lei, d’altronde, aveva ben poche doti da mettere in risalto, poveretta. Ormai è adulta, tra un po’ sarà anche vecchia . Hai visto? Hai lasciato passare il tempo e ora tocca a te! Glielo dico, mentalmente, tutte le volte che il mio pensiero si ricorda di lei; lui, il mio pensiero, ogni tanto se la trova davanti e io lo sgrido come fosse un bambinetto disobbediente. Faccio presto a rimetterlo in riga, basta un’occhiataccia delle mie.
Dicevo di Tertulliano. Ho trovato la sua frase mentre sfogliavo una rivista; ne leggo parecchie. Pesco sempre qualcuno che me le regala dopo averle lette e, per me, è come se fossero nuove, anche se riportano notizie ormai superate dal passare dei giorni. Capirai! Che me ne importa del passare dei giorni? Uno più, uno meno, è uguale, alla mia età. E poi ho sempre preferito rimestare l’accaduto, il già stato, il vecchio come me. Non leggo libri, non più e non mi ricordo esattamente quando ho letto l’ultimo romanzo: sarò stata giovane e illusa, infatuata o innamorata. Sono inutili fantasie per menti ancora adolescenti, che farebbero bene a osservare la realtà, piuttosto, perché la realtà è la normalità, che di felice ha ben poco .
Qui, dove vivo da qualche tempo, c’è una specie di biblioteca: una stanza con un paio di scaffali, un’impiegata che registra i prestiti e ti dà quel che prendi, senza criterio, né tu né lei. La scelta è tra romanzetti rosa o fiabe per bambini. Nessuno dei due mi interessa. L’amore è fuori portata e che i vecchi tornino bambini è una panzana: i vecchi sono vecchi, decrepiti, spesso rincoglioniti senza speranza di un barlume di lucidità, vegetano più insulsi e fastidiosi di un cetriolo che si ripresenta nell’esofago.
E lo dico da vecchia, anzi, vecchissima!
Quanti anni compirò? Tanti; rientro già nella categoria dei grandi anziani, ma non sono rincoglionita, anzi: sono lucida, lucidissima e quando sembro poco presente a me stessa è solo una finzione. Ho imparato come si fa, è semplice: basta un’espressione inebetita, l’occhio fisso – con la cataratta riesce meglio –, lo sguardo nel vuoto, il sorriso inutile a sproposito, la lingua che passa e ripassa a inumidire le labbra, le gengive sdentate in mostra; e poi – determinanti – le risposte insensate. Ci cascano tutti, sempre, così ne approfitto: se mi fa comodo non ricordare, non ricordo; se mi conviene rispondere a casaccio, invento le palle più fantasiose che posso. Ormai li ho convinti tutti: secondo loro, non sono demente, ma neanche del tutto sana, sono da tenere d’occhio; però, finché mi muovo in autonomia, va tutto bene : «Signora, lei è ben compensata». Così se ne fregano meglio. Rischio che non si accorgano se mi sentissi male davvero? Morirò e amen!