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Da leggere (o rileggere)
Era la mia rivalsa sui due precisini, sempre alleati contro di me, il mio dispetto quotidiano, con tanto di rumore, fastidioso se uno cerca di dormire di fianco a te e l’altra è nella camera vicina ma non può chiudere la porta perché si sente soffocare . La mia piccola, quotidiana vendetta, il mio quotidiano istante di felicità .
Quei pochi che mi vengono a trovare, di solito mi portano delle riviste . Se nessuno me le regala, leggo quelle che trovo in giro: nella sala d’attesa del medico, per esempio, oppure del fisioterapista, o quando mi portano dal dentista a regolare la dentiera. Chiedo se posso prenderne una e nessuno mi ha mai detto di no, anzi!
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«Signora – si meravigliano – ma lei legge ancora senza occhiali ! Alla sua età? ! Ma è incredibile, ma che fenomeno» . Sì, da baraccone… sorrido con aria felice e la volta successiva prendo un’altra rivista, anche senza chiedere, cioè la infilo nella borsetta, la rubo : nessuno dirà niente perché la vecchina fenomenale che legge e si interessa del mondo intorno, che non molla e si abbarbica alla vita, fa sempre tenerezza; quindi, approfitto
Per tornare alla frase di Tertulliano: no, non ho perso il filo. È vero, spesso divago, ma sono vecchia, me lo posso permettere. E li frego sempre tutti, con quei test cui mi sottopongono ogni tanto: giochini, quiz da bimbetti dell’asilo, conta i riquadri, scrivi una frase, abbina le forme… ma con chi credono di avere a che fare? Glieli risolvo tutti. Qualche volta fingo di non trovare la soluzione perché mi diverto a leggere sulle loro facce l’espressione di chi ha forse individuato uno spiraglio per la diagnosi corretta, oltre la banale demenza senile, che giustifica tutto senza dire niente.
Ma sai che bello? Quando vedi la delusione! Li ho fregati un’altra volta.
Impagabile istante di felicità, caro Tertulliano.
Mi diverto così? Sì! La mia indole si ritempra, si rigenera e sono felice.
Dicevo che Tertulliano, il cartaginese che si è giocato, non ricordo più con quale eresia, il titolo di padre della Chiesa, contrappone l’istante della vendetta al perdurare del perdono. La citazione completa è infatti: «Vuoi essere felice sempre? Perdona!»
Ma lo sai, Tertulliano, quante volte ho già perdonato in vita mia e di quella felicità che sottintendi tu non ho visto neanche l’ombra, neanche per un momento?
Ho perdonato mio padre per avermi imposto un nome che detesto. E non lo pronuncio neanche sotto tortura ! All’epoca, il nome scelto doveva figurare tra i santi in calendario. Invece di insistere a chiamarmi come aveva deciso, mio padre si è piegato alle imposizioni della tonaca nera e mi hanno battezzato con il nome del santo del giorno del battesimo, al femminile. Una condanna a vita, quotidiana! Mi sono trovata un diminutivo e l’ho usato, tranne su determinati documenti, pochi per fortuna, dove il nome odioso è rimasto. Qui poi c’è un’assistente, più odiosa del mio nome, che deve averlo letto in qualche cartella clinica e mi chiama per esteso! Dato che le ho chiesto, più volte, di usare il diminutivo, deve aver capito che il mio nome mi dà