Manifesto del design del non-finito

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Manifesto del design del non-finito Luciano Crespi

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AVANZI Nelle città del mondo, piccole e grandi, sono sempre più numerosi gli spazi, nati in anni lontani e vicini, privati e pubblici, che sembrano essere arrivati al termine del loro viaggio. In un testo sulla trasformazione delle città nell’epoca postindustriale l’economista statunitense Saskia Sassen definisce “improbabili” gli spazi dei quali risulta difficile prevedere le opzioni future, a causa della rapidità con cui oggi cambiano le “logiche dell’utilità”. È principalmente al design o al mondo dell’arte che ritiene spetti il compito di immaginarne dei possibili modi d’uso, per quanto provvisori: “Non si può fare a meno di pensare che gli artisti saranno parte della risposta qualunque sia l’arte che ci daranno: effimere installazioni e performance pubbliche o tipi più duraturi di scultura pubblica, arte site-specific riferita alla comunità locale, o sculture nomadi che circolano tra vari luoghi”. Tra gli spazi improbabili possiamo collocare la numerosa specie di spazi che definiamo avanzi. Si tratta di luoghi che, avendo smesso di svolgere la funzione per la quale erano stati realizzati, si trovano, privi di cittadinanza, come in uno stato di sospensione e di attesa. Sono troppo poco attraenti, sotto l’aspetto del valore economico, per poter rientrare nei programmi di investimento dei grandi operatori immobiliari, per i quali il fattore


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dimensionale svolge un ruolo determinante. Negli ultimi anni in tutto il mondo numerosi sono stati gli interventi di riconversione e riuso delle grandi aree industriali dismesse, attraverso operazioni che hanno richiesto l’uso di ingenti risorse attraverso il coinvolgimento di molteplici operatori economici e istituzionali. In Italia per esempio con il ricorso alla formula dell’accordo di programma. In questo scenario il piccolo spazio e il singolo edificio abbandonati rimangono per anni come zone d’ombra interne al sistema urbano, dei vuoti a perdere, dei quali cercare di disfarsi, ricorrendo, nei casi in cui si trovino all’interno di aree urbane di alto valore immobiliare, alla loro demolizione e ricostruzione o alla ristrutturazione a scopo speculativo. Non sempre il fattore dimensionale risulta determinante. Il medesimo destino viene riservato a spazi di maggiori dimensioni, sopravvissuti all’estinzione per ragioni analoghe a quelle che hanno determinato la sopravvivenza di alcune specie nel processo di selezione avvenuto nel mondo vivente. Ma condannati, non possedendo i requisiti necessari a rendere possibile il proprio riscatto, per via della infelice localizzazione, delle condizioni sociali del contesto in cui sono inseriti o di altro, a sopravvivere in uno stato simile a ciò che nella retorica è l’aposiopesi: l’interruzione di un discorso fatta per lasciarne intuire la conclusione dall’ascoltatore. Non sono di così straordinario valore storico e artistico da meritare di essere restaurati e riportati alla loro condizione originaria, come avviene per i monumenti e per certi edifici di culto o di pubblico interesse che, pur non svolgendo più


la funzione avuta un tempo, vengono conservati anche solo come “musei di se stessi”, testimoni eloquenti della storia di cui hanno fatto parte. Non esiste soglia temporale in grado di determinare con precisione quando uno spazio abbandonato possa o meno ricadere nella famiglia dell’avanzo. Si può solo affermare che sia più probabile ritrovarli all’interno di quanto realizzato a partire dall’inizio del XX secolo. Sono troppo recenti, ancora riconoscibili e non così scalfiti dai segni del tempo, per poter assumere il rango nobile e romantico del “rudere”, al quale il territorio può concedere la chance di entrare in un processo di progressivo degrado e abbandono, che lo porterà verso un’inevitabile fine, dopo avere rappresentato per un certo periodo di tempo una forma, per quanto malinconica, di attrazione. Come le antiche rovine. É lo storico italiano dell’arte Manlio Brusatin a ricordarci che i “relitti diventano silenziosamente una nuova costruzione” abitata soltanto dall’eco e che la rovina è destinata a riempire il “il futuro con il proprio passato”. Giovannni Battista Piranesi chiama avanzo, nelle sue incisioni, quello del sepolcro della famiglia Metella sulla via Appia, nell’antica Roma, o della famiglia Plauzia sulla via Tiburtina o del secondo piano delle Terme di Tito. Ma si tratta di rovine, condannate a vivere in silenzio la loro condizione di vuoto inabitabile, hinabitabilis. Materia buona solo per esperti d’arte dell’oblio. Perciò avanzi.


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E di un ex padiglione dell’acqua potabile, a Milano. Un grande vuoto che si sviluppa in altezza, a partire dal livello più basso - dove erano un tempo collocate le vasche per la raccolta delle acque - sino ad arrivare al soffitto in legno. La presenza del sistema diffuso di scale destinate a collegare i diversi livelli assegna allo spazio una certa teatralità, propria del tipo ad aula a sviluppo verticale.

In altri casi è apparsa più evidente la presenza di sovrapposizioni, di ibridazioni, di “incroci tipologici”, per usare le parole di Martí Arís. É il caso di un’ex palazzina per uffici di un mercato ittico, a Milano, dove la struttura imperniata sulla presenza centrale dell’atrium, come ambiente eloquente posto a cerniera tra esterno e interno, non trova un coerente sviluppo nel dispositivo icnografico, in cui è presente un lungo corridoio cieco di distribuzione agli ambienti di lavoro.


E di un’ex stazione dei tram d’inizio Novecento, nella città di Varese, il cui impianto distributivo sembra assecondare esigenze funzionali e il cui disegno in pianta appare condizionato dall’andamento delle linee dei binari. L’architettura si rifà esternamente allo stile Liberty di altre stazioni tramviarie varesine, alcune delle quali progettate dal noto architetto italiano, Giuseppe Sommaruga. L’immagine esterna, di piccolo padiglione rappresentativo dell’idea pionieristica di un sistema di trasporto pubblico a scala extraurbana, prevale sul significato tipologico dello spazio interno.

E della portineria di una ex scuderia d’inizio Novecento, che riprende il tipo della casa unifamiliare, con l’inserimento di una zona porticata con la funzione d’ingresso al giardino e alle


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Disegno di Marino Crespi




AVANZI URBANI Non si può dire che esista il fenomeno vero e proprio della dismissione degli spazi aperti urbani. Il sistema costituito da strade, piazze, vuoti, slarghi, è talmente vitale per il funzionamento della città, delicato organismo fondato su flussi permanenti di persone e cose, da non ammetterne la disattivazione, se non per brevissimi periodi di tempo e per cause accidentali. Sembrerebbe pertanto improprio parlare di avanzi, a proposito degli spazi aperti urbani. Esiste il fenomeno del degrado a cui porzioni di tale sistema vanno spesso incontro, dovuto alla sottovalutazione, da parte degli enti pubblici, dell’importanza di ciò che un tempo veniva chiamato decoro urbano. Dopo la presunta morte dello spazio pubblico dovuta, per il sociologo americano Richard Sennet, all’irruzione dell’intimismo nella vita quotidiana, il cui effetto sarebbe stato di spingere la gente a cercare nella sfera privata ciò che le viene negato in quella pubblica, si è assistito negli ultimi anni alla sua rinascita. Perso il carattere, avuto un tempo, di luogo specializzato, allo spazio urbano contemporaneo viene ora richiesto di assecondare le molteplici modalità di autoconsumo da parte dell’utente, consentendo a ciascuno di costruire una sorta di palinsesto personale, sulla base del quale poter anche interagire con i dispositivi presenti sul luogo, modificandolo. E anche di entrare in un rapporto più “intimo”, empatico con i suoi utenti, così da renderli in qualche modo protagonisti, anche se in forme molto diverse rispetto al passato.


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Al moltiplicarsi di queste domande non ha corrisposto nel secolo scorso, se non sporadicamente e in certi Paesi, come la Danimarca, la Spagna e la Francia, una diffusa azione di riqualificazione di tali spazi. Nei primi anni di questo, in sud America, in alcuni paesi dell’est asiatico, come Cina e Korea, negli stessi Stati Uniti, si sono moltiplicati gli interventi di riqualificazione degli “interni urbani”. Si possono denominare avanzi urbani luoghi, strade, piazze e slarghi, che non presentano il carattere di spazi ospitali, accoglienti e dotati di eloquenza civile, di cui alcuni erano provvisti al momento della loro realizzazione e che la mancanza di una politica efficace di manutenzione e innovazione ha nel tempo cancellato. Sono un avanzo non perché non svolgano più il compito che era stato loro assegnato, ma perché lo svolgono in modo inadeguato, rispetto ad altri spazi aperti che sono in grado di prendersi cura di chi li usa e di assecondare le domande d’uso espresse dai nuovi utenti della contemporaneità. L’avanzo urbano vive in uno stato di sospensione, in attesa di ritrovare non una funzione diversa più adeguata al tempo presente, in quanto quella funzione è insostituibile, ma una modalità diversa con cui esercitarla. Nel futuro, forse neppure troppo lontano, è possibile che cambiamenti radicali nei modi di spostamento delle persone, per ora allo stato sperimentale, come il taxi volante, o della fantascienza cinematografica, possano avere ricadute sugli assetti dello spazio aperto urbano, producendo operazioni di


dismissione di alcune sue parti, in quanto non piÚ necessarie allo smistamento dei flussi che svolgono. Ci si potrebbe trovare di fronte ad un fenomeno di cui è difficile valutare oggi la dimensione e la natura. Ma che potrebbe avere qualche analogia con quello della dismissione di alcuni tracciati ferroviari urbani e della loro trasformazione in spazi pedonali, come è avvenuto per la High Line di New York.



NEONOMADI Gli avanzi possono rappresentare una risorsa straordinaria, non solo in quanto luoghi disponibili a svolgere nuove funzioni e a ospitare, anche temporaneamente, attività di natura culturale, residenziale, sociale, in grado di rispondere a domande d’uso non programmabili, determinate da occasionali stati di necessità, senza produrre ulteriore consumo di suolo. Ma anche in quanto localizzati spesso in aree centrali, o perlomeno non marginali della città, dove svolgono un ruolo di alto valore simbolico, come custodi di memorie e storie umane destinate altrimenti inesorabilmente ad andare perdute o affidate soltanto al sentimento di malinconia che si prova di fronte a testimonianze e avvenimenti del passato, non più in grado di esercitare qualche influenza nel tempo presente. Riusare gli avanzi non è solo eticamente doveroso. Rappresenta una opportunità e una sfida inedita per il progetto. L’avanzo si presta a operazioni di riscatto finalizzate a offrire forme molteplici di ospitalità ai viandanti della contemporaneità, agli “attraversatori di frontiere”, ai neonomadi, ai migranti, in una sorta di passaggio di testimone, dalle precedenti storie di cui quei luoghi sono stati teatro alle nuove storie che ancora devono avere inizio. Nel mondo ogni sessanta secondi venti persone sono costrette a lasciare la propria casa a causa di conflitti o persecuzioni. Novemilacinquecento sfollati ogni giorno. Secondo i dati


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TRANSDISCIPLINARITà La cultura del design, e in particolare dell’interior design, sembra attrezzata, per storia e attitudine, a svolgere un ruolo trainante, in questa prospettiva, adottando una condotta progettuale originale, diversa da quella propria delle discipline del restauro o della ristrutturazione edilizia, ma anche dell’arredo come viene comunemente inteso. La sfida è di sperimentare interventi in grado di assegnare agli avanzi nuove possibilità d’uso, facendo ricorso a dispositivi allestitivi, provvisori e reversibili, purché coerenti con la natura e l’anima del luogo, per favorirne il reinserimento nel tessuto vivo sociale e la valorizzazione del loro contenuto simbolico. Attraverso un approccio transdisciplinare, si tratta di accogliere nel progetto come un “dono” gli elementi di degrado, le “ferite”, le rughe, le grinze, le pieghe presenti nell’opera esistente, per tradurli in una sintassi finalizzata a dare forma e senso all’ambiente interno ed esterno con l’inserimento di “componenti aggiuntivi”. Il progetto di avanzi acquista in tal senso il valore più generale di sperimentazione di una disciplina di confine, collocata tra design, interior design, arti, restauro, exhibition design, scenografia, cinema, fotografia, con l’obiettivo d’inventare, per usare una nozione cara all’architetto e designer italiano Franco Albini, una “nuova tradizione”, fondata su ciò che si può definire “estetica dell’avanzo”.


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Lo studio H Arquitectes progetta la trasformazione di una ex vetreria, costruita nel 1913 in calle Anglesola a Barcellona, in uno spazio che contiene un centro educativo per adulti, un Language standarization consortium e un hotel. L’attenzione agli aspetti della sostenibilità, testimoniata dallo studio della ventilazione naturale, si coniuga con l’uso di un linguaggio espressivo fondato sulla conservazione degli strati materici delle superfici esistenti, sulla messa in vista degli apparati impiantistici e sulla valorizzazione del carattere originario dello spazio. É solo l’inizio, si tratta di episodi avvenuti quasi contemporaneamente in contesti geografici differenti, prima ancora che vi sia stata l’adesione cosciente a un pensiero che li legittimi, a un nuovo paradigma. Nati piuttosto come esigenza irrinunciabile di misurarsi con alcuni dei tratti costitutivi più problematici del mondo contemporaneo. Si tratta di interventi nei quali prevale ancora un approccio che appartiene alla cultura del progetto di architettura, imperniato sull’idea di trasformazione “di lunga durata” e irreversibile. Il design del non-finito adotta un pensiero progettuale fondato sull’uso giudizioso delle risorse, il ricorso a interventi reversibili, la valorizzazione degli elementi di degrado presenti nei luoghi sui quali si deve operare e non può prescindere dalla elaborazione di nuovi codici estetici, cioè di una “estetica dell’avanzo”.


ESPERIMENTI Nel corso delle attività didattiche del Laboratorio di design degli interni svolte negli ultimi anni, all’interno della Scuola del design del Politecnico di Milano, è stato sperimentato questo approccio applicandolo a diversi tipi di avanzi, localizzati nel territorio di Milano e del nord della Lombardia. Avanziuno: ex padiglione dell’acqua potabile al parco Trotter, Milano (in collaborazione con il Comune di Milano). Progetto di Federica Cocco e Luca Cotini

Foto: Federica Cocco


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breve tempo delle persone. Il progetto prevede attività destinate all’attesa del tram, attraverso l’uso di oggetti d’arredo realizzati con materiali ecologici o recuperando parte di quelli trovati all’interno, impiegati secondo un registro che si avvale, per ciò che riguarda il linguaggio, del paradosso e del non-sense: un artificio retorico per segnalare con evidenza il cambiamento di natura del luogo e il suo riscatto, da magazzino a luogo cruciale di incontro di vite “en passant”. “Leggere un caffè” e “mangiare un libro”, sono gli stratagemmi progettuali adottati per dare forma all’idea di progetto.

Foto: Giuseppe Adesso, Helga Aversa


Avanzitre: ex scuola di via Pianell, Milano (in collaborazione con il Comune di Milano). Progetto di Ludovica Squillacioti e Giulia Tofi.

Foto: Mattia Bianchi

Il progetto riguarda la riqualificazione di un’ex scuola elementare dei primi del Novecento, sulla quale erano stati avviati a fine secolo scorso alcuni interventi di ristrutturazione mai completati. L’edificio appare molto danneggiato dal tempo, richiede pertanto un intervento preliminare di messa in sicurezza e di ripristino di alcuni solai. Il Comune di Milano ha chiesto che fossero previsti alloggi temporanei, da riservare a persone con grave disagio abitativo, e spazi collettivi, a servizio del quartiere. Il progetto prevede l’introduzione anche di spazi laboratoriali e di piccoli spazi commerciali. Le diverse stratificazioni di materiali, presenti negli interni, sono state conservate e assunte come peculiarità, tranne che negli alloggi, dove sono state adottate misure per renderli confortevoli, seppure in base ad un’idea di comfort diversa da quella legata a certi cliché sull’abitare. La scelta dell’uso, come mezzo


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Foto: Mattia Bianchi

espressivo, del concetto di straniamento, in uso nel linguaggio teatrale, ha permesso al progetto di esplorare le potenzialitĂ di un approccio fondato sul ribaltamento del significato dei termini di alcune coppie: interno/esterno, vero/falso, naturale/ artificiale, originale/contraffatto.


Avanziquattro: ex deposito delle Ferrovie dello Stato, Varese (in collaborazione con il comune di Varese). Progetto di Gennaro Merolla e Federico Nunziata.

Foto: Michela Albergati, Federica Borrello, Elena Grisa, Gennaro Merolla, Federico Nunziata, Giulia Turati

Collocato vicino alla stazione ferroviaria di Varese, l’ex deposito si presenta come un grande ambiente unico, con capriate in legno, uno spazio di grande suggestione, evocativo di alcuni antichi spazi, come quelli veneziani dell’Arsenale. I materiali consumati dagli anni abbandonati all’interno ne raccontano la storia, con la stessa potenza con cui devono averla raccontata gli spazi abbandonati della Barcellona preolimpica a Pepe Carvalho, ne Il labirinto greco. Le foto che li ritraggono insieme e quelle degli scarti, delle crepe, dei segni del tempo, sono già progetto. Dalla loro lettura nasce l’idea di introdurre una Warehouse, destinata all’arte contemporanea, un grande spazio per ospitare al suo interno un bar, uno storage, una project house, per mostre, incontri e workshop, e uno spazio coworking, come punti di approdo della fitta rete di scambi che anima la stazione. Alla quale si aggiunge


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un tipo particolare di ambiente, lo speakeasy, che si rifĂ a un esperienza in uso durante il proibizionismo negli Stati Uniti e che assume un valore allegorico, di richiamo ad un luogo simbolo di trasgressione e ribellione.


Foto: Michela Albergati, Federica Borrello, Elena Grisa, Gennaro Merolla, Federico Nunziata, Giulia Turati


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Avanzi urbani: via Lambruschini, Milano (incarico al Dipartimento di Design del Politecnico di Milano da parte di Ferrovie Nord Milano). Responsabile del progetto: Luciano Crespi. Il progetto di riqualificazione di via Lambruschini, che collega le stazioni di Bovisa e di Villapizzone, in occasione di Expo 2015, ha l’obiettivo di riqualificare uno spazio pubblico che ha perso il carattere avuto un tempo, quando l’area era contrassegnata dalla presenza di numerose attività industriali che svolgevano il ruolo di generatrici di vita sociale. Lo spostamento in quel contesto di una sede del Politecnico non è stato accompagnato da interventi di rigenerazione dello spazio urbano, lasciato in uno stato di abbandono e privo delle attrezzature in grado di renderlo abitabile. L’esistenza di un collegamento pedonale di qualità tra le due stazioni, in occasione di Expo, avrebbe costituito una reale alternativa per i viaggiatori provenienti da Malpensa. Nel momento in cui al design, nell’epoca della crisi e della scarsità di risorse, si pone la sfida del more with less, è alla capacità di attribuire alle cose un valore anche simbolico che occorre tornare a fare ricorso. Per la pavimentazione il progetto prevede l’uso del colore verde, per il significato metaforico che contiene: la sua vera natura è l’instabilità, che è anche la cifra della contemporaneità. Essendo ottenuto dalla mescolanza di due colori, il blu e il giallo, il verde è un colore che non ha paura delle diversità, anzi le accetta come condizione della sua esistenza.


SINTASSI Il XXI sarà, nel campo del progetto, il secolo destinato a misurarsi con il tema della provvisorietà e precarietà, anche sotto l’aspetto delle pratiche estetiche. Il design del non-finito si inscrive in questa prospettiva e richiede l’elaborazione di una propria sintassi. Prevede, per ciò che riguarda i contenuti, l’uso del linguaggio figurato: della metafora, dell’allegoria, dell’iperbole, per attribuire un valore anche simbolico alle soluzioni adottate. Si tratta di forme d’espressione in grado di assegnare un senso alla nuova veste assegnata all’avanzo, che vada oltre la semplice rifunzionalizzazione dello spazio e che sia rappresentativo del contenuto di memoria che racchiude. Il linguaggio figurato offre al progetto la possibilità di affrancarsi dai funzionalismi e dagli stereotipi. Favorisce la ricerca di risposte innovative, non scontate, al problema della rigenerazione degli avanzi, in quanto a-priori, argomentazione non ancora ricavata dall’esperienza e dalla conoscenza dell’avanzo, ma dedotta dalla ragione, dal significato che gli si assegna, a partire da un lavoro di ricerca preliminare a quello di progettazione. Per ciò che riguarda gli strumenti e le tecniche, contempla l’uso di materiali a basso costo, leggeri, dolci e ermafroditi, per usare un termine di Mendini, anche di scarto, e di soluzioni realizzabili in tempi brevi, reversibili, provvisorie, se necessario


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anche “stagionali”, finalizzate cioè all’utilizzo dello spazio per periodi limitati di tempo. Sul piano della grammatica prevede il ricorso a provvedimenti che appartengono alla tradizione del progetto, in architettura, nel design, nell’arte, nella musica, nel cinema, in letteratura: dal cambio di scala di Mendini, alla reiterazione, all’anamorfosi di Varini, all’illusionismo prospettico, al montaggio di Ėjzenštejn, alle azioni disequilibranti di La Pietra, alla mise en scene di De Lucchi, al design concettuale di Guixè o perturbante di Starck, alla dissonanza, all’uso della “magia” e dell’incanto di Stocchi, al Cut-up di Burroughs, al ready-made dei Castiglioni, all’uso della metafora di Sottsass, al design omeopatico dei Bouroullec, alla cancellatura di Isgrò. Sono solo pochi esempi di un “sillabario” necessario a formare le parole che compongono il testo. Un sillabario ancora da costruire, ma il cui scopo è di sottrarre il design del non-finito al pericolo delle semplificazioni che portano a rincorrere i luoghi comuni, anche sul tema dell’abitare contemporaneo. O alle illusioni del progetto partecipato orfano del progetto. Il design del non-finito spiazza e non ammicca. Si fa carico del compito di proporre un nuovo codice estetico. É uno stile di pensiero, indirizzato alla creazione di rifugi per i nomadi del terzo millennio. Rinuncia all’immagine levigata per dare forma all’incompiuto, all’inaudito, all’impensato. Milano, Bovisa 25 aprile 2018



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Biografia Luciano Crespi (Varese, 1947), architetto, è stato tra i fondatori e presidente del corso di laurea in Design degli interni, al Politecnico di Milano, dove insegna a progettare interni e interni urbani. è condirettore del Master in Exhibition Design e del Master internazionale in Urban Interior Design. Nel 2017 ha curato il volume Design Innovation for Contemporay Interiors and Civic Art, IGI-Global (USA), una ricognizione sullo stato dell’arte dell’interior design e su tutto ciò che si posiziona lungo i bordi del suo territorio disciplinare. è stato tra i curatori del convegno internazionale “Marco Zanuso: architettura e design” (Milano 2018). è autore del saggio Leftovers, in Interior Futures, Crucible Press (USA, 2018). Postmedia Books ha pubblicato Da spazio nasce spazio. L’interior design nella trasformazione contemporanea, seconda edizione 2018.


Luciano Crespi

Da spazio nasce spazio L'interior design nella trasformazione contemporanea Postmedia Books 2012 Seconda edizione 2018

Questo saggio di Luciano Crespi vuole dimostrare che la progettazione degli spazi interni costituisce una attività che possiede fondamenti culturali autonomi e che si pone fuori dall'idea che possa ancora esistere una unità oggettiva tra logica urbana, qualità architettonica e interior design. La "scuola di pensiero" che si è progressivamente formata nell'ultimo decennio all'interno del Corso di Studi in Interior Design, del Politecnico di Milano, ha sviluppato questo concetto, indagandone l'originalità e l'enorme potenziale. (dall'introduzione di Andrea Branzi)

Il titolo del libro si ispira a Da cosa nasce cosa di Bruno Munari, di cui Da spazio nasce spazio recupera la narrazione leggera, disincantata, lontana dai testi di tipo manualistico o storico. La sua natura è piuttosto quella di una guida, ventisei saggi brevi destinati ad accompagnare il lavoro di progetto dai momenti critici iniziali a quelli successivi, non meno complicati, ma nei quali ci si sente a volte così spavaldi da perdere la bussola. L'intento è di indirizzare la ricerca e l'attività progettuale verso territori inesplorati, aree di confine, incroci di generi, da affrontare con lo stessa disponibilità a nuotare controcorrente dimostrata da alcuni protagonisti delle esperienze che vengono ricordate. degli spazi interni costituisce una attività che possiede fondamenti culturali autonomi e che si pone fuori dall'idea che possa ancora esistere un'unità oggettiva tra logica urbana, qualità architettonica e interior design". Da spazio nasce spazio comprende inoltre i seguenti inediti: "Verso uno spazio integrato" di Andrea Branzi, "Arti e spazio. Interni dell'arte: ladri di vite" di Angela Rui e "Colore interno, esterno, immaginario" di Manlio Brusatin.


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