Fiamma Montezemolo / Anna Cestelli Guidi

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Fiamma Montezemolo Dell'inquietudine / Of Disquiet di Anna Cestelli Guidi Š 2018 Postmedia Srl, Milano Copertina: Fiamma Montezemolo, Neon Afterwords, 2016. Installazione con luci al LED e testo. Courtesy KADIST, San Francisco. Photo: Jeff Warrin Traduzione dall'italiano di Diana Thow Translated from the Italian by Diana Thow www.postmediabooks.it isbn 9788874902217


Fiamma Montezemolo Dell'inquietudine Anna Cestelli Guidi

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Caminante no hay camino, el camino se hace al andar. Antonio Machado

In questo momento di discussione identitaria in cui i muri ai confini riemergono come simboli di una nuova geografia del potere nazionalista, sembra importante portare l’attenzione su una artista che fa della frontiera la “zona” centrale della sua ricerca. Il lavoro di Fiamma Montezemolo rappresenta una linea di fuga trasversale e pluralista che è un netto rifiuto nei confronti di una geografia statica e omogenea. Un lavoro che nell’humus mobile e vibrante di luoghi ibridi e contraddittori germoglia e trova la sua linfa vitale. In quello spazio di contatto e di incontro di realtà e identità molteplici, dove si sperimentano i processi inediti della contemporaneità, si dispiega il percorso esistenziale e artistico di Fiamma Montezemolo. Un percorso sempre “inbetween”, fra discipline e mondi diversi, che attraversa con grande disinvoltura il confine fra l’antropologia culturale e l’arte visiva su una linea che si snoda fra Italia, Messico e Stati Uniti. In un primo periodo con uno sguardo mediato dalle lenti dell’antropologia rivolto alla frontiera metaforica delle identità multiple, che si sposta in seguito alla frontiera fisica, quella geopolitica tra Messico e Stati Uniti. Qui è dove, una volta attraversata la frontiera metodologica tra le due discipline, lo sguardo dell’antropologa si trasforma in pratica artistica.


Fiamma Montezemolo

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Sul piano più personale, credo che nel mio caso una formazione in antropologia non necessariamente ‘convenzionale’ dagli inizi abbia condizionato tutto ciò che è venuto poi. Ho una madre sociologa che mi ha iniziato fin da giovanissima alla ricerca sul campo e alla sensibilità verso certe tematiche che erano forse più vicine all'antropologia che alla sociologia. L’interesse verso certe tematiche antropologiche - coltivato sin “da giovanissima” al seguito della madre sociologa - si consolida nella formazione accademica avvenuta negli anni ’90 e si articola in modo specifico attorno alle questioni identitarie e al gioco della rappresentazione. Alla tesi di laurea presso La Sapienza di Roma sulle lotte del movimento Zapatista per il riconoscimento della doppia identità sia maya che messicana, che interessava la giovane antropologa proprio per la capacità di proporsi in modo plurale, segue un Dottorato presso l’Orientale di Napoli sul movimento Chicano, dove appunto approfondisce la riflessione sulla frontiera identitaria relativamente alla doppia appartenenza messicana-americana5. A 23 anni l’antropologa è in Chiapas, “sul campo”, accanto agli uomini e alle donne del Sub Comandante Marcos con l’intento di cogliere le “identità fluttuanti” e l’etnicità ibrida del movimento. Già in questa prima ricerca sul campo emergono alcuni dei tratti caratteristici di quell’attitudine inquieta ed anticonformista che la porterà a compiere scelte radicali: il desiderio di una dimensione metodologica “multivocale” non più limitata all’impersonale


scrittura accademica, ma aperta invece alle più diverse modalità espressive, “interpretare qualcosa significa per l’appunto scriverla, evocarla attraverso immagini, canti, danze, racconti, miti, espressività di ogni genere”; e il desiderio di un’antropologia che si muova “fisicamente e intellettualmente”, intesa come critica culturale engagé che non può “rimanere imparziale verso ciò che studia”6. Nell’incipit della sua prima monografia sul movimento zapatista, Senza Volto, Fiamma Montezemolo scrive: “Ognuno ha la “sua” antropologia. Ognuno ha il suo “soggetto-oggetto” di studio. Entrambi – antropologia e soggetto-oggetto di studio – sono plurali, entrambi sono parziali. Parziale è lo sguardo che tenta di comprendere e parziale è ciò che viene compreso”7. Questa affermazione di parzialità risuona dall’etnografia personale di Michel Leiris ma è anche una decisa dichiarazione metodologica a favore della nuova disciplina sorta in seguito alla pubblicazione del libro Writing Culture, il testo chiave che segna la nascita di quella che in quella che Italia negli anni Novanta verrà chiamata la Nuova Antropologia8. Un’antropologia intesa come scienza plurale e polifonica in opposizione al paradigma dell’autorità etnografica di matrice occidentale; un’antropologia che si apre al carattere multipercettivo dell’esperienza avvicinandosi all’ambito della sperimentazione artistica. Da questo momento in poi, come scriverà l’antropologo visivo Massimo Canevacci, tra i massimi esponenti di quell’ambiente sperimentale che si viene a creare a Roma alla fine degli anni Novanta attorno alla rivista “Avatar” da lui diretta, la scrittura antropologica non “può che essere un montaggio-mosaico che metacomunica”.


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le sue debolezze come se stesse parlando a una persona di sesso maschile, un “padre padrone che pensa ingenuamente di poter proteggere la propria prole con prepotenza da nemici immaginari. Come un Don Chisciotte che combatte con spade affilate l’aria che lo circonda”. Mentre la voce femminile parla, la videocamera si sofferma sugli eventi che scandiscono la quotidianità del muro, sottolineandone l’aspetto tragico (come i due migranti mimetizzati tra i cespugli e le piante di aloe nell’attesa di attraversarlo); o assurdo (come i body builders che fanno esercizio sulla spiaggia dal lato messicano, mentre dal lato statunitense forze militari stanno lavorando alla sua costante ricostruzione). Il nostro sguardo scorre sui graffiti, sulla decadenza arrugginita delle lamiere, sulle telecamere di sorveglianza: le immagini ci trasportano nella perversità insensibile di questo colosso seguendo l’allucinante traiettoria che taglia un paesaggio impervio e selvaggio, presenza continua e ineluttabile che non si può ignorare. Seguiamo la voce, le sue riflessioni, “quando ti ho visto per la prima volta mi hai ricordato la necessità, la possibilità di trasformarti e trasformarsi”, e finalmente la soluzione: la trasformazione alchemica come unica possibilità di alterare la materia di questo limite innaturale e convertire la sua “dubbia virilità nelle sue tracce”. Così dematerializzato il muro finalmente diventa “una traccia senza presente, un passato presente unicamente nella sua assenza”: il miscuglio di frammenti di muro raccolti dall’artista, mescolati con pigmento e contenuti nelle provette da laboratorio installate di fronte alla proiezione. La trasmutazione alchemica del muro altro non è che la potenzialità di trasformazione semantica dell’arte


Tracce, 2012, video still

che si compie qui grazie a un processo di trasformazione reciproca, un divenire insieme: “un nuovo stato per te sarà anche un nuovo stato per me”. L’atto simbolico che converte la materialità del muro nelle sue tracce trasforma allo stesso tempo l’antropologa in artista. Dopo due anni, l’artista ritorna alla frontiera, ancora una volta, con il progetto di investigare sull’afterlife di nove interventi site-specific realizzati negli anni di InSITE. Il risultato è ECHO, 2014, un video che combina i metodi della ricerca etnografica, interviste, documenti, disegni e digressioni poetiche in cui si dà voce agli artisti ma soprattutto alle comunità coinvolte come parte attiva negli interventi27.


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creare un nuovo colore, determinato dalla teoria dei colori. Il visitatore è invitato ad attivare da un computer la costellazione e combinare così sempre nuove composizioni di variabili emozionali e concettuali, tradizionalmente rimosse dagli scritti antropologici in nome dell’oggettività scientifica. Gli antropologi in genere pubblicano i risultati del lavoro di campo, ma ne conosciamo pochi che abbiano incluso le loro reazioni personali. Mettendo così a nudo le emozioni intime, Field Notes allude allo scandalo nato in seguito alla pubblicazione postuma dei diari di colui che è considerato il padre dell’antropologia moderna, Bronislaw Malinowski.28 Emi Fontana, nella presentazione della mostra da lei curata alla galleria Magazzino di Roma nel 2015, riassume così le vicende dell’epoca: “La pubblicazione del diario di Malinowski fece tremare l’establishment scientifico internazionale. Per un lungo momento le non così nobili e non così distaccate emozioni trascritte nel diario sembrarono mettere in discussione l’affidabilità scientifica del gigante dell’antropologia culturale. Perfino Clifford Geertz, altro illustre antropologo, rimase inizialmente sconcertato dai contenuti del diario. In realtà qualche anno dopo, Geertz brillantemente paragonò la pubblicazione del diario di Malinowski con un altro evento destinato a cambiare le regole del gioco, l’uscita in libreria esattamente un anno dopo nel 1968 di “The Double Helix: A Personal Account of the Discovery of the Structure of DNA”, un memoriale autobiografico della grande scoperta del DNA, scritto da James D. Watson. Anche questo libro fu molto criticato per aver contaminato la presunta asetticità di una scoperta scientifica con forti elementi autobiografici,


A Map is not a Territory #2, 2011

A Map is not a Territory #1, 2011


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torre di guardia controllava indistintamente attorno a sé senza poter essere visto, ora invece, lo sguardo del visitatore osserva dalla prospettiva del recluso la torre centrale interna, trasformata in schermo dove scorrono immagini apparentemente scollegate, - il cielo azzurro, i bambini che giocano, il mare, le piante e così via. Tutte immagini che rappresentano invece i desideri espressi nelle lettere e nei diari dei dissidenti politici inviati lì al confino durante gli anni della dittatura fascista così come di prigionieri di altri Panottici. Il progetto si ispira alla figura di Eugenio Perucatti, l’ex direttore che diresse la prigione negli anni Cinquanta e che con le sue misure di autogestione rivoluzionò il severo sistema repressivo del Panottico mettendolo al centro di una visione riformatrice piuttosto rivoluzionaria per i tempi. Un ultimo significativo esempio di collaborazione è The Maze, sempre del 2018, dove l’artista chiede al figlio Sami e alla scrittrice statunitense Rebecca Solnit di reinterpretare in forma scritta il mito greco di Teseo e Arianna nel labirinto. Alla produzione del bambino e della scrittrice, l’artista giustappone una video animazione dei due personaggi all’interno del labirinto greco che ricorda il labirinto del video gioco PACMAN degli anni Ottanta. Per concludere, il lavoro che condensa in maniera esemplare la doppia anima di Fiamma Montezemolo è l’installazione del 2016, Neon Afterwords31. Lo spunto è offerto in questo caso da un testo narrativo, un enigmatico racconto di Borges scritto nel 1969, “L’etnografo”, che narra di un aspirante antropologo che al ritorno dal famoso rituale del fieldwork si rifiuta di raccontare il segreto appreso durante la convivenza con i nativi del luogo32.


Progetto Perucatti, 2018


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Con la differenza che mentre l’etnografo di Borges è diventato bibliotecario, l’antropologa diventa artista. Perché ciò che qui importa è l’Afterwords del titolo, tutto ciò che viene “dopo le parole”, cioè dopo la scrittura accademica: la pratica dell’arte, “la trama più sinuosa ed ellittica del simbolico”33, tramite cui l’artista e antropologa può continuare a dialogare con il mondo: Perché infine la miglior arte e la migliore antropologia condividono un interesse comune: trasformare la vita, non riprodurla così come è34.

NOTE

1. “Documents” è la rivista fondata da

2. Clifford James, I frutti puri

Georges Bataille a Parigi tra il 1929 e il

impazziscono. Etnografia, letteratura e

1930, insieme al critico d’arte tedesco

arte nel secolo XX, Bollati Boringhieri,

Carl Einstein e al futuro fondatore del

1993, p. 159. (Prima edizione: The

Musée national des arts et traditions

Predicament of Culture. Twentieth-

populaires, Georges Henri Rivière. Michel

Century Ethnography, Literature and

Leiris è il caporedattore. Alla rivista

Art, 1988).

collaborano i dissidenti surrealisti Robert

3. La spedizione Dakar-Gibuti, 1931-

Desnos, Artaud, Quenau e i ricercatori etnografici Marcel Griaule e Rivet.

1933, guidata da Marcel Griaule,


allievo di Marcel Mauss, durò 22 mesi.

Rabinow – sono riportati nel volume,

Il compito ufficiale della missione

curato dagli stessi Marcus e Clifford,

era quello di arricchire le collezioni

che esce nel 1986.

nazionali. L’enorme “bottino” riportato

9. Canevacci Massimo, “Forward”,

in Francia formò il nucleo centrale del futuro Musée de l’Homme che inaugurò nel giugno 1938.

Avatar. Dislocazioni tra antropologia e comunicazione, n. 1, marzo 2001, pp. 1-3. Avatar, 2001 – 2004, Meltemi

4. Clifford J., 1993, p. 196.

editore. Il nutrito comitato scientifico

5. Montezemolo Fiamma, Senza

internazionale annovera alcuni dei

Volto: l’etnicità e il genere nel movimento zapatista, Liguori, 1999;

maggiori esponenti della Nuova Antropologia, tra cui J. Clifford, R.

La mia storia non la tua, la costruzione

Rosaldo e G. E. Marcus.

dell’identità chicana tra etero e auto

10. Meltemi è una casa editrice che

rappresentazioni, Guerini, 2004.

inizia nel 1994 con la pubblicazione di

La monografia porta la prefazione

testi di antropologia contemporanea,

dell’antropologo chicano Renato

e si specializza nei saggi di cultural

Rosaldo, tra gli esponenti di spicco della

e postcolonial studies, ma anche di

Nuova Antropologia.

pensiero contemporaneo, estetica,

6. Montezemolo Fiamma, 1999, p. 5

comunicazione e visual culture. Nel

7. Ibidem, p. 3 8. Clifford James, Marcus G. E., Writing Culture: Poetics and Politics of Ethnography, The Regents of the University of California, University of California Press 1986 (trad. it. Scrivere le culture, Meltemi editore, Roma 1997). Nel 1984 la School of American Research di Santa Fé, in New Mexico, ospita un seminario-incontro tra dieci studiosi che discutono le questioni legate alla costruzione del testo etnografico. Gli interventi di tutti i partecipanti – G.E. Marcus, J. Clifford, M.L. Pratt, V. Capranzano, R. Rosaldo, S.A. Tyler, T. Asad, M.M.J. Fischer, P.

1997, Meltemi pubblica Scrivere le culture (Writing Cultures). 11. Macrì Teresa, Politics/Poetics, Postmedia Books, 2014, p. 48. 12. García Canclini Néstor, Culturas híbridas. Estrategias para entrar y salir de la modernidad, Editorial Grijalbo, México, 1990. Un libro essenziale per capire il processo di ibridazione che attraversano le culture nella transizione dalla tradizione alla modernità, alla luce di tre paesi latinoamericani, Brasile, Messico e Argentina. Nel libro l’antropologo argentino definisce Tijuana come laboratorio della postmodernità.


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Biocartography of Tijuana’s Cultural-Artistic Scene, 2006




Fiamma Montezemolo Of Disquiet

Anna Cestelli Guidi

postmedia

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Caminante no hay camino, el camino se hace al andar. Antonio Machado

In this moment of debates on identity, with border walls reemerging as symbols of a new geography of nationalist power, it seems crucial to call attention to an artist for whom the border is the central “zone� of her research. The work of Fiamma Montezemolo represents a transversal and plural vanishing point that concisely refuses static and homogenous geography. It is a body of work that sprouts and finds its lifeblood in the mobile and vibrating humus of hybrid and contradictory places. In that space of contact and encounter between multiple realities and identities, where the unexpected processes of contemporaneity are experienced, the existential and artistic journey of Fiamma Montezemolo unfolds. This journey is always in between disciplines and worlds, confidently crossing the boundary between cultural anthropology and visual art, along a line that links Italy, Mexico, and the United States. The journey begins with a gaze mediated by the lenses of anthropology, focused on the metaphorical border between multiple identities, then it moves to the physical border, the geopolitical one between Mexico and the United States. Here is where, once the methodological border is crossed between two disciplines, the anthropologist’s gaze transforms into an artistic practice. A recent work, Shared Portrait, 2016, condenses this double identity in an exemplary way. It is a short two-minute video


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in which the artist, dressed as a man from the thirties , reads out loud what we think is her biography. Only upon listening and watching more closely do we understand that this is the autobiography of Michel Leiris, the surrealist writer and French ethnographer, whom we recognize from the famous portrait painted by his friend Francis Bacon reproduced on the cover of the book. A refined and disquiet personality, Michel Leiris was the leading figure in that brief period that took place in Paris in the late twenties called “ethnographic surrealism.” The period took its written form thanks to the brilliant and remarkable personalities, intellectuals, and artists that came out of surrealism, as well as the researchers from the Institut d’Ethnologie, all gathered together on the pages of the journal “Documents” by Bataille.1 A journal that, beginning with the subtitle “Archéologie, Beaux Arts, Ethnographie, Variétés” was a “sort of ethnographic display of images, texts, objects, labels, a playful museum which simultaneously collects and reclassifies its specimens,” as James Clifford wrote in his wonderful essay on ethnographic surrealism, on whose pages the artistic avant-garde and the new ethnography met.2 Immediately after the experience of “Documents” Michel Leiris participates as secrétaire-archiviste to the Dakar-Djibouti Expedition to Equatorial Africa, the legendary field research celebrated today as the foundation of modern anthropology.3 The account of the trip, published upon return, with the emblematic title L’Afrique Fantôme, is an introspective reflection of more than 500 pages “filled with ethnography, travel journals, self-exploration, and


Shared Portrait, 2016, video still

‘onirography’”, a kind of personal ethnography that breaks away from the pretense and assumption of objectivity in the traditional ethnographic text.4 The French intellectual’s hybrid world of art and ethnography comes to life in Shared Portrait in the images that flow over the pupils of the artist in the foreground. In them we see photographic reflections of the African expedition, Dogon masks, as well as the portrait of Michel Leiris and the book L’Afrique Fantôme, along with details of European art. In this way, Fiamma Montezemolo implements a process of identification that is constructed on the shared gaze: a “shared portrait,” precisely. An homage but also a statement of poetics of cultural filiation with the complex and transversal personality of the French writer and ethnologist and more generally with this conception of culture as it is called into question by the norms and familiar categories expressed by “ethnographic surrealism.” The play of reflections at the work’s


Fiamma Montezemolo

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anthropology, that usually lasted a year—but one that became a life experience. Obviously, this considerable period of time changed many things, many approaches and above all affected me methodologically. Academic research expands into trans-disciplinary and experimental projects, moments of important passage for her future choices. While co-authoring the editorial project Here is Tijuana! she frees herself from the academic writing imperative. Her collaboration as an expert on the frontera on the site-specific projects of InSITE brings her to reflect in an increasingly critical way about Western projections of the guest artists and curators.15 After starting a substantial research project on Tijuana artists, of which I still have folders full of interviews and life stories, I began to ‘shift’ from a geopolitical focus to a methodological one. In my fieldwork, without truly realizing it, my interests in anthropology change with the passing of time. More than producing work “about” another I chose to produce work “with” him/her/them instead. I begin a series of key collaborations with the writers, the architects of the area. At a certain point I realize that writing about them, making what in English we call a “second order observation”, though I recognize its obvious importance, doesn’t attract me anymore. Why represent people that self-represent much better on their own terms? Then I arrive at a point when it becomes


Here is Tijuana! (Aquì es Tijuana), 2006

clear that in six years I haven’t been able to really write about Tijuana but instead to “live” with it and some of its protagonists. The fieldwork becomes “life” in the sense that I live, work, make friends, set down roots, in a much more permanent way in the context and in this process I lose the desire to represent and I develop an alwaysgreater desire to invent, to co-produce new forms of life together with my supposed ‘informants’. Together with “supposed informants”, the architect René Peralta and the writer philosopher Heriberto Yépez, Fiamma Montezemolo publishes Here is Tijuana! in 2006 with the influential Black Dog Press, an editorial exercise that is arranged as an uninterrupted flow of images, texts and quotations. A fluid collage that, without any narrative


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Tracce, 2012, video still

The writing of the video essay is never didactic, instead it is a concentrated form of thought, a form of reflection, both speculative and personal, expressed through the off-screen voice that thinks about and with the images, on what they evoke, philosophizing on the meaning of events, creating a sort of intimacy with the viewer. It is with the video essay that the artist finally finds the form to evoke that border she was never able to write about academically in her years as an anthropologist. Tracce/Traces, 2012, is the portrait of the frontera that replaces her unwritten book of anthropology, but it is above all an intimate and liberating work through which the anthropologist reaches, also symbolically, her definitive passage into the field of art.


Once I cross the border, my work doesn’t allow me to focus on depicting it. My engagement deepens and leads to an artistic practice. The fluidity and the narrative freedom of the video essay now allows her to decline that affective experience and map that emotional and conceptual cartography represented emblematically by the wall, portraying the zone on which the famous linea extends between Mexico and the United States. In twenty minutes Tracce/Traces synthesizes the twentyfour hours of an uninterrupted shooting of life on the border, a typical day of the wall in its “materiality and affectivity.” The wall is transformed from an object into a subject thanks to a


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Unlived, 2016. Video still

the coexistence of three systems of culture, society, and the environment: an open field where it’s possible to form the transversal and interconnected thought necessary for the future of humanity. Fiamma Montezemolo creates an installation that extends beyond the two-dimensionality of the projection. She takes over the exhibition space with large kilims, metaphor for the open field where the three ecologies are the weave of culture, the nature of plants, and the moment of social encounter of the visitors. Three large kilims purchased in the medina of Rabat (Morocco) are sewn together to form one huge carpet, placed at the center of the exhibition room on a bed of pine bark. From a few openings on the inside of


the carpet, cactus plants of various dimensions and heights with long sharp spines emerge. The public is invited to stop and linger on the carpet, a traditional stereotype of hospitality. Despite the invitation to rest on the carpet, the strips of bark and the prickly pointed thorns produce a sensation of danger and instability that challenges the superficial conviviality of much relational art, to which at a first glance it seems to refer. The artist makes the visitor hesitate instead, a distancing premised fundamentally on the construction of identity in the encounter with the Other, in that process of endless negotiation necessary for being together in the world, admitting, too, its possible conflicting elements. In this way


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The sentences that the artist “removed” from the Borges story are emblematic also of her experience and her successive transformation: a single protagonist, nothing singular about him / esoteric rites still survive / go discover the secret, said the advisor / came to dream in a language that was not that of his fathers / the tribe’s secret is revealed / he left / he is now a librarian. As in the story, for Fiamma Montezemolo, at the moment in which fieldwork becomes a life experience, narration is no longer possible. This is because, as the U.S. anthropologist says to his professor in the Borges story: “the secret is not as important as the paths that led me to it. Each person has to walk those paths himself.” Just as Fiamma Montezemolo has walked the paths in her existential and artistic adventure along that shadowy line of identity, geopolitical, and disciplinary borders. With the difference that, while the ethnographer of Borges became a librarian, the anthropologist becomes an artist. Because what matters to us here is the Afterwords of the title, all that comes “after the words”, that is after academic writing: the practice of art, “the more sinuous and elliptical weave of the symbolic”33, through which the artist and anthropologist can continue to converse with the world: Because in the end the best art and the best anthropology share a common interest: transforming life, not reproducing it as it is.34


NOTES

1. “Documents” is the magazine founded by Georges Bataille in Paris between 1929 and 1930, together with the German art critic Carl Einstein and the future founder of Musée national des arts et traditions populaires, Georges Henri Rivière. Michel Leiris is the editor-in-chief. In the magazine dissident surrealists contribute such as Robert Desnos, Artaud, Quenau and the ethnographic researchers Marcel Griaule and Rivet. 2. Clifford James, I frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura e arte nel secolo XX, Bollati Boringhieri, 1993, p. 159. (First edition: The Predicament of Culture. TwentiethCentury Ethnography, Literature and Art, 1988). 3. The Dakar-Djibouti expedition, 19311933, led by Marcel Griaule, student of Marcel Mauss, lasted twenty-two months. The official goal of the mission was to enrich the national collections. The massive “loot” brought to France formed the nucleus of the future Musée de l’Homme that was inaugurated in 1938. 4. Clifford J., 1993, p. 196. 5. Montezemolo Fiamma, Senza Volto: l’etnicità e il genere nel movimento Zapatista (Faceless: Ethnicity and Gender in the Zapatista Movement), Liguori, 1999; La mia

storia non la tua, la costruzione dell’identità chicana tra etero e auto rappresentazioni, (My Story Not Yours, the construction of Chicano/a identity between hetero and self-representation) Guerini, 2004. The monograph includes the preface by the Chicano anthropologist Renato Rosaldo, one of the leading representatives of the New Anthropology. 6. Montezemolo Fiamma, 1999, p. 5 7. Ibidem, p. 3 8. Clifford James, Marcus G. E., Writing Culture: Poetics and Politics of Ethnography, The Regents of the University of California, University of California Press 1986 (Italian translation, Scrivere le culture, Meltemi editore, Roma 1997). In 1984 the School of American Research in Santa Fé, New Mexico, hosted a seminar-meeting of ten scholars who discussed the questions linked to the construction of the ethnographic text. The papers of the participants– G.E. Marcus, J. Clifford, M.L. Pratt, V. Capranzano, R. Rosaldo, S.A. Tyler, T. Asad, M.M.J. Fischer, P. Rabinow – are included in the volume, curated by Marcus and Clifford, which was published 1986. 9. Canevacci Massimo, “Forward”, Avatar. Dislocazioni tra antropologia e comunicazione, n. 1, March 2001, pp.


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1-3. Avatar, 2001 – 2004, Meltemi editore. The large international scientific committee includes some of the leading exponents of the New Anthropology, including J. Clifford, R. Rosaldo and G. E. Marcus. 10. Meltemi is a publishing house that began in 1994 with the publication of contemporary anthropological texts, and specialized in essays of cultural and postcolonial studies, but also of contemporary thought, aesthetics, communication and visual culture. In 1997 Meltemi published Scrivere le culture (Writing Cultures). 11. Macrì Teresa, Politics/Poetics, Postmedia Books, 2014, p. 48. 12. García Canclini Néstor, Culturas híbridas. Estrategias para entrar y salir de la modernidad, Editorial Grijalbo, México, 1990. An essential book for understanding the process of hybridization between cultures in transition from tradition to modernity, in light of three Latin American countries: Brazil, Mexico, and Argentina. In the book the Argentine anthropologist defines Tijuana as a laboratory of postmodernity. 13. Cfr. Montezemolo Fiamma, “Cómo dejó de ser Tijuana laboratorio de la posmodernidad. Diálogo con Néstor García Canclini”, Alteridades 2009, 19 (38), p. 144. Originally published in Third Text, vol.23, Routledge, NYLondon, 2009

14. From 1992 to 2005, InSITE came out with five editions, each with a different curatorial approach. InSITE produced more than 150 projects and is considered the most interesting and intriguing event in the international artistic scene relative to site-specific practices, mostly for the artists that operate with a critical practice of a projectual nature, attentive to the social and political contradictions of the territory. Artists who participated include: Francis Alÿs, David Lamelas, Allan Sekula, Dias & Riedweg, Judith Barry, Silvia Gruner, Krzystof Wodiczko, Allora & Calzadilla and Antoni Muntadas. 15. Montezemolo F., Kun Josh eds. Tijuana Dreaming, Life and Art at the Global Border, Duke University Press, 2012; Montezemolo F., Yépez Heriberto and Peralta René eds. Aquì es Tijuana! - Here is Tijuana!, Black Dog Publishing, 2006. 16. Bruno Giuliana, Atlante delle emozioni. Un viaggio tra arte, architettura e cinema, Mondadori, 2006, p. 3. (First edition: Atlas of Emotion. Journeys in Art, Architecture and Film, Verso, 2002) 17. Elhaik Tarek, The Incurable-Image. Curating Post-Mexican Film and Media Arts, Edinburgh University Press, 2016, p. 53. 18. Foster Hal, “The Artist as Ethnographer?”, in Marcus George E. and Myers Fred R. eds. The


Traffic in Culture. Refiguring Art and Anthropology, University of California Press, 1995, pp. 303-309, p. 306. 19. Montezemolo Fiamma, “Biocartography of Tijuana”, in inSite_05 (Situational) Public – Público (situacional) catalogue, Installation Gallery, San Diego, 2006, p. 315. 20. Cfr. Montezemolo Fiamma, “Cómo dejó de ser Tijuana laboratorio de la posmodernidad. Diálogo con Néstor García Canclini”, Alteridades 2009, 19 (38), p. 145. 21. Ingold Tim, Making. Anthropology, Archaeology, Art and Architecture, Routledge, London, 2013. 22. Elhaik Tarek, 2016, p. 26. 23. Kosuth Joseph, “The Artist as Anthropologist” 1975. Reprinted in: Art After Philosophy and After, Collected Writings, 1966-1990, pp. 107-128, MIT Press, 1991. 24. An expanded version of the essay was published as “The Artist as Etnographer?” inside the essay collection The Return of the Real: the Avant-Grade at the End of the Century, MIT, 1996. Hal Foster’s book was translated into Italian by Postmedia Books in 2006. 25. Rolnik Suely, Cartografia Sentimental, Transformações contemporâneas do desejo, Editora Estação Liberdade, São Paulo, 1989. 26. Didi-Huberman Georges, Come le lucciole. Una politica della

sopravvivenza, Bollati Boringhieri, 2010. 27. Produced by West of Rome Public Art in Los Angeles, organization founded and directed by Emi Fontana. 28. Malinowski’s diary came out in 1967 and it covered the period of his fieldwork in New Guinea and in Trobiand Islands, 1914-15 and 1917-18. 29. Fontana Emi, “Tutto quel che resta”: testo per la mostra personale dell’artista al Magazzino di Arte Moderna a Roma, 2015. (“All that remains”: text for the artist’s solo exhibition at the Magazzino of Modern Art in Rome, 2015.) 30. Fontana E., 2015. 31. This work, commissioned by the Italian Institute of San Francisco and presented in a solo exhibition by the artist at the Kadist Art Foundation, was curated by Heidi Rubben and Marina Pugliese, the latter is, among other things, former director of the Museo delle Culture of Milano. 32. Borges Jorge Luis, Elogio de la sombra, Emecé, Buenos Aires, 1969. 33. García Canclini Néstor in: Montezemolo Fiamma, “Cómo dejó de ser Tijuana laboratorio de la posmodernidad. Diálogo con Néstor García Canclini”, Alteridades 2009, 19 (38), p. 153. 34. All Italics quote the artist in conversation with the author, Rome, June 2018.


Fiamma Montezemolo

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Fiamma Montezemolo (Roma, 1971 - Vive e lavora a Roma e a San Francisco) è artista (MFA, San Francisco Art Institute) e antropologa culturale (Dottorato, Università l’Orientale di Napoli). Insegna nel dipartimento di cinema e studi digitali dell’Università della California, Davis. Lavora con diversi media, tra i quali video e installazione. Ha esibito i suoi lavori in diversi spazi pubblici e privati, sia in Italia che all’estero (tra questi: Kadist di San Francisco, Galleria Nazionale di Roma, Laboratorio Arte Alameda di Citta’ del Messico, Museo ASU dell’Arizona, Art Basel Miami) ed è rappresentata dalla galleria Magazzino, Roma. Ha pubblicato vari articoli in riviste nazionali e internazionali ed è autrice di due monografie: La mia storia non la tua, la costruzione dell’identità chicana tra etero e auto rappresentazioni (Guerini, 2004) e Senza Volto: l’etnicità e il genere nel movimento zapatista (Liguori, 1999); co-curatrice con Josh Kun di Tijuana Dreaming, Life and Art at the Global Border (Duke University Press, 2012) e coautrice con Heriberto Yépez e René Peralta di Here is Tijuana e Aqui es Tijuana (Black Dog Publishing, 2006).


Fiamma Montezemolo (Rome, 1971 - She lives and works in Rome and San Francisco) is both an artist (MFA, San Francisco Art Institute) and a Cultural Anthropologist (Ph.D, University Orientale of Naples). She is an Associate Professor in the Department of Cinema & Digital Media at the University of California, Davis. As an artist, she works with various media (mainly installation and video). Her artwork has been widely exhibited both nationally and internationally and is represented by Magazzino Gallery in Rome. She is the author of La Mia Storia Non La Tua: La Dinamica Della Costruzione Dell’identità Chicana Tra Etero- e Auto-rappresentazioni (Guerini, 2004) and Senza volto: L’etnicità e il genere nel Movimento Zapatista (Liguori, 1999). She is also a coauthor of Here is Tijuana (Blackdog Publishing, 2006) and co-editor of Tijuana Dreaming: Life & Art at the Global border (Duke UP, 2012).


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