Sislej Xhafa. Eleganza e splendore della forza clandestina di Simone Ciglia Š 2019 Postmedia Srl, Milano Copertina: Sislej Xhafa, Ceremonial Crying System PV, 2004 www.postmediabooks.it isbn 9788874902262
Sislej Xhafa Eleganza e splendore della forza clandestina Simone Ciglia
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Quello che segue è un glossario che descrive l’opera di Sislej Xhafa attraverso alcune parole-chiave. I lemmi sono illustrati da una selezione di opere dell’artista e accompagnati da suoi statement. Il lettore è invitato a navigare questo piccolo dizionario in modo randomico, seguendo i rimandi interni al testo indicati dal simbolo ¬.
ACCOGLIENZA L’accoglienza è un valore basilare nel lavoro di Xhafa, appello costante all’altro. Benvenuto è una grande scritta realizzata arando un campo a Casole d’Elsa (nel 2000 per Arte all’arte). Seguendo il movimento della natura, l’opera non è per l’artista «un istante di vita. È sempre in progressione e in mutamento. […] Quando si pensa al paesaggio, in particolare quello toscano, invece di sentirlo, si pensa sempre a una cartolina. Io invece do grande importanza alla mia connessione e al mio rapporto con la terra. La mia attività riflette questo»1. La stessa scritta, realizzata in alfabeto braille, è apposta sulle vetrate all’ingresso del museo MAXXI di Roma in occasione della mostra personale che da questa prende il titolo (Benvenuto, 2016). Nel nuovo contesto, apposta sulla soglia fra esterno e interno, fra la città e l’istituzione, il messaggio arricchisce il significato dell’accoglienza.
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si misura con i valori aggiunti e con la competizione nella sfera economica. La libertà come atto pratico deve essere coltivata e le società si rispecchiano nella solidarietà e nel rispetto della dignità umana»7. Xhafa inoltre fa parte del board della Autostrada Biennale, la prima biennale di arte contemporanea in Kosovo, la cui edizione inaugurale si è tenuta a Prizren nel 2017.
BIOGRAFIA Sislej Xhafa è nato nel 1970 a Pejë, in quella che all’epoca era la Repubblica di Yugoslavia ed è oggi la Repubblica del ¬ Kosovo. Figlio del pittore e grafico Xhevdet Xhafa (1935), il suo nome deriva da quello del pittore impressionista Alfred Sisley. Nel 1991 si trasferisce in Inghilterra, per studiare al Chelsea College of Art and Design di Londra. Due anni dopo prosegue gli studi all’Accademia di Belle Arti a Firenze. Il soggiorno in ¬ Italia si rivela fondamentale per la formazione e l’esordio. Dal 2000 vive a Brooklyn, ¬ New York, scelta «per le sue contraddizioni, per le sue incertezze piuttosto che per la sua centralità artistica»8.
CALCIO Con la sua universalità, il calcio rappresenta nell’opera di Xhafa una fonte iconografica e una metafora su cui si misurano le questioni dell’¬ identità nazionale. «Lo sport, oltre ad essere importante per lo sviluppo psicofisico, è un linguaggio universale eppoi pure il mondo è rotondo come il pallone. Tutto ciò è legato anche al comunicare fisicamente, qualità che calcio e sport in generale hanno […]»9.
Agli esordi, l’artista veste i panni del calciatore nell’irruzione clandestina alla Biennale di Venezia (¬ clandestinità). L’anno successivo, le strade del paese di Città Sant’Angelo (Pescara) sono percorse da un camion rosso su cui un gruppo di tifosi esagitati sventola le bandiere dell’¬ Albania (Stadio mobile, 1998). Albanesi sono di nuovo i protagonisti del video Hooligans in heaven (2001), in cui tre uomini sono ripresi mentre corrono sulla pista dell’Arena di Milano portando nelle mani un grosso tronco: apparentemente assurda e priva di scopo, l’azione propone una mera manifestazione di resistenza fisica.
CASA Simbolo di appartenenza a un luogo, la casa nel lavoro di Xhafa si colloca sotto il segno della precarietà. Casa senza titolo (1999) è un’abitazione costruita da cassette della frutta in legno, al cui interno sono appesi filari di aglio. Gli stessi materiali tornano nella costruzione presentata in occasione della prima personale
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l’interrogazione per eccellenza – Why?. L’opera pone così «un dilemma fra simbolo, immagine e funzione, che fa sì che ognuno definisca un proprio significato in base all’esperienza personale»17. Alla ¬ Biennale di Venezia del 2013, dove rappresenta l’ ¬ Italia, Xhafa espone Tractatus Logico Flat (2013), una bara interamente rivestita di biglietti della lotteria, tracciando un’equivalenza fra i processi casuali che governano il gioco e la morte. Nel 2017 l’autore è invitato alla seconda edizione del progetto FòcarArte a Novoli (Lecce), incentrato su un antico rito agricolo (¬ ruralità) dedicato a Sant’Antonio Abate che prevede il rogo di una gigantesca pira. Per l’occasione, mette in scena Segment on the air, un’azione in cui alcuni membri del personale di sicurezza giocano con un palloncino rosa.
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altro 14 metri in acciaio cor-ten da cui tre volte al giorno escono zampilli di acqua. «La giustizia serve al momento del bisogno di equilibrio, per me motivo di grande importanza. Una cosa che fa riflettere sull’equilibrio è il bastone che deve reggerti, ecco il perché di questa forma. E poi la giustizia che metaforicamente può anche picchiarti, come una volta gli anziani facevano con il bastone quando... si combinava qualche marachella»24.
IDENTITÀ «La questione dell’identità è una cosa che va giustamente confrontata con relazioni geografiche che sono un fenomeno molto vecchio. Questione della presenza e soprattutto un nuovo metabolismo della realtà stessa, che attraverso l’arte ci permette di mandare qualcosa comunque volto a un certo nazionalismo stereotipato che può far assumere una creatività che per l’arte non deve assolutamente essere uno strumento, perché il linguaggio artistico deve andare oltre allo stereotipo e al nazionalismo»25.
IRONIA «Per me […] l’ironia è fondamentale soprattutto per un motivo, perché è un’operazione che lascia spazio alla gente per riflettere, senza che con ciò io voglia fare una dichiarazione. […] Per me, l’ironia è un approccio in cui si dà spazio alla gente, in cui lo spettatore può definire come collocarsi davanti all’opera d’arte»26.
Più recentemente, Xhafa utilizza alcuni strumenti del lavoro agricolo rileggendoli in chiave poetica: un vecchio aratro in ferro è sollevato al soffitto, capovolto e decorato con una cascata di lampadine (Sunshine, 2015), spostando il lavoro di aratura dalla terra al cielo; legata a un ricordo d’infanzia è la carriola contenente un groviglio di lucine (di vari colori nelle diverse versioni dell’opera), che il titolo trasforma in un razzo (Rocket ship, 2011); una coppia di badili poggiati su un’amaca smentisce la proverbiale durezza della terra (soft earth, 2018). Il riferimento al mondo rurale si trasforma in un ready-made in occasione della prima mostra dell’artista nel paese natale (alla Galleria Nazionale del Kosovo
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a Prishtina nel 2018): Woven Soil è una stalla costruita a fianco al museo abitata otto mucche, osservabili dall’interno del museo attraverso un’apertura sulla parete.
STORIA DELL’ARTE La storia dell’arte si rivela nell’opera di Xhafa attraverso la citazione diretta, costruendo un pantheon che omaggia maestri del Novecento insieme ad autori contemporanei. Beecroft, Vanessa Alle performance di Vanessa Beecroft – che vedono quasi sempre le donne protagoniste – Xhafa risponde ironicamente con Uomini per le donne di Vanessa Beecroft (1998): all’ideale di algida bellezza femminile proposta da Beecroft, Xhafa contrappone la presenza cruda di uomini extracomunitari vestiti in abiti intimi. Broodthaers, Marcel Broodthaershood (2003) cita una delle serie più note di Marcel Broodthaers: l’artista belga si è spesso servito di gusci di cozze come materiale per le sue opere, un’allusione alla sua nazionalità e un gioco di parole sulla scultura (in francese, moule significa “cozza” ma anche “stampo”). Nella rilettura di Xhafa, le cozze – aperte a evocare delle farfalle – prendono la forma di una colonna circolare (dell’altezza di un metro), chiusa alla sommità da un tombino. Quest’oggetto, che richiama la ¬ strada, allude a una dimensione nascosta, in cui confluiscono gli scarti della società. L’intento di disvelamento del reale unisce Xhafa e Broodthaers, legati da una fraternità artistica ribadita dal titolo.
STRADA «Duchamp era un giocatore di scacchi – il mio campo di gioco è la strada»50. (¬ Storia dell’arte, Marcel Duchamp). La strada significa per l’artista il contatto con la ¬ realtà. Da questa, Xhafa raccoglie molte delle immagini e degli oggetti per il suo lavoro, frequentandola attraverso una pratica costante che riecheggia la deambulazione di origine surrealista e la dérive situazionista. Se la strada è lo sfondo in cui si colloca gran parte della sua creazione, il riferimento diventa esplicito nell’utilizzo di elementi come il tombino, mimeticamente riprodotto in ceramica e collocato a pavimento (Tombino, 2000), o assemblato a comporre metaforici fiori (Iron Flower, 2016). In questo elemento urbano ricorrente (¬ Storia dell’arte, Marcel Broodthaers), l’artista dichiara l’interesse per la dimensione sotterranea che attraversa tutto il suo lavoro, teso a portare in superficie ciò che è nascosto. Parte del lessico della strada, il sacco dell’immondizia è tradotto in cemento (Garbage Bag Sculpture, 2003) oppure trasformato in una presenza inquietante dalla fuoriuscita di capelli (the bindery, 2017). «In una società come la nostra dove contesti, linguaggi e strumenti cambiano in continuazione, credo che per l’artista sia fondamentale, se non impossibile, attingere alle tematiche sociali che lo circondano. E la strada, in questo senso, era e resta una formidabile fonte d’ispirazione. Dove si intrecciano la storia, il presente, ma anche l’immaginario, la fantasia, la vita e i suoi problemi»51.
Postfazione empatica Teresa Macrì Ho scoperto Sislej, per la prima volta, alla Biennale di Venezia del 1997 durante la sua azione illegale Padiglione clandestino, rincorrendolo nei suoi palleggi e districandomi nei suoi dribbling per tutti i rizomi dei Giardini di Castello. Azione deviante, simbolicamente balenante che mi stordì per la sua acutezza ispirativa, per il suo azzardo atletico, per la sua sottigliezza metaforica e, non ultima, per la sua leggerezza. Folgorata! Come quando a otto anni fui fulminata dal calcio, a quindici anni scossa da Mary Shelley, a diciotto sconvolta dai Sex Pistols e più tardi abbagliata da Damien Hirst. Ancora oggi Sislej riesce a stupirmi, divertirmi, affiatarmi. E, nonostante, abbia ben chiara la sua poetica potente e istintuale, zigzagata da asimmetrie e da slittamenti, da stratificazioni e da decostruzioni che la irrorano, la sviluppano e la estendono, vivo e rivivo sempre la sua magia. Indefessamente. Concordo con Sislej quando afferma: “L’arte è per me l’ultima forma di democrazia rimanente. Non mi occupo di questioni formali, ma con la mia arte voglio stimolare l’azione e la partecipazione: creare uno spazio in cui la poetica porti al politico”. E’ proprio questa l’intuizione che sommuove la sua sfera creativa, che ne crea una cifra distintiva e che depista codici e timori e mi rende ad essa empatica, perfino complice. Come Sislej credo che l’arte abbia un ruolo discernibile all’interno della società contemporanea, nell’era post-ideologica e che scavalca il semplice atto di indagare il mondo, simile a un reporter, ma si attiva, più miratamente, a sovvertirlo.
didascalie immagini
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pag.4 Benvenuto, 2000, installazione site specific, 70 x 900 cm. Foto: Ela Bialkowska pag.7 Ceremonial Crying System PV, 2004, ferro, PVC, acqua, diam. 8 m, altezza 23. Foto: Amedeo Benestante pag.11 Casa Senza Titolo, 1999, cassette della frutta in legno, aglio, 6 x 8 x 4 m (le dimensioni restano variabili come opera site-specific). Foto: Giorgio Benni. Collezione Fondazione MAXXI. Veduta della mostra BENVENUTO! SISLEJ XHAFA, a cura di Hou Hanru e Luigia Lonardelli, Fondazione MAXXI, Roma pag.13 Padiglione Clandestino, 1997, stampa lambda, 160 x 110 cm. Performance non autorizzata durante la 47a Biennale di Venezia, Padiglione albanese clandestino pag.14 Whisper harmony, 2016, bagni chimici, antenne e parabole, dimensioni variabili. Foto: Ela Bialkowska pag.15 Sister, 2013, lapide bianca con ricevitore telefonico, 85 x 60 x 30 cm. Foto: Nestor Kim pag.17 Sweat tree, 2016, bronzo, fontana, altezza 8 metri. Collezione privata
copertina Sislej Xhafa, Ceremonial Crying System PV, 2004, Ferro, PVC, acqua, Diam. 8 m, altezza 23. Foto: Amedeo Benestante
pag.19 Stock Exchange, 2001, video VHS, 30’ loop