Molly Nesbit

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Comitato editoriale Anna Barbara (Politecnico di Milano) Cristina Casero (Università di Parma) Emanuela De Cecco (Libera Università di Bolzano) Luca Peretti (Yale University) Roberto Pinto (Università di Bologna) Carla Subrizi (Sapienza Università di Roma)

Il pragmatismo nella storia dell'arte di Molly Nesbit © 2017 Postmedia Srl, Milano The Pragmatism in the History of Art © 2013 Molly Nesbit © 2013 Periscope Publishing, Ltd Traduzione dall'inglese di Nicoletta Poo www.postmediabooks.it ISBN 9788874901791


Il pragmatismo nella storia dell'arte Molly Nesbit

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Tuzenbach: Non solo fra due o trecento anni, ma fra un milione d’anni la vita resterà come è sempre stata; la vita non cambia, rimane immutabile, seguendo le proprie leggi, che non ci riguardano o che, per lo meno, non conoscerete mai. Gli uccelli migratori, le gru, per esempio, volano e volano, e quali che siano i pensieri, alti o meschini, che vagano nelle loro menti, esse continueranno sempre a volare, senza saper dove né perché. Volano e voleranno sempre, nonostante le gru filosofe che possono svilupparsi tra di loro. E possono filosofeggiare finché vogliono, purché continuino a volare… Maša: E la ragione, il senso di tutto questo? Tuzenbach: Il senso?... Ecco, nevica. E dove ne è il senso? Anton Čechov, Tre sorelle (In Tutto il teatro, trad. di Laura Simona Malavasi, Rizzoli, Milano 1960, atto secondo, p 77).


Introduzione

In principio solo un certo pragmatismo inconsapevole, sospeso a mezz’aria come il turbinare di un’ombra nella notte. Qualcosa che esisteva già. Un cinguettio appena svanito. Un alito di vento. Poi arrivò qualcuno a indicare ora e luogo. In principio quel luogo fu Berkeley. William James presentò il pragmatismo in forma filosofica nel corso di una lezione all’Università della California nel 1898. Evitò semplificazioni e minuziosi commenti. Il nuovo concetto doveva essere denso, illuminato e soprattutto moderno. Non aveva un solo colore. Lo mise bene a fuoco, spiegando ai presenti che «l’effettivo significato di ogni proposizione filosofica può essere sempre ricondotto a qualche conseguenza particolare, nella nostra futura esperienza pratica sia attiva o passiva; l’importante sta nel fatto che l’esperienza dev’essere particolare»1. Il particolare deve essere noto e arriverà a significare qualcosa in virtù di un effetto successivo, un atto forse, o qualcosa che viene visto, sentito o toccato. È importantissima la sua specificità, l’essere al centro di un’indagine serrata e incessante e, anche se James non è esplicito a riguardo, il suo essere misurabile su una scala umana. Niente rimane piccolo. James riconobbe all’amico Charles Sanders Peirce la paternità del concetto di pragmatismo, che sottopose a sua volta a successive elaborazioni. Altrove James avrebbe assimilato la teoria a uno strumento (non un’immagine, non una risposta) e avrebbe concepito il pragmatista come colui che si distacca da entità primarie (princìpi, categorie, presunte necessità) per esercitare la mente piuttosto sui risultati finali (frutti, conseguenze, fatti)2. Potremmo moltiplicare gli esempi: le fragole verdi, le guerre di religione, la temperatura dell’aria all’alba. Ma i pragmatisti avevano dei catalizzatori tutti loro. Il pensiero

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doveva apparire e agire mano a mano che lo utilizzavano, relativamente, tra i dettagli di un mondo che speravano di poter conoscere meglio. In questo furono ottimisti. Peirce, uomo di intelletto assolutamente singolare, aveva formulato un’iniziale definizione di pragmatismo vent’anni prima, nel 1877, in due articoli, “Il fissarsi della credenza” e “Come rendere chiare le nostre idee”. Frasi asciutte e d’effetto svecchiarono il tono del dibattito. «Analizzando definizioni non si può imparare nulla di nuovo»3. Va comunque detto che lo stesso Peirce aveva cominciato saggiando una definizione, il pragmatisch di Kant, ma la terminologia filosofica dei tedeschi era ormai ampiamente superata all’epoca di questi articoli, pubblicati sulle due sponde dell’Atlantico su “Popular Science Monthly” e “Revue philosophique de la France et de l’étranger”. Le idee raggiungono la propria chiarezza perché si producono abitudini all’azione, spiegava ai lettori, abitudini che sono effetti percepiti e che hanno una portata pratica. Egli apriva così la strada al contributo che l’Ottocento avrebbe dato alle scienze sperimentali; considerò fondamentale mettere alla prova le sue idee, ponendo problemi in tutto e per tutto concreti per la logica, per un pensiero visto e gestito. Gli esempi di Peirce sono comunque unici: alcuni sono brillanti, in altri aleggia uno strano umorismo; i contorni restano sfumati. Cercava la differenza tra il duro e il tenero, faceva scomparire i diamanti, senza mai toccarli, in cuscini di morbido cotone; instillava il dubbio in una mente in attesa del treno; lasciava che quella stessa mente si dischiudesse nell’attesa, che le immagini l’attraversassero in un’accelerazione così rapida da dissolversi prima dell’arrivo del treno. Constatò che la realtà, in ultima analisi, era indipendente dai pensieri della singola persona. Come si fa a conoscere? Peirce non esita a interrompere il ritmo dell’argomentazione per citare un’intera strofa dall’Elegia scritta in un cimitero di campagna di Thomas Gray. In queste condizioni, la logica, il progresso scientifico, il pericolo e l’arte non confluirebbero in un composto nuovo o una teoria unitaria; al contrario, ciascuna disciplina contribuirebbe a modo proprio a rivelare aspetti diversi della vita, anche quelli che l’uomo è incapace di vedere con i propri occhi:

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Tante gemme dal purissimo raggio sereno nascondono le oscure insondabili fosse dell’oceano; tanti fiori sono nati a fiorire lontano da ogni sguardo, e a effondere la loro dolcezza nell’aria deserta4. Questo era l’ideale che James decise di tenere alto nel 1898. Dopo le lezioni universitarie, e furono numerose, in tutto il mondo si sollevò un’ondata di interesse per il pragmatismo americano. Anche Peirce contribuì. Mise meglio a fuoco la sua idea di che cosa potesse fare un pragmatista; si mise al lavoro sul linguaggio e sulla logica. Lui e James non procedevano sempre in sincrono perfetto. Per esempio Peirce non volle rinunciare alla generalità; nei suoi ultimi lavori arrivò a sottolineare l’importanza della continuità. Eppure, come James, voleva che il filosofo pragmatista ponesse quante più domande possibili sulla collocazione di tutto questo e di noi stessi nel tempo. Quest’ambizione è presente in affermazioni del tipo: «Il significato razionale di ogni proposizione sta nel futuro»5, oppure «Non dovete avere paura di compromettere la vostra beneamata teoria guardando fuori dalle sue finestre»6. Peirce si aspettava che il pragmatista guardasse fuori e soppesasse il mondo. La conseguenza particolare? Il futuro dell’uomo. Il futuro si abbatté su entrambi. Peirce morì nel 1914, James nel 1910, ma a quel punto si era unito a loro John Dewey che contribuì molto a dare a queste idee un palcoscenico internazionale. Le sviluppò in altre direzioni. Guardò ben oltre la finestra, combinò il pragmatismo con la riforma sociale e diede al suo pensiero altre vie per aderire alla realtà. Stava per diventare il maggiore esponente americano della pedagogia filosofica. Riteneva importante usare il sapere per la creazione di una coscienza pubblica dinamica, responsabile e democratica. Noi viviamo in avanti, scriveva. All’inizio del 1917, mentre molti paesi europei erano in guerra e gli Stati Uniti ancora in attesa, Dewey sperava di poter conservare il suo pacifismo e la piena libertà di parola. Fu a quel punto che diede alle domande una platea ampia e non protetta per esprimersi. Da allora in avanti, sarebbero rimaste

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pubbliche, esposte agli eventi. «Il conoscere» afferma «è un vedere dal di fuori». Non era più concepibile restare accanto alla finestra, contemplare eleganti torri d’avorio. I problemi all’ordine del giorno richiedevano attenzione, bisognava capire dove c’era conoscenza e come poteva crescere. La distinzione significativa andava tracciata, scrive Dewey, «tra modi diversi di essere nel movimento delle cose e di questo stesso movimento, fra un bruto modo fisico e un modo intenzionale e intelligente»7. Gli Stati Uniti entrarono in guerra nell’aprile del 1917. La guerra mondiale terminò con l’armistizio nel novembre 1918. L’anno seguente, protestando contro la censura che la Columbia University aveva posto alla sua facoltà non interventista, Dewey diede appoggio al gruppo che fondò la New School for Social Research. Prese congedo dalla Columbia per due anni e andò a insegnare in Cina e Giappone. Nel 1925, alla fine del suo libro Esperienza e natura, Dewey avrebbe assegnato all’arte un ruolo chiave. Da anni ormai viaggiava in tutto il mondo, tenendo lezioni e ascoltandone altrettante. Quando gli studenti cinesi si sollevarono a Pechino nel 1919 e prese vigore il movimento del 4 maggio, guarda caso, lui era presente. I suoi discorsi e i suoi libri continuarono a esercitare influenza e il suo stile personale nell’esporre il pensiero era testato in situazioni sempre nuove. Secondo Dewey, l’arte era sia uno strumento, sia una pratica fondamentale al servizio di quell’esperimento effimero e straripante che è la vita. Tutta l’arte aveva e avrebbe continuato ad avere un’utilità: educare alla percezione, a nuovi modi di percezione; diventava uno strumento per vedere nel futuro. Per Dewey, la nuova arte moderna non era né qualcosa di alieno né un’astrazione accettata per atto di fede; aveva invece la capacità di fare da catalizzatore. La chiamava «esperienza nella forma dell’arte» e la considerava un modo per avvicinare mente e materia «in una maniera che chi tiene presente le considerazioni precedenti può ben comprendere», dimostrando che «la coscienza non è un regno separato dell’essere, ma è la manifesta qualità dell’esistenza nel momento in cui la natura raggiunge il suo massimo grado di libertà e di attività»8.

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Nel 1926 Dewey insegnava in Messico. Nell’estate del 1928 i sovietici lo invitarono a visitare il loro stato in via di formazione e a parlare di pedagogia. La teoria politica sovietica non lo colpì particolarmente, ma Dewey apprezzò il contatto con il popolo russo, la loro volontà e il loro nuovo mondo in costruzione. L’anno successivo osservò le economie occidentali vacillare al crollo dei mercati azionari mentre l’idea di una crescita senza timori si rivelava infondata. Vide l’insediarsi di nuovi ordini, non sempre razionali. Studiava. Continuava a pensare. L’arte non arrivò come un ripensamento dopo il pragmatismo; ne era un’ulteriore filiazione. Nel 1934 Dewey pubblicò Arte come esperienza, il testo in cui chiariva queste idee. Era dedicato a William James9. Nella prefazione ringrazia per l’aiuto il giovane storico dell’arte Meyer Schapiro. Ora, a più di settantacinque anni di distanza, noi abitiamo il loro futuro. Tuttavia il pragmatismo non è diventato di per sé il copione che recitiamo, né serve a spiegarlo. Non c’è alcun copione. Il pragmatismo di Peirce, James e Dewey esiste nel movimento, assorbe ed è assorbito. Le fragole restano verdi, le guerre di religione continuano, l’aria al mattino è fredda. La chaîne est belle, ma difficile da prevedere. Le conclusioni hanno carattere precauzionale, il tempo passa, in perpetuo assestamento, notturno, opaco. Molte domande e condizioni restano. Saranno ricorrenti. Il futuro non si è alleggerito. Anche noi abbiamo corso dei rischi, vecchi e nuovi, nel continuare a scrivere sul quando, sul dove o sullo stato dell’arte. È importante sottolinearli. Il pragmatismo è prima di tutto un metodo di lavoro, inizia nel presente. Detto questo, nessuno può lavorare disancorato da tutto, in completa solitudine.

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Parigi

Alla morte di Michel Foucault nella primavera del 1984, Gilles Deleuze, suo amico e collega filosofo, mise mano a un libro intitolato semplicemente Foucault; sollevando il grande problema della “morte dell’uomo”, tornando a immergersi nel pensiero dell’amico come qualcosa di vivo, che aveva alterato tanto le cose quanto la conoscenza. Foucault aveva lasciato una pensée di ampio respiro e grande chiarezza, intrisa di politica, letteratura e metafisica. Verso la fine del libro, Deleuze così rappresenta quelle profondità (vedi immagine a fondo pagina). Di tanto in tanto Deleuze accennava al pragmatismo di Foucault10. Con questo termine indicava un processo e un metodo che avevano messo in discussione alcuni aspetti della conoscenza. Deleuze pensava a Sorvegliare e punire, un testo fondamentale in cui il processo della visione entrava in collisione così violenta con la questione della visibilità che la percezione stessa, persino il giudizio, si frantumavano,

Gilles Deleuze, Diagramma del pensiero di Michel Foucault, in Foucault, Minuit, Parigi 1986, p 128, trad. it.: Foucault, di Pier Aldo Rovatti e Federica Sossi, Feltrinelli, Milano 1987 p 121. [Linea del fuori/Zona strategica/strati/Pieghe (zona di soggettivazione)]

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Jean-Luc Godard e Anne-Marie Miéville, Ici et ailleurs, 1976

Il pragmatismo si palesa attraverso una catena di esempi, un pragmatismo ne scaccia via un altro. Ora lasciano traccia come altrettante scene. Presenti puri continuano a cedere il passo. La gente viene e va. La terra sorge e ricade. I cuori pulsano. Le parole passano. Tocca alla storia studiare la natura del cambiamento e inseguire il filo del presente nel grigio riflusso del tempo. Potrebbe volerci un po’ per capire che la storia non è niente meno che un’eterna, estenuante caccia al presente, di qualunque periodo si occupi. Il presente non è un semplice oggetto che batte in ritirata; può anche colpire come un ladro, che arriva da fuori senza invito. Peirce ne colse il bagliore quando recitò Gray. Il regista Mike Nichols ne catturò qualche frammento quando rilevò di sfuggita che per gli artisti migliori, in qualche momento iniziale, «il tempo» comincia a scorrere dentro, una volta e solo una volta; secondo lui, accade senza preavviso33. E dopo che si è aperto questo varco? Che cosa accade a quel «tempo»? Non va riassunto e trasformato in un’idea. Chi l’ha provato non lo definirà mai un ideale. Può accadere che un presente duri per molto tempo, anche più a lungo di una vita; può accadere che sia breve. A volte lo si cattura in un’opera d’arte.

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Chris Marker, Fotogramma da La Jetée, 1962

Come cogliere un presente? Scriverlo? Nessuna scrittura, neanche la storia, è stabile. La corrente travolge tutto. Una storia dell’arte si sostituirà a un’altra. Per le questioni che sono sul tavolo, ci vorrà ora una discussione separata, che abbia una sua modernità. Ancora una volta sarà una storia di Francia e di America, almeno in parte. Non priva di legami con quella che abbiamo già narrato.

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Le correzioni di Alfred Barr Jr. sulle bozze del proprio testo in Cubism and Abstract Art, The Museum of Modern Art, New York 1936

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New York

Fu intorno agli anni Trenta che si cominciò a scrivere la storia dell’arte in senso moderno. La si associa spesso agli scritti del giovane Meyer Schapiro, in particolare alla recensione della mostra Cubism and Abstract Art, una panoramica internazionale dell’arte d’avanguardia allestita, nella primavera del 1936, da Alfred Barr Jr al Museum of Modern Art. Barr aveva individuato una linea evolutiva per l’arte moderna, nella quale tutte le avanguardie erano raggruppate in un unico movimento onnicomprensivo, come una specie in pieno sviluppo e protesa verso una meta finale di astrazione “geometrica” o “non geometrica”. Veniva introdotta una singola categoria per riunire un tutto scomposto in un destino unitario. Si riconoscevano come significativi o degni di attenzione solo valori formali espressi in composizioni di colore, linea, luce e ombra. Poco importavano le incertezze del sottobosco. Forse Paul Klee stava lavorando per lo spessore semiotico delle sue linee, ma la mostra di Barr metteva l’accento sulla contrazione radicale. Cubism and Abstract Art canonizzò un severo formalismo basato su una separazione: l’estetica era altro dalla religione, dalla politica, da tutto quello che si poteva ricondurre al mondo esterno34. Nell’arte, niente poteva essere vincolante. Nessuna immagine era autorizzata a tenere una porta aperta al tempo. I futuri reali, proprio come il vero presente attuale, dovevano stare alla larga. Nella sua recensione Schapiro, che insegnava alla Columbia University e alla New School for Social Research, rigettò in toto l’elegante tesi di Barr35. La sua visione dell’arte moderna era radicamente diversa. Ancor prima che fosse inaugurata la mostra, Schapiro tenne una conferenza dal titolo “The Social Bases of Art” per l’American Artists’ Congress, presso la New School. Parlò diffusamente delle diverse scuole di artisti moderni. La sua idea era che ciascuna avesse i propri oggetti specifici derivanti da un particolare “contesto di esperienza”, collocato a sua volta in specifiche

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secolo venne meno la stabilità, provocando rivolgimenti con cui si era obbligati a convivere: Il Novecento è un secolo che vede la terra come non l’ha mai veduta nessuno, la terra quindi ha uno splendore che non ha mai avuto. Nel Novecento tutto si distrugge e niente continua, il Novecento quindi ha uno splendore tutto suo. Picasso è di questo secolo. Ha la singolare qualità di una terra che nessuno ha mai veduto, di cose distrutte come mai sono state distrutte50. Attraversato in prima persona da forze storiche, sperimentando sulla propria pelle l’irrequietezza del mondo circostante, Schapiro scrisse principalmente saggi. Gli permettevano di restare al passo. Sceglieva argomenti che gli dessero la possibilità di esprimersi sui problemi estetici che sentiva più pressanti in un’ottica marxista. A un certo punto stilò un elenco: I. a. b. c.

Critica dei concetti fondamentali in uso oggi nello studio dell’arte Razza Immanenza dell’evoluzione Autonomia della creazione individuale

Pablo Picasso, La acróbata de la bola, 1905

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Sarebbe inoltre necessario sottoporre a critica le varie interpretazioni materialistiche dell’arte, meccaniche e volgari. II. Esaminare: a. Tradizioni di realismo b. Artisti e arte durante i periodi rivoluzionari del passato c. Contenuto dell’arte moderna, soprattutto astratta d. Reciproca relazione delle moderne arti realistiche (pittura, cinema, letteratura) III. Denuncia dei misconosciuti fondamenti sociali e ideologici dei tipici metodi di ricerca artistica a. capacità dell’intenditore e attribuzione b. analisi formalistica c. analisi storico-culturale (geistesgeschichtliche) IV. Critica dell’insegnamento accademico ufficiale della storia dell’arte, dei metodi iconografici dei professori di Princeton, del formalismo storico, delle tendenze generali della ricerca archeologica, ecc. V. Un altro importante ordine di problemi è quello che riguarda l’architettura moderna, l’estetica funzionalista, il riformismo architettonico, la pianificazione urbanistica e abitativa, In questa fase riservò a ciascun punto la dovuta attenzione, ma i saggi che portò a termine erano incentrati per la maggior parte sull’arte medievale, la sua seconda specializzazione. Non andò mai in porto un libro dal titolo The Content of Modern Art: Studies in the Painting of the End of the Nineteenth Century from Manet to Munch (Il contenuto dell’arte moderna; studi sulla pittura della fine del xix secolo da Manet a Munch)52.

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Isamu Moguchi, copertina di “View�, serie VI, numero 5, ottobre 1946

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New York

Nel 1946 emersero in piena luce le atrocità della seconda guerra mondiale, i campi di sterminio e la bomba atomica; Schapiro, che durante il conflitto aveva continuato a insegnare, scrisse allora un saggio destinato al numero di ottobre della piccola rivista “View”. Vi esaminava con minuzia Campo di grano con volo di corvi di Van Gogh, presumibilmente l’ultima opera prima del suicidio. Proprio come un artista, Schapiro parlava all’attualità attraverso una singola opera d’arte. La copertina per quel numero di “View” era di Isamu Noguchi che aveva trasformato in immagine una delle sue sculture da parete: una sottile impalcatura montata intorno a un oggetto a forma di osso; sottili lamelle gialle unica fugace nota d’allegria. Tutti sapevano che Noguchi aveva trascorso volontariamente parte della guerra in un campo di internamento americano per nisei, un dato implicito nella copertina53. I nisei erano stati tutti rilasciati. In francese le lettere scandiscono un’esplosione di vita: V - I - E. In “View”, secondo Schapiro, la storia dell’arte incontrò un pubblico nuovo. Charles Henri Ford aveva fondato la rivista durante la guerra per unire le energie di artisti, scrittori e intellettuali europei emigrati in America, con quelle dei colleghi americani, molti dei quali avevano in precedenza vissuto all’estero. Il surrealismo è spesso protagonista delle pagine di “View”, accanto alle discussioni sulla teoria matematica dei giochi, agli scritti di Wallace Stevens e Jean Genet e all’infra-mince di Marcel Duchamp. Queste combinazioni avevano mantenuto viva la cultura d’avanguardia, imprevedibilmente, cauta e vigile. Nel gennaio del 1946, sulle pagine di “View” usciva la traduzione del racconto di Jorge Luis Borges “Le rovine circolari”, precedentemente pubblicato su Sur nel dicembre 1940 mentre in Europa dilagava la guerra e la cerchia di autori che gravitava intorno a Sur in Argentina, compreso

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El Lissitzy, Kabinett der Abstrakten (Sala Astratta), 1926-1927 (ora smantellata), costruita per l'Hannover Landesmuseum, illustrazione tratta da Dorner, Il superamento dell’“arte”, cit., p 76

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Providence

Quello stesso autunno del 1946 nel Rhode Island, non lontano da New York, Alexander Dorner, il visionario direttore di museo emigrato a New York dalla Germania otto anni prima, formulò un diagramma della rappresentazione moderna. Secondo Dorner, la rappresentazione moderna si andava progressivamente allontanando da una realtà tridimensionale, dissolvendosi verso l’esterno a mano a mano che le energie dell’esperienza umana producevano nuove trasformazioni nel tempo. La forma non poteva mai essere senza tempo perché la vita non era mai stata statica, né poteva ripetersi65. Ancor più radicalmente, Dorner propose di dissociare il termine “arte” da questo movimento, rendendo la domanda che aveva perseguitato l’arte moderna, «è arte questa?», semplicemente irrilevante66. Era da un po’ che Dorner lavorava a queste idee. Nel 1931 aveva pubblicato un articolo nei “Cahiers d’Art” sul significato dell’arte astratta in relazione alle scoperte scientifiche dello spazio-tempo. Dorner estrapolava, immaginava che la forma astratta fosse il mezzo per raggiungere un fine che non si esaurisse in se stesso. Anche lui considerava che la cornice del quadro cedesse i suoi confini. Parlava delle potenzialità della nuova fisica e del cinema67. Il libro che Dorner stava concludendo nel 1946, Il superamento dell’“arte”, nasceva da queste idee ma andava oltre, ne includeva di nuove. Lo dedicò a John Dewey che ne scrisse la prefazione. Secondo Dewey, Il superamento dell’“arte” era un testo molto importante perché richiamava l’attenzione su una epocale, cogente trasformazione intellettuale che stava spazzando via le ferme certezze su cui si erano fino ad allora basate scienza e civiltà: le leggi scientifiche erano sempre più spesso concepite come probabilità statistiche; in filosofia, si stava facendo strada nel concetto di conoscenza un’inedita

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Alla periferia però si stava muovendo qualcosa di diverso. C’era un tipo di immagine altrettanto forte, forse ancor più forte e assai più antica, il riflesso speculare, che entrò in uso per istituire un regime completamente diverso con cui spiegare oggetti e soggetti moderni. Queste immagini speculari mantenevano intatta la figura umana. Implicavano che lo spettatore cedesse all’illusione, vi si conformasse istintivamente, come se fosse lo specchio a produrre la figura per primo, invece che viceversa. L’annuncio pubblicitario promuoveva il suo prodotto insieme a una modalità di visione preda di facili entusiasmi, che divenne pressoché automatica in America a metà del secolo. Ma ancor più vero è che la pubblicità stava radicando una serie di punti fermi e di aspettative all’interno di tutti i tipi di immagine. La successiva danza di identificazioni sulle pagine di riviste e giornali fu il traino di tutta l’economia del paese. Non era un fenomeno passeggero. La competizione si fece quindi difficile per tutte le altre immagini che le si accostavano. Nell’estate del 1937 sulle pagine di “LIFE” persino la fotografia scattata da Robert Capa di un soldato repubblicano spagnolo ferito a morte sul campo di battaglia, veniva aggredito dalla raffica di slogan di una lozione per capelli.

Pubblicità della National Dairy Products Corporation, Marshall McLuhan, The Mechanical Bride: Folklore of Industrial Man, Vanguard, New York 1951, p 142, in italiano: La sposa meccanica: il folclore dell’uomo industriale, SugarCo, Milano 1984, p 272

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Robert Capa, “Miliziano lealista al momento della morte, Cerro Muriano, 5 settembre 1936”, “Life”, 12 luglio 1937, pp 18-19

Quanto alle vecchie prospettive e modalità sviluppate dal pragmatismo, vennero messe in ombra o furono fin troppo assimilate, promosse da opere senza riferimenti espliciti, visibili a spizzichi e bocconi. Il tempo scorreva veloce. I regimi visuali in ascesa, l’astrattismo e lo specchio, sarebbero presto stati sottoposti a scrutinio, i loro aspetti di modernità definiti e passati al vaglio critico, fenomenologico, semiotico, psicoanalitico, quando non storico; seguirono altri tentativi di spostare l’immagine in nuovi territori e a volte funzionarono. Continuavano le guerre imperialistiche, persistevano le rivoluzioni, si evolvevano le tecnologie, i gruppi industriali nascevano e tramontavano, gli astronauti partivano per lo spazio, la gente comune andava e veniva. Nel 1960 John Dewey, Gertrude Stein e Alexander Dorner erano morti. Il presente ormai era dietro l’angolo.

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Copertina di Information, a cura di Kynaston McShine, The Museum of Modern Art, New York 1970

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New York

La caccia continuava, ma la direzione era mutata. Nel 1970 il New York State Council for the Arts chiamò John Hightower a ricoprire il ruolo di direttore del Museum of Modern Art. In quel periodo, il paese era inaridito da conflitti di politica interna ed estera, le proteste contro la guerra in Vietnam erano ormai incontenibili, scoppiavano tumulti nel cuore degradato delle metropoli, la parità di diritti civili era tutt’altro che garantita. La realtà conobbe rivolgimenti tali che un radicale riesame era ormai improrogabile. Hightower elaborò un programma per reimpostare gli obiettivi del museo. Propose innanzitutto che le sue collezioni fossero utilizzate come un punto di partenza per rispondere alle preoccupazioni del genere umano nel decennio a venire. Sottolineò l’esigenza di più raffinati progetti educativi che coinvolgessero la comunità e appagassero i sensi oltre che l’intelletto. Nei suoi comunicati interni e per la stampa, parlava la lingua di Dewey75. Guardava fuori dal museo. Hightower non riuscì a realizzare questi progetti; nel giro di due anni lasciò l’incarico. Ma furono queste scelte che permisero a Kynaston McShine di dare vita alla mostra Information nell’estate del 1970. Information entrò immediatamente nella leggenda per le sue grandi ambizioni e l’alto livello di indipendenza: cercava di abbracciare il presente nelle sue molteplici articolazioni, comprendendo tutto quello che Barr aveva sperato di estromettere dal discorso sull’arte moderna. Nel 1970 quel tutto si chiamava politica, una parola ricca di sfumature che faceva appello a ogni aspetto della vita della polis e ne esigeva risposte. McShine colse l’occasione per un esperimento, per dare corso a una politica di respiro internazionale che metteva in campo tutti gli strumenti espositivi possibili per raggiungere il pubblico. Sulla copertina del catalogo era raffigurata una serie di mezzi

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George Kubler, pagina di riassunto delle lezioni di Focillon sul metodo. Data: 1940, annotata successivamente da Kubler a mano. Kubler Papers, Sterling Memorial Library, Manuscripts and Archives Collections, Yale University.

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New Haven

La forma del tempo di George Kubler era uscito nel 1962. Per le sue argomentazioni, l’autore aveva scelto di impiegare gli strumenti concettuali scoperti nella matematica e nella nuova fisica, soprattutto nei modelli di trasmissione dei segnali mutuati dall’elettrodinamica. In molti sensi continuava a lavorare su traiettorie di ragionamento pragmatiste, ma la sua svolta personale verso questo tipo di pensiero era stata innescata dal suo maestro, un professore francese della Sorbona che si recava a Yale regolarmente per un paio di mesi all’anno a partire dal 1933, con l’incarico di sviluppare e integrare il nuovo corso di storia dell’arte. Si chiamava Henri Focillon. Sul letto di morte all’inizio del 1943, era l’attualità il tema che ancora lo tormentava: “Qu’est-ce que c’est l’actualité?”82 Kubler ereditò da Focillon questo interrogativo a partire dal quale maturò il suo libro, in cui la domanda raggiunse il faro. Kubler non aveva la presunzione di rispondervi. Al posto di nuove certezze, offriva una carrellata di esempi. Erano catalizzatori? Inizialmente aveva immaginato un faro completamente spento. Poi arrivò a una formulazione che gli piaceva di più, e che, forse perché era lunga, Smithson citava solo in parte: L’attualità è il momento di oscurità tra un lampeggio e l’altro del faro, l’istante di silenzio nel ticchettare di un orologio: è uno spazio vuoto che scivola tra le maglie del tempo, il punto di rottura tra passato e futuro; è l’intraferro ai poli di un campo magnetico rotante, infinitesimale ma pur sempre reale. Essa è l’intervallo intercronico quando niente accade. È il vuoto che separa gli eventi. Eppure l’istante attuale è tutto quanto possiamo conoscere direttamente. Il resto del tempo emerge soltanto sotto forma

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Lawrence Weiner, THE RESIDUE OF A FLARE IGNITED UPON A BOUNDARY. Performance, Amsterdam, 1969

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New York

I progressi della ricerca, in tutti i settori, sono irregolari. A metà degli anni Trenta aleggiava un palpabile entusiasmo per i primi rapidi passi mossi dalla storia dell’arte moderna; erano entrati in campo nuovi e sofisticati concetti per decifrare i grandi misteri dell’immagine moderna, le opere d’arte ma anche le parole, la letteratura, le fotografie, il cinema e il design. A volte le idee venivano da conversazioni, a volte stimolavano discorsi. André Malraux conosceva il nuovo saggio di Walter Benjamin sull’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, l’aveva trovato interessante e lo citò in un suo discorso al Congress of Writers di Londra nel 1936112. Forse fu un caso che le idee coincidessero; forse in Europa non era ancora circolato il nuovo libro di Dewey. Non erano in molti a conoscere i contenuti delle lezioni di Ludwig Wittgenstein a Cambridge. Spesso le idee si sviluppavano in parallelo e nessuno se ne accorgeva. Erano mosse da uno sforzo generalizzato per stare al passo con la verità e dall’intuizione che la filosofia dovesse essere qualcosa in più che pensiero sul pensiero. Un’atmosfera simile si respirava anche alla fine degli anni Sessanta. Questa volta il flusso delle idee istillò un tremito rozzo e alieno nei concetti ormai assodati dell’arte moderna; per dare risposte giuste sembrava necessario un altro ordine di critica o meglio ancora, un altro ordine di scrittura. Negli Stati Uniti, l’idealismo di Greenberg era ridiscusso e superato su tanti fronti. Leo Steinberg decise di proporre “Altri Criteri”, Lucy Lippard cominciava a lavorare sugli eventi destinati a diventare la scaletta di Six Years: The Dematerialization of the Art Object113. Gli artisti, dal canto loro, scrivevano tantissimo. Fatti, oggetti ed eventi galleggiavano su un mare di primi piani. Si affacciavano su grandi pianure. Per la storia dell’arte moderna furono i primi lavori di Meyer Schapiro a offrire gli spunti da cui germinarono nuove ricerche. I problemi cui si accennava

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si combinava con la continuità. Herbert lavorava su questo problema basandosi su esempi, in modo empirico. Le tele di Millet vennero messe al centro dell’attenzione: i critici vedevano nel suo Seminatore sia l’energia di Michelangelo sia il rustico proletario; chi aveva in mente le colline scoscese nei dintorni di Cherbourg, poté riconoscerle nei paesaggi di Millet. Herbert espose l’instabilità di questi aspetti materiali per lo più come avevano fatto i pittori della metà dell’Ottocento. E lo fece mettendo sempre in primo piano l’operato del pittore. Non tutti i tipi di lavoro sono uguali. Questa storia dell’arte esaminava le relazioni sociali che si muovevano all’interno e all’esterno della pittura a metà dell’Ottocento per proseguire mettendole in relazione con il presente del Novecento. Questo idillio moderno infatti, colmo di relazioni stratificate e dialettica esplicita, è stato tramandato, portato nei sobborghi o abbandonato all’anarchia, preannunciando una tradizione moderna. Herbert dedicò un certo tempo al modo in cui Van Gogh era giunto a considerare i suoi pigmenti come fossero creta, un ritorno alla terra che stava dipingendo e a tecniche che aveva a sua volta ereditato. Van Gogh ammirava molto Millet, l’uomo che aveva scritto: L’arte non è una scampagnata. È una lotta, una serie di ingranaggi che ti schiaccia […]. Non sono un filosofo, non voglio sopprimere il dolore, né trovare una formula che mi renda stoico o indifferente. Il dolore è forse ciò che permette a un artista di esprimersi con maggior vigore120. Nel xx secolo, spiegava Herbert, la scultura dell’Africa nera, «in parte perché era fraintesa e si pensava che fosse il risultato di spontanee esternazioni emotive, entrò nell’arte moderna come l’immagine più nuova da contrapporre all’uomo industriale»121. Era ora di capire. Non fece alcun cenno al processo alle Black Panthers che si stava celebrando a New Haven, né ai legami della sua famiglia con il Free Speech Movement di Berkeley. Da dieci anni ormai Herbert e sua moglie, la storica Eugenia W. Herbert, organizzavano il George Orwell Forum rivolto a studenti e dottorandi di Yale. Nel 1960 avevano pubblicato il carteggio tra Pissarro, Signac e altri anarchici della fine del xix secolo su una prestigiosa rivista universitaria

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Robert L. Herbert, “City vs. Country: the Rural Image in French Painting”, “Artforum”, February 1970, p 54

inglese, “The Burlington Magazine”. A un certo punto l’articolo esplicitava le motivazioni della scelta: A mezzo secolo di distanza, possiamo oggi comprendere a pieno la straordinaria posizione dei neoimpressionisti e dei loro amici, e quanto essa sia significativa per la nostra epoca. Vissero in un periodo che vide la formazione di nuovi movimenti sociali e sindacali, un periodo in cui la “questione sociale” stava relegando in secondo piano precedenti preoccupazioni e si stava imponendo all’attenzione di tutti i livelli della società. […] Il problema centrale non era più monarchia o dispotismo

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un romanzo, certo più grande, di Balzac, un almanacco e una caricatura, un’immagine cruenta scarabocchiata sul muro di una taverna, le molestie di un prefetto o il risultato di un processo a Lons-le-Saunier; la lotta politica a Salins, la tranquillità politica di Ornans; il fatto che Courbet si dedica a raccogliere canzoni contadine, o quel che Courbet combina a carnevale, col viso infarinato e vestito di nero, mentre interpreta la parte di Pierrot de la Mort128. In questo lungo elenco di esempi si può ravvisare un’eredità del pragmatismo, molto mediata, ancora in cerca di qualcosa. Clark registrò la sensazione di esperienza, anche se di per sé il termine non lo convinceva affatto129. Preferiva una terminologia marxista, oppure legata alla semiotica o alla psicoanalisi, ma questo non interferiva in sostanza con il materiale che proponeva. Il punto era il fatto che si espandesse. Concludendo la sua prefazione, Clark riconobbe che la crescita dei contesti e la nuova densità argomentativa così introdotta avrebbe prodotto nuove difficoltà per gli storici dell’arte, ma la contropartita era allettante: «l’opera stessa può comparire in luoghi curiosi e inaspettati; e, una volta affiorata in una nuova collocazione, l’opera non può mai apparire la stessa di prima»130. Non parlava solo per se stesso. Clark e Herbert, ma anche Kubler in modo diverso, rimasero sui rispettivi palcoscenici e lasciarono che il passato si esaurisse davanti a loro. Stavano mettendo a disposizione un nuovo linguaggio per l’analisi dell’arte e fecero sì che la storia ampliasse il tempo dell’attualità. Parole, fatti, folle, oggetti di ogni sorta venivano alla luce, richiedendo attenzione. I rapporti tra essi potevano essere discontinui, fluttuanti, teatrali, antichi e banali. Niente a che fare con modelli immobili, logica o negazioni strettamente filosofiche. Il linguaggio divenne ora il fatto e l’oggetto, la radice e al contempo la scure con cui reciderla. Una cosa da usare.

80 _ Molly Nesbit


Poughkeepsie

Più volte all’inizio degli anni Settanta approdarono ai campus universitari opere d’arte che ponevano il problema dei confini. C’è da chiedersi se non funzionassero già di per sé come esperienze seminariali. Non è sbagliato affermare che, in maniera indipendente, gli artisti avevano ampliato i progetti di ricerca e il loro modus operandi. I confini si espandevano verso l’alto e verso il basso; i risultati rifuggivano ogni controllo. Un esempio è il capanno parzialmente interrato di Smithson nel campus della Kent State University, realizzato nell’inverno del 1970. L’artista fece rovesciare venti camion di terra uno sull’altro finché l’asse portante del capanno non si incrinò131. Nel maggio successivo, nella stessa università, alcuni poliziotti della National Guard uccisero quattro studenti nel corso di una manifestazione di protesta contro l’invasione americana in Cambogia. La Kent State University divenne immediatamente simbolo di una protesta sociale che si sarebbe appropriata, retroattivamente, del capanno. Dal canto suo, Smithson aveva ormai capito che niente nell’arte poteva restare isolato, ma tutto era destinato a rientrare in un discorso. Nella storia dell’arte moderna, vennero messi in discussione i temi normalmente approfonditi nei seminari universitari e in qualche caso cominciarono a cambiare; si manifestò un’attenzione nuova per la natura e lo scopo dell’arte. Linda Nochlin, che aveva elaborato un suo orientamento a partire dall’opera di Schapiro su Courbet e pubblicato un libro sul realismo nell’autunno del 1971, pose il problema dell’assenza nella storia di grandi artiste donne132. Aveva avviato un seminario sulle donne nell’arte presso il Vassar College di Poughkeepsie nel 1969. Nel corso del 1970, lavorò per dare una risposta; uscì un’anticipazione, velata, sul numero del 3 aprile 1970 di “Misc”, il giornale studentesco del Vassar133. Nochlin aveva in programma la stesura di un saggio, “Why Have There Been No Great Women Artists?” per un’antologia dall’eloquente titolo Woman in Sexist

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Society [trad. it.: La donna in una società sessista att: è woman sing, non women pl. come scrive Nesbit]. Il saggio sarebbe stato pubblicato con un ampio corredo iconografico nel gennaio 1971 su “Artnews”, all’epoca la migliore rivista di arte contemporanea. Inizialmente la domanda sull’assenza di grandi figure femminili nella storia dell’arte non fu tanto legata a questioni di grandezza quanto a questioni di diritti, in particolare quello di prendere parte alla storia. La domanda di per sé non era nuova, Malraux l’aveva suggerita in Le voix du silence [Il museo dei musei. Le voci del silenzio, 1957]134. Ma Nochlin non si limitò a porre la domanda: la mise in assoluta evidenza, la girò ad altri, la collegò alla questione dell’istruzione, puntando il dito senza mezzi termini contro le inveterate differenze negli insegnamenti impartiti alle donne in merito alla forma estetica. La questione ebbe forte risonanza: nel 1970 non si parlava che di educazione alla forma, per tutti, in ogni senso. E la forma stessa, estetica o no, era tornata ad essere un terreno di scontro. Le controculture nel movimento studentesco ritennero opportuno ribadire questi problemi regolarmente e con piglio aggressivo, accanto ai temi riguardanti giustizia, guerra, pace e potere. Non necessariamente il potere finisce in mano a coloro che lo desiderano. La risposta di Nochlin faceva riflettere, ma allo stesso tempo traeva energia dalle proporzioni che volle dare al problema: Il linguaggio dell’arte, sostanzialmente, si concretizza sotto forma di colore e di linee sulla tela o sulla carta, nella pietra, nell’argilla, nella plastica, nel metallo – non è mai una storia lacrimosa né un sussurro fioco e confidenziale. Il nocciolo della questione è che, per quanto ne sappiamo noi, non vi sono state grandi artiste – sebbene ne siano esistite molte interessanti e capaci che non sono state abbastanza studiate e apprezzate – come non vi sono grandi pianisti jazz lituani o grandi tennisti eschimesi, indipendentemente da quanto noi possiamo desiderare che ve ne siano. […] Il fatto è che non vi furono gli equivalenti femminili di Michelangelo o Rembrandt, Delacroix o

82 _ Molly Nesbit


Cézanne, Picasso o Matisse e nemmeno, in tempi più recenti, di de Kooning o Warhol, più di quanti se ne trovino tra i neri d’America. […] Il difetto non è in una nostra predestinazione, nei nostri ormoni, nei nostri cicli mestruali, o negli spazi vuoti del nostro apparato genitale, ma nelle istituzioni o nell’educazione che riceviamo – intendendo per educazione tutto ciò che ci accade dal momento in cui, testa in avanti, entriamo in questo mondo di simboli, indicazioni e segnali pieni di significato135. In altre parole, struttura, forma e spazio dedicati alla formazione della persona sono cruciali in ogni tempo e luogo. In una prima fase, la domanda sull’assenza di donne artiste circolò tra gli studenti a livello informale e non necessariamente prevedeva l’esame rigoroso della domanda stessa. Era un tema di conversazione, filtravano voci sul seminario “Women and Art”. La domanda finì per coesistere con le altre domande nuove, le nuove esperienze, i nuovi eventi extraaccademici. In questo senso, le prime questioni femministe posavano su un paradosso: un’analisi femminista poteva esistere ed essere applicata, sfruttando tutta la forza del paradosso, a domande non poi così specificamente femministe.

Copertina di “ARTnews”, gennaio 1971

83


Ciò che importa è che le donne sappiano affrontare la realtà del loro passato e della loro situazione attuale, senza accampare scuse o tentare di rivestire di grandezza la mediocrità. Certamente la condizione di svantaggio potrà costituire una giustificazione, ma non è una posizione intellettuale. Anzi, sfruttando la propria condizione di individui socialmente inferiori esclusi dalla grandezza e dalle ideologie come punto di vantaggio, le donne possono portare a conoscenza di tutti le carenze delle istituzioni e delle ideologie in generale e, nello stesso momento in cui distruggeranno la falsa coscienza di sé potranno prendere parte alla creazione di istituzioni in cui il solo intelletto – e la vera grandezza – siano il terreno di sfida aperta a chiunque, uomo o donna, abbia il coraggio di correre il rischio necessario, il salto nell’ignoto139. Le parole non stanno mai in assoluta solitudine. Nel marzo precedente, le stesse menti che avevano assistito a quel giorno di maggio, avevano anche avuto l’occasione di ascoltare una lezione di Hannah Arendt all’interno della cappella universitaria. Il titolo era “Thinking and Moral Considerations”. Arendt volle insistere sulla importanza vitale del pensiero. Le sue parole innescarono nuove reazioni a catena. Il pensiero era così cruciale perché la sua assenza portava al male, a diventare degli Adolf Eichmann, spiegava. Prima però ritenne importante definire questo “pensiero”, soprattutto alla luce delle reboanti dichiarazioni sulla morte della metafisica. Risolse la faccenda una volta per tutte: l’esperienza diffusa era quella di un collasso della distinzione tra sensibile e sovrasensibile. Chi guardava l’albero poteva rievocare questa distinzione perduta mentre i ballerini se ne stavano appesi a dondolare nel cielo. La filosofia è in realtà memoria e dibattito perpetuo. Niente di tutto questo, sosteneva Arendt, avrebbe però condizionato il bisogno fondamentale di pensare. Lo considerava un dovere di tutte le persone sane di mente, che devono essere consapevoli al tempo stesso che il pensiero non è mai finito, non conosce conclusioni definitive. Mise in rilievo tutte le difficoltà, il fatto che il pensiero necessariamente interrompa le attività della persona, richieda un ritiro, che non sia mai finito, anzi si annodi e si districhi, come la tela di Penelope. Evoca Socrate per mettere meglio a fuoco la sua idea:

86 _ Molly Nesbit


con rappresentazioni di cose assenti; il giudizio, invece, concerne casi particolari e cose a portata di mano. Ma le due facoltà sono comunque connesse tra loro, così come sono connesse tra loro la coscienza in senso stretto (consciousness) e la coscienza in senso lato (conscience). Se il pensiero, il due-in-uno del dialogo silenzioso, attualizza la differenza scavata nella nostra identità dalla coscienza in senso stretto (consciousness) e mette così capo al sottoprodotto della coscienza in senso lato (conscience)), allora il giudizio, il sottoprodotto dell’effetto liberatorio del pensiero, realizza il pensiero, lo rende manifesto nel mondo delle apparenze, in cui io non sono mai da solo e sono sempre troppo occupato per poter pensare. La manifestazione del vento del pensiero non è la conoscenza, è la capacità di distinguere il giusto dall’ingiusto, il bello dal brutto. E ciò, davvero, può evitare la catastrofe, almeno per me stesso, nei rari momenti in cui le cose vanno a rotoli141.

Gordon Matta-Clark, fotogramma da Tree Dance, 1971

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Pensiero e considerazioni morali sono dissonanti, salvo quando tutto il resto crolla in pezzi; hanno entrambi il loro cardine su punti particolari, le cose viste. Le domande che si poneva Arendt, divenne chiaro, non erano generali, ma specifiche come i piedi, le corde, il temporale che arriverà a interrompere la danza, le foglie, il ricordo delle sue parole. E se non ci fossero limiti all’estetica? La filosofia ha un suo tempo reale, come l’arte ha il proprio. A volte i due coincidono e si affrontano. Quando questo accade, all’arte e alla filosofia si chiede di armonizzarsi. Ma ci sono poi momenti eccezionali di altro tipo, come quello in cui viviamo, in cui la filosofia non si armonizza all’arte né viceversa, perché nessuna delle due si armonizza alla storia. Tree Dance fu un evento permeato di altri eventi: il weekend precedente cinquecentomila persone avevano manifestato a Washington contro la guerra in Vietnam; gli studenti occupavano gli uffici amministrativi nel Main Building del Vassar; nel giugno successivo il “New York Times” pubblicò i Pentagon Papers in cui si descriveva in dettaglio la storia segreta della preparazione americana alla guerra in Vietnam. Il 31 maggio il “Times” citò una lettera di Gordon Matta-Clark in cui si chiedeva agli artisti di boicottare la Biennale di São Paulo, perché era «ormai di pubblico dominio il fatto che la libertà di parola in Brasile è praticamente estinta»142. Tree Dance salì verso l’alto, fino al cielo, al ritmo del vento e di tutto il resto, un’altra veduta aperta. Tutto quello che ne rimane è un film senza audio e alcune immagini custodite con discrezione nella mente di qualcuno. Anche loro erano un pubblico. Ed è a questo punto, letteralmente, che prendono avvio i pensieri confluiti in questo libro.

90 _ Molly Nesbit


Note

1. William James, “Philosophical

del pragmatismo, traduzione e cura di

Conceptions and Practical Results”,

Francesca Recchia Luciani, Roma Editori

discorso tenuto alla University of

Riuniti, 1997]. Gli architetti si sono ispirati

California, Berkeley nell’agosto del 1898

a John Rajchman, “A New Pragmatism?”

e pubblicato in “University Chronicle”,

in Anyhow, a cura di Cynthia Davidson,

v. I (September 1898), p 291 [trad.

MIT Press, Cambridge 1998, pp 212-217.

it.: “Il metodo pragmatista” in Saggi

Si veda inoltre la conferenza presso il

Pragmatisti, a cura di Giovanni Papini, R.

Buell Center for the Study of American

Carabba Editore, Lanciano 1932, p 13].

Architecture, Columbia University,

Charles Peirce scrisse la sua versione della

tenutasi nel maggio 2000, organizzata da

nascita del pragmatismo in “A Neglected

Rajchman e Joan Ockman, The Pragmatist

Argument for the Reality of God”, (1908)

Imagination: Thinking About “Things in

per l’“Hibbert Journal”, ristampato poi

the Making”, gli atti della quale furono

in Charles S. Peirce: Selected Writings

pubblicati con quel titolo lo stesso anno

(Values in a Universe of Chance), a cura

dalla Princeton Architectural Press. La

di Philip P. Wiener, Doubleday, New

conferenza fu ripetuta presso il Museum

York 1958, pp 358-379. Recentemente il

of Modern Art di New York nel novembre

dibattito si è riacceso con Louis Menand,

del 2000.

The Metaphysical Club: A Story of Ideas in

2. William James, “What Pragmatism

America, Farrar, Straus and Giroux, New

Means”, in Pragmatism: A New Name for

York 2001 [trad. it.: Il Circolo metafisico:

Some Old Ways of Thinking, Together with

la nascita del pragmatismo in America,

Four Related Essays Selected from The

trad. di Valeria Pazzi e Roberta Zuppet,

Meaning of Truth, Longmans, Green and

Sansoni, Firenze 2004], preceduto

Company, New York 1946, pp 53-55 [trad.

dall’antologia dello stesso autore,

it.: “Che cosa significa pragmatismo” in

Pragmatism: A Reader, Vintage, New York

Pragmatismo: un nome nuovo per vecchi

1997, e prima ancora da Cornel West,

modi di pensare, traduzione e note di

The American Evasion of Philosophy: A

Sergio Franzese, Il Saggiatore, Milano

Genealogy of Pragmatism, University of

1994, p 35].

Wisconsin Press, Madison 1989 [trad. it.: La filosofia americana: una genealogia

3. Da “How to Make Our Ideas Clear”,

91


versione ristampata in Selected Writings,

pragmaticismo”, in Opere, cit., p 432. Att.

cit., p 117. Le edizioni originarie dei due

Il titolo del saggio in inglese è “Issues of

saggi furono “The Fixation of Belief”, in

Pragmaticism”a differenza di quanto scrive

“Popular Science Monthly” (November

Nesbit

1877), pp 1-15, e in francese “Comment

7. John Dewey, “The Need for a Recovery

se fixe la croyance”, “Revue Philosophique

of Philosophy”, in Creative Intelligence:

de la France et de l’étranger”, t. 6

Essays in the Pragmatic Attitude, Henry

(Décembre 1878), pp 553-569; “How to

Holt and Company, New York 1917, p

Make Our Ideas Clear”, “Popular Science

59 [trad. it.: Intelligenza creativa, trad.

Monthly” (January 1878), pp 286-302 e

e cura di Lamberto Borghi, La Nuova

in francese “Comment rendre nos idées

Italia, Firenze 1957, p 97]. A proposito

claires”, Revue Philosophique de la France

del vivere in avanti, si veda p 12 del

et de l’étranger, t. 7 (Janvier 1879), pp

testo originale e p 43 della traduzione

39-57. In italiano si trovano in Charles

italiana. Per Dewey, si veda Sidney Hook,

Sanders Peirce, Opere, a cura di Massimo

John Dewey: An Intellectual Portrait,

Bonfantini e Giampaolo Proni, Bompiani,

John Day Company, New York 1939 e Jay

Milano 2003 con i titoli, rispettivamente,

Martin, The Education of John Dewey: A

“Il fissarsi della credenza” e “Come

Biography, Columbia University Press,

rendere chiare le nostre idee”. La presente

New York 2002.

citazione è da quest’ultimo saggio, p 379.

8. John Dewey, Experience and Nature,

4. Thomas Gray, “Elegy Written in a

Open Court Publishing Company, Chicago

Country Churchyard”, in The Oxford

1925, p 392. Il testo ebbe una seconda

Book of English Verse 1250-1900, a

edizione nel 1929, dove furono apportate

cura di Arthur Quiller-Couch, Clarendon

alcune revisioni al primo capitolo

Press, Oxford 1923, p 518. La presente

sul metodo della filosofia. [Trad. it.:

traduzione è tratta da Peirce, Opere, cit.,

Esperienza e natura, traduzione e cura di

p 391.

Piero Bairati, Mursia, Milano 1990, p 281.]

5. Charles S. Peirce, “What Pragmatism

9. John Dewey, Art as Experience, Minton,

Is”, uscito per la prima volta in The

Balch & Company, New York 1934 [trad.

Monist (April 1905), e successivamente

it.: Arte come esperienza, a cura di

in Selected Writings, cit., p 194 [trad. it.:

Giovanni Matteucci, Aesthetica Edizioni,

“Che cos’è il pragmatismo”, in Opere, cit.,

Palermo 2007].

p 408].

10. Gilles Deleuze, Foucault, Minuit, Paris

6. Charles S. Peirce, “Issues of

1986, pp 59, 70, 81 [trad. it.: Foucault,

Pragmacitism”, in “The Monist” (October

traduzione di Pier Aldo Rovatti e Federica

1905), ristampato poi in Selected

Sossi, Feltrinelli, Milano 1987, pp 58-59,

Papers, cit., p 221 [trad. it.: “Questioni di

69-70, 79]. Sull’uso del pragmatismo,

92 _ Molly Nesbit


sulla nuova vita del termine nella filosofia

Come si diventa ciò che si è”, in Ecce

di Deleuze e sulla natura del diagramma

Homo e altri scritti autobiografici, a cura

deleuziano, si veda il saggio di John

di Claudio Pozzoli, traduzione di Carla

Rajchman, “A New Pragmatism?” in

Buttazzi, Feltrinelli, Milano 1994, p 241.

Anyhow, cit. Lo stesso Deleuze scriverà

15. Michel Foucault, Introduction à

di sfuggita che il pragmatismo americano

l’Anthropologie de Kant, pubblicata

era all’epoca ben poco noto a in Francia

insieme alla traduzione di Foucault di

in Qu’est-ce que la philosophie?, Minuit,

Immanuel Kant, Anthropologie du point

Paris 1991, p 99 Att : cambiato numero di

de vue pragmatique, Vrin, Paris 2008,

pagina che faceva riferimento all’edizione

p 33. Si tratta della tesi di Foucault

americana. Ripristinato n di pagina dell’ed

per l’habilitation, discussa nel 1961; la

francese. [trad. it.: Che cos’è la filosofia?, a

traduzione di Kant fu data alle stampe

cura di Carlo Arcuri, traduzione di Angela

verso la fine del 1964. All’epoca Foucault

De Lorenzis, Einaudi, Torino 2008, p 97].

non volle pubblicare l’introduzione,

11. Michel Foucault, Surveiller et punir.

destinata a diventare il primo tassello di

Naissance de la prison, Gallimard, Paris

un successivo progetto, Les mots et les

1975, p 206 [trad. it.: Sorvegliare e punire:

choses.

nascita della prigione, trad. di Alcesti

16. Michel Foucault, The Order of Things:

Tarchetti, Einaudi, Torino 1976, p 218 e

An Archaeology of the Human Sciences,

sgg.].

Random House, New York 1970, p ix.

12. È giunta a noi una lezione dall’opera

Prima edizione in francese, Les mots et

su Manet che è stata pubblicata con il

les choses, Gallimard, Paris 1966. [Trad.

titolo La peinture de Manet, a cura di

it.: Le parole e le cose: un’archeologia

Maryvonne Saison, Seuil, Paris 2004

delle scienze umane, con un saggio critico

[trad. it.: La pittura di Manet, traduzione

di Georges Canguilhem, traduzione

di Francesco Paolo Adorno, La città del

di Emilio Panaitescu, Rizzoli, Milano

sole, Napoli 1996 e La pittura di Manet,

1967. Il riferimento è alla prefazione

traduzione di Simona Paolini, Abscondita,

dell’edizione inglese del 1970, quindi non

Milano 2005].

è possibile indicare una corrispondenza

13. Friedrich Nietzsche, Versuch einer

esatta nell’edizione italiana. Il concetto

Selbstkritik (1886), in italiano, Tentativo

ricorre comunque anche nel corso della

di autocritica, 1886-1887, a cura di Marco

prefazione italiana, si vedano per esempio

Brusotti, Il Melangolo, Genova 1992, p 69,

pp 12-13, N.d.T.]

oppure La nascita della tragedia, trad. di

17. Michel Foucault, The Order of Things,

Sossio Giametta, Adelphi, Milano 1997,

cit., p ix.

p 6.

18. Ivi, p xii.

14. Friedrich Nietzsche, “Ecce homo.

19. Michel Foucault, Surveiller et punir,

93


cit., p 35 [trad. it.: Sorvegliare e punire,

“Gli intellettuali e il potere”, pp 57-68, le

cit. p 34].

citazioni sono alle pp 59-60.]

20. Gilles Deleuze, Foucault, cit., p 124

23. Gilles Deleuze, Foucault, Minuit, cit.,

[trad. it.: Foucault, cit., p 117].

p. 90 [trad. it.: Foucault, Feltrinelli, p 87].

21. Si veda in particolare, Foucault,

Attenz: cambiato riferimento, l’autrice ha

“Qu’est-ce que les Lumières”, tratto

confuso i testi.

dal corso tenuto al Collège de France

24. Paul Klee, Pädagogisches Skizzenbuch

il 5 gennaio 1983 e pubblicato in Dits

(1925) [trad. it.: Quaderno di schizzi

et écrits, t. 4, pp 679-688. È inoltre

pedagogici, traduzione di Mario Lupano,

reperibile, insieme al resto del corso,

Vallecchi, Firenze 1979 e Abscondita,

in The Government of Self And Others:

Milano 2002].

Lectures at the College de France, a cura

25. Gilles Deleuze, Foucault, cit., p 129

di Frédéric Grox, Palgrave Macmillan,

[trad. it.: Foucault, cit., pp. 121-122].

New York 2010 [trad. it.: Il governo di sé

Non c’è un riferimento preciso ma lo

e degli altri: corso al Collège de France

spunto è tratto da William Faulkner, The

(1982-1983), a cura di Mario Calzigna,

Unvanquished, Random House, New York

Feltrinelli, Milano 2009, pp 25-30]. In

1938, p 8 [trad. it.: Gli invitti, Einaudi,

precedenza, Sylvère Lotringer aveva

Torino 2003].

creato un’influente antologia con alcune meditazioni di Foucault sull’articolo di Kant sull’Aufklärung dal titolo: The Politics of Truth, a cura di Sylvère Lotringer e Lysa Hochroth, Semiotext(e), New York 1997. [In italiano, è disponibile un’unica agile edizione con i testi di entrambi i filosofi:

26. Gilles Deleuze e Félix Guattari, Mille plateaux, Minuit, Paris 1980, e.g., pp 184, 105, 115 [trad. it.: Millepiani: capitalismo e schizofrenia, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1987, pp 200-201, 130-131, 138-139].

Kant, Foucault, Che cos’è l’Illuminismo?,

27. Postfazione scritta per l’edizione

Mimesis, Milano 2012.]

francese di Bartleby di Melville, nel

22. Lo scambio, registrato il 4 marzo 1972, è stato tradotto in inglese con il titolo “Intellectuals and Power” da Donald Bouchard e Sherry Simon e pubblicato nella raccolta di saggi di Foucault, Language, Counter-memory, Practice, a cura di Donald Bouchard, Cornell University Press, Ithaca 1977, p 208. [In italiano il saggio è raccolto in AA.vv., Deleuze, Lerici, Cosenza 1976, con il titolo

94 _ Molly Nesbit

1989, ristampata in Critique et Clinique, Minuit, Paris 1993, pp 89-114 [trad. it.: “Bartleby o la formula” in Critica e clinica, traduzione di Alberto Panaro, Cortina, Milano 1996, pp 93-118 ma reperibile anche nell’agile edizione Gilles Deleuze, Giorgio Agamben, Bartleby. La formula della creazione, trad. di Stefano Verdicchio, Quodlibet, Macerata 1993, pp 7-44].


28. Jean-Paul Sartre, “La temporalité

paracadutista) e infine di quando entrò

chez Faulkner”, in Situations, vol. I,

nell’esercito americano con l’Ulisse

Gallimard, Paris 1947, pp 66-67 [trad.

di Joyce come conforto per superare

it.: “A proposito dell’Urlo e il furore. La

la guerra. Ricordava con piacere la

temporalità di Faulkner”, in Che cos’è la

meraviglia provata per l’installazione

letteratura, Il Saggiatore, Milano 2004,

di Eames a Mosca e spontaneamente

p 185].

ammise che ne aveva tratto alcuni spunti

29. “A propos de John Dos Passos et de

per La jetée.

«1919»”, in Situations, vol. I, cit., p 17.

32. Gilles Deleuze e Félix Guattari, Mille

[trad. it.: “A proposito di John dos Passos

plateaux, cit., p 37, [trad. it.: Mille

e di «1919»”, in Che cos’è la letteratura?,

piani, cit., p 69-70]. Si veda inoltre

cit., p 148]. Sui rapporti del giovane

l’intervista di Deleuze “Trois Questions

Marker con Sartre, si vedano i ricordi

sur Six Fois Deux”, Cahiers du Cinema,

di quanti frequentarono il lycée con lui:

n. 271, novembre 1976, pp 5-12 e, per

Simone Signoret, La nostalgie n’est plus ce

contestualizzare, Antoine de Baecque,

qu’elle etait, Seuil, Paris 1976, p 32 [trad.

Godard: Biographie, Grasset, Paris

it.: La nostalgia non è più quella d’un

2010. Dopo il 1968, Godard e Deleuze si

tempo, traduzione di Vera Dridso, Einaudi,

incontrarono di nuovo, come testimonia

Torino 1980, p 24]; Anatole Dauman,

Godard in “Jean-Luc Godard à Daniel

Anatole Dauman. Argos Films. Souvenir-

Cohn-Bendit: ‘Qu’est-ce qui t’intéresse

Écran, Centre Georges Pompidou, Paris

dans mon film?’” in “Telerama”, 15

1989, pp 14-15; Bernard Pingaud, Une

maggio 2010.

tâche sans fin. Memoires, Seuil, Paris

33. Mike Nichols citato da John Lahr,

2009, pp 92-93.

“After Angels: Tony Kushner’s Promethean

30. Chris Marker citato in “Rare Marker”,

Itch”, in “The New Yorker”, January 3,

intervista con Samuel Douhaire e Annick

2005, p 48: «L’artista migliore vive un

Rivoire su “Liberation”, 5 marzo 2003 e

momento in cui è letteralmente su di giri e

tradotta in inglese da Marker per il libretto

il tempo semplicemente gli scorre dentro.

che accompagna il dvd dell’edizione

Accade una volta sola. Capita senza che lui

Criterion Collection di La Jetée e Sans

se ne renda conto. Non ha programmato

Soleil del 2007, p 38.

niente. Stava solo puntando alla sua

31. Ho conversato più volte con Chris

prossima meta».

Marker a proposito dell’utopia, a partire

34. Alfred Barr, Jr., Cubism and Abstract

dal 1998. Mi raccontò una volta o due

Art, MoMA, New York 1936, p 13:

della sua esperienza in un campo di

«[L’arte astratta] si basa sull’assunto che

lavoro in Svizzera durante la guerra, poi

un’opera d’arte, un quadro per esempio,

di quando fu un petit maquisard (mai

meriti di essere guardato principalmente

95


perché presenta una composizione o

Modernism and Modernity: The Vancouver

una organizzazione di colore, line, luce

Conference Papers, a cura di Benjamin

e ombra. La somiglianza con oggetti

H.D. Buchloh, Serge Guilbaut e David

naturali non necessariamente distrugge

Solki, Press of the Nova Scotia College of

questi valori estetici, ma corre il concreto

Art and Design, Halifax 1983, pp 224-235,

rischio di adulterarne la purezza. La

sia con un capitolo specifico su Schapiro

somiglianza con la natura nel migliore

in The Intelligence of Art, University of

dei casi è superflua, nel peggiore è fonte

North Carolina Press, Chapel Hill 1999, pp

di distrazione, quindi la si potrebbe

1-23. I due saggi di Andrew Hemingway,

tranquillamente eliminare. […] Questo

“Meyer Schapiro and Marxism in the

atteggiamento comporta di certo un

1930s”, “Oxford Art Journal”, v. 17 (1994),

notevole impoverimento della pittura,

pp 13-29 e “Meyer Schapiro: Marxism,

l’eliminazione di un’ampia gamma di

Science and Art”, in Marxism and the

valori, come quelle connotazioni di un

History of Art: From William Morris to the

soggetto di carattere sentimentale,

New Left, a cura di Andrew Hemingway,

documentario, politico, sessuale, religioso;

Pluto Press, London 2006, pp 123-142,

il piacere di riconoscere immediatamente

sono tuttora strumenti indispensabili per

qualcosa di noto; e infine il gusto per

collocare il pensiero di Schapiro su arte

l’abilità tecnica nell’imitazione di forme

e architettura nel dibattito americano, di

e superfici materiali. Ma nella sua

respiro tutt’altro che provinciale. Si veda

arte, l’artista astratto preferisce questo

anche il libro di Hemingway, Artists on the

impoverimento all’adulterazione».

Left: American Artists and the Communist

35. Meyer Schapiro, “Nature of Abstract

Movement, 1926-1956, Yale University

Art”, “Marxist Quarterly”, January-

Press, London 2002.

March 1937, pp 77-98; pubblicato

36. Meyer Schapiro, “The Social Bases of

successivamente nella raccolta di saggi

Art”, in Worldview in Painting - Art and

Modern Art 19th and 20th Centuries.

Society: Selected Papers, Braziller, New

Selected Papers, Braziller, New York 1978,

York 1999, p 123. Artists Against War and

pp 185-211 [trad. it.: “Natura dell’arte

Fascism: Papers of the First American

astratta”, in L’arte moderna, traduzione di

Artists’ Congress (1936), ristampato a

Renato Pedio, Einaudi, Torino 1986, pp.

cura di M. Baigell e J. Williams, Rutgers

200-225 oppure in Giuseppe Di Giacomo e

University Press, New Brunswick 1986, pp

Claudio Zambianchi, Alle origini dell’opera

103-113.

d’arte contemporanea, Laterza, Roma-Bari

37. Meyer Schapiro, “The Social Bases of

2008, pp 21-47]. L’argomento ha ricevuto

Art”, cit., pp 127-128.

molta attenzione, in particolare da parte di Thomas Crow sia in “Modernism and Mass Culture in the Visual Arts”, in

96 _ Molly Nesbit

38. Meyer Schapiro, “Nature of Abstract Art”, cit., p 86 [trad. it.: “Natura dell’arte


astratta”, in Di Giacomo, Zambianchi, op.

MS#1121, Series IV.3, box 235, f. 38 ci

cit., pp 31-32].

sono tre pagine di appunti datate 1929-

39. Meyer Schapiro, “Nature of Abstract

1930 sul tema “le fonti del pragmatismo”.

Art”, p 88 [trad. it.: “Natura dell’arte

Nella subserie V.5, box 343, f. 1-2 sono

astratta”, in Di Giacomo, Zambianchi, op.

conservati appunti degli anni Trenta per

cit., p 34].

una ricerca sull’opera di Dewey, compresi

40. Meyer Schapiro, “Nature of Abstract Art”, p 90 [trad. it.: “Natura dell’arte astratta”, in Di Giacomo, Zambianchi, op. cit., pp 37-38]. 41. Meyer Schapiro, “Nature of Abstract Art”, cit., p 97 [trad. it.: “Natura dell’arte astratta”, in Di Giacomo, Zambianchi, op. cit., p 45]. 42. John Dewey, Art as Experience, Minton Balch & Co., New York 1934, p 342 [trad. it.: Arte come esperienza, a cura di Giovanni Matteucci, Aesthetica Edizioni, Palermo 2007, p 324 (prima edizione italiana 1951)].

i capitoli di Art as Experience che Dewey gli aveva chiesto di leggere in fase di manoscritto. 45. Meyer Schapiro, “Philosophy and Worldview in Painting” (1958-1968), in Worldview in Painting, pp 71-72. Gli appunti manoscritti per questa nota erano in origine un intervento pronunciato nel corso di un simposio presso la New York University su Art as Experience, ora in Rare Book and Manuscript Library, Columbia University, Meyer Schapiro Collection, MS #1121, Subseries III, 3.3, box 198, f. 19. Si veda inoltre l’intervista di Schapiro con David Craven, “A Series of Interviews

43. John Dewey, Art as Experience, cit., p

(July 15, 1992-January 22, 1995)”, in “RES:

344 [trad. it.: Arte come esperienza, cit.,

Anthropology and Aesthetics”, no. 31

p 326].

(spring 1997), p 159.

44. Schapiro seguì il corso di Dewey,

46. John Dewey, Art as Experience, cit., pp

“Philosophy 191: Types of Philosophical

315-20 [trad. it.: Arte come esperienza,

Thought”, nell’inverno del 1923. Nel 1926

cit., pp 304-305].

scrisse un commento critico riguardo ai modi troppo elementari di vedere sostenuti da Barnes e di conseguenza da Dewey in una lettera alla futura moglie. Meyer Schapiro Abroad: Letters to Lillian and Travel Notebooks, a cura di Daniel Esterman, Getty Research Institute, Los Angeles 2009, p 107. Nella Meyer Schapiro Collection, Rare Book and Manuscript Library, Columbia University,

47. L’immagine non era apparsa in Cubism and Abstract Art ma aveva avuto un ruolo di rilievo nell’ultima edizione inglese di Elie Faure, History of Art, v. IV - Modern Art, Harper & Brothers, New York 1924, p 481, edizione francese: Histoire de l’art. L’art modern, vol. IV, Les Editions G. Cres & C.ie, Paris 1924. 48. Meyer Schapiro, “The Arts Under Socialism”, saggio non datato e, a quanto

97


pare, inedito, collocabile intorno al 1937,

processo di adattamento della psiche

ora raccolto in Worldview in Painting, cit.,

umana al caos. Se dico che la crescita

p 132.

è il costante trasfondersi di significato

49. Gertrude Stein, Picasso, Dover, New

umano nel vuoto che ci invade, allora

York 1984, p 12 (prima edizione 1938)

ne siamo davvero bisognosi, oggi che

[trad. it.: Picasso, traduzione di Vivianne

la nostra conoscenza dell’universo ha

Di Maio, Adelphi, Milano 1973, p 22].

riempito lo spazio di energia, guidandoci

50. Gertrude Stein, Picasso, cit., p 50 [trad. it.: Picasso, cit., pp 86-87]. 51. La lista compare in una lettera a Kenneth Howard del 5 febbraio 1936, Meyer Schapiro Collection, Series II, box 157, f. 2.

verso un caos ancora maggiore e verso nuovi equilibri. Dico che è lo scultore a ordinare e animare lo spazio, a conferirgli un significato». Dorothy Miller, Fourteen Americans, MoMA, New York 1946, p 39. Si veda Thomas Hess, “Isamu Noguchi ’46”, “Art News” (September 1946), pp

52. Si vedano gli appunti nella Meyer

34-38 e 50-51 e l’articolo senza firma,

Schapiro Collection, Subseries IV.4, boxes

“Speaking of Pictures...Japanese-American

241 e 242. La Oxford University Press

Sculptor Shows Off Weird New Works”,

iniziò una trattativa nel 1937, ma furono

“Life” (November 11, 1946), pp 12-13

coinvolte anche la Phaidon Press e il

e 15. Una volta rilasciato dal campo

Museum of Modern Art.

di Poston, Noguchi scrisse “Trouble

53. La scultura dal titolo √2 partecipò

Among Japanese Americans”, “The New

alla collettiva del Museum of Modern

Republic”, v. 108 (February 1, 1943), pp

Art, Fourteen Americans, nell’autunno

142-143. Per un approfondimento del

di quell’anno e in quell’occasione

contesto, si veda Robert J. Maeda, “Isamu

Noguchi espresse questioni per lui

Noguchi: 5-7-A, Poston, Arizona”, in Last

fondamentali nella sua dichiarazione:

Witnesses: Reflections on the Wartime

“L’essenza della scultura per me è la

Internment of Japanese Americans, a

percezione dello spazio, il continuum della

cura di Erica Harth, Palgrave Macmillan,

nostra esistenza. […] Poiché le nostre

New York 2001, pp 153-166, e Amy

esperienze dello spazio sono, comunque,

Lyford, “Noguchi, Sculptural Abstraction

limitate a segmenti momentanei di

and the Politics of Japanese American

tempo, la crescita deve essere il centro

Internment”, “Art Bulletin”, v. 85 (March

dell’esistenza. Noi rinasciamo quindi

2003), pp 137-151.

nell’arte, come nella natura, ci deve

54. Jorge Luis Borges, “The Circular Ruins”,

essere crescita e con crescita intendo

in “View”, series V, no. 6 (January 1946)

un cambiamento in armonia con la vita.

nella traduzione di Paul Bowles ristampata

Così la crescita può essere solo nuova,

in View: Parade of the Avant-Garde,

dato che la consapevolezza è un costante

1940–1947, a cura di Charles Henri Ford,

98 _ Molly Nesbit


Thunder’s Mouth Press, New York 1991, p

dell’universo”. L’idea dell’articolo su Van

191. Si veda questa antologia per l’elenco

Gogh fu discussa per la prima volta nella

completo dei contenuti della rivista e

primavera del 1946. A luglio era informato

alcuni estratti. Su Borges, si veda Emir

della copertina di Noguchi. Meyer

Rodriguez Monegal, Jorge Luis Borges:

Schapiro Collection, Series II, box 127, f.

A Literary Biography, E.P. Dutton, New

5. La bozza e gli appunti per l’articolo di

York 1978. In italiano il racconto di Borges

Schapiro si trovano in Series II, box 222, f.

è pubblicato in Finzioni, trad. di Franco

8, come la lettera che Rudolph Arnheim

Lucentini, Einaudi, Torino 2005 (prima

gli scrisse al riguardo, ricordando che una

edizione 1955), pp 48-54, cit. da p 54.

copia del quadro era appesa alla parete

55. Sartre tenne una lezione dal titolo

dello studio di Schapiro all’epoca del loro

“Nouvelles Tendances du Théâtre

ultimo incontro.

Français”, presso la Carnegie Chamber

57. Meyer Schapiro, “On a Painting of Van

Music Hall il 5 marzo 1946. Francis Lee,

Gogh”, cit., p 14 [trad. it.: “Su un dipinto di

“A Soldier Visits Picasso”, uscì nel numero

Van Gogh”, in L’arte moderna, cit., p 103].

di “View” del marzo 1946 ed è stato

58. Willem de Kooning tenne qualche

ristampato in View: Parade of the Avant-

anno più tardi una breve lezione sul

Garde, a cura di Charles Henri Ford, pp

nuovo scenario postbellico e su quanti

222-224.

erano convinti che il bagliore della

56. Meyer Schapiro, “On a Painting

bomba atomica avesse drasticamente

of Van Gogh”, “View”, series VI, no. 5

cambiato la pittura. De Kooning parlava

(October 1946), pp 8-14 [trad. it.: “Su un

per metafore e dunque passò a raccontare

dipinto di Van Gogh”, in Meyer Schapiro,

di quegli occhi che avevano visto davvero

L’arte moderna, cit., pp 91-103]. La

la luce atomica: si erano sciolti, disse,

corrispondenza di Schapiro con Charles

per un’estasi assoluta; per un istante

Henri Ford, compresi gli interventi di

tutti erano dello stesso colore. Aggiunse

Parker Tyler sullo scritto, è conservata tra

poi che la luce aveva trasformato tutti

le Charles Henri Ford Papers, Beinecke

in angeli. Willem de Kooning, “What

Library, Yale University, YCAL MSS32, box

Abstract Art Means to Me”, contributo

2, f. 102 e box 5, f. 321. Schapiro conservò

per il Museum of Modern Art Symposium,

la sua parte della corrispondenza con Ford

pubblicato per la prima volta in “The

e Tyler, avviata nel 1938. Nel 1942 rispose

Museum of Modern Art Bulletin”, v. XVIII

a un questionario su “View” (numeri 11-

(spring 1951), ristampato in Thomas Hess,

12): alla domanda “Che cosa vedi nelle

Willem de Kooning, Museum of Modern

stelle?”, la sua risposta fu: “La morte

Art, New York 1968, p 146. In italiano il

è il punto in cui scompare l’inconscio.

saggio “Ciò che l’arte astratta significa per

Le stelle sono il messaggio incompiuto

me” si trova in Aa. Vv., La scuola di New

99


York, a cura di Viviana Birolli, Abscondita,

sul “Journal of Philosophy”, v. XXXIII

Milano 2007, pp 16-25, il riferimento è

(January 2, 1936), p 17; a proposito di

a p 24.

Wittgenstein: “Secondo lui, la filosofia

59. Sull’incontro con Walter Benjamin, si

tradizionale è un misto di problemi, alcuni

veda James Thompson e Susan Raines,

dei quali sono di natura genuinamente

“A Vermont Visit with Meyer Schapiro

empirica, mentre altri sono combinazioni

(August 1991)”, “Oxford Art Journal”, v. 17

insensate di parole dovute a equivoci

(1994), pp 7-8.

grammaticali. La tendenza a porre

60. Meyer Schapiro Collection, Series V, box 356, f. 20, “Physicalism and Art”. Il lavoro del Circolo di Vienna veniva pubblicato regolarmente sulla rivista “Erkenntnis”. Otto Neurath, “Sociologie im Physicalismus” vi compare in v. 2 (1931), tradotto in inglese con il titolo “Sociology and Physicalism”, in Logical Positivism, a cura di Alfred Jules Ayer, The Free Press, Glencoe, Illinois 1959, pp 282-317. 61. Tra le carte di Schapiro si trovano numerosi appunti e messaggi su questo scritto che non conobbe mai una versione considerata soddisfacente e, nonostante i numerosi accorati solleciti inviatigli fino al 1960, non venne mai consegnato. Si veda Meyer Schapiro Collection, Subseries IV.3, box 236, f. 28 per le prime lettere e alcuni appunti. Riguardo al tentativo di organizzare un incontro con Wittgenstein, si veda il carteggio con Ernest Nagel, Meyer Schapiro Collection, Series II, box 150, f. 8, letter of June 12, 1939. Lo stesso Nagel non era riuscito a incontrare Wittgenstein durante il suo viaggio del 1935, ma aveva esaminato gli appunti delle sue lezioni; da qui nasce parte della

domande “profonde” non passibili di indagine empirica (gli eterni problemi della filosofia) è secondo Wittgenstein una malattia che la filosofia sana ha il compito di curare. Ripristinare il punto di vista semplice e non problematico dell’uomo della strada pare essere l’obiettivo dell’attività filosofica, anche se ho il sospetto che Wittgenstein tenderebbe a considerare la persona finalmente guarita da questo temuto morbo in un certo senso più fortunata di chi non sia mai stato vittima del fare filosofia in maniera tradizionale». Il punto qui, continua Nagel, non è fare teoria quanto piuttosto operare specifiche chiarificazioni. Questo modo di ragionare, aggiunge, sembra uscito dalle pagine di Peirce. 62. “The Investigation and Criticism of the Arts – for Encyc. Unity of Science”, Meyer Schapiro Collection, Subseries IV.3, box 236, f. 28. Per ulteriori informazioni sul contesto, si veda: George A. Reisch, How the Cold War Transformed Philosophy of Science: To the Icy Slopes of Logic, Cambridge University Press, Cambridge 2005, p 66 e ss.

trattazione sulla nuova logica europea

63. Bozze di lettere a Wolfgang Paelen

e sul relativo fisicalismo, pubblicata

[sic], Meyer Schapiro Collection, Series

100 _ Molly Nesbit


II, box 157, f. 2. Sul lavoro di Schapiro

nel 1994 nel suo quarto volume di saggi,

durante la guerra si veda Hemingway,

Theory and Philosophy of Art: Style, Artist,

“Meyer Schapiro and Marxism in the

and Society, Braziller, New York 1994,

1930s”, in “Oxford Art Journal”, cit., p 22

pp 143-151, senza menzionare Derrida.

e ss.

La sua replica a Derrida nel 1977 è stata

64. La critica di Jacques Derrida al saggio

registrata da David Shapiro in “Van Gogh,

di Schapiro dal titolo “The Still Life as a

Heidegger, Schapiro, Derrida: The Truth

Personal Object – a note on Heidegger

in Criticism (Notes on Restless Life)”, in

and Van Gogh” (reperibile in The Reach of

Van Gogh 100, a cura di Joseph Masheck,

Mind: Essays in Memory of Kurt Goldstein,

Greenwood, Westport, Connecticut 1996,

a cura di M.G. Simmel, Springer, New York

p 293. Purtroppo non restano a quanto

1968, pp 203-209), è complessa e include

pare appunti di quello specifico incontro

anche la lettura del quadro data da Martin

del Theory of Literature University

Heidegger. Fu pubblicata in una prima

Seminar.

formulazione in “Macula”, no. 3 (1977)

65. Alexander Dorner, The Way Beyond

accanto a una traduzione francese del

‘Art’: The Work of Herbert Bayer,

saggio di Schapiro. Derrida lesse lo scritto

Wittenborn, New York 1947, p 229 [trad.

in forma di lezione presso la Columbia

it.: Il superamento dell’“arte”, traduzione

University il 6 ottobre 1977 nell’ambito del

di Enrico Fubini e Luciano Fabbri, Adelphi,

Theory of Literature University Seminar

Milano 1964, p 193].

organizzato da Marie-Rose Logan ed

66. Alexander Dorner, The Way Beyond

Edward Said. Schapiro era presente tra

‘Art’, cit., p 219 [trad. it.: Il superamento

il pubblico e raccontò successivamente

dell’arte, cit., p 177].

l’episodio a David Craven, con queste parole: “Sono stato brusco con lui perché non capiva né gli interessava capire la natura della mia critica”. Craven, “A Series

67. Alexander Dorner, “Considérations sur la Signification de l’Art Abstrait”, Cahiers d’Art, nos. 7-8 (1931), pp 354-357.

of Interviews, (July 15, 1992-January 22,

68. John Dewey, prefazione a Alexander

1995)”, cit., p 161. Derrida avrebbe poi

Dorner, The Way Beyond ‘Art’, cit., p 9

pubblicato una seconda versione di questo

[trad. it.: Il superamento dell’“arte”, cit.,

scritto come parte del libro La verité en

p xii].

peinture, Flammarion, Paris 1978 [trad.

69. Samuel Cauman usò questo termine

it.: La verità in pittura, Newton Compton,

come titolo per la biografia di Dorner

Roma 1981]. In precedenza, Schapiro

che scrisse con la sua approvazione e

potrebbe aver definito questo lavoro

il suo contributo, The Living Museum:

interpretativo “dichiarazione espressiva”.

Experiences of an Art Historian and

Schapiro pubblicò le sue “Further Notes

Museum Director - Alexander Dorner, NYU

on Heidegger and Van Gogh” elaborate

Press, New York 1958.

101


70. Ivi, pp 118-119.

successivamente osteggiato senza appello.

71. Alexander Dorner, The Way Beyond

75. In “New Directions for the Future”, 7

‘Art’, cit., p 232 [trad. it.: Il superamento

maggio 1970 John Hightower proponeva

dell’“arte”, cit., p 195].

una campagna di capitalizzazione

72. L’idea gli era stata suggerita da

programmata per il mese di giugno

uno studente di Bennington, Bobbie

successivo, che fu però rimandata. John B.

Goldberg. Si veda Cauman, op. cit., p 186

Hightower Papers, I.1.3. The Museum of

e l’importante articolo di Joan Ockman,

Modern Art Archives, New York. Le stesse

“The Road Not Taken: Alexander Dorner’s

idee erano già emerse durante i colloqui

Way Beyond ‘Art’”, from Autonomy

per ottenere l’incarico e nel corso della

and Ideology: Positioning an Avant-

prima intervista per il New York Times

Garde in America, a cura di R.E. Somol,

rilasciata a Grace Glueck, “Modern Names

Monacelli, New York 1997, p 117. Nel

Hightower Director”, New York Times, 9

maggio del 2000, Casey Nelson Blake,

gennaio 1970. Hightower fu direttore del

Joan Ockman e John Rajchman, molto

museo dal 1° maggio 1970 al 5 gennaio

in anticipo sui tempi, organizzarono una

1972.

conferenza interdisciplinare dal titolo The

76. Kynaston McShine, “Essay”,

Pragmatist Imagination, tenutasi presso

Information, a cura di Kynaston McShine,

il Buell Center for the Study of American

MoMA, New York 1970, p 138. La

Architecture della Columbia University e il

copertina fu realizzata da Marc Ratliff

Museum of Modern Art di New York.

con immagini messe a disposizione dallo

73. Alfred Barr Jr., What is Modern

stesso McShine, a quanto risulta dalla

Painting?, MoMA, New York 1943, p 12.

corrispondenza tra i due, conservata in

74. Clement Greenberg, “Avant-Garde and Kitsch”, The Collected Essays and Criticism,

Curatorial Exhibition Files, Exh. #934. MoMA Archives, NY.

a cura di John O’Brian, v. 1, University of

77. Hélio Oiticica, dichiarazione in

Chicago Press, Chicago 1986, p 8 [trad.

Information, cit., p 103.

it.: “Avanguardia e kitsch”, in L’avventura

78. Il catalogo presenta un lungo ma

del modernismo. Antologia critica, a cura

parziale elenco dei poeti che recitavano

di Giuseppe Di Salvatore e Luigi Fassi,

le proprie poesie, Information, cit., p 137.

Johan & Levi Editore, Milano 2011, pp 37-

La checklist completa stilata per la mostra

51, citazione da p 39]. Il testo comparve

si trova nei Registrar Exhibition Files, Exh.

per la prima volta sulla Partisan Review

#934. MoMA Archives, NY. Il manifesto

(autunno 1939). Il pensiero di Greenberg

della Art Workers’ Coalition impiegò una

muove i primi passi a partire da molte

fotografia di Ron Haeberle che ritraeva

argomentazioni di Arte come esperienza

civili massacrati dai soldati americani a My

di Dewey, testo che Greenberg avrebbe

Lai nel marzo del 1968. Sulla Art Workers’

102 _ Molly Nesbit


Coalition e i suoi contatti con il Museum

83. George Kubler, Shape of Time, cit., p

of Modern Art, si veda Julia Bryan-Wilson,

17 [trad. it.: La forma del tempo, cit., p

Art Workers: Radical Practice in the

25].

Vietnam War Era, University of California

84. Henri Focillon, The Life of Forms in Art,

Press, Berkeley 2009.

traduzione inglese di Charles B. Hogan

79. John Hightower, “11 West 53rd

e George Kubler, Zone, New York 1989,

Street: from the Director”, The Museum

pp 44 e 110; la prima edizione in lingua

of Modern Art Members Newsletter,

inglese è del 1942. Edizione originale

November 1970, p 1.

francese: Vie des formes, Parigi 1934

80. Robert Smithson, “Quasi-Infinities and

[trad. it.: Vita delle forme, traduzione di

the Waning of Space”, Robert Smithson:

Sergio Bettini, Einaudi, Torino 1972, pp

The Collected Writings, a cura di Jack

52 e 64].

Flam, University of California Press,

85. Walter Cahn, “L’Art Français et l’Art

Berkeley 1996, pp 34-35, apparso per la

Allemand”, in Relire Focillon. Cycle de

prima volta in “Arts Magazine”, November

conférences organisé au Musée du

1966. Nell’ambito di una trattazione più

Louvre sous la direction de Matthias

ampia, Pamela Lee ha scritto a proposito

Waschek, École Nationale Supérieure des

dello scambio di idee tra Smithson,

Beaux-Arts, Paris 1998, p 36. Nel 1936

Kubler e addirittura Norbert Wiener,

Focillon disse di se stesso: «...je n’ai pas

conducendo una lettura incrociata dei

commencé par un système. C’est après

loro testi in Chronophobia: On Time in the

avoir longtemps travaillé que j’ai cru

Art of the 1960s, MIT Press, Cambridge

pouvoir rédiger quelques conclusions. Les

2004, capitolo 4 “Ultramoderne: Or, How

formes sont l’essentiel, elles combinent

George Kubler Stole the Time in Sixties

entre elles certains rapports, elles

Art”. In italiano, l’affermazione citata viene

dessinent, à travers l’histoire, des parcours

da George Kubler, La forma del tempo,

que n’explique pas la pure succession des

traduzione di Giuseppe Casatello, Einaudi,

temps, et, plus que la valeur précaire et

Torino 1976, p 25.

mobile de leur contenu, elles révèlent

81. Robert Smithson, “The Spiral Jetty”,

la présence éternelle de l’homme. J’ai

Robert Smithson: The Collected Writings,

souhaité d’abord être le naturaliste de

cit., p 146, pubblicato per la prima volta in

ces mondes imaginaires. Et puis il m’a

Arts of the Environment, a cura di György

paru plus utile, et peut-être plus beau,

Kepes, Braziller, New York 1972.

de dessiner, même en traits imparfaits,

82. George Kubler, The Shape of Time: Remarks on the History of Things, Yale University Press, New Haven 1962, p 16 [trad. it.: La forma del tempo, cit., p 25].

la logique toute particulière qui semble présider à leur création et s’imposer à leur analyse. J’ai tenté d’esquisser le rapport de cette logique et de la vie historique.

103


Mais ce traité de l’enchaînement des

17 gennaio 1940, è reperibile presso il

effets et des causes reste un traité de la

Department of the History of Art Records,

liberté. L’homme n’est pas un produit

Sterling Memorial Library, Manuscripts

passif. Il travaille perpétuellement sur

and Archives Collections, Yale University,

lui-même. Il cherche sans répit sa forme

RU796, box 1, folder 5.

et son style”. Citato in George Kubler,

93. A Kubler si unirono il giovane

“Henri Focillon, 1881-1943”, “College Art

medievalista Sumner Crosby, lo

Journal”, IV, no. 2 (1945), e ristampato in

specialista del Rinascimento Charles

Kubler, Studies in Ancient American and

Seymour, l’americanista John Baur e lo

European Art: The Collected Essays of

storico del modernismo George Heard

George Kubler, a cura di Thomas F. Reese,

Hamilton. Kubler ha scritto a proposito

Yale University Press, New Haven 1985,

di queste lezioni in “The Teaching of

pp 379-380.

Henri Focillon”, testo inedito letto presso

86. La proposta Valéry-Focillon

l’università di Yale il 17 marzo 1981 e poi

presentata nel luglio del 1930 è riportata

pubblicato in Kubler, Studies in Ancient

per esteso nel numero di novembre

American and European Art, cit., pp

1931 del “Bulletin de La Cooperation

384-385. Il 3 giugno 1945 Kubler scrisse

Intellectuelle”, n. 7-8 (supplément), la

a Meyer Schapiro chiedendogli aiuto nel

presente citazione viene da p 13.

promuovere l’idea di ampliare il taglio

87. Ivi, p 41.

delle recensioni nell’“Art Bulletin” così

88. George Kubler, Shape of Time, cit., pp 17-18 [trad. it.: La forma del tempo, cit., p 26]. 89. Henri Focillon, intervento nel dibattito sul tema “Le Lecteur – Besoins et Goûts Nouveaux du Public”, Entretiens. Le Destin Prochain des Lettres, Institut International de Coopération Intellectuelle, Paris 1938, p 148. L’incontro si tenne dal 20 al 24 luglio 1937 a Parigi.

da includere testi pertinenti mutuati da altre discipline «come storia, psicologia, antropologia e scienze esatte». Meyer Schapiro Collection, Rare Book and Manuscript Library, Columbia University, MS#1121, series II, box 141, f. 16. Insieme o separatamente, gli studenti di Focillon avrebbero sviluppato in nuove direzioni i singoli spunti che lui forniva. Baur divenne direttore del Whitney Museum. Hamilton rimase a Yale e diede un contributo

90. “Focillon to Deliver Four Art Lectures”,

fondamentale allo studio della pittura

“Yale Daily News”, 7 ottobre 1937.

moderna con due libri pubblicati nel

91. Anticipato nel “Yale Daily News”, 1, 2,

1954, uno dei quali portava alla luce ed

9, 16 e 23 novembre 1939.

esaminava le primissime critiche ai quadri

92. La copia del “Plan d’organisation du Département d’Histoire de l’Art”, datata

104 _ Molly Nesbit

di Manet, mentre l’altro ricostruiva la storia dell’arte e dell’architettura in Russia prima della rivoluzione. Ma il contributo


di Hamilton alla storia dell’arte moderna

complicata vicenda editoriale: si veda Paul

va valutato anche, se non principalmente,

B. Franklin, “1959: Headline, Duchamp”,

alla luce dell’acquisizione da parte della

Étant donnés Marcel Duchamp, no. 7

Yale Art Gallery della collezione della

(2006), pp 141-175.

Société Anonyme curata da Katherine

94. A testimonianza di questa svolta

Dreier nel 1941 e dell’entusiasmo con

nel suo pensiero restano soltanto

cui alla fine degli anni Cinquanta egli

alcune note a margine e gli appunti

tradusse in inglese, inizialmente senza

presi dagli studenti. Le note a margine

un committente, gli appunti di Marcel

si trovano nell’ultimo libro di Focillon,

Duchamp per il Grande vetro. George

Moyen Age. Survivances et Reveils.

Heard Hamilton, Manet and his Critics,

Études d’Art et d’Histoire, Brentano’s,

Yale University Press, New Haven 1954

New York 1943, p 11, con l’opposizione

e The Art and Architecture of Russia,

al divenire hegeliano: «pour nous,

Pelican History of Art, v. 6, Penguin

l’histoire est plutôt comme un empilage

Books, Baltimore 1954. Duchamp aveva

de couches géologiques dont certaines

pubblicato una scatola con le riproduzioni

failles brusques, certains “canyons” font

dei suoi appunti per il Grande vetro in

apparaître d’un seul coup aux yeux

La mariée mise a nu par ses celibataires,

du voyageur la simultanéité dans la

mȇme, Rrose Sélavy, Paris 1934. Le

durée». Quanto agli appunti, si vedano

traduzioni di George Heard Hamilton

per esempio quelli di George Kubler e

cominciarono con 25 appunti pubblicati

le fotocopie di quelli di Sumner Crosby,

in From the Green Box, Readymade Press,

entrambi reperibili in George Alexander

New Haven 1957; successivamente,

Kubler Papers, Sterling Memorial Library,

quando il materiale fu pubblicato

Yale University Library, Manuscripts and

integralmente in francese da Michel

Archives, 1997-M-022, box 10. Com’è

Sanouillet nel 1959 con il titolo Marchand

naturale, ciascuno studente ha tratto

du Sel. Écrits de Marcel Duchamp,

una versione leggermente diversa di

Terrain Vague, Paris 1959, George Heard

queste lezioni. Focillon stava a sua volta

Hamilton intraprese la traduzione delle

elaborando alcune tesi a partire da opere

altre parti in collaborazione con Richard

di altri autori e per quanto riguarda le

Hamilton (The Bride Stripped Bare by Her

questioni sociologiche, è importante

Bachelors, Even, typographic design by

citare Jean-Marie Guyau, L’Art au point de

Richard Hamilton, translated by George

vue sociologique, Belin, Paris 1887.

Heard Hamilton, Wittenborn, New York 1960). George Hamilton avrebbe inoltre recuperato la traduzione inglese di Robert Lebel, Sur Marcel Duchamp, Trianon, New York 1959, che aveva avuto una

95. Henri Focillon, Life of Forms in Art, cit., p 156 [trad. it.: La vita delle forme, cit., p 101]. 96. Il corso era intitolato “L’histoire de

105


l’art et la vie de l’ésprit” e gli appunti

Témoignage, cit., pp 113-117.

per queste lezioni, datate “Washington,

103. Aristide R. Zolberg, “The École Libre

1941” (Focillon alloggiava a Dumbarton

at the New School 1941-1946”, Social

Oaks), sono pubblicati in Relire Focillon,

Research, v. 65 (December 1998), pp

pp 171-183, la citazione riportata viene

921-951.

da p 183. Secondo gli appunti di Kubler, Focillon quell’inverno avrebbe tenuto per gli studenti di Yale una sola lezione sul metodo, sull’architettura medievale. 97. Henri Focillon, “À nos amis d’Argentine”, in Témoignage pour la France, Brentano’s, New York 1945, pp 40-41.

104. Focillon, “La Démocratie et la Vague du Passé”, in Témoignage, cit., p 190. 105. Henri Focillon, The Year 1000, translated by Fred D. Wieck, Frederick Ungar, New York 1969, pp 22-23. Edizione originale L’An mil, Armand Colin, Paris 1952. [Trad. it.: L’anno mille, trad. di Angelina Marchi, Neri Pozza, Vicenza

98. Anche in questo caso, le lezioni

1998, p 43-44 e L’anno mille, trad. di

avevano titoli francesi e furono tenute in

Angelina Marchi, SE, Milano 2010. In

francese: “Quarante-huit. Une époque, un

francese Focillon usa la parola expériences

art”; “Romantisme et réalisme. Courbet”;

[L’an mil, cit., p 24] che significa, oltre

“L’homme des champs. Millet”; “La

che esperienze, anche esperimenti. Per

Caricature épique. Daumier” pronunciate

questo ho deciso di aggiungere l’aggettivo

rispettivamente il 20, 22, 29 ottobre e il

“nuove” alla traduzione italiana, in

5 novembre 1940. Il “Yale Daily News” le

modo da coprire un significato più

annunciò singolarmente e il 29 ottobre

ampio e adeguarmi all’interpretazione

pubblicò un’intervista a Focillon, “Focillon

data dal testo inglese cui fa riferimento

to Discuss French Art Today”.

Nesbit, dove expériences è tradotto con

99. Henri Focillon, intervento su

experiments, esperimenti. N.d.T.]

Entretiens. L’Art et la Réalité. L’Art et l’État,

106. George Kubler, Shape of Time, cit., pp

Institut International de Coopération

17-19 [trad. it.: La forma del tempo, cit.,

Intellectuelle, Paris 1934, p 62.

p 27]. Il taccuino che contiene la prima

100. Henri Focillon, “Fonction Universelle

bozza scritta a mano con una ricevuta della

de la France”, in Témoignage, cit., pp 52,

Yale University Press datata novembre

58, 61-63.

1960 si trova ora tra le George Alexander

101. George Kubler, Shape of Time, cit.,

Kubler Papers, Sterling Memorial Library,

p 18 [trad. it.: La forma del tempo, cit.,

Yale University Library, Manuscripts and

p 27].

Archives, 1997-M-022, box 4.

102. Henri Focillon, “L’École Libre

107. George Kubler, Shape of Time, cit.,

des Hautes-Études de New-York”, in

p 20 [trad. it.: La forma del tempo, cit., p 27-28].

106 _ Molly Nesbit


108. George Kubler, Shape of Time, cit.,

University, MS#1121, series II, box 127,

p 61 [trad. it.: La forma del tempo, cit.,

folder 3.

p 76].

115. Meyer Schapiro, “Courbet and

109. George Kubler, Shape of Time, cit., p

Popular Imagery”, cit., p 173 [trad. it.:

125 [trad. it.: La forma del tempo, p 147].

“Courbet e il repertorio delle immagini

110. Robert Horvitz, “A Talk with George

popolari”, cit., p 64. In nota i versi di

Kubler”, “Artforum” (October 1973), p 32.

Dupont sono così tradotti: «Dove te ne

111. Ivi, p 34. 112. Si veda la nota di Christiane Moatti a proposito di Les Voix du Silence, in André Malraux, Écrits sur l’art, t. I, Pléiade, Paris 2004, p 1334. 113. Leo Steinberg, “Other Criteria”, lezione tenuta al MoMA nel marzo del 1968 e successivamente pubblicata nel suo libro con lo stesso titolo: Other Criteria: Confrontations with TwentiethCentury Art, Oxford University Press, New York 1972, pp 55-91. Lucy Lippard, Six Years: The Dematerialization of the Art Object from 1966 to 1972, Praeger, New York 1973.

stai andando allegro compagnone?/Me ne vo a conquistare il mondo planetario/ Ho preso il posto di Napoleone/Sono il proletario», nota 64, p 84]. I versi sono tratti da Pierre Dupont, “Les Deux Compagnons du Devoir”, dal suo Muse Populaire. 116. Meyer Schapiro, “Courbet and Popular Imagery,” cit., p 180 [trad. it.: “Courbet e il repertorio delle immagini popolari”, cit., p 70]; per Marx e Baudelaire, p 185 Atten: cambiati i numeri di pagina dopo il confronto con la fonte [trad. it.: “Courbet e il repertorio delle immagini popolari”, cit., per Marx nota 126, p 88, e passim per Baudelaire].

114. Meyer Schapiro, “Natura dell’arte

Di Baudelaire, Schapiro cita il saggio

astratta”, cit., e “Courbet and Popular

“L’arte mnemonica”, reperibile in Charles

Imagery: An Essay in Realism and

Baudelaire, Scritti sull’arte, trad. di

Naiveté”, “Journal of the Warburg and

Giuseppe Guglielmi e Ezio Raimondi,

Courtauld Institutes”, v. 4 (1940-41),

Einaudi, Torino 2004, pp 290-291.

pp 164-191 [trad. it.: “Courbet e il repertorio delle immagini popolari. Saggio sul realismo e la naïveté”, in Schapiro, L’arte moderna, cit., pp 52-90]. Schapiro mandò uno dei dieci estratti dell’articolo a Focillon. Si veda la lettera non datata in cui la moglie di Focillon, Marguerite, lo ringrazia. Meyer Schapiro Collection, Rare Book and Manuscript Library, Columbia

117. Robert L. Herbert, “City vs. Country: The Rural Image in French Painting from Millet to Gauguin”, “Artforum”, February 1970, pp 44-55; riproposto, con un limitato corredo iconografico, nel volume From Millet to Léger: Essays in Social Art History, Yale University Press, New Haven 2002, pp 23-48. Nella prefazione del libro è descritto il rapporto dell’autore

107


con Schapiro e Hamilton, pp vi-xi. Si veda

spiegare perché la società cambi; è privo

inoltre il saggio di Herbert per il catalogo

di una dinamica storica. È un positivista

Seurat and the Making of La Grande Jatte,

con certe idee romantiche della cultura

The Art Institute of Chicago, Chicago

come espressione di individualità

2004, pp 158-160. A partire dal 1953,

sociale, ma non è un materialista storico.

Herbert intrattenne una corrispondenza

Sono consapevole che la teoria del

con Schapiro, ora conservata nella Meyer

materialismo storico presenta alcune

Schapiro Collection, Rare Book and

difficoltà, ma non le ritengo inerenti alla

Manuscript Library, Columbia University,

teoria stessa; appartengono piuttosto

MS#1121, series II, box 133, f. 10.

a certe formulazioni troppo anguste e

118. L’opera di Weiner illustrava l’articolo

meccaniche. La accolgo come un’ipotesi

di Jack Burnham, “Alice’s Head: Reflections

per accostare la storia e la società, di cui

on Conceptual Art”, “Artforum”, February

l’arte rappresenta un tassello».

1970, p 41. Si veda Christian Rattemeyer,

120. Robert L. Herbert, “City vs. Country”,

“Op Losse Schroeven: Tentative

cit., p 53.

Connections”, in Christophe Chérix, In and

121. Ivi, p 55.

Out of Amsterdam: Travels in Conceptual Art, 1960-1976, MoMA, New York 2009, pp 37-44. Le informazioni tecniche sono state comunicate da Weiner nella corrispondenza con l’autore, 7 maggio 2011. 119. Meyer Schapiro, lettera dattiloscritta a Henri Focillon, datata 9 maggio 1936, citata da Walter Cahn, “Schapiro and Focillon”, “Gesta”, v. 41 (2002), p 134. In quella stessa lettera, Schapiro distingue la sua visione del materiale sociologico da quella di Taine: «Non sono un allievo di Taine; se c’è un filosofo sociale le cui opinioni mi fanno da guida, direi che è Karl Marx, piuttosto che Taine; e tra le rispettive concezioni della società e delle forze trainanti della storia c’è una differenza abissale. Taine ci presenta le varie arti in quanto riflessioni o espressioni di determinate società e ambienti (o razze); ma non riesce a

108 _ Molly Nesbit

122. Robert L. Herbert e Eugenia W. Herbert, “Artists and Anarchism: Unpublished Letters of Pissarro, Signac and Others - I”, “The Burlington Magazine”, v. 102, November 1960, p 481. 123. Ivi, p 482. La seconda parte dell’articolo apparve nel numero di dicembre del Burlington, pp 517-522. Questi articoli presero le mosse dall’opera di Robert Herbert su Seurat, pubblicata inizialmente con il titolo “Seurat’s Drawings”, in Seurat: Paintings and Drawings, a cura di Daniel Catton Rich, The Art Institute and MoMA, Chicago e New York 1958, e “Seurat in Chicago and New York”, “The Burlington Magazine”, v. 100, May 1958, pp 146-155, e dalla tesi di Eugenia W. Herbert, pubblicata con il titolo The Artist and Social Reform: France and Belgium 1885-1898, Yale University Press, New Haven 1961. L’opera di Robert


Herbert apparve con il titolo Seurat’s

126. Timothy James Clark, “A Bourgeois

Drawings, Dover, New York 1963. A quel

Dance of Death: Max Buchon on Courbet”,

punto, Herbert cominciò la sua ricerca

“The Burlington Magazine”, v. 111, April

sulla Scuola di Barbizon e sulla teoria

1969, pp 208-213 e May 1969, pp 286-

dell’arte moderna, curando il volume The

290.

Art Criticism of John Ruskin, Da Capo,

127. Timothy J. Clark, Image of the

New York 1964 e Modern Artists on Art,

People: Gustave Courbet and the 1848

Prentice-Hall, Englewood Cliffs 1964.

Revolution, Thames & Hudson, London

(224) Robert L. Herbert, “City vs. Country,”

1973, pp 9-20 [trad. it.: Immagine del

cit., p 55

popolo: Gustave Courbet e la rivoluzione

125. Si vedano in particolare: Edward

del ’48, trad. di Renzo Federici, Einaudi,

Palmer Thompson, The Making of the

Torino 1978, pp 3-17]. Il volume uscì

English Working Class, Victor Gollancz,

contemporaneamente a T.J. Clark, The

London 1963 e i due libri di Raymond

Absolute Bourgeois: Artists and Politics

Williams, Culture and Society, Chatto and

in France, 1848-1851, Thames & Hudson,

Windus, London 1958 [trad. it.: Cultura

London 1973.

e rivoluzione industriale: Inghilterra

128. T. J. Clark, Image of the People, cit.,

1780-1950, trad. di Maria Teresa Grendi,

p 78 [trad. it.: Immagine del popolo, cit.,

Einaudi, Torino 1968] e The Long

p 70-71].

Revolution, Chatto and Windus, London

129. Si veda il contributo di Clark,

1961 [trad. it.: La lunga rivoluzione:

“Preliminary Arguments: Work of Art and

variazioni culturali e tradizione

Ideology”, alla Marxism and Art History

democratica in Inghilterra, a cura di

Session del College Art Association

Paola Splendore, Officina Edizioni, Roma

Meeting di Chicago nel febbraio del

1979]; Arnold Hauser, Sozialgeschichte

1976, mimeograph, 1977, in cui lamenta

der Kunst und Literatur, 2 voll., C.H. Beck,

la banalità in cui è caduta la parola

Munich 1953, preceduta da un’edizione

“esperienza”. «Dopo l’esperienza,

in inglese, The Social History of Art,

l’ideologia?» scriveva, aggiungendo con

Alfred A. Knopf, New York 1951 [trad. it.:

preveggenza «Forse, ma anche questo, si

Storia sociale dell’arte, Einaudi, Torino

ricordi, è un concetto che potrebbe essere

1955-1956, 4 voll.] e poi Philosophie

recuperato, da solo.»

der Kunstgeschichte, C.H. Beck, Munich 1958, seguita dall’edizione in inglese, The Philosophy of Art History, Alfred A. Knopf, New York 1959 [trad. it.: Le teorie

130. T. J. Clark, Image of the People, cit., p 18 [trad. it.: Immagine del popolo, cit., p 15].

dell’arte: tendenze e metodi della critica

131. Si veda il resoconto di Smithson,

moderna, Einaudi, Torino 1969].

“Entropy Made Visible”, intervista con Alison Sky nel 1973, pubblicata su “On

109


Site” #4 (1973) e successivamente in The

in Avant-Garde Art, a cura di Thomas B.

Writings of Robert Smithson, a cura di

Hess e John Ashbery, Macmillan, New

Nancy Holt, New York University Press,

York 1968, pp 1-24. Questi scritti posero

New York 1979, pp 194-196. Il migliore

le basi per il libro Realism, Penguin,

inquadramento storico si trova in Ann

Harmondsworth 1971 [trad. it.: Realismo,

Reynolds, Robert Smithson: Learning from

trad. di Giuseppe Scattone, Torino,

New Jersey and Elsewhere, MIT Press,

Einaudi 1979].

Cambridge (MA) 2003.

133. “The Misc” (April 3, 1970) annuncia

132. Per una nutrita casistica dei

una lezione di Nochlin (dal 1968 sposata

contributi della Vecchia e Nuova Sinistra

con Richard Pommer): “The Image of

alla storia dell’arte, si veda Marxism

Women in 19th and 20th Century Art”

and the History of Art: From William

presso la Taylor Hall: «La lezione di

Morris to the New Left, a cura di Andrew

Mrs. Pommer è il risultato della ricerca

Hemingway, Pluto Press, London 2006. A

condotta per il seminario “Problems in

proposito di Linda Nochlin, si veda il suo

Twentieth Century Art”. La professoressa

saggio “Why Are There No Great Women

sta inoltre lavorando a una lezione su

Artists?” in Woman [attenzione: è giusto

alcuni aspetti di questo argomento per

il singolare] in Sexist Society, a cura di

la NYU e sta redigendo un’antologia di

Vivian Gornick e Barbara Moran, Basic

articoli sul movimento di emancipazione

Books, New York 1971, pp 344-366 [trad.

femminile».

it.: “Perché non vi sono grandi artiste?” in

134. 134 André Malraux, Les Voix du

La donna in una società sessista: potere

Silence, NRF, Paris 1951, p 276 [trad. it.:

e dipendenza, trad. di Laura Comoglio,

Il museo dei musei: le voci del silenzio, A.

Einaudi, Torino 1977, pp 193-229 e

Mondadori, Verona 1957, p 180].

singolarmente: Perché non ci sono state grandi artiste? trad. e cura di Jessica Perna, Castelvecchi, Roma 2014]. Il saggio successivamente rivisto e corredato di illustrazioni, uscì con il titolo “Why Have There Been No Great Women Artists?” in “ARTnews” (January 1971), pp 22-39, 67-

135. Linda Nochlin, “Why Have There Been No Great Women Artists?” “ARTnews” (January 1971), p 25 [trad. it.: “Perché non vi sono grandi artiste?”, in La donna in una società sessista, cit. p 198-199].

71; si vedano inoltre i precedenti articoli

136. Si veda il ricordo di Lucy Lippard a

di Nochlin: “Gustave Courbet’s Meeting:

proposito di questa mostra in Hans Ulrich

A Portrait of the Artist as a Wandering

Obrist, A Brief History of Curating, JPR/

Jew”, “The Art Bulletin”, vol. 49, no. 3

Ringier, Zurich 2008, pp 224-225 [trad.

(September 1967), pp 209-222, e “The

it.: Breve storia della curatela, Postmedia,

Invention of the Avant-Garde”, “Art News

Milano 2011, p 209].

Annual”, v. XXXIV (1968), poi ripubblicato

137. Telegramma di Gordon Matta-Clark

110 _ Molly Nesbit


al Vassar, riprodotto nel catalogo di

142. Grace Glueck, “U.S. Decides Not to

Twenty-six by Twenty-six, (Vassar College

Take Part In São Paolo Bienal This Year”,

Art Gallery, Poughkeepsie, New York, May

“New York Times”, May 31, 1971. Per

1-June 6, 1971). L’artista fece quello che

contestualizzare la protesta, si veda Luis

definì un “disegno celestiale” dell’albero,

Camnitzer, “The Museo Latinoameriano

attualmente nella collezione Frances

and MICLA”, in A Principality of Its Own:

Lehman Loeb Art Center del Vassar

40 Years of Visual Arts at the Americas

College. Sul retro del disegno, annotava:

Society, a cura di José Luis Falconi e

«Penso all’arrampicarsi sull’albero come

Gabriela Rangel, Harvard University Press,

una danza nell’aria durante la quale

New York 2006, pp 216-229.

supero la scomodità di uno spazio vuoto installando uno spazio di riposo dove il mio corpo troverà sostegno durante la sospensione». Quell’estate fu realizzato un film con diversi momenti di Tree Dance, dal titolo: Tree Dance, 1971, 9:32 minuti, girato in 16 mm. 138. Lettera di Carol Goodden all’Autrice, 9 dicembre 2007. 139. Linda Nochlin, “Why Have There Been No Great Women Artists?”, cit., p 70 [trad. it.: “Perché non vi sono grandi artiste?”, in La donna in una società sessista, cit., p 227]. 140. Hannah Arendt, “Thinking and Moral Considerations”, in Responsibility and Judgment, a cura di Jerome Kohn, Schocken, New York 2003, p 178 [trad. it.: “Il pensiero e le considerazioni morali”, in Responsabilità e giudizio, trad. di Davide Tarizzo, Einaudi, Torino 2004, p 154]. 141. Hannah Arendt, “Thinking and Moral Considerations”, in Responsibility and Judgment, cit., pp 188-189 [trad. it.: “Il pensiero e le considerazioni morali”, in Responsabilità e giudizio, cit., pp 162163].

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Ringraziamenti I primi saggi inclusi in questo libro comparvero durante la stesura di Atget’s Seven Albums (1989) e di Their Common Sense (1996). Altri sono nati successivamente, in concomitanza a Utopia Station, ideata in principio come progetto di libro collettivo nell’estate del 2001 e subito dopo sviluppatasi in un grande esperimento espositivo continuativo con Hans Ulrich Obrist e Rirkrit Tiravanija. In ogni fase, ho avuto occasione di scambio stimolante e concreto con molti compagni di viaggio, autori, artisti, studenti e amici; sarebbe impossibile nominarli singolarmente, ma ognuna di queste conversazioni resta per me scintilla di riflessione. Nessuno lavora da solo, tanto meno chi sonda le profondità della storia. Desidero ringraziare in modo particolare i bibliotecari e gli archivisti delle seguenti istituzioni: Beinecke Library, Sterling Memorial Library’s Manuscripts and Archives Collections presso la Yale University, Rare Book and Manuscript Library alla Columbia University, Museum of Modern Art Archives di New York e Canadian Centre for Architecture Archives di Montreal. Vorrei inoltre ringraziare formalmente in questa sede Jean Baltrušaitis, Jane Crawford, Carol Goodden McCoy, Chris Marker, Richard Nonas e Lawrence Weiner per la fiducia che mi hanno accordato e per la loro attenta consulenza. Nel primo anno dalla sua istituzione, il Creative Capital /Andy Warhol Foundation Arts Writers Grant Program mi ha concesso una generosa borsa di studio, che è stata decisiva per trasformare in realtà l’idea e le prime fasi di lavorazione di questo testo. Poiché il progetto ha poi comportato nuove importanti ricerche e la stesura di scritti in varie diramazioni è parso logico che si articolasse in una serie di libri. Alcuni pensieri nel presente volume sono inoltre maturati durante la preparazione delle J. Kirk T. Varnedoe Memorial Lectures all’Institute of Fine Arts della New York University nella primavera del 2008. Altri avevano preso forma per “Light in Buffalo”, contenuto in Thinking Worlds: The Moscow Conference on Philosophy, Politics and Art, a cura di Joseph Backstein, Daniel Birbaum, Sven-Olov Wallenstein (Sternberg Press, Berlin 2008), pp 105-121, ristampato nel catalogo della Biennale di Venezia del 2009, Fare mondi - Making Worlds: 53rd International Exhibition, a cura di Daniel Birnbaum, Marsilio, Venezia 2009, v. 1, pp. 225–231.

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A Arendt, Hannah 86–90 Art Workers’ Coalition 53 B Balzac, Honoré de 58 Barnes, Albert 45 Barr, Alfred, Jr. 25–9, 44–6, 50 Bayer, Herbert 43–4, 45 Borges, Jorge Luis 35–6, 62 C Caillois, Roger 63 Capa, Robert 48 Clark, Timothy J. 76–9 Courbet, Gustave 67–8, 76–9 D de Kooning, Willem 38 Delahoyd, Mary 83 Deleuze, Gilles 12–18, 23 Derrida, Jacques 40–1 Dewey, John 9–11, 18, 28–9, 40–3, 49, 50, 67 Dorner, Alexander 42–4, 49 Dos Passos, John 19–20 Duchamp, Marcel 35 Dupont, Pierre 68 E Eames, Charles e Ray 21 El Lissitzky 43–4 Eliot, Thomas Sterns 29 F Faulkner, William 17–18, 19, 20, 38 Focillon, Henri 55–60, 61–5 Foucault, Michel 12–18 G Ginsberg, Allen 52

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Giorno, John 52 Goethe, Johann Wolfgang von 13 Godard, Jean-Luc 22 Gooden, Carol 84 Gray, Thomas 8–9, 24 Greenberg, Clement 46–7, 64, 67 Guattari, Félix 18, 23 H Haacke, Hans 53 Herbert, Eugenia W. 73 Herbert, Robert L. 69, 71–5, 79 Hightower, John 50 J James, Henry 18 James, William 7–9, 11, 31 Joyce, James 21 K Kant, Immanuel 8, 13, 15 Klee, Paul 16–17, 25 Kubler, George 54–6, 60–6, 79 L Lee, Francis 36–7 Lippard, Lucy 67, 83 M Malevič, Kasimir 30–1, 44 Malraux, André 19, 81 Marker, Chris 19, 20, 21–3 Marx, Karl 69, 74, 79 Matta-Clark, Gordon 83–91 McShine, Kynaston 50–2, 69 Melville, Herman 17, 18 Millet, Jean-François 72–3 Moholy-Nagy, László 44 N Neurath, Otto 39 Nichols, Mike 24 Nietzsche, Friedrich 13

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Nochlin, Linda 80–2 Noguchi, Isamu 34–6 O Ocampo, Victoria 62 O’Hara, Frank 53 Oiticica, Hélio 53 P Paalen, Wolfgang 40 Peirce, Charles Sanders 7–9, 24 Picasso, Pablo 31–2, 36, 43 Pollock, Jackson 37–8 R Rauschenberg, Robert 53 S Saint-Simon, Henri de 63 Sartre, Jean-Paul 19, 36, 77 Schapiro, Meyer 25–41, 67, 68, 70 Smithson, Robert 52, 54, 80 Stein, Gertrude 31–2, 36, 49 Steinberg, Leo 67 Stella, Frank 46–7 V Valéry, Paul 56–7 Van Gogh, Vincent 29, 34–41 Warhol, Andy 53 Weiner, Lawrence 69–70 Whistler, James McNeill 45–6 Wittgenstein, Ludwig 39, 67 Y Yeats, William Butler 88

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Il pragmatismo nella storia dell'arte di Molly Nesbit

postmedia books 2017 116 pp. isbn 9788874901791

in questa collana: Nicolas Bourriaud, L'exforma, 2016 Roberto Pinto, Artisti di carta, 2016 Molly Nesbit, Il pragmatismo nella storia dell'arte, 2017

Finito di stampare nel mese di marzo 2017 in 790 copie presso Ebod, Milano tutti i diritti riservati / all rights reserved è vietata la riproduzione non autorizzata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia o qualsiasi forma di archiviazione digitale. All rights reserved. No part of this book may be reproduced or transmitted in any form or by any means, electronic or mechanical, without permission in writing from the Publisher. Postmedia Srl Milano www.postmediabooks.it


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