Thothality. Sulla letteratura, verso la fine, 1954-2014

Page 1

ThoThaliTy Sulla letteratura, verso la fine, 1954-2014

Mario Diacono

postmedia books


Thothality Sulla letteratura, verso la fine, 1954-2014 di Mario Diacono © 2017 Postmedia Srl, Milano © 2017 Collezione Maramotti, Reggio Emilia © Mario Diacono www.postmediabooks.it ISBN 978-88-7490-181-4


Thothality Sulla letteratura, verso la fine 1954 - 2014

Mario Diacono

postmedia books


Indice

I 7

Quarta Generazione, 1954

10

Una lunga Arte Poetica in atto, 1958

11

Il peccato e la grazia, 1958

14

Gli ideologi di “Officina”, 1958

16

La ribellione giovanile, 1959

18

Poesia italiana contemporanea, 1959

22

“Partecipazione” di Malraux, 1958

25

Beckett, il nonsenso della realtà, 1958

II 29

la tesi Sadica di uomo subpremo, 1962

32

quaderno, 1962

33

petit tractatus periegeta taccuino scholion al “de tanautologia hominis”, 1962

35

EX, 1963

37

GROWJERA (SURcenSURE), 1964

41

Totem étranglé (gl’Ossa a Antonin Artuad), 1964

43

EX it, 1965

45

Livelli di scrittura, 1965

49

une archéologie du futur, 1969

52

PoeSia astrATTA e OGGettuale, 1969


III L’oggettipografia di Marinetti, 1971

57

Macroscrittura, Microvisione. Cronideologia dell’iconizzazione del verbale, 1973

62

Ungaretti e la parola critica, 1974

69

Thothality, 1974

119

Ediporiale, 1977

155

Yeats e la profesia, 1982

157

IV Il linguaggio della magia, la magia del linguaggio, 2002

169

Gesamtkunstwort, 1990

185

La parola esiliata, 2003

187

Occasioni di scrittura, 2005

191

Villalogos, 2014

195

Bibliografia

199

Indice dei nomi

201



Quarta generazione

Se esistesse in Italia una nuova poesia, una generazione di poeti nuova per linguaggio oltre che per l’età, voce del tempo vissuto da tutti, espresso come sentimento da pochi, ci si domandava con indifferenza mista a inquietudine sempre più insistentemente in questi ultimi tempi. Premeva di sapere fino a che punto gli interrogativi che tutti si pongono, dall’operaio all’intellettuale, nei discorsi o sui giornali o dentro di sé, sui diversi aspetti della vita che più urgono oggi all’immaginazione al sentimento e all’intelletto, avessero trovato eco nei versi dei poeti nuovi. Pretesa arbitraria, di chi cerca nella poesia ciò che la poesia non potrebbe dare? Dopo Ungaretti, Montale e, assai più marginalmente, Quasimodo (Penna è stato un «felice dono» che ha avuto finora scarsa risonanza letteraria, e Pavese ha meglio realizzato in prosa invenzioni rivelatesi precorritrici), dopo quella triade non ci sono stati poeti che abbiano portato le loro emozioni ad un grado stilistico ed umano tale da poter divenire esemplare. Diversi dei «lirici nuovi» hanno scritto bei versi, ma troppo poche poesie. Il problema che tutti i poeti italiani, dai crepuscolari ad oggi, hanno dovuto affrontare: «in quale lingua» esprimere i loro sentimenti, è rimasto insoluto. Ecco Quasimodo, dopo il ’43, di fronte alla realtà della guerra partigiana, abbandonare i suoi moduli lirici e foggiarsi una nuova espressione grezza ma robusta, in cui solo potevano venire cantati i motivi politici. I presunti ermetici non sono stati, nei momenti migliori, che più importano, oscuri e verbalisti, ma chiari e pieni di equilibrio, spogli, essenziali, purtroppo «senza più peso». Il suono, i cosiddetti «valori fonici» erano tutto. E non hanno detto niente. Hanno formulato una lingua poetica, non fatto poesia. Il loro senso critico è stato superiore alla loro realizzazione poetica. Si sono chiusi nell’orizzonte limitato di pene e gioie individuali, fonti di magre emozioni, così macilente da far dubitare che la generale precaria condizione economica propria dei poeti ne avesse qualche colpa. Si sono richiamati a Leopardi, ma la differenza tra la «lirica» di Leopardi e la loro, è quasi quella che passa tra il mare ed una piscina. L’ultima generazione invece, quarta nell’ordine, del novecento, come e quanto si è realizzata? Ciò che l’antologia di Erba e Chiara, che di questa generazione hanno tentato di dare un’immagine più o meno definita, non è, e avrebbe dovuto essere – gli autori che mancano e quelli che non ci dovrebbero essere – è inutile piangerci sopra. Essa è stata compilata con una tendenza «centrista», segno

7


Thothality ~ Mario Diacono

8

dei tempi; ma l’esclusione di quei «tentativi» che hanno fatto capo a Momenti meritava un cenno di giustificazione. Oggi è facile essere miglior critico che poeta; di tanti si può constatare che i versi sono sensibilmente inferiori a ciò che la loro posizione teorica farebbe supporre. Siamo in molti a parlare di linguaggio nuovo, capace di farsi intendere non più da mille ma da centomila persone; in molti a voler uscire dalla letteratura e piantare le tende in mezzo a delle situazioni umane; in molti a sentire viziosa la mania del bello scrivere. Velleità o necessità che sia, è il segno che nella cultura non c’è equilibrio con la società, o se ce n’è uno piccolo, è fatto di rinunce e compromessi, e che questo equilibrio si cerca, «cercasi». Ci limitiamo, così, a constatare di non essere capaci a scrivere per gli altri, che le angosce collettive sono assenti dalle nostre poesie (non solo come contenuto, bensì proprio come poesia), e che noi non reagiamo più alla società ma soltanto a noi stessi. Dunque, pur al di sotto delle intenzioni, la poesia dei giovani esiste, esistono dei poeti nuovi, e che essi si siano raccolti, si siano dati un nome se non una definizione, è il fatto positivo. Se sono individualmente insufficienti, è la nostra stessa insufficienza che esprimono. Nessun critico è migliore del poeta; l’imperfezione di questo, poiché è umana, ha maggior valore della negazione del critico, che troppo spesso è soltanto di testa. Sei soprattutto, dei poeti raccolti in questa antologia, Quarta Generazione, sembrano essere approdati ad un linguaggio libero, ad un mondo poetico. Pasolini: il più dotato di ampiezza di respiro creativo; l’elemento intellettuale in lui dà un’urgenza violenta allo stato emotivo, lo allarga fino a comprendere brani di realtà esterna così che le poesie diventano pezzi di mondo, tuttavia non prende il sopravvento sulla carica di sentimento. Nessun poeta del novecento, come apparirà meglio quando saranno pubblicati in volume i suoi poemetti, ha mantenuto quanto lui in equilibrio, almeno approssimativamente, in una poesia l’energia intellettuale, la crociana «oratoria», e la tensione sentimentale. Il paesaggio, il discorso, l’immagine, nessuno di questi elementi ha stilizzato, a nessuno ha rinunciato, ne ha fatto una unità poetica. Scotellaro e Accrocca, pur lontani quanto alla realtà umana da cui muovono, hanno delle affinità di linguaggio, consistente nella mancanza di mitologie interne ed esterne che li guidi. Il loro sguardo vede le cose prive più che possibile di colore letterario. Scotellaro sta attento agli oggetti comuni, senza compiere lo sforzo vano di condurli a simboli, essi sono compagnia del corpo, non dell’intelletto. Accrocca non si fa illusioni sulla cornice stilistica, la semplicità nell’enunciazione apre una strada diretta e sicura al sentimento, che è nudo, non si maschera. Bellintani si risolve nella pura contemplazione, rifugge dai giudizi


sugli uomini e sull’ambiente; fuori d’ogni intervento intellettuale, l’anima coglie con contorni nettissimi l’uomo che sta nella vecchia latrina, San Galgano, se stesso ormai cadavere, le negre evocate in una cartolina. Cattafi sorprende per il ritmo baldanzoso con cui nei suoi versi corrono i treni, tornano i viandanti alla città; è il più avviato ad un racconto disteso, se non si mette a pregare. Molti poeti qui pregano, ma nessuno si solleva sopra il catechismo. Visconti dà in brevi poesie dal taglio felice descrizioni e immagini della città, è ricco di una fantasia che non abbandona mai l’oggetto che la provoca, gli fa solo compiere, isolandolo, quel balzo leggero che muta in visione poetica quella che è, un po’ tetramente, la sua consistenza materiale. Ci sono singole poesie perfette: la «Prima meditazione» di Margherita Guidacci, «Piazza della Libertà» di Biagia Marniti, la «Lettera da Roma» di Capelli, «30 giugno» di Maria Luisa Spaziani (le poetesse sanno dire, con forza, che gli uomini sembrano aver perduto il senso dell’amore); ma questi poeti non hanno sufficientemente saltato la letteratura. La poesia di Bodini è tutta «detta»; Zanzotto (stupefacente bravura!) e Orelli si riscattano nell’impegno stilistico, ma la loro ispirazione è limitata; Risi, Soavi, Erba dànno un senso poetico ad episodi e gesti quotidiani. La condizione borghese da essi criticamente vissuta, da Soavi quasi tragicamente, non provoca che ironia, sarcasmo, umorismo. Pochi, insomma, rotto l'abbraccio allettante di un linguaggio preformato, che possa essere una difesa da non si sa bene quale timore di un «salto nel buio» dell’espressione approssimata, hanno cercato una via diretta all’enunciazione d’una posizione, d’una emozione esistenziale. Solo Pasolini pare annunciare una forte personalità, ci sono tuttavia poeti che possono dare vita, al di là dell’indicazione anagrafica, a una consistente generazione letteraria. Magari non hanno ancora gli strumenti culturali con cui proporre apertamente alla società la loro opera e le loro idee, e sono costretti ad agganciarsi alle molte riviste sbiadite, zeppe di pagine critiche, che costituiscono la cultura militante ufficiale. La giovane poesia non ha una rivista, o riviste, importanti; è fastidiosamente dispersa in decine di ruscelli; non va incontro alla società e attende passivamente, non avendo altra scelta che «Lo Specchio» di Mondadori o le edizioni numerate. Non che ci sia nostalgia di serate futuriste, ma uno scrittore dovrebbe avere almeno la possibilità di intervenire attivamente nella vita della comunità; egli sarebbe così più umano. La letteratura oltre che contemplazione è ancora di più azione. La poesia non si fa colle idee, è giusto, ma non per questo non se ne devono avere. Ne abbiamo bisogno. Sappiamo tutti che esse sono il sale della vita. 1954 9


Una lunga Arte Poetica in atto

Thothality ~ Mario Diacono

10

C’è in Ungaretti un coefficiente di poesia che vive di assoluto. Chi ha provato mai a enucleare dai suoi libri l’ideologia della sua vita, della sua esperienza? Rimane ancora impossibile. Il rapporto che esiste tra la situazione di contenuto di un testo ungarettiano e il linguaggio lirico che la esprime è così srealizzato che la sua costituisce una poesia per poeti: una lunga arte poetica in atto. Sicché a me, che a vent’anni cominciai a frequentarlo per un confronto esistenziale diretto, nelle lezioni e nei dopo-lezioni universitari, mi pareva di incontrare nel Sentimento del tempo e nelle opere successive il caso unico di una lingua poetica superiore al proprio contenuto, mentre ero alle prese con un contenuto di esperienze e ideologico superiore alla risultanza poetica. La frequentazione assidua che ho fatto di lui per tanti anni, tra il 1951 e il 1956 specialmente, era costantemente stimolata da una quasi affine tra noi, così sentivo, ansia di novità poetica, sebbene poi di fatto mi trovavo, per forza di un irriducibile impegno in senso lato politico, a fare una poesia abbastanza lontana da quella del maestro. Penso tuttavia che riguardo alla posizione estetica di far consistere l’invenzione della poesia essenzialmente nella capacità di sondare le possibilità misteriose e imprevedibili del linguaggio, in una sorta insomma di speleologia poetica, Ungaretti, come s’è visto ancora dalle poesie uscite quest’anno in Tempo presente e Paragone, sia il più giovane dei poeti italiani, anzi l’unica avanguardia autentica della nostra poesia: esattamente come Mallarmé continua ad esserlo della poesia europea. Disseppellisco due brani di diario per ritrovare il senso dei miei primi rapporti con lui: «12 giugno 1953. L’energia di cui Ungaretti carica il suono d’ogni parola, che ha invece un freddo colore nel significato. Legge come un direttore d’orchestra: si dimentica nel moto fisico che suscita in lui la parola poetica. Dicendo, scocca in alto l’arco delle sopracciglia mostrando un gorgo bianco, dove le pallottoline azzurre degli occhi galleggiano come sul fondo di un pozzo». Un anno dopo: «16 maggio 1954. Frequentavo assiduamente le lezioni di Ungaretti, soprattutto non desistevo dalla monotonia di accompagnarlo al tram alla fine di ogni lezione. Il profitto intellettuale di questo frequentare era piuttosto immobile, ma Ungaretti era per me una presenza magico-quotidiana, un dèmone della poesia, da cui non sapevo separarmi temendo il vuoto che avrebbe lasciato nella mia vita». E anche dopo, pur libero di dentro, ho continuato a dibattermi con quella pura forza di poesia che emana dalla sua persona fisica. 1958


Il peccato e la grazia

Per valutare storicamente L’usignolo della Chiesa cattolica di Pier Paolo Pasolini occorre collocarlo nell’anno in cui teoricamente avrebbe dovuto essere pubblicato, il 1950. È certo infatti che solo poche delle poesie contenute in questo libro (L’Italia, Lingua, L’ex-vita, i numeri V e X della Scoperta di Marx) mantengono oggi una loro originalità e forniscono qualcosa di più di un documento della formazione d’una personalità poetica. Nel 1950 L’usignolo avrebbe spiegato a priori ciò che mostra a posteriori: il lento, lungo processo di maturazione tematica e stilistica di Pasolini, gli «esperimenti» da lui fatti su se stesso per giungere a una riscoperta del dovere ideologico della poesia. Attenendoci ai risultati delle poesie giovanili di Pasolini, «sperimentare» significa comporre in un senso che non è soltanto quello della letteratura e non è neppure soltanto quello dello stile o dell’immagine, ma qualcosa di impuro (per forza di incompletezza intellettuale) tra l’arte e la vita. Dove finisce lo sperimentare lì comincia l’emozione poetica: nel giovane Pasolini, come in molti altri, sperimentare significava infatti un tentativo di rinnovare forme e temi della poesia senza riuscirvi, spesso proponendo come nuovo ciò che in realtà era abbastanza vecchio ma appariva nuovo allo spirito d’un poeta ancora nel pieno dei suoi middle twenties. L’usignolo presenta riuniti due momenti dell’ispirazione di Pasolini: quello cattolico, originato dal senso del peccato che condiziona l’esistenza giovanile, d’impronta narcisistico-sentimentale, mosso da una passione religiosa d’origine non metafisica ma sensuale; e quello della protesta laica, rappresentato dalle poesie sopra citate, in cui la coscienza, liberata dai fantasmi spuri di una religiosità diffusamente dannunziana, riflette momenti drammatici della condizione umana, che costituiscono anche il decisivo punto di partenza per i poemetti delle Ceneri di Gramsci. Il senso della storia emerge piuttosto tardi in Pasolini, con l’ipotetica scoperta di Marx non documentata dal libro, dopo un’impetuosa assimilazione della recente tradizione poetica italiana, da Carducci e Pascoli ai Vociani e a Montale. Fino ad allora Pasolini, con una notevole abilità metrica e di verseggiatore unita alla straordinaria vitalità interiore, rappresenta solo il proprio narcisismo giovanile, cattolico e lacerato, finché con Lingua e L’ex-vita darà una voce veramente poetica e moderna alla protesta giovanile contro «il museo vigilato dagli Adulti».

11


Thothality ~ Mario Diacono

12

In Croce e delizia, Sandro Penna pubblica invece un gruppo di poesie che erano rimaste escluse dal volume antologico pubblicato lo scorso anno da Garzanti, con l’aggiunta di alcune poesie più recenti, scritte cioè fra il ’55 e il ’57. «Poesie sparse» si potrebbe intitolare il libro, poiché non vi presiede un legame esterno né è legato insieme da un filo interno, com’era avvenuto per Una strana gioia di vivere. Ma il «caso» che ha riunito queste poesie, che vanno dal 1927 al 1957, è lo stesso che durante trent’anni ha legato l’uno all’altro i giorni della vita di Penna, sicché sempre risulta da esse un’unità di temi e di linguaggio poetico. I passaggi di stile sono qui impercettibili, vanno cercati più nella maturata psicologia dello scrittore che nei dati linguistici, ed invitano quindi per forza ad osservazioni generali sulla poesia di Penna. Il rapporto di Penna col mondo è sempre un rapporto col sensibile, uomonatura, praticato quotidianamente come amore e conoscenza: si veda per esempio «Non posso soffocare io questo / amore della vita» (pagina 35). Ed è ciò che dà un senso di «interità» al suo canto: poiché questo è di qualcosa che si è compiuto in maniera totale, originaria. Ma interità anche, e sempre, perché Penna lega con la poesia, in intima fusione, l’uomo e la natura, la quale ultima comprende il paesaggio urbano mentre il primo non ignora il senso culturale della condizione umana. Per non parlare dei momenti di riduzione reciproca dell’uomo alla natura («Sole con luna, mare con foreste, / tutt’insieme baciare in una bocca»), bisogna infatti sottolineare i momenti in cui Penna qualifica gli oggetti della natura con aggettivi dello stesso tipo di quelli con i quali investe d’immenso affetto i personaggi delle proprie poesie, sempre così vivi, nella purezza naturale del loro destino, da spingerlo a dover spiegare il fatto: «Meravigliosi / uomini: vivi e chiari, non valori / segnati» (pagina 167); e da spingerlo inoltre ad affermare, nella Lezione di estetica (pagina 141), che la bellezza di una poesia è analoga a un momento emozionante di vita, quando per esempio «in una notte / buia e serena in una piazza amici / ballano senza donne al suono d’una / fisarmonica e tu non sei dei loro». L’assenza di sensualità descrittiva, impressionistica, la mancanza di schemi o diaframmi culturali che si nota tra l’occhio di Penna e il mondo naturale o di vita quotidiano-popolare su cui esso si posa, hanno spesso indotto a definizioni critiche che puntavano sulla «grecità» della sua poesia. Ciò si deve probabilmente al fatto che egli realizza una condizione di naturalezza che in sede teorica si immagina debba essere tipica dell’arte. Ma a me sembra che questa si riveli anche e soprattutto nella sua costituzione di lirica pura, nella costruzione delle immagini, nella misura e nel taglio del verso e dell’intero


componimento, appartenenti sì culturalmente alla stagione europea degli anni ’20-’45, ma con una rara capacità di mantenere nel tempo una verginità emotiva. Poiché Penna realizza per istinto ciò che a molti suoi coetanei avveniva per imposizione o deformazione mentale. Perciò egli risulta in Italia il migliore della sua generazione.

1958

13


Thothality ~ Mario Diacono

14

Gli ideologi di “Officina”

Col fascicolo di aprile è cessata la prima serie della rivista di poesia Officina, che usciva a Bologna a cura di Pasolini, Leonetti e Roversi. Non è forse un male che i tre poeti bolognesi abbiano deciso di, o siano stati costretti a, togliere la vita alla loro creatura, giacché essa, partita con l’intenzione di mantenere e imporre alla poesia contemporanea una linea di condotta stilisticamente e ideologicamente sostenuta, aveva finito col ridursi in gran parte a luogo di esercitazione e pubblicazione semiprivata. Per essere chiari, le centinaia di versi di Roversi e Leonetti non contribuivano affatto all’affermazione della rivista, com’è accaduto invece per i tre poemetti di Pasolini; né i saggi di Leonetti, col loro estremismo verbale, erano risolutivi come quelli di Romanò. Sicché la libertà di Officina sembrava alla fine troppo facile, mancandovi la possibilità dell’autocritica. Eppure non era cominciata così. Aprendo la rivista con un saggio su Pascoli, Pasolini aveva presentato sé e i suoi compagni come «un gruppo di ideologi … che si definisce fuori dal campo d’una morale ontologicamente letteraria, tipica del Novecento». Gramsci era l’uomo, lo scrittore a cui si rifacevano nell’affermare il loro superamento dell’esperienza letteraria del Novecento, culminata nell’ermetismo. Nel nome di Gramsci si ponevano culturalmente e moralmente a sinistra, evitando così una esplicita e partitaria professione di fede marxista, anzi opponendovisi spesso, per una sottintesa «irrelazione» del poeta ai fenomeni politici e culturali se adoperati strumentalmente da una classe ai propri fini, che si trattasse della classe borghese o di quella operaia. Si può dire tranquillamente che l’opera di Gramsci ha fermentato di più negli scrittori di Officina che in quelli tesseratamente marxisti di Rinascita e del Contemporaneo.Tuttavia l’uso di Gramsci fatto da Pasolini era più in funzione di svincolo dalle strettoie dello zdanovismo togliattiano e da un impegno politico preciso che in funzione di una solidarietà verso il movimento socialista. Gramsci ha agito insomma più che altro da stimolatore di energie; forse solo grazie a lui si è potuto operare su Officina un riesame critico dello svolgimento letterario novecentesco italiano, dalle «Analisi critico-bibliografiche» di Romanò alla pagina (non firmata) di Gadda sull’ultimo numero della rivista: «Il Novecento, la letteratura e l’arte in mezzo secolo, ha detto la “autenticità” della vita intima con esclusione della vita sociale, inautentica; fino a rischiare, per questa innocente


purezza esistenziale al di qua di ogni condotta, la propria integrità in una storia e in una nazione … Noi perplessi possiamo a noi stessi apparire, a volte, ai margini della società presente, delusi o disperati anticipatori dell’avvenire; e cani nelle vie di questa società; invece che credere l’arte, per essa e in essa, “istituto” che dichiara il fondo autentico della vita comune». Leonetti, infine, afferma in un saggio su Carducci: «È così anche accaduto che a noi Gramsci ha riproposto la nostra letteratura classica nei suoi problemi più vivi». A parte però l’influsso generico di Gramsci, non si può dire che da Officina sia uscito un impegno ideologico autonomo, capace di agire a fondo nella situazione letteraria contemporanea. Se in Leonetti e Roversi, infatti, l’ideologia di engagement è applicata dall’esterno a moduli stilistici personali preesistenti, l’ideologia di Pasolini si converte velocemente in una «poetica» personale, anzi assistiamo spesso in lui a una reazione violenta all’ideologia, da cui pure è condizionato, in nome di una libertà richiesta dal proprio essere-in-un-datomodo, irripetibile. Gramsci non viene svolto né arricchito. È sintomatico che nei saggi letterari di «La nostra storia», con cui s’apriva ogni fascicolo della rivista, la sua personalità di «critico» non sia stata affrontata in pieno, ma lasciata a un grezzo stato d’illuminato asceta politico-culturale.

1958

15


Thothality ~ Mario Diacono

16

La ribellione giovanile

L’internazionale della «rabbia» dei giovani, che sfocia spesso in gesti di rivolta non tanto contro gli adulti in sé quanto contro tutto l’ordine sociale esistente, è ormai un fatto compiuto. Non solo perché beatniks, teddy boys, tricheurs, huligani, ragazzi di vita animano con la loro furia le stesse notti di città lontanissime tra loro, ma perché la letteratura ha già fermato i loro gesti in testimonianze del nostro tempo. Kerouac,Tom Gunn, Osborne, Carné, Hlasko, Pasolini hanno infatti rappresentato in questi giovani non un fenomeno sociale ma un atteggiamento di vita fortemente amato, o ambito dalla loro psicologia di intellettuali che condividono l’angoscia e la protesta giovanile contro le chiusure all’espansione individuale operate oggi dalle diverse società. Ci sembra, dunque, ancora un atteggiamento di difesa borghese quello di Carlo Bernari che, in una breve nota su Cinema nuovo (n° 136), senza aver visto il film di Marcel Carné accusa il regista francese di non aver mostrato la verità rappresentando i suoi tricheurs in un atteggiamento di «resistenza passiva, sia al male sia al bene», niente affatto «pronti a rientrare attraverso le porte dell’amore nelle consuetudini e negli schemi». Di fronte a tanta violenza giovanile, Bernari spera solo che finisca al più presto, e che quelli che la rappresentano attuino una «naturale censura» in modo da non sconvolgere troppo la sua tranquillità sentimentale. Il momento psicologico che sta alla radice dell’alienazione giovanile dalla società è tremendamente importante. I giovani si impadroniscono di atteggiamenti e modi di pensare della società adulta, e per mezzo di essi cercano di esprimersi, saltando però tutta la routine che di solito gli adulti compiono per arrivare alla tranquillità economica e sentimentale. Bisogna tuttavia distinguere gli atteggiamenti, anche culturali, dei tricheurs francesi e degli hipsters anglosassoni da quelli puramente biologici degli huligani russi o polacchi e dei ragazzi di vita nostrani. In questi ultimi, infatti, sono impensabili i gesti scoperti agli hipsters dal poeta inglese Gunn: «La svastica coperta-da-letto, o catene che premono / col loro peso contorto e lucente sotto una camicia», mentre il poeta polacco Adam Wazyk ci dà invece un’immagine dei giovani che vivono in aree depresse («Viene notte / i giovinastri giocano a fare se stessi») che può benissimo adattarsi a quelli delle borgate descritti da Pasolini. Più appartiene a un’area depressa, più la rivolta giovanile tende a risolversi nella malavita. Più o meno in veste di «banditi» sono rappresentati i protagonisti del capitolo di romanzo (Notte nella città di Dio) pubblicato recentemente da


Pasolini sul Contemporaneo. I loro nomi e soprannomi sono quelli che appaiono quotidianamente sui giornali come ladri di auto, scippatori, rapinatori di rifornimenti di benzina. Anche se non obbediscono al motto degli americani Man, you gotta go («uomo, devi andare»), il centro della loro mitologia di ribelli è pur sempre l’automobile come mezzo per sfogare una sensibilità da civiltà delle macchine, ma anche come simbolo di un benessere sociale a loro negato. Il furto di un’auto in sosta, la rapina a un benzinaro diventano così l’atto più importante della vita: «“’Nd’annamo?” fece con entusiasmo Salvatore… Il Cagone si voltò di sguincio, aprì la bocca e fece: “A vive!”». A vivere fortemente, ribaldamente, traducendo in termini di malavita l’esistenziale motto di Beckett: «Je veux dire aux endroits où j’avais des chances d’être». La maggior parte dei crimini «automobilistici» sono compiuti da ragazzi tra i 17 e i 25 anni, per un gioco violento, per prova di virilità, per noia, per provare la felicità di un possesso o di una spesa di danaro che nessun lavoro normale potrebbe loro procurare. Sono figli di operai e contadini inurbati, o svogliati operai essi stessi, con negli abiti e nel comportamento una spregiudicatezza americana o sportiva, da calciatori; privi di qualsiasi auto-coscienza politica e culturale, nella loro eleganza e ricercatezza spavalda mostrano una non troppo inconscia aspirazione allo snobismo dell’alta borghesia o dei cinematografari, da loro appresa nell’equivoco commercio che fanno della loro bellezza da «bulli». Se il confronto con le analoghe esperienze europee e americane non inganna, la «febbre di vivere» giovanile tenderà sempre di più a estendersi, non mettendo in pericolo l’ordine costituito ma privando le nuove generazioni di ogni interesse per la meravigliosa favola meccanica che i padri hanno creato per loro. Perciò ci sembra che, in Italia almeno, i giovani non abbiano solo bisogno dell’ammirazione vitalistica pasoliniana, ma richiedano pure una comprensione critica del depresso e infuriato mondo psicologico che li muove alla loro quotidiana «operazione violenza».

1959 17


Thothality ~ Mario Diacono

18

Poesia italiana contemporanea

Fra le antologie della poesia italiana contemporanea che hanno avuto maggiore fortuna nel dopoguerra, quella dei «lirici nuovi» di Anceschi-Antonielli, quella della «poesia di massa» di Falqui e quella, più strettamente storicistica, di Spagnoletti, che esce ora in quarta edizione da Guanda, con numerose presenze di poeti giovani e dichiarazioni di poetica di ogni autore davanti ai propri testi, quest’ultima è quella che si è dimostrata, nel suo fenomenologico evolversi, la più impegnata sul piano più vasto della cultura. Spagnoletti infatti, al di là della pura descrizione e interpretazione letteraria, è andato a investigare il rapporto esistito tra i poeti e la società italiana del mezzo secolo 1909-’59: in tale rapporto, la società non è guardata dal punto di vista della poesia, ma la poesia da quello della società. Quasi alle soglie di un’interpretazione marxista, benché su di essa prenda talvolta il sopravvento in Spagnoletti un gusto estremamente personale nella scelta dei testi. Il metodo di Spagnoletti è in linea di massima quello di soppesare l’engagement del poeta nel proprio tempo, ora da un punto di vista morale, ora da uno sentimentale. Fra i due c’è il problema specifico della forma poetica, che viene però toccato solo qua e là. Essendo la poesia italiana del tardo Ottocento in fase di endemico ritardo, le prime voci del nuovo secolo dovevano avere il tono provvisorio e arrabbiato dell’avanguardia. E furono la desolazione programmata di Corazzini, il programmatico libertarismo di Marinetti. Non si ripeterà mai abbastanza quanto fu importante per l’Italia il Manifesto futurista, importante per le premesse e per le prefigurazioni di poesia che poi non furono mantenute. Il destino e la disgrazia vollero che lo strumento futurista cadesse esclusivamente in mano di piccolo-borghesi ribelli, di crepuscolari insoddisfatti e velleitari, esponenti non di una società futura o in rivolta (come fu per esempio Majakowskij) ma di una società introversa, chiusa, senza reali aspirazioni politiche, affondata nel secolo passato, troppo disfatta in alto e in mezzo, troppo vergine, inconscia, e sprovvista in basso. Bisognava essere estranei a quella società per fare di un programma poetico una sensibilità quotidiana. I soli che capirono il futurismo in senso espressivo furono Campana e il primo Ungaretti, l’uno e l’altro quasi apolidi, per ragioni diverse. Il migliore dei futuristi del gruppo, Palazzeschi, era in realtà un crepuscolare auto-ironico che, come gli rimproverava Marinetti, «traeva futurismo dal passato più deprecabile». Luciano Folgore aveva le


idee più chiare, poiché fin dalle prime parole in libertà era andato sempre più prendendo coscienza, intorno al 1914, della necessità di una lirica pura, che però non aveva avuto la forza di realizzare. Per una storia della forma poetica contemporanea, Corazzini Marinetti e Folgore dovrebbero stare all’inizio dell’antologia di Spagnoletti, e vi mancano; il loro posto è preso dai sensibilisti (e tutto sommato secondari) Pea, Aleramo, Valeri, Villaroel e Comi, ancora coinvolti nel naturalismo e nel paesaggismo, mentre gli espressionisti Govoni e Folgore erano invece tesi a una poesia della città, il cui vuoto era pari da noi a quello della «rivoluzione moderna» lamentato da Gramsci. Col 1919 si chiude il primo, e più ricco di novità, decennio poetico del secolo. La poesia era avanzata in tre direzioni diverse: a) crepuscolari puri: Corazzini; crepuscolari-futuristi: Palazzeschi, Govoni, Folgore; crepuscolari d’una seconda generazione, più intensi: Sbarbaro, Saba, Cardarelli, Onofri. b) poeti intellettuali: Rebora, Papini, Jahier. c) poeti d’avanguardia: Marinetti, Soffici, Campana, Ungaretti. Marinetti e Ungaretti furono le uniche personalità europee, di questo periodo e anche di tutto il mezzosecolo (lo saranno in parte poi anche Montale e Penna: il primo per la sua intensità esistenziale; il secondo per i risultati lirici in senso stretto: in Penna i problemi della forma, dell’espressione, dell’anti-letteratura sono soluzioni prima che problemi). Parallelamente alla fascistizzazione della borghesia italiana, tra le due guerre, la poesia diventa sempre meno riconducibile a uno specifico lievito culturale. Spiccano i casi-limite individuali: Ungaretti, Montale, Penna. Per tutti vale un po’, talvolta moltissimo, ciò che Spagnoletti afferma per Saba e Govoni post-prima guerra mondiale: «restavano fermi al loro autobiografismo lirico, respingendo ogni altro elemento di responsabilità che l’atto del poetare comporta». Quali responsabilità? Non solo quelle morali, di cui Spagnoletti parla per Montale, ma soprattutto quelle formali – di esplorazione e dilatazione, attraverso la forma poetica, dei temi di vita e di cultura del proprio tempo. La poesia, che nel 1907-’19 aveva cercato di farsi europea, si richiude nel limite nazionale, nel «mormorio di due labbra» letterarie. Destano insieme ammirazione e pena a riguardarle oggi, quelle acrobatiche evoluzioni della facoltà analogica e associativa della poesia riferite a un’esperienza limitatissima, a un mondo psicologico naturalistico e provinciale, a una cultura passiva, priva di intellettuale aggressività e «mondanità», evadente il confronto col mondo psichico e sociale della città: un’avanguardia sprecata, dilapidata in un preziosismo senza morale.

19


Thothality ~ Mario Diacono

20

Su un piano opposto, di acceso moralismo e ideologismo, si pone la poesia del secondo dopoguerra. Ci troviamo ancora in essa, collettivamente, davanti al linguaggio frantumato delle avanguardie del novecento, senza alcuna idea più avanzata della forma della poesia; la soggettività rimane personalistica, anziché farsi metastorica o metafisica. Se quello della poesia è un linguaggio specifico, i poeti internazionali avevano mostrato, esso scorre dal visibile all’invisibile, dall’oggetto all’immagine-idea, vive di emozioni ambigue, è un linguaggio figurato non-figurativo, il suo nominare gli oggetti quotidiani non deve essere una semplice presa di possesso, sedersi in poltrona a guardare quanto soffre la nostra anima. L’immagine poetica per forza distrugge l’immagine realistica del mondo. Invece siamo tornati, in nome del realismo, alla «illusione veristica e sociologica» della poesia. Un po’ com’era accaduto oltre trent’anni prima, la poesia del secondo dopoguerra è fondata su degli equivoci che ne limitano il valore culturale. Sicché oggi, per noi, il quasi sconosciuto astratto-orfico-poundiano Emilio Villa non vale meno di altri più noti. Il che vuol dire che, dei poeti antologizzati da Spagnoletti, l’uno vale più o meno l’altro, su un piano assoluto anche se non su un piano di gusto o di cultura. Poeti, o pseudo-poeti, come Marvardi, Angeli, Curci, sono prodotti tardivi, crepuscolari-ermetici, privi di singolare vita poetica. Per quest’epoca, più che alla codificazione di indicazioni collettive della critica (Sereni, Bassani, Fortini, Guidacci, Bellintani, Pasolini, Zanzotto, Scotellaro, Vivaldi) ci troviamo in presenza di una linea della giovane poesia che, con un termine proposto da Alfredo Giuliani, chiameremmo neo-crepuscolare (Parronchi, Rinaldi, Arcangeli, Pierri, Accrocca, Cattafi, Artoni, Roversi, Vollaro, Merini), di un autobiografismo dimesso, solipsistico, «sconfitto», privo, se non per tesi ideologica, di aperture sul mondo sperimentato in termini di aggressivo confronto. Sul piano di tale relatività poetica, parecchi di questi ultimi potevano essere sostituiti bene o alla pari, da poeti assenti come Orelli, Fratini, Risi, Erba, Peregalli, Volponi, Bona, Sanguineti. Tuttavia quella di Spagnoletti è stata un’importante operazione culturale, avendo dato espressione critica a una linea ritenuta dominante nella nuova espressione poetica italiana. A noi personalmente interesserebbe puntare invece, più che su una forza di copertura alle spalle dei padri, su una pattuglia di rottura e tensione verso una nuova e spericolata forma poetica. Poiché poetare è sempre un irrompere personale, con sensibilità personale, nello stato della coscienza collettiva, nel mondo sia delle forme che degli atti di vita, e oggi la coscienza collettiva è europea e mondiale, non meramente italiana. La poesia italiana, in questo


secolo, tranne casi singoli e limite (Campana, Marinetti, Ungaretti, Montale, Penna), è sempre rimasta a un livello di bassa cultura, di sotto-espressione; la sfera della visione interiore le è rimasta preclusa. E poiché da noi è ormai permanente lo status di cultura depressa, le speranze per l’avvenire sono poste non in una improbabile civiltà poetica italiana ma nel derèglement, nelle esperienze di qualità internazionale di singoli giovani poeti.

1959

21


Thothality ~ Mario Diacono

26

una nuova sensibilità o figurazione: un mondo contemplato senza più residui di umanesimo stilnovistico. Si guardi per esempio, nell’Ultimo nastro, il flash back dell’episodio erotico, che è il motivo conduttore dell’atto unico: «dopo qualche attimo mi guardò, gli occhi come due fessure a causa del sole. Mi chinai su di lei per far loro un po’ d’ombra ed essi si aprirono. Mi lasciarono entrare (…) Scivolai su di lei, il mio viso in mezzo ai suoi seni, la mia mano su di lei». C’è una carica di nostalgia non dissimulata nel ritornare della memoria su questa scena, ch’è il segno che il non-senso, la non-comunicazione di Beckett nascono dal dramma, irrisolto, del senso del mondo, della comunicazione col mondo. Al di là di questo dramma ce n’è oggi un altro, quello della ricerca di una nuova innocenza, ulteriore a ogni responsabilità della comunicazione, in senso politico-sociale, nello scrittore.

1958


II


Thothality ~ Mario Diacono

32

quaderno

stato patologico di cultura. nella scrittura, iperlogos. nascondimento infraverbale di tematica, struttura, ideologia. denazionalizzazione della lingua, plurivocità del lessico, annientamento del senso umanistico. abbandono anarchico, nevrotico al segno, puro agire nella forma, sguardo nella psicochimia del profondo: gli alienologi, cattolici o marxisti, dell’attuale letteratura si concederebbero volentieri un tale flusso di definizioni, socio logicamente, di fronte ai texta che pre-sentiamo; e, alla rigorosa disperazione, alla impassibile negazione, alla spudorata dichiarazione non-pubblicistica a-comunicativa (che attestano) masochicistici opporranno bouquins de doléances e i richiami all’ordine del consueto acritico snervato e clientelistico recensionismo contemporaneo. si dirà, ce sont aussi des trucs, blasphematoires. si farà sfoggio di saggezza nel prevedere loro un futuro di silenzio, di contrabbando d’armi (mentali) fra pochi membri anarchici di società segrete religiose in continenti oscuri. e sarà tutto vero, se la storia, finita, darà loro ragione. ma di fronte agli imponenti coercitivi mezzi-di-comunicazione, alla vastità di esibizionismo borghese, alla ricerca viscerale di consenso pubblico, all’accaparramento del consumo culturale (a-espressivo) delle masse (gli: uomini-ceto) da parte del potere economico e politico, attuali, la scrittura poetica, la scrittura originaria, reclama le libertà di stare per sé e contro, di non-collaborare, di non-comunicare, di essere: rapporto fra stradale e assoluto, in accrescimento e segretificazione delle ragioni d’essere della parola, natura e condizione del suo costituirsi, alle origini. se quello della matematica pura, della fisica nucleare, è un linguaggio segreto: della complessità infinitesimale del visibile (e dell’invisibile, oggi catalogabile), l’accadere della poesia, della scrittura, non può che attuarsi: negarsi all’unità di misura-lettura dei Messaggero e Paese Sera di ogni organizzata società. 1962


G R OW J E R A (SURcenSURE) ......................................................................, ............................... ........................................, ............................................................ ........................: ........................................... perché la scritturaetichetta è diventata intollerabile ............................................. ................., ............................................................................. nec serve un catàlogos del reale, ma una motivazione di logos ...................................................................................................... .................................................................................; .................. .................................l e mot-a ss embl age-de-l e t t re s d’esperienza DaDa co-statuiva il mezzo (di) d’exstructio et pure renovactio del langue-âge .................................................. ...., .........................................., ...................................................... .......................................! ...................................................le motassemblage-de-mots (la joy ici) infatti, che abolisce un senso accumulandone molti, in una s-carica di allusioni (ad ludos) che mette in crisi l’esistenza del vocabolo, lo dissocia nelle proprie componenti (il m’hondo) ele-mentali ..... .................................................................................................: ..... ........................................................... “.............................”........... .......; ....................................................................che non depone un’assenza ma il silenzio (ignificando) dei signifidati. ...................................................................., ..........................................

............................

(..........................................)

.........

............................................................, e non b(a)loccarsi col m’ito d’una letteratura-nazionale predittata

dall’alto delle

dierezioni edittoriali (qui-a inesistente in re: pubblica) ............ ................................................................; ...................................... ................................................, .....................................? .............. .........................che la soch y aetas ha sgo-minato con-finando lo strip-ttore al parlatorio oc-culto, jectare qua-là un cri, un m’ito della co-scienza, una s-volta formale, poi tacersi ........... ................................................................. .................................... .......................................................................... deVELOplier una poi-e-sis così complessa di segni e sensi che possa essere capita solo da una “macchina” .................................................. 37


Thothality ~ Mario Diacono

38

............................. ................., ed è un progetto necativo, stadio declaratio m’ortus (non-stato) dell’arte. ................................................................... ............................................... /........................; ............................. .................................................: far morire la poesia dall’interno, provocarne il decesso naturale, e il trapasso off-io all’époque della non-letteratura .................................................................... ........................................... ........................................................... ........, ................................. merde del mondo (mond’ani) posare frene/tics/a-mente a istituire la leadercheap heu!rompea .... .............................................. ......................................................; .........................................questo Pa(pp)ese offre......................... ........................................................................, .............................. ..............................................del cazzo ...............; ........................ ...........................................

.................................................................: il rifout della

s-langue commune (della lingua italiana tout coeurt), l’investigatio dell’Utopia linguistica ........................................... ............................... rifiuto di questo sist’ema, di questa società, .................................................................. unico modo di credere all’esistenza (possibile) d’una Società-per-Ling-am-aggio .................. ...........................................................: la scrittura in rea-ltà non ha scopo (altro, oppure, oggi, ecc.) che la violenza della propria aberrazione ............................; .............. ............................................. ......................................................... .................................... è ancora una giustific’azione formalistica dell’a letto rature, considerata l’applicazione di risorse tecniche, non l’eventus symbolico (syllabico) l’où omo componga il feno-meno (il fonema-no) d’una historia giustificcata, attraverso una sua parte, nel suo utto, ...................................... ......................................................................................... ........................................................................................ .............................................: ....................................., .................. ................................. il magico........................ non nasce da, non annega in ...................................... del mondo; se non è insomma l’............................. a un mo(n)do di cultura post-borghese. ...... ........................................................................., .............................


............................ il res sentiment d’un horror vacui nelle parole, un tendere a ri-empire le parole-vuoto, le pagine-vuoto con un ultrasegno .............., ......... le parole-gesto .............. dilatazione ............. semantico ................ nome ..................... una possibilità di ............................. più fulminante, il “salto” .............................. ....................................................................................................... ..................................., .................................................................. .................... che: 1. la poesia deve essere così 2. » » » servire così 3. entrare nella vagina delle masse 4. sollevare il pene ai popoli 5. andare in culo ai presti 6. grattare le palle a Marx 7. ex-altare l’uomo 8. de-nigrare la bestia 9. cantare (lae tare) la ci-viltà 10. s-comunicare il demonio-macchina ....................................................................................................... ........................................, ............................................................. .....................................

.................................................. ....................................

.................................., ....................................................; le forme visuali di poesia, quando non sono mistific’azione (mixturam verborum signorum facit poiesis et picturae) e ludus, enrichienment della nudità loghica, risposta e lusiva à l’échec (volontario) del poiein, voglia matta di b’arare e ‘ambiar mestiere (lasciando inalberate le regole del gioco), esercizio esoterico, re-gard nella prehistoria, ......................................................................., è l’afasia pubb-licitaria (al neo-n .....................................) ............. ............................, .......................................................................... ................................................................. .........................................................,

.................................

.........................................

.....nei campos brasiliani (nei luba africani, bientôt) (............ .......................... che arrivino a una forma non partendo dagli esaurimenti nervosi della cultura scritta, senza un’epoca-

39


Thothality ~ Mario Diacono

40

typos cl’assica alle s-palle, una tradizione “moderna” per vivere-scrivere nella modalità industriale cui app-rodano) ...... ...................................................., non si vorrà dire poesia risolta (o dissoluta) nel piano, ma ri-scoperta del malore iniziale della lettera, della sillaba, delle parole, della ...............; ................... .....................................................................................................

1964


Totem étranglé (gl’Ossa a Antonin Artaud)

cioè un homm’âge da, a-scia di guerra, diis sepelire. e cosa espugna Artaud, su un traguardo mortale? una langue noire, che ritrovi la “notion prégénitale de l’être” nell’expr-flussione fonetica sauvage equatoriale

jung-la

india africana

– una lingua senza scrittura, organica a-organizzata, e parte dal centro del cordpo, dal Kah-Kah, il Kah: “le souffle corporel de la merde”, poésie fécale. l’esigenza di una lingua edenica adonaica e tenica, al di qua (al di là) del bene e del male del linguaggio: corrotto-borghese, prof’ano, discordsivo, contemporaneo. poesia, ma non “la poésie des poètes”, ri-cercare, in vece, il “dictame corporel de l’âme, matière magique de poésie”, alchimia carmen fascinum: ma non allu illu Shivamente; proprio nel senso fattuale, ascetico, pragmatico e ma-gare pre-storico. la parola animista, parla la lingua del féticheur che si rivolge ai nomi della materia, l’essere antico ritrovato dagli stupefacenti, in un logos che, provocato a essere libero, nasce da solo, ed è segreto, inn-traducibile: una lingua che agisce, non dice, che parla “stati”, non contenuti; i contenuti: psichici, incentrici, vocalizzazioni e sillabazioni come ritmo soprattutto, magari swing, beat/ jazz, ritmo incantatorio, formula di contatto con l’inn-visibile, tranc’être, connoscienza fisica del d’io, ri-fiuto della società, della socialità, ri-fiuto del bête, rifiuto di un monde “intégralement embourgeoisé, avec tous les ronronnements verbaux” dell’uomo costituito in catene di legalità, in pretese di collettività, in prevaricazioni, parole d’ordine e celebrazioni, in ritualizzazioni dell’idiota. un vertice in Artaud, dell’esperienza et no-grafica, della ricerca nell’archetipo dell’être, un negarsi, su un “altro” piano darsi, a l’être la tour. e dalla torre disintegrata, il linguaggiomagique, veramente, infine, alienato, si suscita e attua nella parola-shock, come liber’azione, gesto e ritmo, azione di poesia, come “cura” dalla malattia dell’essersi perduti.

41


L’OGGETTIPOGRAFIA DI MARINETTI

La linea d’azione che s’è venuta cristallizzando chez la culture nel recepirepercepire i tre testi tipografici, i tre ultimi, metaverbali, allegati da Marinetti a Les mots en liberté futuristes (1919) ha assunto una fisio.nominazione – ai due livelli internazionale e italiano – che ormai sembra impassibile di ulteriori spostamenti. mentre nelle antoalogie, soprattutto anglosassoni, di poesia concreto-visiva i tre Fakturgedichten (così li definiva Moholy-Nagy nel 1929) di Marinetti ricorrono con puntualità quali archetipi del trattamento estremisticamente segnico-materiale che viene oggi riservato con unanimità, perfino eccessiva e sospetta, dalle nuove «avanguardie» al linguaggio in quanto medium della funzione specifica della «poesia» (parola ormai asemantica), essi in Italia vengono considerati ancora esempi in-effabili di folclore tipografico futurista. ammesso se ne (ri)conosca addirittura l’esistenza. tuttavia Après la Marne, Joffre visita le front en auto, 1915, Le soir, couchée dans son lit, elle relisait la lettre de son artilleur au front e Une assemblée tumultueuse (sensibilité numérique), 1918, da un lato chiudevano il discorso sull’alchimie du verbe – il «discorso» sintattico rivelandosi appunto schiacciato dal peso ideologico delle nuove nozioni-opzioni di percezione e tecnologia che le poetiche del tempo nominavano nel concetto più operativo o tecnicistico di simultaneità. e dall’altro iniziavano l’écriture alla démarche extralinguistica segno → gesto → oggetto → azione, cioè la promuovevano alle responsabilità di un’estetica più attuale. la tipografia vi conosceva il sovvertimento di regole, l’espansione di ruolo, la celebrazione e la negazione più radicali della sua storia, in una specie di rivolta/massacro della denotazione grafica sulla connotazione semantica, del carattere e del corpo (tipografici) sul vocabolario. Fino ai futuristi e a Dada nella prassi, a Moholy-Nagy e a McLuhan nella teoria, la tipografia veniva vissuta non come una fase storica, repressiva, tecnologicoborghese della comunicazione linguistica, ma quasi il modus naturalis di presentazione, topologicamente definitivo, formalmente finale, del linguaggio letterario-filosofico-scientifico. la pagina stampata di Baudelaire, di Marx, di Freud appariva l’unico correlativo oggettivo possibile dei processi mentali, il solo tipo di statement esistenziale socialmente accettabile. fino a Marinetti, tutta la cultura aveva guardato alla storia della comunicazione scritta, dal morfema astratto preistorico o etnografico, inciso sulla roccia o dipinto su pelle, anche umana, o corteccia d’albero, dal geroglifico/ideogramma egiziano e dal pittogramma precolombiano o amerindiano al codice medioevale europeo o mediorientale, come

57


Thothality ~ Mario Diacono

58

a pure tappe di avvicinamento a quell’optimum di rispecchiamento del behaviour linguistico costituito dalla tipografia rinascimentale, che aveva conosciuto una sola e trascurata contestazione importante nel Coup de dès di Mallarmé. ancora oggi in questo senso, se si concede esistenza letteraria (mai «poetica»…) alle parole in libertà di Zang Tumb Tumb, un rifiuto permane chez nous a decifrare nei tre testi «in libertà» menzionati quanto vi è più palese: l’inizio di una potenzialità presentativa dell’azione poetica comportamento-estetico registrati in tipografia «diretta» (se possiamo chiamare indiretta la tipografia che comunica non se stessa ma un sistema simbolico logico-verbale che gli preesiste). [in direzione parallela, Marinetti già nel ’14-’15 aveva voluto riportare l’azione poetica a una sua fase aurorale, fonico-verbale, integrata in una dimensione tecnologica «rumorista», che sarà primariamente strumentale nello sviluppo della poesia fonetica e di suoni puri dadaista (cfr. Huelsenbeck, En avant Dada, 1920; Hausmann, Courrier Dada, 1958).] un progetto di «poesia» attraverso l’oggetto tipografico e verso il comportamento già definitivo nel manifesto della Cinematografia futurista (1916): «metteremo in moto le parole in libertà che rompono i limiti della letteratura marciando verso la pittura, la musica, l’arte dei rumori e gettando un…ponte tra la parola e l’oggetto reale». Il volumetto dei Mots en liberté futuristes costituisce il vertice ideologico e creativo dell’esplorazione letteraria di Marinetti, che vi condensa i tre manifesti «tecnici» del 1912-’14 (Manifesto tecnico della letteratura futurista con le Risposte alle obiezioni; Distruzione della sintassi, immaginazione senza fili, parole in libertà; Lo splendore geometrico e meccanico delle parole in libertà. Onomatopee astratte e sensibilità numerica). vi risultano accentuate anche le intenzioni di ipersinestesia e asemanticità: nella sezione Rivoluzione tipografica del secondo dei tre manifesti aggiunge la frase «nouvelle conception de la page typographiquement picturale», mentre nel terzo manifesto sostituisce il paragrafo finale della sezione sulle onomatopee con un nuovo paragrafo intitolato La verbalisation abstraite (intesa come l’expression de nos divers états d’âme moyennant des bruits et des sons sans signification précise, spontanément organisés et combinés), concluso con un esempio di «verbalizzazione astratta» tratto dalla tavola Après la Marne, già pubblicata su un volantino nel febbraio 1915 col titolo Montagne + vallate + strade × Joffre («mocastrinar fralingaren donì donì donì» ecc.). C’è da chiedersi perché Marinetti pubblichi la sua summa del paroliberismo, e in francese, proprio in un momento di eclisse quasi totale dell’attività del movimento letterario futurista: nel 1919, egli appare soprattutto impegnato nell’attività politica, in perenne oscillazione tra anarchismo antiborghese e nazionalismo antisocialista,


le parole in autoillustrazioni, connotava una consapevolezza della necessaria conversione della pagina tipografica da spazio metafisico, luogo di convocazione e presentazione di significati logico-verbali, a spazio fisico, tipografia come autosimbolizzazione. da quel momento la pagina stampata iniziava a rimandare a se stessa come oggetto e comportamento, non piÚ rappresentazione meccanica e condizione segnica le cui leggi di esistenza risiedano al di fuori dell’autore.

1971

61


Ungaretti e la parola critica

Nella prefazione all’edizione italiana di Eupalino di Valéry, Ungaretti afferma: «Un poeta necessariamente risolve ogni problema proponendo un’arte poetica». Questa almeno è l’intenzione ch’egli subito, dall’inizio della sua scrittura critica e per cinquant’anni, ha perseguito ogni volta che ha dovuto confrontarsi col compito di definire nell’orizzonte della creatività il proprio testo poetico, quello di altri autori, quello della poesia come attività tecnicomagica permanente e latente nell’uomo, e quello della cultura come immagine di sé proiettata dalle società. Definitorio sempre, infatti, dei “caratteri” (si legga la parola nel suo senso scrittorio, tipografico) della creatività è, al limite, l’atto critico di Ungaretti; la natura di tali “caratteri” viene specificata nell’altra sua affermazione, poco più avanti nel medesimo testo, che «da Valéry stesso s’impara, lo voglia o meno, come l’opera d’arte non possa mai essere altro se non un segno religioso». L’omogeneità e persistenza, la fissità direi, del vocabolario ideologico, del lessico analogico che si accumula negli scritti in prosa di Ungaretti durante un arco di tempo così vistoso, mezzo secolo, permette un’agevole lettura sincronica del suo testo critico secondo le coordinate da lui indicate nella prefazione citata: come un’arte poetica, cioè, fondata sull’iscrizione del segno religioso nell’intenzione metastorica dell’arte, e su quella del segno tecnico-letterario nella prassi storica, infratestuale della poesia. L’implicito sistema critico di Ungaretti appare così un sistema chiuso, nella misura in cui vi si attesta tutta una circolarità di costanti, di temi, di vocaboli tematici ricorrenti. Poiché la costruzione di tale sistema inizia dopo la pubblicazione del Porto Sepolto e di Allegria di Naufragi, ed ha una funzione primaria di commento alla poesia in atto, alla poesia che si va facendo, esso risulta in una lunga difesa e verifica teorica di Sentimento del Tempo e della Terra Promessa. («Innocenza» e «memoria» sono i termini centrali nel testo di Vita d’un uomo / Tutte le poesie, e Innocence et mémoire è il titolo dell’unico volume di saggi pubblicato in vita da Ungaretti, premessa a questo Vita d’un uomo / Saggi e interventi). Un’evoluzione interna ha luogo, tuttavia, nella scrittura critica di Ungaretti. In superficie parrebbe trattarsi più di una riarticolazione di tono, di sintassi che d’una modificazione di parametri critici; ma nella qualità dei testi un cambiamento s’è verificato, dopo che Ungaretti ha per alcuni anni, dal 1937 al 1941, interrotto la critica militante e operato soltanto critica universitaria. Ciò

69


Thothality ~ Mario Diacono

70

ch’è cambiato è meno una nozione generale della letteratura, una determinata prospettiva sulla letteratura occidentale come organismo unitario, che non un modo di lettura della letteratura. Anzi, una vera e propria “lettura” della letteratura come “poesia” definisce il proprio metodo in Ungaretti solo durante la pratica intensiva, da lui fatta all’università, dei testi letterari come manufatti da esplicare, ed esplicitare, nella loro rilevanza storica di forme/significati. Lo stacco è evidente per esempio nei testi su Leopardi: fino al ’36, essi si concentrano soprattutto in uno scavo nello Zibaldone del “pensiero” leopardiano; dopo il ’36, l’impegno di Ungaretti evolve verso un progressivo smontaggio del congegno testuale dei Canti. Ma anche sul valore di questa “lettura” Ungaretti “chiude”, ribadendovi una circolarità di significati interni al proprio discorso. Nel ’64 infatti, presentando un’Antologia dei poeti negri d’America curata da Leone Piccioni, dice di Piccioni, evocando gli anni del proprio insegnamento universitario a Roma: «Io non gli ho insegnato critica, non avrei saputo, ma ho potuto indicargli come si forma un’espressione nel segreto dell’animo d’un poeta a contatto d’un momento storico e dell’universale realtà e d’uno stato della grammatica polemicamente affrontato, seguendo modi intuitivi che oggi chiamiamo di ricerca strutturale. [...] Quei miei suggerimenti d’insegnante [...] si riferivano molto più a testi della mia poesia, da me usati come la più istruttiva cavia, che al lavoro di quei poeti che per dovere d’ufficio commentavo. Era una possibilità unica di paragoni». Già D’Arco Silvio Avalle ha notato, nell’Ungaretti degli anni Venti-Trenta che riflette sulla propria poesia, “qualche preoccupazione di ordine contenutistico” mentre “più tardi le considerazioni formali prendono il sopravvento, il problema della parola si fa più impellente, quasi ossessivo”1. Non credo però sia esatto dire che “la crisi cade grosso modo all’epoca di Sentimento e delle traduzioni”. Essa accade dopo, in Brasile; e non si tratta tanto d’una crisi quanto d’un mutamento di marce intellettuale, parallelo a quel processo d’identificazione sempre maggiore che Ungaretti compie di sé con l’archetipo Petrarca/Leopardi. Le “preoccupazioni di ordine contenutistico” degli anni Venti-Trenta, specialmente quando riferite alla propria poesia, erano per lo più determinate dalla necessità in cui Ungaretti si trovava di ribattere ai critici di stretta osservanza fascista che lo accusavano di solipsismo e d’indifferenza ai problemi sociali2. D’altra parte, se immergendosi nella poesia del Petrarca e in quella di Leopardi Ungaretti accorciava così la sua distanza da essa, se vi si specchiava così unanimemente da scorgervi un riflesso della propria immagine, era anche per attuare un suo esplicito postulato della prassi critica, riconosciutogli ormai da molti, che era quello di non ammettere


silenzio della «parola», mostrano quanto la fedeltà a cinquant’anni di poetica potesse ancora persuaderlo che, al di là dell’afasia storica, al Vecchio Credente la religione iniziale del vocabolo magico farà sempre toccare – donandogli un linguaggio ulteriore, operandogli il «miracolo della poesia» - il «mistero», il «segreto inviolabile», la sua «patria silenziosa».

1974

115


116

1 L’analisi letteraria in Italia, Ricciardi, MilanoNapoli 1970, pp. 24-25.

Thothality ~ Mario Diacono

2 Vedi in particolare Le prime mie poesie [1933], pp. 267-268. 3 Jacques Rivière riabilita il «sentimento», pp. 70-71. 4 Ancora per Mallarmé, p. 210. 5 Di un difetto della critica, p. 182. 6 L’uomo buio, p. 237. 7 Lezione su Manzoni e Platone. Cito dal manoscritto. 8 Lezione del 1943, a Roma, sul tema della solitudine umana in Leopardi. Cito dal manoscritto. 9 Zona di guerra (Vivendo con il popolo) [1918], p. 8. 10 Risposta all’anonimo, pp. 203-204. 11 Il ritorno di Baudelaire [1918], p. 11. 12 Pittura, poesia, e un po’ di strada, p. 23. 13 La doctrine de «Lacerba», p. 41. 14 Considérations sur la littérature italienne moderne, p. 57. 15 Dall’Estetica all’Apocalisse [1926], p.125. 16 Difesa dell’endecasillabo, p. 158. 17 Lautréamont ovverosia Odore di bruciato [1930], p. 249. 18 Punto di mira, p. 295. 19 Influenza di Vico sulle teorie estetiche d’oggi, p. 359. 20 Vedi Vita d’un uomo / Tutte le poesie [1969], p. LXXIX. 21 Discorsetto su Blake [1965], p. 597. 22 Influenza di Vico..., cit., p. 358. Il corsivo è mio. 23 Commemorazione del futurismo [1927], p. 172. 24 L’estetica di Bergson, p. 80. 25 Lezione introduttiva al commento della canzone leopardiana Alla Primavera. Cito dal manoscritto. 26 Lezione sul primo capitolo dei Promessi Sposi. Cito dal manoscritto. 27 Per Mallarmé, p. 207.

28 Esordio [1924], p. 61. Il corsivo è mio. 29 Vedi Accadrà?, in Tutte le poesie [1969], p. 231. 30 Vedi Stato della prosa francese [1926], p. 144: «Togliete all’uomo il desiderio e l’orrore dell’eterno, toglietegli la lotta colla morte, toglietegli l’illusione, mutategli destino, e finisce quel poco di magia che gli resta; l’arte è sparita; è spento quel lumino che l’aiutava a intravedere nel suo abisso [...] Perché l’opera d’arte è realmente uno specchio magico». I corsivi sono miei. 31 Vedi, del primo, il capitolo Religione e magia in Il ramo d’oro (The Golden Bough, A Study in Magic and Religion, 1922) e del secondo il capitolo L’arte della magia e il potere della fede nel saggio Magia, scienza e religione (Magic, Science and Religion, 1925). Per Malinowski, la magia “costituisce metà della sfera del sacro”, e ambedue, magia e religione, “sussistono nell’atmosfera del produrre miracoli”. Ma in cosa consiste esattamente la virtù magica? Essa “sta sempre nel potere contenuto nella Parola”, poiché “l’elemento più importante dell’azione magica è la Parola. La Parola è l’elemento dell’azione magica che è occulto, trasmesso per filiazione magica”. “Il rito” infatti “ha il suo centro nell’emissione della Parola. La formula magica costituisce sempre il cuore della cerimonia magica”. Lo studio di testi e formule magiche dei popoli “primitivi”, dice Malinowski, rivela l’esistenza di tre elementi tipici, costantemente associati al credere nell’efficacia della magia. Il primo consiste negli “effetti fonetici”, i quali sono “imitazioni di suoni naturali” che “simboleggiano determinati fenomeni, e si crede perciò che vengano prodotti magicamente”, oppure “esprimono determinati stati emotivi collegati al desiderio, che deve avere una sua realizzazione per mezzo dell’azione magica”; il secondo è dato dall’uso “di parole che invocano, nominano o ordinano lo scopo desiderato”; il terzo, sono “le allusioni mitologiche, i riferimenti agli antenati e agli eroi culturali da cui il potere magico è stato ricevuto”. Elementi fondatori tutti e produttori di tipi di linguaggio dotato di poteri superiori ma legato alla natura, alla vita iniziale e a


quella futura, portatore dunque, a suo modo, di innocenza e memoria. 32 La rinomanza di Paul Valéry, p. 101. 33 Freud e il freudismo, «Lo Spettatore italiano», Roma, a. I, n. 11, 15 ottobre 1924, pp. 384-388.

Leopardi]. Cito dal manoscritto. 58 Lezione cit. sul tema della solitudine umana in Leopardi. I corsivi sono miei. 59 Lezione cit. Rapporto con il Petrarca ...

34 Sottigliezza poetica di Reverdy, p. 75.

60 Lezione Indole dell’Italiano. Cito dal manoscritto.

35 Freud e il freudismo, cit.

61 Góngora al lume d’oggi, cit., p. 550.

36 Il nuovo mago, «Il Tevere», Roma, 20-21 marzo 1929.

62 Punto di mira, cit., p. 295.

37 Lezione cit. introduttiva al commento della canzone di Leopardi Alla Primavera.

63 Indefinibile aspirazione [1947/55], p. 746. I corsivi sono miei. 64 Ragioni di una poesia [1949], p. 759.

38 André Breton, p. 659.

65 Innocenza e memoria [I], p. 130.

39 Lezione su memoria, sogno e immaginazione in Leopardi, del 1946-47. Cito dal manoscritto.

66 Lezione del 1937 o ’38 sul personaggio di Don Abbondio. Cito dal manoscritto.

40 Influenza di Vico sulle teorie estetiche d’oggi, p. 361.

68 Innocenza e memoria [I], p. 131.

41 vedi pp. 642 e 643. 42 Dalle «Lezioni su Leopardi: Sul frammento Spento il diurno raggio in occidente», «Galleria», a. XVIII, n. 46, luglio-dicembre 1968, pp. 178-189 (fascicolo dedicato a Ungaretti, per il suo 80° compleanno, a cura di Ornella Sobrero).

67 Innocenza e memoria [II], p. 134. 69 Naufragio senza fine, pp. 265-266. 70 Poesia e civiltà, p. 319. 71 Lezione del ’46-’47 sul frammento leopardiano Spento il diurno raggio in occidente. Cito dal manoscritto. Si tratta di una lezione successiva a quella indicata nella nota 42.

43 Ibidem, p. 189.

72 Ibidem.

44 Lezione sul frammento leopardiano Io qui vagando al limitare intorno, probabilmente del ’47. Cito dal manoscritto.

73 Sulla «Fedra» di Racine [1950], p. 583.

45 Perché scrivete voi? [1930], p. 234.

75 Lezione cit. introduttiva al commento di Alla Primavera.

46 La rinomanza di Paul Valéry [1926], p. 103. 47 Va citato Leopardi per Valéry?, p. 110. 48 Discorso per Valéry, pp. 631-632. 49 Barbe finte [1926], p. 121. 50 L’artista nella società moderna [1953], p. 866. 51 Lezione sul Cinque maggio, del 1937 o ’38. Cito dal manoscritto. 52 Arte, affari e abracadabra [1928], p. 178. 53 Secondo discorso su Leopardi [1950], p. 485. 54 L’artista nella società moderna, cit., p. 856. 55 Góngora al lume d’oggi [1951], p. 544. 56 Discorsetto su Blake, cit., p. 597. 57 Lezione del 1943 Rapporto con il Petrarca, e introduzione al commento dell’«Angelo Mai» [di

74 Lezione, del 1937, sulla vita di Iacopone da Todi. Cito dal manoscritto.

76 Lezione sullo stile dei Canti. Cito dal ms. inedito. 77 Definizione dell’Umanesimo, lezione pubblicata (postuma) in «L’Approdo Letterario», n. 57, marzo 1972, pp. 64-74. (I corsivi sono miei.) La data che ho indicato nella nota al testo, nell’«Approdo», è erronea. Il riferimento che vi è fatto alla recente morte di G.K. Chesterton (1936), infatti, indicherebbe che anche questa lezione è del 1937. 78 Il poeta dell’oblio [1943], p. 413. 79 Le prime mie poesie, p. 269. 80 Tutte le poesie, pp. LXXVII-LXXVIII. 81 Influenza di Vico sulle teorie estetiche d’oggi, cit., p. 352.

117


118

82 Commemorazione di Gabriele D’Annunzio letta in Brasile nel 1938. Cito dal manoscritto.

Thothality ~ Mario Diacono

83 Ibidem. Il corsivo è mio.

unico Idee del Leopardi sulla crisi del linguaggio e sulla lingua, in «Civiltà delle Macchine», a. XIX, n. 3-4, maggio-agosto 1971, pp. 19-26.

87 Ibidem.

107 Lezione Idee del Leopardi intorno ad usi della lingua, e prime indicazioni sulla metrica delle Canzoni e sul rapporto col Petrarca, del 1943. Come accennato nella nota precedente, essa costituisce la seconda parte dello scritto apparso postumo in «Civiltà delle Macchine» Idee del Leopardi ecc.

88 Influenza di Vico..., cit., p. 345.

108 Ibidem.

89 Lezione Dante e Virgilio [1938]. Cito dal manoscritto italiano. Una versione francese della lezione è inclusa in Innocence et mémoire, Gallimard, Paris 1969, pp. 7-24.

109 Lezione cit. (II) sul frammento Spento il diurno raggio in occidente.

90 Ibidem.

111 Lezione cit. su L’infinito e Il sogno.

91 Lezione cit. Rapporto con il Petrarca...

112 Ibidem.

92 Ibidem.

113 Secondo discorso su Leopardi, cit., pp. 470471.

84 Influenza di Vico..., cit., p. 350. 85 Testo della conferenza Le origini del Romanticismo italiano, in «Fanfulla», San Paolo del Brasile, 11 maggio 1941, pp. 4-5. 86 Ibidem.

93 Lezione, del 1946 o ’47, Sulla metrica del Leopardi. Cito dal manoscritto.

110 Lezione cit. apparsa in «Galleria», 1968, p. 189.

114 Difficoltà della poesia [1952-63], p. 810.

94 Lezione cit. introduttiva al commento di Alla Primavera.

115 Ibidem, p. 808.

95 Commento al Canto Primo dell’«Inferno» [1951], p. 369.

117 Ibidem, p. 811.

96 Lezione sulla poesia di Iacopone, del 1937. Cito dal manoscritto. 97 Ibidem. 98 Lezione, del ’37, sull’idea del tempo e il valore della memoria in Petrarca. Cito dal manoscritto.

116 Ibidem, pp. 810-811. 118 Secondo discorso su Leopardi, cit., p. 471. 119 Magistero di Pierre Jean Jouve [1957], p. 653. 120 Góngora al lume d’oggi, cit., p. 530. 121 Lezione cit. su Leopardi e il sentimento della Decadenza. Vedi nota 106.

99 Lezione su L’infinito e Il sogno di Leopardi, del ’46-’47. Cito dal manoscritto.

122 Influenza di Vico..., cit., p. 360.

100 Lezione del ’37 Sul sonetto del Petrarca Quand’io son tutto volto in quella parte. Cito dal manoscritto.

124 Delle parole estranee e del sogno d’un universo di Michaux e forse anche mio [1966], pp. 842-844.

101 Ibidem. 102 Il poeta dell’oblio, cit., p. 402. 103 Ibidem, p. 410. 104 Ibidem, p. 408. 105 Commento al Canto Primo dell’«Inferno», cit., p. 386. 106 Lezione sul sentimento della Decadenza in Leopardi, del 1943. Questa lezione venne pubblicata postuma, insieme all’altra Idee del Leopardi... indicata nella nota 107, col titolo

123 Riflessioni sullo stile [1946], pp. 725-726.


119


Thothality ~ Mario Diacono

120


121


Thothality ~ Mario Diacono

122


123


Thothality ~ Mario Diacono

128


129


Thothality ~ Mario Diacono

142


143


Thothality ~ Mario Diacono

144


145


Thothality ~ Mario Diacono

152




Yeats e la profesia

William Butler Yeats IL SECONDO AVVENTO Roteando in cerchi sempre più larghi il falcone ormai non sente più il falconiere. Tutto crolla – il centro non resiste. Pura anarchia si scatena sul mondo e la marea dilaga, insanguinata: annegano ovunque i riti d’innocenza. I migliori mancano di convinzioni ma i peggiori, loro invece sono pieni di appassionata intensità. Certo, una rivelazione s’avvicina, certo s’avvicina il Secondo Avvento. “Il Secondo Avvento!”: appena pronunciate le parole, ecco che un’Imago immensa suscitata dallo Spiritus Mundi angoscia la vista: in qualche luogo, sopra la sabbia del deserto, una forma dal corpo di leone e la testa d’uomo lo sguardo vuoto spietato come il sole muove lenta le zampe, mentre intorno múlinano, ombre indignate, gli uccelli del deserto. Si rifà buio. Ma ora so che venti secoli di un sonno di sasso si stavano agitando in un incubo da culla: quale bestia feroce, finalmente giunta la sua ora, va caracollando verso Betlemme, verso il luogo della sua nascita? 1920

157


MERU

Thothality ~ Mario Diacono

158

La civiltà: ciò che la tiene insieme, sotto un governo e un’apparenza di pace, è una molteplice illusione. Ma la vita dell’uomo è il pensiero – l’uomo non cessa di predare, secolo dopo secolo, di predare infierire sradicare, malgrado il suo terrore di cadere nella desolazione della realtà: Egitto e Grecia addio, e addio, Roma! Gli eremiti, sul Monte Meru o sull’Everest, sepolti nelle caverne della notte da cumuli di neve, o là dove il gelo e l’orribile vento dell’inverno sferzano i loro corpi nudi, loro sanno che il giorno porta con sé la notte, che prima dell’alba sono già polvere la gloria dell’uomo e i monumenti. 1934

Per molti di noi, Yeats è solo il testo (non letto o mal letto) di passaggio tra la poesia romantica inglese e la poesia irrinunciabile del Novecento, Eliot/Pound. Sweet Thames, run softly, till I end my song1. Perché questa ‘sfortuna’ di Yeats, fuori del mondo anglosassone? Imputarla alle sua simpatie per la ‘destra’ impossibile, perché allora come spiegare la ‘fortuna’ di Pound e di Céline? Per Yeats, c’era forse l’aggravante di una ‘scrittura di destra’ che ribadiva ‘idee di destra’, mentre Pound e Céline hanno una ‘scrittura di sinistra’? In realtà la ‘destra’ di Yeats, se c’era, affiorava più che altro nel privato, nella corrispondenza e nei discorsi, a livello politico; a livello culturale, invece, veniva considerato ‘di destra’ il suo profondo coinvolgimento nell’occultismo. Non dò qui la bibliografia sull’argomento, parlo di uno stato d’animo. Da noi, la persistenza del ‘razionalismo’ controriformista prima, e l’insorgenza di quello marxista dopo, che si è saldato al primo senza soluzione di continuità, hanno avuto effetti decisamente repressivi sulla cultura dell’occultismo, favoriti


magari dall’esistenza di personaggi come Julius Evola, che ci appare comunque il primo vero pittore ‘astratto’ italiano, e il cui La tradizione ermetica del 1931 rimane il primo, importante studio sull’alchimia che sia apparso in Italia nel ventesimo secolo. Ora, accade che quegli interessi strutturali di Yeats: l’occulto, il visionario, ci paiono (ri)diventati straordinariamente prossimi, mentre il suo linguaggio continua ad apparirci rimasto impermeabile alle rotture dell’Avanguardia. EppureYeats ha una scrittura poetica moderna, quando scarta dal suo forsennato autobiografismo epocale (Maud Gonne che per quarant’anni condiziona l’orientamento dei suoi pensieri, come un’irreprensibile Beatrice: Or else I thought her supernatural2, mentre lui si guarda diventare vecchio, e dibatte l’impossibilità di fuga dalla morte fisica del proprio ‘io’), quando si libera del suo imperterrito gaelismo accettando la meditazione disperata sulla fine della storia cristiana. Yeats ha capito attraverso Nietzsche (Athenae takes Achilles by the hair, / Hector is in the dust, Nietzsche is born, / Because the hero’s crescent is the twelfth3) di vivere già una storia post-cristiana, e la sua poesia/ religione dell’occulto è l’evidente risposta dall’interno del ‘sacro’ alla sentenza hegeliana/nietzschiana ‘Dio è morto’. Ma quella scrittura non è incrinata da una pratica ironica, sovversiva del linguaggio, e proprio per questo ha portato una parte importante della critica anglosassone a ipervalutare la poesia di Yeats nei confronti di quella dell’Avanguardia, la quale, vista come un fenomeno sradicato dalla Grande Tradizione Romantica, è perciò stesso pensata marginale al Discorso Poetico. Malgrado per noi sia ovviamente essenziale il contrario, nel giudizio sulla poesia del Novecento, cioè che la sua grandezza sta non nell’integrità discorsiva della scrittura ma nella problematizzazione critico-psichica del linguaggio, l’eccezionale pregnanza della tematica di Yeats ci fa riconoscere nel suo testo poetico, perlomeno a partire dal 1914, come in quello di Kavafis, un’autenticità contemporanea. La fissazione della forma a una scrittura pre-d’avanguardia non lo relega a una presenza anacronistica, come accade al suo coetaneo D’Annunzio, la cui ‘poesia’ non è mai entrata nel Novecento, nonostante l’enorme pesantezza sul proprio tempo della sua figura letteraria, fino alla fine degli anni Venti. Nello stesso anno 1938, pochi mesi prima di morire, Yeats scrive due poesie tematicamente antitetiche, Politics, un breve testo di 12 versi, e Under Ben Bulben, un lungo testo/testamento che si chiude con la dettatura del proprio epitaffio: due testi in cui l’alternanza tra un modo romantico-popolare di enunciare l’esperienza e un modo metafisico sancisce la fondamentale indifferenza di Yeats non alla Crisi ma al Linguaggio della Crisi. In Politics,

159


Thothality ~ Mario Diacono

162

all’Ordine della Golden Dawn di MacGregor Mathers (diventato poi Rosae Rubae et Aureae Crucis), a una investigazione più ‘fisica’ di un possibile rapporto con l’invisibile, con il supernatural, effettuata attraverso contatti ed esperienze con persone dotate di qualità medianiche. Nell’accezione di Yeats di ‘visione’, la valenza del termine mutuato dalla poesia di William Blake si fonde con quella associata alle pratiche spiritiche che, a partire dagli anni Dieci, tendono ad assorbire tutta la sua militanza esoterica. Ma mentre in A Vision, la ‘visione’ espone una metafisica, anzi una metapsicologia che incertamente ambisce alle dimensioni dell’ideologia e della poetica, istituendo nel Novecento un modello ‘ermetico’ di descrizione intellettuale del mondo coscienziale, antagonistico dunque a quelli di Freud e Jung, nella poesia di Yeats successiva al 1917 (l’anno della Rivoluzione bolscevica, alla quale lo scrittore reagisce con estrema difensività) la ‘visione’ diventa il culmine supernaturale della coscienza da cui e attraverso cui interpretare i segnali di metamorfosi storica a cui il poeta ritiene di assistere: Where got I that truth? / Out of a medium’s mouth, / Out of nothing it came, / Out of the forest loam, / Out of dark night where lay, / The crowns of Niniveh13. Tuttavia, anche se le immagini-visione entrano in forza nel suo testo dopo l’immersione nell’esperienza spiritistica, e dopo il passaggio da lui definito ‘da una poesia per l’occhio a una poesia per l’orecchio’ (la prima in quanto funzionale a un’immagine vista come in sogno, di tipo cioè allucinatorio, la seconda funzionale a un’immagine auditiva, che arriva attraverso la voce dei communicators supernaturali), le ‘visioni’ hanno sempre, quando sono all’origine di un testo poetico, quello specifico carattere figurale che le associa alle evocazioni, ai dreams delle sue esperienze all’epoca della militanza nella Golden Dawn. Cosa vede nel suo vedere-oltre l’occhio mentale diYeats? Come già accennato, vede il pianeta desolato dalla morte di Dio, o meglio, dalla morte di Cristo, percorso da premonizioni di un’ulteriore rivelazione/ rivoluzione, dagli incerti connotati d’un fervore magico-religioso e del terrore antropologico-politico. In The Double Vision of Michael Robartes (1919) il mito/immagine della poesia/ profezia già assume le fattezze della Sfinge, non quella iniziatrice di civiltà con Edipo, ma quella che nel deserto sovrasta come emblema/fantasma massimo di una storia estinta: On the grey rock of Cashel the mind’s eye / Has called up the cold spirits ... / On the grey rock of Cashel I suddenly saw / A Sphinx with woman breast and lion paw ... / Although I saw it all in the mind’s eye / There can be nothing solider till I die14. È la ‘bestia feroce’ del Secondo Avvento, che Yeats teme di veder nascere al dominio (secondo Harold Bloom, dai primi abbozzi


della poesia trasparirebbe ch’egli aveva avuto in mente all’inizio la Rivoluzione sovietica) – every natural victory / Belongs to beast or demon ...15 – con l’ambigua consapevolezza di chi non può opporsi al corso degli eventi, anche se negativo: I saw a staring virgin stand / Where holy Dionysus died ... / And then did all the Muses sing / of Magnus Annus at the spring ... / Another Troy must rise and set16. Il ricorso qui alla ‘visione’ proposta nella IV Ecloga, all’inizio dell’era cristiana, dal ‘mago’ Virgilio, indica in qualche modo il superamento in Yeats della ‘visione del mondo’ come necessariamente Male (che Bloom definisce per questo gnostica), e un concentrarsi invece del poeta nell’immagine del supernaturale: being dead, we rise, / Dream and so create / Translunar Paradise17. Avendo ormai sotto controllo le immagini naturali, ‘demoniche’ (The abstract joy, / The half-read wisdom of daemonic images, / Suffice the ageing man as once the growing boy18), il supernaturalista ricerca ora il suo anti-self metastorico: I’m looking for the face I had / Before the world was made19. Il suo dialogare ha sempre più come interlocutore il mondo degli ‘spiriti’: Before me floats an image, man or shade, / Shade more than man, more image than a shade ... / A mouth that has no moisture and no breath / Breathless mouths may summon; / I hail the superhuman; / I call it death-in-life and life-in-death20. Gli ‘spiriti’ sono divenuti il luogo dell’ispirazione poetica, e solo l’arte può rappresentarli: Let images of basalt, black, immovable, / Chiselled in Egypt, or ovoids of bright steel / Hammered and polished by Brancusi’s hand, / Represent spirits21. L’astrazione contemporanea ripete a un punto più alto della spirale dei simboli e delle rivelazioni quella della civiltà della Sfinge; del resto, tra il mondo della vita e lo spazio della morte, tra i cicli della storia passata e di quella prossima, è tutto un gioco di rispecchiamenti: Natural and supernatural with the self-same ring are wed ... / For things below are copies, the Great Smaragdine Tablet said. / Yet all must copy copies...22 Uno statement ribadito pochi mesi prima di morire, con straordinaria ironia, sulla incolmabile separatezza tra la ricerca e l’oggetto della ricerca: knowledge increases unreality ... / Mirror on mirror mirrored is all the show23.

1982

163


Thothality ~ Mario Diacono

164

1 “Scorri senza rumore, dolce Tamigi, / finché termino il canto”, T.S. Eliot, The Waste Land (1922), v.176.

fissi, nella speranza / di scoprire ancora, / insoddisfatti del tumulto sul Calvario, / il mistero incontrollabile della terra bestiale”.

2 “O forse l’ho creduta soprannaturale”, A Bronze Head (1938).

12 “Mi sono fatto un mantello / ... di vecchie mitologie / ... se lo prendano pure, / c’è più gusto / a camminare nudi”.

3 “Atena afferra Achille per i capelli, / Ettore morde la polvere, / Nietzsche è nato, / poiché è la dodicesima / la fase lunare dell’eroe”, The Phases of the Moon (1919). 4 “Come potrei, guardando quella ragazza, / pensare alla politica di Roma / o di Mosca / o a quella spagnola? / … sarà vero quello che si dice, / della guerra, dei segnali di guerra, / ma: potessi essere ancora giovane / e stringerla nelle mie braccia!” 5 “Tante volte l’uomo vive e muore / tra le sue due eternità, / quella della sua gente e quella dell’anima, / l’antica Irlanda lo sapeva bene. / … prova che c’è uno scopo / al lavorio segreto della mente: / il lento profano / perfezionarsi umano”. 6 “Lo stile è frutto di lungo lavoro / sedentario e dell’imitazione / dei maestri”. 7 “Con l’aiuto di un’immagine / faccio appello mio contrario … / Perché non cerco un libro ma un’immagine … / Mi rivolgo all’essere misterioso / che ha da percorrere la sabbia bagnata / lungo la corrente del fiume, / e sempre più mi somiglia, perch’è infatti / il mio doppio, e di tutto ciò ch’è immaginabile / la cosa più improbabile, essendo il mio anti-io, / che stando accanto a questi segni svelerà / cos’è che cerco”. 8 “Quando la luna è piena ... / con l’occhio della mente fisso / su immagini che furono un tempo pensate; / poiché immagini distinte, perfette ed immutabili / possono rompere la solitudine / di occhi dolci, soddisfatti, indifferenti”. 9 “Poeti da cui ho imparato il mestiere”, The Grey Rock (1913).

13 “Da dove ho preso questa verità? / Dalla bocca di un medium, / venne fuori dal nulla, / dal folto della foresta, / dalla notte buia in cui affondano / le corone di Ninive”, Fragments (1933). 14 “Sulla roccia grigia di Cashel, l’occhio della mente / ha invocato il gelo degli spiriti ... / Sulla roccia grigia di Cashel a un tratto vidi / una Sfinge dal petto di donna e zampe di leone ... / Benché vedessi tutto con l’occhio della mente / finché muoio non vedrò niente di più fisico”. 15 “ogni vittoria naturale / spetta al démone o alla bestia”, Demon and Beast (1920). Questa poesia fu scritta due mesi prima di The Second Coming (Il Secondo Avvento) e pubblicata insieme ad essa in The Dial, novembre 1920. 16 “Vidi una vergine guardare fissa / là dov’è morto il sacro Dioniso ... / Poi tutte le Muse cantarono / d’un Magnus Annus presso la sorgente ... / Un’altra Troia dovrà sorgere e tramontare”, Two Songs from a Play (1927). 17 “una volta morti risorgiamo, / sogniamo, e così creiamo / un Paradiso Translunare”, The Tower (1927). 18 “La gioia astratta, / la saggezza malcompresa di immagini demoniche / bastano al vecchio come un tempo al giovane”, Meditations in Time of Civil War, VII (1923). 19 “Sto cercando il viso che avevo / prima che nascesse il mondo”, Before the World was made (1929).

10 Cfr. Laurence W. Fennelly, W.B. Yeats and S.L. MacGregor Mathers, in Yeats and the Occult, edited by G.M. Harper, Macmillan, London, 1975, pp. 285-306.

20 “Davanti a me fluttua un’immagine, / uomo o ombra, più ombra che uomo, / più immagine che ombra ... / una bocca senza saliva né respiro / può invocare bocche ansimanti; / saluto il sovrumano; / lo chiamo morte-in-vita / e vita-in-morte”, Byzanthium (1932).

11 “Ora posso vedere come sempre / con l’occhio della mente ... / quei pallidi insoddisfatti / ... con gli occhi sempre

21 “Figure di basalto, nere, immobili / scolpite in Egitto, od ovoidi d’acciaio martellato / e lucidato dalla mano di Brancusi /


rappresentino gli spiriti”, The Words upon the Window-Pane (1934). 22 “Naturale e sovrannaturale sono uniti / dal medesimo anello ... / Poiché ciò che è in basso è una copia, / dice la Tavola Smeraldina. / Ma tutti devono copiare copie”, Supernatural Songs, II Ribh denounces Patrick (1934). 23 “il sapere aumenta l’irrealtà... / Specchio su specchio specchiato, / è tutto lo spettacolo”, The Statues (1938).

165


IV



Il linguaggio della magia, la magia del linguaggio

Una res est a deo creata, [...] a nullis suo proprio nomine expressa, sed innumeris figuris et aenigmatibus velata, sine qua neque Alchymia, neque naturalis magia, suum completum possunt attingere finem. Agrippa di Nettesheim, De Occulta Philosophia, 1533, p. CIII1

Sono stati l’espansionismo iconografico dell’immaginario surrealista da un lato, e l’ideologismo psicologico di Jung dall’altro, che hanno reimmesso nella circolazione culturale, durante la prima metà del Novecento, la componente figurale che aveva accompagnato ed esaltato la letteratura hermetica tra il basso Medioevo e l’età illuminista. Ma sia per i surrealisti che per Jung, le sorprendenti immagini che emergevano dai riscoperti libri e manoscritti di alchimia diventavano, nella loro opacità o alterità semantica, un repertorio visuale “muto” sul quale progettare entusiasticamente degli astorici contenuti letterari o psicopoietici. Di fatto, le strutture interpretative dell’iconografia magica/alchemica erano quasi del tutto sparite dai radar intellettuali dell’Europa (eccettuato cioè il milieu occultista parigino di fine Ottocento) nel periodo tra la Rivoluzione francese del 1789 e quella russa del 1917. Solo con l’avvento delle investigazioni iconologiche svolte dagli studiosi operanti a contatto del Warburg Institute i significati sepolti nelle immagini, le quali costituiscono il luogo di più intenso sviluppo espressivo, e allo stesso tempo di maggiore impenetrabilità, del discorso magico/alchemico, sono cominciati a diventare leggibili. Ma tranne che per i logogrammi di Ramón Lullo, che istituiscono una forma essenziale di enunciazione pre- o para-magica, l’attenzione conoscitiva si è concentrata soprattutto sulla scrittura espositiva o sulle immagini iperfigurali che compaiono nei testi manoscritti o a stampa. Marginalmente espresso, o inespresso, è rimasto invece spesso il valore della scrittura diagrammatica che in molti testi ricorre con topica frequenza, e con una funzione non illustrativa ma ideografica: come un ipertesto che scavalca e trascende la trasparenza del discorso, e allo stesso tempo vi inscrive istanze semantiche impronunciabili da una normale presentazione figurale. Certamente non si può parlare di “poesia figurata” per i testi non lineari che sono contenuti nei libri hermetici. Nelle tavole magiche o alchemiche, si tratta sempre di una ideografia philosophica, non di una scrittura poetica. La parola vi agisce come un’estensione della cosmopoiesi grafica, la sua tensione/intenzione è mi(s)tica/religiosa piuttosto che letteraria.

169


Thothality ~ Mario Diacono

170

Detto questo, si può tuttavia proporre che la scrittura spazializzata dei testi magici/alchemici 1490-1790 sia assonante con la dimensione sperimentale dei testi verbo-visivi contemporanei (diciamo 1955-1975), i quali hanno evoluto le forme calligrammatiche della poesia d’avanguardia (1910-1940) in una pura geometrizzazione o espressività astratta del dire poetico. La data “1490” indica soltanto che, mentre una parte importante delle immagini hermetiche pubblicate tra il 1480 e il 1580 sono traduzioni grafiche dai manoscritti dei secoli XIII-XV, le ideografie nate in quei due secoli le assumiamo qui nelle forme in cui sono apparse nei libri a stampa, poiché è lì che esse costituiscono l’inizio di quella modalità/modernità di scrittura che presumiamo stia arrivando oggi al proprio compimento. In De Coelo et Mundo Alberto Magno scriveva, intorno alla metà del Duecento, che la “forma sphaerica est nobilior omnibus formis sive figuris corporalibus, propter sui capacitatem et interminabilitatem non habet enim principium neque finem [...] igitur coelum est sphaericum sive rotundum”2. È certo per l’archetipicità di tale nozione che il cerchio ha costituito la forma dominante di enunciazione della scrittura magica. Essendo poi la figura dei sette/nove cerchi concentrici, denotanti le supposte sfere celesti entro cui compivano la propria rivoluzione intorno alla Terra i pianeti e le costellazioni zodiacali, lo schema più antico di rappresentazione del Cosmo in Occidente, era forse inevitabile che Lullo costruisse, una generazione dopo la sentenza apodittica di Alberto Magno, proprio intorno all’immagine del cerchio la sua Ars combinatoria. L’Ars lulliana doveva poi, con una sua logica storica, diventare a sua volta l’archetipo concettuale che avrebbe permesso a Cornelio Agrippa e Giordano Bruno di storicizzare il loro proprio pensiero magico. Il termine Ars (usato più tardi anche per designare l’alchimia) indica insieme la techne ed il processo intuitivo/formale che, non indissociabili, rendano possibile a un operatore il raggiungimento di risultati più vicini alla creazione che non alla semplice factura. Nell’esposizione/compendio fatta da Bernardo de Lavinheta della Practica compendiosa artis Raymundi Lulli (1523), la figura basilare di tale Ars consiste in un cerchio logografico che, anziché contenere i nove anelli concentrici Primo Mobile/stelle fisse/pianeti, presenta inizialmente un unico anello diviso in nove sezioni marcate con le lettere BCDEFGHIK, le quali denotano i nove principi o Dignitates designanti i fondamenti dell’esistenza/linguaggio. Le nove lettere di questo alfabeto di simboli stanno rispettivamente per Bonitas/Magnitudo/ Duratio/ Potestas/Sapientia/Voluntas/Virtus/Veritas/Gloria, termini e concetti la cui affinità con le nove sefirot della qabbalah non è sfuggita a nessuno


Occasioni di scrittura

Nei centocinquanta testi.monemi di lettura/critique di schegge epocali o scrementali di letteratura/società italiane, dalla poesia figurata tardoantica alla poesia visuale tardomodernista, che Stelio Maria Martini ha raccolto prima in Tigri e Filtri (Morra, 2001), poi in Dove comincia il senso (Morra, 2005), il necessario contesto/subtesto che vi funziona da referente, mai esplicitato ma invisibilmente, incessantemente interlineato al discorso riflessivo, è quello della sua scrittura avanzata (meta- o post-scrittura), da Schemi (1962) e Neurosentimental (1963) a Formulazioni non-A (1964). Martini tiene in corpo, in mente un’idea precisa di letteratura/scrittura quando legge e poi glossa quello che il mercato o la storia del libro, che non si perdono mai troppo di vista, gli propongono o ci ricordano – un’idea fondata sul progetto di lavoro diffuso nelle frange più radicali della sua generazione (che le rendeva così in qualche modo coesive). Cioè che la letteratura stia vivendo un’«epocale caduta del logos», il quale r’esiste soltanto in trincee dove, e per il tempo in cui, esso riesce a sottrarsi al sistema mediacratico della cultura accorpata all’industria. Il logos di Martini non è ovviamente di aura o area ontologica, referenziando più la grecità sacrale di Emilio Villa che quella ipersofica di Martin Heidegger, e tuttavia sfugge a una precisa definizione lessicale: è infatti un termine metacritico il quale, facendo leva sulla portata allusiva di Verbum e Parola, i suoi corrispondenti concettuali e storicamente successivi, agisce come un ideo-gramma. Esso segnala, ‘segnifica’, una Letteratura che, da articolazione verbale/intellettuale del mondo, lentamente (cioè: con la nascita delle società e culture di massa dopo le due Guerre Mondiali) si è diluita in tautologia del parlare sociale dominante, cessando di mettere in questione il suo essere un iperlinguaggio. In una tale prospettiva, il processo e la forma attraverso cui la Letteratura si rivelava Luogo del Logos era la Scrittura, sicché oggi essi, la Scrittura/ Logos, possono venire percepiti soltanto attraverso l’evocazione della loro assenza, eventualmente del loro esilio. È il bisogno di (ri)visitare l’esperienza della Letteratura attraverso una verifica della sua mancanza che (ri)porta costantemente Martini all’esperimento della lettura, la quale non può essere dunque altro che lettura di un libro o di un testo consumati, non di un’Opera o di un’Oeuvre. Il che priva di necessità, come corollario, la pratica stessa d’una “critica letteraria”. Oggi, stiamo partendo dall’ipotesi di metodo che costituirebbe un oxymoron dire che si discute di “letteratura contemporanea”:

191


Thothality ~ Mario Diacono

192

essendosi la Letteratura sicuramente svuotata di essere dagli anni Settanta del Novecento (si potrebbe azzardare sul suo cenotafio fluttuante la data sintomatica 1968?), ed essendosi la contemporaneità da allora essenzialmente dedicata al mero sostenimento sociale dei cicli di produzione editoriale e di consumo culturale/mercantile. La linea invisibile che segna e segnala la caduta da Letteratura a comunicazione, e che Dove comincia il senso si sforza di rendere visibile al microscopio della lettura, Martini la designa come un confine di scrittura, dove la costruzione del senso lentamente si spegne e finisce, e in suo luogo s’instaura la semplice produzione di significati. [La polarità di senso - «unico elemento in base al quale pretende di essere considerato il lavoro d’un artista» - e significato - che è «univoco e può anche non esserci mentre il senso è ineliminabile, c’è sempre, nelle parole come nelle immagini» (“La parola secondo il senso”, in Tigri e Filtri, pagg. 15-16), è un leitmotiv (im)portante nell’idioletto di Martini, anche se questo possa talvolta apparire instabile. Altrove infatti (“Il pullulare degli Omeri”, pagg. 24/26), Martini afferma che «l’attività verbale si ritrova oggi come colta di sorpresa dal crollo e dal travolgimento irrimediabile del verbum, il quale è tornato alla semplice funzione di produttore di senso, al pari di qualsiasi altra cosa», mentre «se uno scritto come il presente fosse stato prodotto quando erano in auge i significati, esso avrebbe provocato quanto meno una tempesta (verbale)»]. Per avanzare dunque una tale consapevolezza, egli ha dovuto abbandonare ogni pretesa di ‘critica letteraria’ e di ‘saggistica’, praticando invece un puntuale, para-leopardiano, ribaldo zibaldone, un ribaldone in cui, anziché delineare il processo d’una costruzione letteraria, deve svolgerne invece uno di decostruzione ironica, dove l’ironia è però flessibile, muovendosi costantemente tra l’elegia e il sarcasmo. Lo scarto essenziale che s’è stabilito tra la produzione del senso, ormai inaccessibile alla scrittura, e la letteralità del significato che vi si è invece insediata, poteva essere annullato dal progetto r’esistenziale d’una scrittura ipersemantica di prosa e poesia d’avanguardia, però solo temporaneamente, perché il carattere specifico dell’autentica opera d’avanguardia è appunto la sua resistenza alla, e la sua inassimilabilità dalla, koiné linguistica/formale, borghese o proletaria che fosse: la radicalità espressiva o trasgressiva del sociale che la connota, infatti, la chiude all’introiezione di chi scrive, o produce, per l’editoria, la esclude dalle modalità particolari e generali di diffusione dei significati nella cultura di mercato. La scrittura d’avanguardia aveva costituito l’ultima possibile tensione al Logos-Verbum-Parola nella letteratura, e per la sua specifica inas.sociabilità non poteva dunque generare un proprio rispecchiamento critico.



Bibliografia

I.

II.

Quarta generazione, in Incontri, Roma, anno

la tesi Sadica di uomo subpremo, in

II numero 11-12, novembre-dicembre 1954

Quaderno, Napoli, numero 1, gennaio-

Una lunga Arte Poetica in atto, in

febbraio 1962

Letteratura, Firenze/Roma, numero 35-36,

quaderno, in Quaderno, Napoli, numero 2,

dedicato a Giuseppe Ungaretti, settembre-

marzo-aprile 1962, pag. 1 (non firmato)

dicembre 1958

petit tractatus periegeta scholion al “de

Il peccato e la grazia, in Tempo presente,

taunatologia hominis”, in Quaderno, Napoli,

Roma, anno III numero 9-10, settembre-

numero 2, marzo-aprile 1962

ottobre 1958 Gli ideologi di “Officina”, in Tempo presente, Roma, anno III numero 5, maggio 1958 La ribellione giovanile, in Tempo presente, anno IV numero 3, marzo 1959 Poesia italiana contemporanea, in Italia domani, Roma, numero 52, dicembre 1959 Partecipazione di “Malraux”, in Tempo presente, Roma, anno III numero 8, agosto 1958 Beckett, il nonsenso della realtà, in Il Caffè,

EX, in EX 1, Roma, giugno 1963 GROWJERA (SURcenSURE), in EX 2, Roma, 1964 Totem étranglé (gl’Ossa a Antonin Artaud), in EX 2, Roma, 1964 EX it, in EX 3, Roma, 1965 Livelli di scrittura, in Linea Sud, Napoli, numero 2, aprile 1965 une archéologie du futur, in Geiger 6, Torino, 1974

Roma, anno VII numero 10-11, ottobre-

PoeSia astrATTA e OGGettuale, in aaa, San

novembre 1958

Francisco/Milano, numero 1, febbraio 1969

199


Thothality ~ Mario Diacono

200

III.

IV.

L’oggettipografia di Marinetti, in

Il linguaggio della magia, la magia del

Caleidoscopio, Milano, anno VII numero 9,

linguaggio, in Alfabeto in sogno. Dal carme

marzo 1971

figurato alla poesia concreta, Mazzotta,

Macroscrittura, Microvisione. Cronideologia

Milano, 2002, pagg. 151-166

dell’iconizzazione del verbale, in

Gesamtkunstwort, in Luciano Caruso,

Contemporanea, Centro D/edizioni, Firenze,

Calligrammi e Altri calligrammi, Belforte,

1973, pagg. 425-429

Livorno, 1990

Ungaretti e la parola critica, in Giuseppe

La parola esiliata, in In forma di libro. I

Ungaretti, Saggi e Interventi, Arnoldo

libri di Luciano Caruso, Modena-Reggio

Mondadori Editore, Milano, 1974, pagg.

Emilia, Biblioteca Poletti/Biblioteca Panizzi,

XIII-XCVI

dicembre 2003

Thothality, in Tau/Ma 4, Reggio Emilia, 1977

Occasioni di scrittura, in Stelio Maria

Ediporiale, in Luciano Caruso, Scrittura assente, 1969/70, Galleria La Piramide, Firenze, 18 gennaio 1977 Yeats e la profesia, in A E I O U, Roma, anno III numero 5, gennaio-luglio 1982

Martini, Dove Comincia il senso, edizioni Morra, Napoli, 2005 Villalogos, in Villadrome. Emilio Villa, Libri Riviste Scritti 1947-1992, Studio Varroni/ Eos Libri d’Artista, Roma, settembre 2014


Indice dei nomi

Accrocca, Elio Filippo 8, 20

Bellintani, Umberto 8, 20

Agrippa di Nettesheim, Heinrich Cornelius 169, 170, 172, 173, 174, 175, 178, 180

Belloli, Carlo 62, 63

Aherne, Owen 160

Bernari, Carlo 16

Alberto Magno 170, 178, 179, 180

Bill, Max 62

Aleramo, Sibilla 19

Blake, William 78, 91, 95, 162, 180

Alicata, Mario 24

Bloom, Harold 140, 162, 163

Alighieri, Dante 90, 96, 97, 98, 100, 102, 103, 105

Boccaccio, Giovanni 30

Allende, Salvador 130 Anceschi, Luciano 18 Angeli, Siro 20 Angioletti, Giovanni Battista 75, 84, 102 Antonielli, Sergio 18

Bergson, Henri 73, 79, 92, 108

Boccioni, Umberto 79 Bodini, Vittorio 9 Bona, Gian Piero 20 Bory, Jean-François 48, 50, 62 Bracesco, Giovanni 173, 177

Apollinaire, Guillaume 75, 76, 84, 140

Breton, André 51, 52, 83, 67, 81, 82, 83, 84, 85, 136, 140, 149

Aragão, Antonio 42

Bruno, Giordano 170, 172, 173, 174, 175, 178

Arcangeli, Gaetano 20

Buonarroti, Michelangelo 100

Aretino, Pietro 30

Burri, Alberto 108, 109, 195

Arias-Misson, Alain 67

Butor, Michel 188

Aristotele 179 Arnauld, Pierre 188

Cage, John 35, 52

Artaud, Antonin 40, 41, 63, 195

Camões, Luís de 97

Artoni, Giancarlo 20

Campana, Dino 18, 19, 20, 97

Avalle, Silvio d’Arco 70, 83, 97

Canseliet, Eugène 92 Capelli, Luigi 9

Ball, Hugo 59

Capogrossi, Giuseppe 109

Basilio Valentino 178

Cardarelli, Vincenzo 19

Bassani, Giorgio 20

Carducci, Giosuè 11, 15

Baudelaire, Charles 57, 73, 74, 75, 76, 88, 91, 108, 180

Carné, Marcel 16

Beckett, Samuel 17, 25, 26

Carrà, Carlo 74 Carrega, Ugo 67 201


Thothality ~ Mario Diacono

202

Caruso, Luciano 184, 185, 186, 187, 188, 189

Ermete Trismegisto, 79, 176

Castro, Fidel 130

Evola, Julius 159

Cattafi, Bartolo 9, 20 Céline, Louis-Ferdinand 158

Falqui, Enrico 18

Cézanne, Paul 76

Fautrier, Jean 108, 109

Chagall, Marc 23

Ferguson, John 177

Chamie, Mario 42

Festugière, André-Jean 79

Chiara, Piero 7

Finlay, Ian Hamilton 42, 62, 66

Chopin, Henri 42

Fiorentino, Mauro 174

Comi, Girolamo 19

Flamel, Nicolas 188

Copernico, Niccolò 180

Flora, Francesco 76, 77

Corazzini, Sergio 18, 19

Fludd, Robert 181

Cornell, Joseph 140

Folgore, Luciano 18, 19

Costantino di Pisa 178, 179, 181

Fortini, Franco 20

Croce, Benedetto 87, 100, 101

Frateili, Arnaldo 71, 98

Curci, Lino 20

Fratini, Gaio 20 Frazer, James 83

d’Abano, Pietro 174

Freud, Sigmund 57, 81, 83, 84, 85, 86, 162

de Campos, Augusto 42, 66 de Campos, Haroldo 42

Gadda, Carlo Emilio 14

De Chirico, Giorgio 74, 84, 107

Garnier, Ilse 42

De Gaulle, Charles 22, 23, 24

Garnier, Pierre 42, 66

de Guérin, Maurice 75

Gerz, Jochen 48, 49, 50, 67

de Lavinheta, Bernardo 170

Gilly, Carlos 176, 177

De Robertis, Giuseppe 97

Giuliani, Alfredo 20

Dee, John 182

Goethe, Johann Wolfgang 97

Delaunay, Robert 79

Gomringer, Eugen 62

Derrida, Jacques 140

Góngora, Luis 97, 99, 111, 113

Dieter Roth, 64

Gonne, Maud 159

Dostoevskij, Fëdor 81, 82

Govoni, Corrado 19

Duchamp, Marcel 41, 76, 132, 134, 135

Gramsci, Antonio 11, 14, 15, 19, 59 Guidacci, Margherita 9, 20

Eco, Umberto 140

Gunn, Tom 16

Eliot, Thomas Stearns 51, 63, 89, 158 Erba, Luciano 7, 9, 20

Hausmann, Raoul 58, 59


Hazelton, D. R. 42

Lichtenstein, Roy 66

Heidegger, Martin 79, 190

Lissitzkij, El 63

Heinz Roth, Karl 42

Lorca, Federico García 63

Hellens, Franz 83

Luigi XIV 23

Hlasko, Marek 16

Lullo, Ramón 169, 170, 171, 172, 173, 174, 176, 177, 180

Hölderlin, Friedrich 79 Huelsenbeck, Richard 58, 59 Hyde-Lees, Georgie 161

MacGregor Mathers, Samuel Liddell 161, 162 Machiavelli, Niccolò 59

Jacobson, Roman 140

Maffei, Andrea 72

Jacopone da Todi, 96, 101, 103

Majakowskij, Vladimir 18

Jahier, Piero 19

Malevič, Kazimir 60, 64

Jamsthaler, Herbrandt 177

Malinowski, Bronislaw 83

Jarry, Alfred 75

Mallarmé, Stéphane 10, 51, 58, 60, 74, 75, 76, 78, 79, 88, 90, 93, 95, 97, 99, 107, 108

Jouve, Pierre Jean 111 Joyce, James 139, 144, 186, 192, 193 Jung, Carl Gustav 162, 169 Kaprow, Allan 62

Malraux, André 22, 23, 24 Mandelstam, Osip Ėmil’evič 63 Manzoni, Alessandro 80 Mao Tse-Tung 155

Kavafis, Konstantinos 159

Marinetti, Filippo Tommaso 18, 19, 20, 51, 52, 57, 58, 59, 60, 63, 72, 75, 76, 77, 79, 80, 92, 140, 184

Kerouac, Jack 16

Marniti, Biagia 9

Khunrath, Heinrich 172, 176, 179

Martini, Stelio Maria 66, 190, 191, 192, 193

Kircher, Athanasius 180

Marvardi, Umberto 20

Klee, Paul 132

Marx, Karl 11, 39, 57

Kolàr, Jirí 42, 65

Massu, Jacques 22

Kriwet, Ferdinand 62

Mayer, Hansjörg 42, 64

Katue, Kitasono 67

McLuhan, Marshall 49, 57, 59 Laforgue, Jules 75

Merini, Alda 20

Lautréamont (Ducasse, Isidore Lucien) 77, 92, 98, 99, 101

Michaux, Henri 83, 114

Lenin (Ulyanov, Vladimir Ilyich) 23 Leonetti, Francesco 14, 15 Leopardi, Giacomo 7, 70, 74, 75, 77, 78, 80, 82, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 95, 96, 97, 99, 100, 101, 102, 105, 106, 107, 108, 109, 112, 113

Miotte, Pierre 180 Moholy-Nagy, Lázló 57, 59, 64 Mon, Franz 64 Mondrian, Piet 64, 65, 89 Monet, Claude 74

203


Thothality ~ Mario Diacono

204

Montale, Eugenio 7, 11, 19, 20

Pico della Mirandola, Giovanni 174

Moravia, Alberto 29

Pierri, Michele 20 Pitagora 180

Nauman, Bruce 62

Poe, Edgar Allan 85, 86, 87

Nielsen, Hans-Jorgen 42

Pound, Ezra 51, 64, 149, 158, 189

Nietzsche, Friedrich 159 Niikuni, Seiichi 62, 66

Quasimodo, Salvatore 7

Novelli, Gastone 189 Rauschenberg, Robert 66 Oberto, Anna 42

Rebora, Clemente 19

Oberto, Martino 42

Reichardt, Jasia 59

Oldenburg, Claes 62

Renoir, Pierre-Auguste 74

Onofri, Arturo 19

Reuchlin, Johannes 172, 178

Orelli, Giorgio 9, 20

Reverdy, Pierre 83

Osborne, John 16

Rilke, Rainer Maria 63 Rimbaud, Arthur 75

Palazzeschi, Aldo 18, 19

Rinaldi, Antonio 20

Palazzoli, Daniela 67

Risi, Nelo 9, 20

Papini, Giovanni 19

Rivière, Jacques 71, 81

Paracelso 172, 173, 175, 177, 178

Robartes, Michael 160, 161, 162

Parronchi, Alessandro 20

Robbe-Grillet, Alain 25

Pascal, Blaise 78

Romanò, Angelo 14

Pascoli, Giovanni 11, 14, 77, 92, 102

Rosenquist, James 66

Pasolini, Pier Paolo 8, 9, 11, 14, 15, 16, 17, 20, 156

Roversi, Roberto 14, 15, 20

Paulhan, Jean 82, 111

Saba, Umberto 19

Pavese, Cesare 7

Sade, Marchese de 29, 30, 59

Pavolini, Corrado 91

Saga, Pietro (Kiesler, Stefi) 65

Pea, Enrico 19

Sanguineti, Edoardo 20, 140

Penna, Sandro 7, 12, 13, 19, 21

Sanouillet, Michel 41

Peregalli, Alessandro 20

Sarenco (Mabellini, Isaia) 67

Pessoa, Fernando 188

Sbarbaro, Camillo 19

Petrarca, Francesco 70, 75, 89, 91, 92, 95, 96, 97, 100, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 111

Scève, Maurice 96, 107

Picasso, Pablo 74, 76, 132 Piccioni, Leone 70

Schwitters, Kurt 51, 59, 63, 67 Scot, Reginald 173


Scotellaro, Rocco 8, 20

Van Lennep, Jacques 176

Sereni, Vittorio 20

Vasarely, Victor 62

Shakespeare, William 97, 113

Vautier, Ben 67

Soavi, Giorgio 9

Vico, Giambattista 78, 79, 86, 89, 92, 95, 100

Soffici, Ardengo 19, 80

Villa, Emilio 20, 136, 188, 190, 194, 195

Sollers, Philippe 140

Villaroel, Giuseppe 19

Solt, Mary Ellen 62

Virgilio 92, 97, 101, 103, 105, 163

Soupault, Philippe 82

Visconti, Marco 9

Soustelle, Jacques 22, 24

Vitruvio 180

Spagnoletti, Giacinto 18, 19, 20

Vittorini, Elio 24

Spaziani, Maria Luisa 9

Vivaldi, Cesare 20

Spatola, Adriano 62

Vollaro, Saverio 20

Stolcius de Stolcenberg, Daniel 177, 178

Volponi, Paolo 20

Stravinski, Igor 74

Voltaire (Arouet, François-Marie) 30

Tasso, Torquato 75, 100

Welling, Georg von 181

Themerson, Stefan 59

Wagner, Richard 74

Togliatti, Palmiro 24

Wazyk, Adam 16

Tot, Amerigo 194

Williams, Emmett 62, 66

Trismosin, Salomon 176, 178 Trotzkij, Lev 59

Yates, Frances 171, 172

Tzara, Tristan 59, 85

Yeats, William Butler 157, 158, 159, 160, 161, 162, 163

Ungaretti, Giuseppe 7, 10, 18, 19, 20, 63, 69, 70, 71, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 01, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111, 112, 113, 114

Zanzotto, Andrea 9, 20

Vaccari, Franco 66 Valeri, Diego 19 ValĂŠry, Paul 69, 78, 83, 86, 87, 88, 89, 94, 95, 113 Van Doesburg, Theo 63, 65 Van Gogh, Vincent 195

205




Finito di stampare nel mese di aprile 2017 presso Ediprima, Piacenza tutti i diritti riservati / all rights reserved è vietata la riproduzione non autorizzata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia

Postmedia Srl Milano

www.postmediabooks.it


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.