Franco Angeli e Tano Festa Pittori con la macchina da presa Elisa Francesconi
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Franco Angeli e Tano Festa Pittori con la macchina da presa di Elisa Francesconi Š 2018 Postmedia Srl, Milano
Book design: Alessandra Mancini www.postmediabooks.it ISBN 978-88-7490-195-1
Franco Angeli e Tano Festa Pittori con la macchina da presa Elisa Francesconi
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sommario
Premessa 7
Gerard Malanga
1. Doppio Autoritratto-Collage 9 30
1.1 Doppio Autoritratto-Collage: un’opera manifesto 1.2 Grande angolo, Sogni & Stelle: lo spettacolo di Mario Schifano al Piper Club di Roma
2. Prima di Doppio Autoritratto-Collage: immagine in movimento e convenzioni foto-cinematografiche nell’arte di Tano Festa e Franco Angeli 43 57
2.1 Tano Festa 2.2 Franco Angeli
3. Il contesto culturale romano e significative occasioni alla Galleria La Tartaruga (1965-1968) 71 82 87 92 97 104 117
3.1 Teatro e Cinema sperimentale: Roma tra il Living Theatre e il Cinema Indipendente, la figura dell’artista al centro della rappresentazione 3.2 Taylor Mead a La Tartaruga (1965) 3.3 L’inaugurazione-spettacolo di una mostra “per ‘CHE’ GUEVARA” (1968) 3.4 Il Teatro delle Mostre nella mediazione fotografica di Plinio de Martiis 3.4.1 Giulio Paolini: Autoritratto 3.4.2 Franco Angeli: Opprimente 3.4.3 Enrico Castellani: Il muro del tempo
4. Tano Festa, Franco Angeli Enrico Castellani e Giulio Paolini: un dialogo condotto attraverso le opere pittoriche e foto-filmiche 135 137 153
4.1 Tano Festa: “Pittura ‘68” (Enrico Castellani: lo spirito della contemplazione / Giulio Paolini: il tempo ritrovato) 4.2 Scambi tra artisti
Bibliografia
Premessa
in reflection Gerard Malanga
Mario Schifano. Franco Angeli. Patrizia Ruspoli. Mario, Franco and Patrizia. They sheltered me with their friendship. They looked after me, making sure I was safe during my time in Rome. They were the core group spearheaded by Peter Hartman who provided the roof over my head and pocket money to tide me over. The day after my arrival in Rome from Milano, not knowing how long I would stay, Peter brought me to Ristorante Bolognese over in Piazza Popolo to meet everyone. The Gang, I called them. It was like they were waiting for the return of the prodigal son. Everyone felt energized by my presence. Everyone had grand ideas about what we could accomplish, whether it was shooting movies, making paintings or taking photographs. Within a week I embarked on a series of poems and also started keeping a journal, and I enlisted Patrizia to take portraits of the people I would meet along the way; Alberto Moravia, Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini among them. My weeks extended into months. Following my nature to be happy was to keep busy, productive, and inspired. My imagination sustained me during the nearly six months I was in Rome. When Elisa Francesconi interviewed me in Venice where I was holed up at the Luna Baglioni, I had no idea the extent to which her research would carry me along and take me through those haunting memories — those six months measured by all that the gang and I achieved, coalescing into a unique kind of energy and collaboration of the spirit. Elisa’s own discoveries along the way helped to resurrect my memories which have been absorbed into this living book of a very special and overlooked period in Italy’s modern art history. She has retraced my footsteps for those remembrances and histories we shared: Mario, Franco, Patrizia and Peter. Franco Angeli e Tano Festa
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Capitolo 1
Doppio Autoritratto-Collage
1.1 Doppio Autoritratto-Collage: un’opera manifesto Sul finire degli anni Sessanta, in un clima di sperimentazione diretta a sondare territori extra-pittorici sconfinando in ambiti di teatralità e di azione che assegnavano all’autore un rinnovato e inedito protagonismo, Franco Angeli e Tano Festa realizzavano Doppio Autoritratto-Collage1: un’opera composta da un montaggio di ritagli fotografici in cui entrambi erano ritratti con la macchina da presa. L’immagine, pienamente riconquistata al termine della stagione informale, assurgeva ora a un ulteriore statuto; foto-riprodotta o filmata, fissa o in movimento, diveniva nodale di una nuova indagine che i due artisti affiancavano al tradizionale lavoro di pittori. Doppio Autoritratto-Collage testimonia, per l’inconsueta duplice autorialità, la comune riflessione dei due artisti che s’interrogano sulla propria immagine e sul proprio lavoro, in dialogo con l’amica Patrizia Ruspoli, autrice delle fotografie utilizzate. Poco noto, Doppio Autoritratto-Collage è stato esposto soltanto in due occasioni: nel 1998 nella mostra Per il clima felice degli anni Sessanta, curata da Plinio De Martiis a Castelluccio di Pienza2, e nel 2006 nella mostra Privato presso la Galleria Il Segno di Roma3, sempre e solo in collegamento con la figura del gallerista de La Tartaruga, che l’aveva conservato nella sua collezione insieme ad altri pezzi minori, grafiche, schizzi e disegni, raccolti in anni di frequentazione con gli artisti. Il foto-collage non ha avuto un documentato passaggio espositivo a La Tartaruga ma nell’Archivio della galleria si conserva una diapositiva a colori sulla quale De Martiis ha applicato un post-it con i nomi dei due autori e la data, poi riproposta anche nei cataloghi delle citate esposizioni, che faceva risalire l’opera al 19684. In quello stesso anno, Franco Angeli nel film Senza titolo [girato al contrario]5 (1968, 31,43’, colore, bianco e Franco Angeli e Tano Festa nero), dava testimonianza dell’esistenza del foto-collage Doppio Autoritratto-Collage e forniva alcuni dettagli utili per comprendere questa 1967-1968, 52 x 22 cm inusuale elaborazione: opera-manifesto che accende i collezione privata Franco Angeli e Tano Festa
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Franco Angeli e Tano Festa a Piazza del Popolo fotografie utilizzate in Doppio Autoritratto-Collage, 1967 Courtesy: Patrizia Ruspoli
Capitolo 2
Prima di Doppio Autoritratto-Collage Immagine in movimento e convenzioni foto-cinematografiche nell’arte di Tano Festa e Franco Angeli
2.1 Tano Festa “Fino alla fine di maggio qui a New York, oltre ai vernissage, ai party, alle mostre nei musei, dove si incontra e si conosce anche se fugacemente molta gente, ci sono una serie di spettacoli, balletti e happening fatti dagli artisti: Rauschenberg, Dine, Oldenburg ecc. ai quali io assisto puntualmente. Per fare questo è necessario che io sia qui a Manhattan”1. Nella primavera del 1965 Tano Festa aveva intrapreso il suo primo viaggio in America2. Al cospetto della scena artistica americana, piuttosto che accostare da vicino la Pop Art, protagonista della conclusa edizione della Biennale di Venezia, l’artista si immerse con curiosità ed entusiasmo in quanto di più stimolante offrisse la sperimentazione newyorkese con esperienze che gradualmente lo avvicinarono a concepire l’arte come registrazione di azioni in movimento. Durante il soggiorno americano Festa, coinvolto da sperimentazioni multiple legate alla visione e che trovavano nel teatro d’avanguardia un nuovo comune denominatore, introdusse nuovi soggetti derivati dallo spettacolo e dalla danza, plausibilmente ispirati agli happening newyorkesi, dei quali riferiva nelle lettere inviate a Giorgio Franchetti. Seppur incuriosito, inizialmente, l’artista sembra non comprenderne le dinamiche e la complessità, confidando all’amico, in quella stessa lettera, datata 11 maggio 1965: “Gli spettacoli ai quali assisto non sono nulla di speciale, ci vado per saggiare ‘il polso della città’. Ho visto Rauschenberg, che avrà la personale da Leo il 15 maggio, ballare in questo spettacolo. Un vero spasso. In effetti non è che balli nel senso normale del termine, cammina, salta, oppure si struscia sul pavimento. A quaranta anni bisogna essere o geni o cretini per fare certe cose. Ed io non Tano Festa, so per quale soluzione propendere. Come ripeto Dalla Creazione dell’Uomo, 1964 aspetto che passi questo mese per cominciare a carta emulsionata e smalto su lavorare. Ne ho molta voglia”3. legno, 210 x 112 cm Solo tre giorni dopo, tuttavia, scriveva in gran collezione privata Franco Angeli e Tano Festa
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Una sintetica descrizione dell’allestimento della Sala della Cappella Sistina, pubblicata nel catalogo della Mostra Critica delle Opere Michelangiolesche citava, in coincidenza con la rilettura proposta da Festa, la compresenza nella sala di riproduzioni ‘a colori’ e ‘in bianco e nero’: “Una serie di diapositive a colori illustra gli episodi della Genesi e alcuni particolari. Una gigantografia d’insieme permette di apprezzare la concezione architettonica del grande meccanismo narrativo. Una sequenza di fotografie in bianco e nero documenta gli aspetti salienti e meno noti dell’intero ciclo”12. Sul lato lungo della sala, una sequenza di specchi si snodava frontalmente ai gruppi critico-tematici delle riproduzioni, modificandone la visione frontale in rifrazioni che apparentemente ne invertivano l’orientamento e potevano suggerire la tecnica della specchiatura fotografica, una pratica nota a Tano Festa sin dai suoi giovanili studi da fotografo. Una testimonianza del fecondo recupero degli studi di fotografia e delle sue implicazioni percettive, favorito dalle ‘immagini critiche’ esposte al Palazzo delle Esposizioni, è affidata a un’altra variante dello stesso tema michelangiolesco, intitolata Dalla Creazione dell’Uomo. Ricordandola nel corso di un’intervista nel 1967, Festa spiegò gli intenti di quell’opera, sottolineando come la piena consapevolezza di una immagine preesistente fosse raggiunta attraverso due distinti strumenti: l’‘occhio’ che guarda la fotografia e ‘la mano’ che ricalca il contorno: “In questo quadro che si chiama ‘Dalla creazione dell’uomo’ c’è una doppia immagine, l’immagine
Mostra critica delle Opere michelangiolesche Sala della Cappella Sistina, Roma Courtesy: Oscar Savio e Archivio Bruno Zevi, Roma
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a sinistra: Tano Festa, dall’alto: La creazione dell’Uomo (a colori), 1964 La creazione dell’Uomo (in bianco e nero), 1964 carta emulsionata e smalto su legno 190 x 272 cm ciascuno collezione privata 47
Tano Festa, Michelangelo according to Tano Festa, 1966 smalto su tela, 130 x 96 cm collezione privata
2.2 Franco Angeli Negli anni dell’ascesa internazionale del Neorealismo cinematografico, due esperienze che avvicinarono Franco Angeli a quella tendenza, furono le sue collaborazioni, nel ruolo di attore, con il regista e fotografo Mario Carbone e in seguito con Sandro Franchina che, sin dall’inizio del decennio, esercitò un ruolo motore nell’incuriosire e avvicinare Festa e Angeli alla prassi cinematografica. Appare interessante, al riguardo, accennare che il primo cortometraggio realizzato dal giovane Sandro Franchina, con l’aiuto alla regia degli amici del Centro Sperimentale di Cinematografia, Marco Bellocchio e Gustavo Dahl, era ambientato nella storica piazza romana e che il tema stesso del montaggio di immagini, trasposto da Festa e Angeli nel foto-collage, era stato già affrontato da Franchina in quella sua prima prova dal titolo, non casuale, di Collage di Piazza del Popolo. Senza alcun intento narrativo ma attraverso uno sguardo documentaristico, analitico e divertito, la macchina da presa ritraeva la piazza romana disvelando momenti di quotidiano vissuto e soffermandosi su dettagli architettonici e scultorei ma anche sui luoghi d’incontro, divenuti poi simbolici, come il Caffè Rosati. Ne conseguivano vivaci ritratti in movimento dei protagonisti: passanti, Franco Angeli in una bambini, automobilisti o animali che vivacizzavano sequenza con la loro presenza la storica piazza romana; non del film di Mario Carbone comparivano, invece, gli artisti che erano già abituali Inquietudine, 1961 Courtesy: Mario Carbone presenze a Piazza del Popolo.
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Capitolo 3
Il contesto culturale romano e significative occasioni alla Galleria La Tartaruga (1965-1968)
3.1 Teatro e Cinema sperimentale: Roma tra il Living Theatre e il Cinema Indipendente, la figura dell’artista al centro della rappresentazione Tra gli episodi che concorsero a indirizzare in direzione sperimentale l’ambiente artistico romano, offrendo una favorevole occasione di aggiornamento, assume una particolare importanza la presenza a Roma, dalla seconda metà degli anni Sessanta, degli attori del Living Theatre, interpreti di un teatro lontano dai canoni istituzionali e paradigmatico di un’arte libera, pacifista, anarchica, rivoluzionaria e osteggiata dal sistema socio-politico che contestava. Apolidi, negli anni in cui si affacciavano i primi segnali della contestazione politica, gli attori del Living Theatre trascorsero, in larga parte in Italia e a Roma, la prima fase del loro esilio europeo (1964-1968). Furono protagonisti sulla stampa che registrò, nella cronaca come nelle rubriche culturali, la controversa ricezione del pubblico ma anche l’unanime positiva accoglienza degli artisti, corredando gli articoli con fotografie che, oltre a restituire l’impatto emotivo degli spettacoli dal vivo, appaiono rivelatrici della rivoluzione linguistico-visiva avviata dal Living Theatre nel teatro ma destinata a incidere sulle altre forme dell’espressione artistica, prime fra tutte la fotografia e il cinema ed in seconda battuta sulle modalità e sulle dinamiche di fruizione dello spazio teatrale e di allestimento degli spazi espositivi. Diretti da Judith Malina e dal pittore Julian Beck, gli attori del Living Theatre presentarono nel marzo 1965 al Teatro Eliseo e in seguito al Teatro dei Satiri di Roma lo spettacolo Mysteries and Smaller Pieces: “una serie di scene apparentemente staccate ma in realtà intimamente legate da un unitario, veemente spirito di libertà, di pace, di felicità creativa”, come lo definì Alfredo Leonardi in Living and Glorious (1965) il primo film italiano dedicato alla compagnia teatrale. Franco Angeli, fotogrammi Accogliendo le innovazioni linguistiche introdotte dal Archivio di Stato di Latina Living Theatre1, il cortometraggio Living and Glorious su concessione del MiBACT Franco Angeli e Tano Festa
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presentava, senza i vincoli di una sceneggiatura, attori del Living Theatre, 1967-68 ca momenti di quotidiano vissuto degli attori, Courtesy: Patrizia Ruspoli mentre provavano Mysteries and Smaller Pieces o mentre montavano le scenografie per The Brig, ambientato nel carcere dei marines di Okinawa, dove i soldati colpevoli di reati erano costretti a regole e comportamenti severi e rigorosi. Rispetto alle precedenti o alle coeve produzioni internazionali che filmavano gli spettacoli del Living Theatre seguendo l’azione sul palco e mediandone, attraverso la macchina da presa, una particolare interpretazione visiva2, il cortometraggio di Leonardi si differenziava nelle intenzioni e negli obiettivi perseguiti attraverso uno stile antinarrativo, non centrato sullo spettacolo ma su un dietro le quinte, della vita e del palco, affermando una nuova modalitĂ per presentare e narrare la figura dell’artista. Leonardi stesso ne aveva spiegato le ragioni, affermando: “Il film non vuole essere un documentario fedele e obbiettivo delle creazioni teatrali degli attori del Living, al contrario rappresenta la cristallizzazione delle mie esperienze, molto personali e soggettive, maturate nel corso di un mese di convivenza con la compagnia americana. La temperatura di questo rapporto, alimentata da una grande ammirazione, da un profondo affetto e da un altrettanto consistente angoscia causata dal tipo di vita ipercollettiva che gli attori conducono e dalla tensione cui sono incessantemente sottoposti, ha molto naturalmente determinato il ritmo e il 72
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taglio delle immagini”3. Con Amore amore dell’anno successivo, Alfredo Leonardi licenzierà un film “a-strutturato”, come lo definirà criticamente Gillo Dorfles4, commentando l’assenza di connessione tra le immagini; con questa soluzione il regista aveva volutamente acquisto le innovazioni linguistiche del Living Theatre, per affermare la “totale indipendenza da parte dell’autore di seguire l’itinerario creativo che preferisce”, attraverso l’eliminazione della storia e del protagonista, mischiando riprese dal vivo e sequenze recitate e perseguendo “uno sviluppo narrativo basato su immediate associazioni di natura visuale e non più logica”5. In Amore amore, Leonardi codificava una soluzione poi ampiamente usata dagli artisti film-maker e apriva alla prassi di fare cinema, e nello specifico di filmare l’artista, in assenza di narrazione e attraverso la preminenza dei soli valori visivi delle immagini in successione. Lo spettacolo The Brig era già stato soggetto di un omonimo film del 1964 di Jonas Mekas, fondatore insieme a Lewis Allen, del New American Cinema Group (1960). Lo sperimentalismo cinematografico americano, che in quegli anni iniziava a circolare in Italia6, avrà la sua consacrazione ufficiale nel 1967 alla Terza Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro in quell’anno dedicata al New American Cinema, con una selezione di film portata in Italia da Jonas Mekas7; dopo il Festival di Pesaro, le pellicole del New American Cinema arriveranno a Roma e Napoli, due sedi Franco Angeli e Tano Festa
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1968, presso la Galleria La Tartaruga che ambivano a svecchiare lo spazio espositivo con proposte in cui cinema e fotografia divenivano gli strumenti per veicolare la sperimentazione in atto.
3.2 Taylor Mead a La Tartaruga (1965)
Nel generale clima di messa in discussione dei linguaggi dell’arte e del sistema di mercato privato radicalizzatasi intorno al 1968, la galleria La Tartaruga fu un fondamentale centro di aggregazione e di sperimentazione. Plinio De Martiis, che mai declinò dalla propria creatività continuando a esercitare, anche dopo l’apertura della galleria, la sua iniziale attività di fotografo, aveva qualificato negli anni La Tartaruga come un luogo di aggiornamento che nutrì i giovani artisti di esperienze significative per la formazione del loro background culturale. Non è un caso, dunque, che nelle lettere inviate dall’America, nel 1965 e nel 1967, Tano Festa avesse trovato in Plinio De Martiis e Giorgio Franchetti, investitore e consulente della galleria, gli adeguati interlocutori capaci di comprendere sul farsi le esperienze che lo stavano
proiezione dei film di Taylor Mead a La Tartaruga, 1965 provini a contatto Courtesy: Plinio De Martiis Archivio di Stato di Latina su concessione del MiBACT
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avvicinando ad una nuova fase di sperimentazione visiva. Nei mesi che avevano preceduto la partenza dell’artista per l’America, La Tartaruga si era resa protagonista di un significativo episodio di aggiornamento accogliendo, nel gennaio 1965 presso la sede di Piazza del Popolo, il regista e performer Taylor Mead con la proiezione di alcune pellicole che lo vedevano protagonista22. Suscitando scandalo e polemiche, i due film erano stati in precedenza proiettati a Parigi, prima tappa del tour europeo di Taylor Mead. Una recensione dell’epoca riportava che in quella sfortunata occasione proprio un artista romano, che veniva definito la personalità che “aveva tutti i numeri per comprendere il ‘messaggio’ contenuto nelle opere di Mead e per penetrarne il riposto significato”, ne avesse colto il potenziale innovativo proponendo a Mead di presentare i suoi film a Roma “dove avrebbe certamente trovato chi lo prendesse sul serio”23: quell’artista era Mimmo Rotella e fu lui a proporre Taylor Mead a Plinio De Martiis. La proiezione a La Tartaruga, su invito indirizzato a quindici nomi dell’avanguardia culturale romana, ebbe una più ampia partecipazione, con oltre cinquanta spettatori
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che affollarono la sala della galleria e, tra questi, Toti Scialoja e Gabriella Drudi, Maurizio Calvesi, Achille Perilli, Michelangelo Antonioni, Cesare Vivaldi, Sandro De Feo, Tonino Guerra, Barbara Steele, Elsa Morante, Alberto Moravia e Dacia Maraini. Diversamente da quanto accaduto a Parigi, Taylor Mead a Roma raccolse consensi e approvazione tanto che le cronache dell’epoca, oltre che elencare puntualmente i nomi degli intervenuti alla proiezione, restituirono l’accoglienza entusiasta dei film di Mead informando che Antonioni aveva definito Home Movies un film “interessantissimo”24 e riportando che “Fellini vuole vedere i suoi film. Pasolini anche”25. Il riconoscimento ufficiale giunse dalla penna di Alberto Moravia che esaltò l’attualità di The Queen of Sheba Meets the Atom Man definendolo un film che “descrive, con poesia, un modo di intendere la vita” nella recensione “Un film beat. Eroina a colazione”, apparsa su “L’Espresso”26. Dopo La Tartaruga, le occasioni di vedere i film di Taylor Mead si moltiplicarono nella capitale con repliche nella sede romana della londinese galleria Malborough, in una casa privata, presso l’associazione Italia-URSS in Piazza Esedra nel corso di una manifestazione patrocinata della rivista “Marcatrè” ed infine al Centro Internazionale Artistico Cinematografico in Via della Lungara27.
3.3 L’inaugurazione-spettacolo di una mostra “per ‘Che’ Guevara” (1968) Nel febbraio 1968, l’ultima stagione espositiva della storica sede di Piazza del Popolo della Galleria La Tartaruga si era aperta con la spettacolare inaugurazione della mostra Un quadro e 20 serigrafie di ANDY WARHOL per “CHE” GUEVARA. Le opere, un quadro su tela e venti serigrafie di diversa qualità cromatica, esposte a riempire una parete della galleria, reiteravano il primo piano del volto e il corpo senza vita di Ernesto Che Guevara, ucciso in Bolivia il 9 ottobre 196728. Come osservava Giulio Carlo Argan, recensendo la mostra su “L’Astrolabio”, quella immagine della salma di Che Guevara, fissata nello scatto di un anonimo reporter, era stata oggetto di una strumentalizzazione politica ad opera della stampa americana che l’aveva divulgata per “rassicurare il pubblico con la notizia assolutamente certa della morte del nemico numero uno dell’imperialismo economico americano”29; a seguito di una duplice manipolazione la salma di Che Guevara era stata, inoltre, riproposta in un filmato, reso pubblico dalle autorità boliviane, per mostrare al mondo lo ‘spettacolo’ del cadavere nudo del rivoluzionario ormai sconfitto30. Se la fotografia era stata la fonte delle opere esposte, un riferimento a quel crudo filmato di morte può essere ragionevolmente ipotizzato per lo spettacolo che si tenne la sera dell’inaugurazione della mostra, quando una cinepresa fissa riprese un gruppo inaugurazione della mostra “per ‘Che’ Guevara”, La Tartaruga, 1968 di ballerini mascherati da indiani e cow-boy provini a contatto. Courtesy: Plinio De esibirsi davanti alle opere; tra questi, Gerard Martiis. Archivio di Stato di Latina Malanga, assistente di Andy Warhol, e il su concessione del MiBACT Franco Angeli e Tano Festa
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visiva che metteva al centro l’immagine filmata. Come riferì una scarna descrizione apparsa su “Domina”, Gianfranco Fini aveva allestito “una parete e ventiquattro televisori. Audio spenti e video accessi per due ore di seguito sullo stesso canale. Risultato: ossessione sincrona di immagini scorporate, frazioni di gesti, storie senza senso. Allucinazione visiva di un unico grande schermo”. L’inusuale esperimento visivo aveva ricevuto l’approvazione di Giulio Carlo Argan che giudicò, scrive l’anonimo recensore, “la cosa è molto intelligente”38; anche questa iniziativa catturerà in particolare l’attenzione di Franco Angeli che girerà alcune sequenze del film Schermi a La Tartaruga, durante lo svolgimento della video-installazione39.
3.4 Il Teatro delle Mostre nella mediazione fotografica di Plinio De Martiis La rassegna Teatro delle Mostre andò in scena a La Tartaruga dal 6 al 31 maggio 1968; gli artisti invitati si avvicendarono negli spazi della galleria con interventi fruibili un solo giorno, dalle ore 16 alle ore 2040. Già in precedenza De Martiis aveva dimostrato un’attenzione per le aperture ambientali e performative dell’espressione artistica e per le possibilità di innovare lo spazio espositivo, accogliendo in galleria alcune significative esperienze: il 22 aprile 1961, durante l’inaugurazione della mostra Castellani&Manzoni, quest’ultimo aveva 92
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Una camera da letto di Balla, 1965 veduta della mostra a La Tartaruga. Courtesy: Plinio De Martiis Archivio di Stato di Latina su concessione del MiBACT
a sinistra: Franco Angeli, Schermi, 1968 sequenza sulla mostra di Gianfranco Fini a La Tartaruga
lavoravano all’idea di autoritratti ottenuti con collage di ritagli fotografici, linguisticamente allineati alle pubblicità e alle immagini a stampa accessibili in quel momento62. La presenza dell’opera D867 63, tra i quadri esposti da Paolini alla personale torinese del 1968, sostanzia ulteriormente la percezione di una riflessione condivisa sulla figura del pittore ma affidata al media fotografico. Con D867, Paolini portava a compimento una ricerca avviata nel 1965 con 1/25 e Diaframma 8, opere fotografiche in cui ricorreva l’immagine dell’artista che trasporta una sua opera ma che si differenziavano nelle scelte di presentazione dell’immagine. Alla luce dell’intenzionalità dichiarata degli artisti, a quell’altezza cronologica, nel fare uso della propria immagine fotografica, le tre tele emulsionate appaiono qualificarsi come degli autoritratti nei quali l’artista si svela progressivamente, attraverso la graduale esibizione del proprio volto e la rappresentazione della propria opera: il volto di Paolini, parziale e di profilo nelle opere del 1965, appare per intero solo nel 1967 in D867, così come la sua opera, una tela bianca in Diaframma 8 e girata sul verso in 1/25, diviene interamente visibile in D867. Inoltre, i titoli: 1/25 che indica il tempo di esposizione per scattare il fotogramma; Diaframma 8 e D867 che alludono al tipo di diaframma utilizzato per scattare le fotografie, fanno esplicito riferimento alle tecniche meccaniche della produzione delle immagini.
3.4.2 Franco Angeli: Opprimente La sera di martedì 14 maggio 1968, Franco Angeli intervenne al Teatro delle Mostre con Opprimente: un’istallazione ottenuta rivestendo lo spazio della galleria di bianchi pannelli di polistirolo espanso che ribassavano il soffitto creando un ambiente coercitivo per lo spettatore. Una cinepresa al lato della sala e microfoni posti sotto i pannelli bianchi dovevano catturare le reazioni degli intervenuti: “il disagio e l’assuefazione del pubblico nel nuovo spazio economico”64 della galleria. Lo sconfinamento dal quadro, proposto da Angeli al Teatro delle Mostre, non appare una rinuncia all’immagine per un’apertura all’environment ma un ampliamento degli interessi percettivi dell’artista attraverso il ricorso alla cinepresa; e l’omonimo film Opprimente, registrato in quell’occasione, non sarebbe da intendersi semplicemente come un documentario dell’evento. Il film Opprimente, che fu presentato per la prima volta al VI Premio Masaccio di San Giovanni Valdarno (1968) in una versione della durata di 45:00 minuti che possiamo ipotizzare essere l’originale, è al momento irreperibile ma si conserva una versione minore di 24:40 minuti65. Per meglio contestualizzare il filmato, un importante supporto proviene dalla campagna fotografica di Plinio De Martiis che consta numerose immagini che assumono la valenza di fonti visive e di documentazione della partecipazione dell’artista al Teatro delle Mostre ma anche di fotografie di backstage. Le sequenze impresse sui provini a contatto, che ritraggono Franco Angeli durante l’allestimento della sala o restituiscono alcuni momenti dello svolgimento della serata, 104
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Opprimente, in Teatro delle Mostre, 1968 Courtesy: Plinio De Martiis
erano situate le porte di accesso e di uscita, allo scopo di registrare le reazioni dello spettatore durante la permanenza nell’ambiente70. Nel dialogo tra recto e verso, il documento sembra essere il risultato di un gioco intellettuale tra l’artista e il gallerista e l’apparente tono di disapprovazione per l’introduzione della macchina da presa in galleria lascerebbe intendere, al contrario, una comprensione e condivisione da parte del gallerista delle motivazioni di Franco Angeli che, invece di apporre la propria firma sul progetto dell’installazione, controfirmava in calce la dichiarazione di Plinio De Martiis. Inoltre De Martiis, che aveva già accolto l’introduzione della macchina da presa in galleria in occasione dell’inaugurazione della mostra su Che Guevara e accorderà la video-registrazione della Conversazione su nastro, con la quale Goffredo Parise avrebbe concluso il Teatro delle Mostre (il cui manifesto, peraltro, dichiarava la consapevolezza del gallerista sull’uso della cinepresa durante la manifestazione), era adeguatamente informato della ricerca cinematografica di Angeli. Egli stesso, infatti, si incaricherà di custodire, non solo Doppio Autoritratto-Collage, a quella data probabilmente già di sua proprietà, ma anche un importante nucleo di pellicole di Angeli. Significativamente è proprio la scelta delle immagini pubblicate sul libro Teatro delle Mostre a proposito della partecipazione di Franco Angeli ad aprire una nuova prospettiva sulle intenzioni del gallerista-fotografo, che appaiono in stretta connessione con la svolta di Angeli verso la fotografia e il cinema. Delle cinque immagini dedicate all’intervento di Angeli, quattro documentano Franco Angeli e Tano Festa
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Franco Angeli durante l’allestimento di Opprimente, 1968 provini a contatto Courtesy: Plinio De Martiis. Archivio di Stato di Latina su concessione del MiBACT in basso:
foto-ritratto di Franco Angeli, 1968 Courtesy: Plinio De Martiis
Franco Angeli, Enrico Castellani, 1966-1967 Fondazione Enrico Castellani, Milano a destra: “Flash Art� n. 13, 1969
ritratto e carta segnaletica di Enrico Castellani dal libro Enrico Castellani Pittore, 1968 Courtesy: Franco Angeli
a destra: pagine dal libro Enrico Castellani Pittore, 1968
sufficienti solo al discorso limitato, alla metafora e alla parabola, e che si rivelano gratuiti allorché si consideri che sollecitando per la loro multiformità una scelta, pongono una problematica spuria e non essenziale allo sviluppo dell’arte’”84. Contro la tradizionale accezione di pittura figurativa e contro la semplificazione impostata dalle letture critiche coeve, tese a esaltare la sola presenza fisica di ‘quadro-oggetto’ delle opere di Castellani, il libro proponeva come concetto chiave il termine di “pittore”. Significativamente, oltre che nel titolo del libro e nella carta segnaletica dell’artista, il termine compariva in un solo ma indicativo passo del testo di Agnetti, generando una sorta di cortocircuito immaginativo. Agnetti vi ricorreva non, come parrebbe logico, in riferimento all’atto di stendere il colore monocromo sulla superficie della tela ma per spiegare il procedimento manuale e costruttivo dell’opera-oggetto in termini che, tuttavia, negavano l’oggettualità stessa dell’opera che “si sviluppa su una tela che smette di essere tale senza diventare dell’altro. che rimane distacco e intervallo mano a mano che il pittore la inchioda e la schioda nella ricerca di un punto (h) intermedio (…) Un procedimento che però scompare al primo impatto per lasciare al fruitore tutte le possibilità di scontro. di reazione. di distacco (…) E il valore di questa operazione artistica ci viene documentato in più modi. ecco la struttura. l’invenzione. che precipita e scompare nonostante sia il cardine costruttivo. ecco appartarsi anche la bellezza di quelle variazioni che lo stesso castellani ci offre di tanto in tanto. Quadri a sbalzo per esempio. combinazioni geometriche del bugnato con sovrapposizioni di piani che sono già quadri di per se 124
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Visive (CRDAV), Museo Macro di Roma, inv. B124; il filmato della durata di 24:40 minuti è il risultato di un riversamento in dvd da una videocassetta u-matic. 66. Nell’archivio dell’artista è conservato un nastro magnetico che riproduce in parte l’audio del film. 67. A.S.L., F.L.T., racc. fasc. 21, Franco Angeli, Messaggio per Plinio, maggio 1968. 68. La ben nota e discussa sesta edizione del Premio Masaccio del 1968, che si distinse per una marcata apertura alle nuove sperimentazioni artistiche offrì, tra le manifestazioni collaterali, le proiezioni di film due artisti romani arrivati, sul finire degli anni Sessanta, al ‘cinema dei pittori’. I programmi delle proiezioni informano che Mario Schifano intervenne con il film Satellite e Franco Angeli con Viva il Primo Maggio e Opprimente. I due programmi indirizzano ad ipotizzare una concreta realtà di scambi e interrelazioni tra Roma e la Toscana che appaiono trovare, proprio nel 1968, un canale privilegiato nelle relazioni intercorse tra il VI Premio Masaccio, la serata di proiezioni dedicate al “Cinema sperimentale” organizzata da Gianni Pettena, il 1 dicembre 1968, all’interno della III Mostra Mercato d’Arte Contemporanea di Palazzo Strozzi, in cui furono invitati Angeli e Festa (cfr. Mostra mercato d’arte contemporanea, cat. della mostra, Palazzo Strozzi, Firenze, 16 novembre-8 dicembre 1968, Firenze 1968), e alcune realtà catalizzatrici romane quali il Teatro di Via Belsiana, il Filmstudio 70 e la Cooperativa Cinema Indipendente. Il programma delle proiezioni dei film di Angeli, infatti, oltre a informare della presentazione a San Giovanni Valdarno dei film Opprimente e Viva il Primo Maggio, pubblicizzava anche la partecipazione dell’artista, con i film Giornate di lettura, Enrico Castellani e Ciao amici, a due serate di Esperienza al Teatro di Via Belsiana e, con il film Souvenir di Roma, alla rassegna del Cinema Indipendente in programma al Filmstudio 70 (Archivio di Casa Masaccio, brochure delle proiezioni). Sul VI Premio Masaccio si veda anche A. Acocella, Avanguardia diffusa. Luoghi di sperimentazione artistica in Italia 1967-1970, Biblioteca Passaré, Quodlibet, Macerata, 2016, in particolare il capitolo Scenografie radicali. San Giovanni Valdarno 1968, pp. 73-94. 69. A.S.L., F.L.T., racc. fasc. 289/11. 70. Il film, salvo alcune sequenze finali che Franco Angeli e Tano Festa
mostrano uno spostamento della telecamera e inquadrature ristrette, è per la maggior parte girato dalla telecamera fissa e puntata su una delle due porte che, secondo quanto stabilito dall’artista nel progetto di allestimento, dovevano determinare le direzioni obbligate di entrata e di uscita dalla stanza che non appaiono rispettate dai visitatori che nel film si muovono con libertà nell’ambiente bianco. 71. Cfr. G. Sergio, “Cancellazione d’artista di Cesare Tacchi, cit. 72. A.S.L., F.L.T., fasc. 86. 73. Franco Angeli, invito alla mostra, Galleria La Tartaruga, Roma, dal 16 marzo 1968. 74. A.S.L., F.L.T., racc. fasc. 21, Lettera di Franco Angeli a Plinio De Martiis, New York, 8 gennaio [1969]. 75. Angeli, catalogo-brochure della mostra, n. 144, Galleria dell’Ariete, Milano, dal 29 gennaio 1969. 76. R. Wirz, F. Sardella (a cura di), Enrico Castellani: catalogo ragionato, Skira, Milano 2012, n. 242, pp. 380-381. 77. A. Bonito Oliva, didascalia, in Teatro delle Mostre, cit., pp. n.n. 78. “Flash Art”, n. 13, 1969. 79. Archivio Franco Angeli, Ernico Castellani; una lunga sequenza del film è stata poi montata da Angeli in un film Senza Titolo conservato da Plinio De Martiis (A.S.L., F.L.T., 01-T1, Franco Angeli, Senza Titolo). 80. Il catalogo ragionato dell’artista documenta due superfici dalla forma circolare: Superficie bianca (1967) e Superficie circolare bianca (1968); cfr. R. Wirz, F. Sardella (a cura di), Enrico Castellani: catalogo ragionato, cit., rispettivamente: n. 251 p. 384 e n. 271, pp. 388-389. 81. C. Lonzi, Castellani, cat. della mostra, Galleria Notizie, Torino, 12 marzo-10 aprile 1964; parzialmente ripubblicato in Castellani, cat. della mostra, Galleria del Leone, Venezia, dal 25 aprile 1964, poi in “Marcatré”, nn. 6-7, maggio-giugno 1964, p. 231 e con il titolo Luoghi ideali di contemplazione, in “La botte e il violino”, a. III, n. 2, aprile 1966, pp. 35-17; ora in L. Conte, L. Iamurri, V. Martini (a cura di), Carla Lonzi. Scritti sull’arte, et al./edizioni, Milano 2012, pp. 368-371. 133
Tano Festa, Omaggio a Castellani, 1970 collezione Fondazione Archivio Castellani, Milano
Capitolo 4
Tano Festa, Franco Angeli Enrico Castellani e giulio paolini un dialogo condotto attraverso le opere pittoriche e foto-filmiche
4.1 Tano Festa: “Pittura ‘68” (Enrico Castellani: lo spirito della contemplazione / Giulio Paolini: il tempo ritrovato) Intorno al 1968 una riflessione condivisa accomuna Angeli e Festa ai colleghi Enrico Castellani e Giulio Paolini nell’affermare la propria identità di pittori; attraverso il ricorso intenzionale al tema del ritratto pittorico, fotografico o filmico i quattro artisti sono protagonisti di un dialogo che riduce le distanze geografiche tra Roma, Milano e Torino e oltrepassa le categorizzazioni della critica. Si ricava la percezione di un sostrato ideologico comune in cui si situano, tanto opere come Autoritratto di Giulio Paolini, Doppio Autoritratto-Collage e la coeva ricerca filmica di Angeli e Festa, quanto i volumi Enrico Castellani Pittore e Teatro delle Mostre. Queste testimonianze, pur nelle alternative che le qualificano, appaiono simili nei contenuti e nelle motivazioni. Nel film “Pittura ‘68” (Enrico Castellani: lo spirito della contemplazione / Giulio Paolini: il tempo ritrovato), Tano Festa sceglieva Castellani e Paolini per documentare lo stato della pittura, in quell’anno centrale per la messa in discussione dei tradizionali mezzi espressivi. Come in un dittico di ritratti, Festa accosta Paolini e Castellani e, contemporaneamente, allude nel titolo ai temi della propria ricerca. “Giulio Paolini: il tempo ritrovato” evoca, nel riferimento a Marcel Proust, la vittoria della memoria sul tempo e sottolinea il valore della Tradizione, del Museo, della Storia dell’Arte e della Metafisica dechirichiana tema presente, quest’ultimo, nel titolo scelto per “Enrico Castellani: lo spirito della contemplazione”, che rimanda ad una riflessione dell’artista affidata a un’intervista con Giorgio De Marchis in cui aveva introdotto il concetto di contemplazione a proposito degli oggetti di mobilio del periodo d’esordio. Sebbene il termine avesse in quel momento un’ampia divulgazione e attualità, poiché era stato riproposto, attraverso una scomposizione morfologica, dalla mostra torinese Per un’ipotesi di con temp l’azione curata da Daniela Palazzoli nel 19671, verosimilmente dovette influire sulla concezione del titolo “Enrico Castellani: lo spirito della contemplazione”, una meditazione dell’artista sul testo Lo spazio vissuto Franco Angeli e Tano Festa
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Franco Angeli, Senza titolo [girato al contrario], 1968 sequenza con Enrico Castellani
a destra: momenti di ripresa durante il viaggio in Sila, 1969 in alto: Mario Schifano Courtesy: Marcello Gianvenuti
In stretta sintonia con le tematiche affrontate da Angeli in quel periodo, l’anno successivo uscirà il film Viva il 1 maggio rosso proletario girato da Marco Bellocchio e prodotto dall’Unione Comunisti Italiani: un breve documentario realizzato sulle contromanifestazioni organizzate dall’Unione a Milano e Roma in occasione della Festa dei Lavoratori. Nello stesso anno, l’Unione marxisti leninisti italiani s’incaricherà di produrre anche Il popolo calabrese ha rialzato la testa (1969): un documentario politico sulle lotte per l’occupazione delle case popolari, girato da Bellocchio nella cittadina calabrese di Paola11. Quel viaggio in Sila, cui presero parte anche Mario Schifano e Marcello Gianvenuti che realizzò una importante campagna fotografica, fu il pretesto per Angeli, in accordo con le tematiche affrontate in quell’occasione da Bellocchio ne Il popolo calabrese ha rialzato la testa, per girare il film L’unione in Calabria (1969 – 30’, colore). Questi film di Angeli dichiarano una attenzione alle problematiche sociali connesse alla mobilitazione del maggio 1968 con la conseguente politicizzazione di molti settori della cultura. È interessante notare che Angeli volle dare anche a quell’esperienza cinematografica una ulteriore elaborazione, componendo il collage dedicato a Castellani, stilisticamente allineato a Doppio Autoritratto-Collage ma 146
Elisa Francesconi
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