Andy Warhol

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L’arte unidimensionale di Andy Warhol: 1956-1966 7 Benjamin H. D. Buchloh

Saturday Disasters 67 Traccia e referenza nelle prime opere di Warhol Thomas Crow

Death in America 89 Hal Foster

“Where Is Your Rupture?” 113 Cultura di massa e Gesamtkunstwerk Annette Michelson

Conoscenza carnale 135 Rosalind E. Krauss

Intervista con Andy Warhol 147 Benjamin H. D. Buchloh

Postfazione 169 Carla Subrizi



L’arte unidimensionale di Andy Warhol: 1956-1966 Benjamin H. D. Buchloh

Se volete sapere tutto di Andy Warhol, non avete che da guardare la superficie dei miei quadri, i miei film e me stesso: eccomi lì. Dietro non c’è niente1. Le mie opere non hanno alcun futuro. Lo so. Qualche anno. Sicuramente quello che faccio non avrà più nessun valore2. _ Andy Warhol

Un biglietto da visita disegnato da Andy Warhol su un foglio di carta velina verde chiaro delle dimensioni di una pergamena, spedito intorno al 1955 a clienti, mecenati ed agenzie pubblicitarie e di design, raffigura un’artista circense che regge in mano un’enorme rosa. Il suo costumino attillato rivela un corpo interamente cosparso di tatuaggi che riproducono oltre quaranta logotipi e marchi aziendali. Accanto ad Armstrong Tires e Wheaties, a Dow Chemicals e Pepsodent, vediamo esposti sul corpo il kutchup della Hunt, che nel 1967 sarebbe letteralmente rispuntato come barattolo tridimensionale in Andy Warhol’s Index Book, Chanel Nº 5 e il logo della società Mobil, che sarebbero entrambi riemersi trent’anni più tardi nel suo portfolio di serigrafie intitolato Ads3. Il volto dell’artista reca un singolo tatuaggio, che ne nobilita i tratti di bambola con una corona d’alloro intorno alla L maiuscola di Lincoln (l’automobile). La parte inferiore del costume, la sottana, riporta un’iscrizione in quel carattere finto naif che aveva già reso caro l’autore ai suoi clienti (pubblicitari e cosiddetti “art director”), indicando semplicemente: Andy Warhol Murry Hell 3-0555, il numero telefonico dell’artista quando abitava al 242 di Lexington Avenue4.

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imperialista, e facendo senz’altro confusione nello sviluppo degli eventi storici:«E la questione è il perché la Germania avrebbe dovuto essere particolarmente interessata al fenomeno americano; ragione che io credo risalga a una dichiarazione fatta da Gertrude Stein agli inizi del XX secolo, e cioè che l’America è il paese più antico del mondo poiché era entrata per prima nel XX secolo. Il punto è che i tedeschi, nel boom del dopoguerra, entrarono in una disposizione d’animo che l’America aveva negli anni Venti, ed Andy essenzializza la concentrazione americana sulla sovrabbondanza degli oggetti commerciali». Il fatto è, ovviamente, che “la disposizione d'animo che l'America aveva negli anni Venti” era stata la disposizione d'animo che in quegli stessi anni avevano avuto anche gli europei e che aveva dato vita al dadaismo, la principale tradizione artistica all'origine della formazione della pop art.


Saturday Disasters Traccia e referenza nelle prime opere di Warhol Thomas Crow

Il Warhol pubblico non era una sola persona, bensì, come minimo, tre. Il primo, e di gran lunga il più in vista, era quello che aveva creato lui stesso: il prodotto dei suoi celebri commenti e delle rappresentazioni autorizzate della sua vita e del suo milieu. Il secondo era il complesso di interessi, idee, talenti, ambizioni e passioni realmente trasposti su tela. Il terzo era il suo personaggio, che sancì alcuni esperimenti nell’ambito di una cultura non elitaria ben oltre il mondo dell’arte1. Dei tre, gli ultimi due rivestono ben più importanza del primo, per quanto siano generalmente eclissati dall’uomo che diceva di voler essere come una macchina, che tutti sarebbero stati famosi per quindici minuti e che lui e la sua arte erano tutta superficie: non guardate oltre. Normalmente il secondo Warhol è identificato con il primo; il terzo invece è ampiamente ignorato, almeno dagli storici e critici d’arte. La presente analisi si occupa soprattutto del secondoWarhol, anche se questo ci porta necessariamente a prestare attenzione al primo. La lettura canonica della sua opera ruota intorno ad alcune tematiche circoscritte: l’impersonalità delle immagini selezionate e la loro presentazione, la sua passività dinanzi a una realtà saturata dai media e la sospensione di qualsiasi chiara voce autoriale all’interno della sua opera. La scelta dei suoi soggetti è vista come essenzialmente indiscriminata. Ad essi viene dedicato scarso interesse se non per osservare che, nel loro insieme, rappresentano il gioco casuale di una coscienza alla mercé della diffusa cultura commerciale. L’analisi di Warhol è volta ad appurare se la sua arte favorisca un’interpretazione sovversiva della cultura di massa e del potere dell’immagine come merce2, se soccomba innocentemente ma in modo significativo a quel potere ipnotico3 o lo sfrutti con cinismo per i propri fini4. Thomas Crow

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Death in America Hal Foster

L’organismo umano è una mostra delle atrocità di cui l’uomo è spettatore involontario. _ J.G. Ballard, La mostra delle atrocità

Ne La filosofia di Andy Warhol (1975), il grande “idiot savant” dei nostri tempi discorre di molti temi importanti – amore, bellezza, fama, lavoro – però, giunto alla morte, tutto quello che ha da dire è: «Non credo alla morte, perché non si è lì per sapere che è avvenuta. Non posso dire niente in proposito perché non sono pronto»1. Di primo acchito non sembra vi sia molto da dire su questo secco diniego (che ha poco da spartire con l’acume leggero del resto del libro); ma soffermiamoci su queste frasi: «Non si è lì per sapere […] non posso dire niente […] non pronto». Qui è in atto una frattura della soggettività, uno sfasamento di spazio e tempo. Si tratta, a mio avviso, di uno shock o di un trauma: un incontro in cui ci si allontana dal reale, a cui si arriva troppo in anticipo o troppo in ritardo (precisamente non lì e non pronti), ma in cui alla fine si è segnati dal fatto stesso dell’incontro mancato. Mi soffermo su questo passaggio idiosincratico perché ritengo codifichi un rapporto con il reale che può indicarci un nuovo modo di affrontare Warhol e in particolare le immagini della serie Death

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se è per questo, del bombardamento di Sarajevo) sono trasmesse a livello internazionale: la nazione funge a stento da confine della collettività psichica colpita dal disastro e dalla morte. Invero, non molto dopo i primi anni Sessanta, Death in America poteva anche rappresentare la morte nel Vietnam. Forse fu allora, con i reportage televisivi della guerra, che il confine nazionale fu definitivamente violato. Ad ogni modo, è significativo che Warhol tendesse a mantenersi lontano da queste immagini della guerra come anche della televisione. 56. Si tratta di opposti ma non di contrari, giacché la maggior parte delle celebrità sono così costruite nel sociale da sembrare prive di carattere o addirittura anonime. 57. In Warhol ci si imbatte continuamente in tracce di arte ecclesiastica: le reliquie dorate delle pubblicità delle scarpe, i sacrari dedicati a Marilyn e ad altri, i teschi delle Vanitas, i ritratti dei magnati e così via. (Sono in debito con Peter Wollen per l’associazione della sedia elettrica al crocifisso.) 58. Nonostante questi criminali si inseriscano anch’essi in questo sogno, in modo analogo (benché opposto) a qualsiasi altra classifica dei primi dieci (o tredici): il più ricco, il più elegante, eccetera. Su questo punto si veda Stich Sidra, “The American Dream/The American Dilemma”, in Made in USA: An Americanization in Modern Art, the ’50s and ’60s, University of California Press, Berkeley 1987, p 177. 59. «La pop art riscopre il tema del Doppio […] ma è innocuo: ha perso tutto il suo potere malefico o virtuoso […] Il Doppio è una Copia, non un’Ombra; accanto, non dietro: un Doppio piatto, insignificante e dunque irreligioso». Barthes, “That Old Thing, Art”, p 24. Forse qualunque incontro con una celebrità produce un po’ di questa piatta misterioristà. 60. Warner, “The Mass Public”, p 250. 61. Questa dichiarazione compare a p 91 de La filosofia di Andy Warhol. Essa tocca altresì delle mie preoccupazioni complementari che qui non ho ben definito: la dialettica dei media e della tecnologia sia come schock sia come scudi per il soggetto, la complicazione causata dal trauma della causalità e della temporalità, l’irriducibilità del corpo in situazioni di dolore. Per quanto concerne il primo punto, si veda anche questa dichiarazione de La filosofia di Andy Warhol: «L’acquisto del mio registratore pose davvero fine a qualsiasi tipo di vita emotiva avessi avuto prima, ma fui contento di vederla sparire […] Durante gli anni Sessanta, mi sembra, la gente dimenticò cosa fossero le emozioni. E penso non l’abbia mai più ricordato. Credo che una volta che si vedono le emozioni da una certa angolazione non si possa più considerarle reali. Questo, più o meno, è quello che è successo a me» (pp 26–27).


“Where Is Your Rupture?” Cultura di massa e Gesamtkunstwerk Annette Michelson

E se il corpo non fosse l’anima, l’anima cos’è? Walt Whitman

Uno spettro infesta la teoria e la pratica artistica di tutto il nostro secolo: lo spettro della “Gesamtkunstwerk”, un concetto scaturito dal tardo romanticismo, coltivato e maturato nel momento modernista e mai interamente esorcizzato nell’era del post-modernismo e della riproduzione elettronica. Per Adorno, che scrive nel 1944, la televisione prometteva una sintesi di radio e film che avrebbe impoverito la produzione artistica al punto tale che «l’identità oggi appena larvata di tutti i prodotti dell’industria culturale» si sarebbe rivelata, realizzando in chiave sarcastica il sogno wagneriano dell’“opera d’arte totale”. La coincidenza tra parola, immagine e musica riesce in modo tanto più perfetto che nel Tristano perché gli elementi sensibili che protocollano tutti quanti, senza eccezione, la superficie della realtà sociale, sono già prodotti, in linea di principio, nello stesso processo tecnico di lavoro e si limitano ad esprimere l’unità come loro contenuto essenziale. Questo processo lavorativo integra tutti gli elementi della produzione, dalla prima idea del romanzo che tiene già d’occhio la possibilità del film fino all’ultimo effetto sonoro. È il trionfo del capitale investito. Imprimere la sua onnipotenza, a lettere di fuoco, e cioè quella del

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Conoscenza carnale Rosalind Krauss

All’incirca nel periodo in cui stava realizzando le quasi sei dozzine dei suoi mastodontici dipinti “Rorschach”, Warhol stava anche lavorando al libro America, con la sua combinazione di fotografie e commento. Fu in quel contesto, aggiungendo parole a un gruppo di immagini di cimiteri, che osservò: «Non ho mai capito come mai, quando si muore, non si svanisca e basta [...] Ho sempre pensato che avrei voluto una lapide vuota. Nessun epitaffio, nessun nome. Be’, a dire il vero mi piacerebbe vi fosse scritto ‘finzione’»1. Finzione? Come per le battute in chiusura di tante altre dichiarazioni di Warhol, il termine ci coglie del tutto impreparati. L’ultima cosa che ci aspetteremmo dall’Andy Warhol di “Vorrei essere una macchina” è un estremo appello all’immaginario. Eppure, nell’intervista dedicata ai dipinti della serie Rorschach rilasciata l’anno seguente è proprio sulla finzione che è concentrato. Professando una totale ingenuità (come sempre) riguardo al ruolo “ufficiale” del test di Rorschach, anzi affermando: «Pensavo che quando vai in posti come gli ospedali toccasse a te disegnare e fare i test di Rorschach. Vorrei aver saputo che ne esisteva una serie [standardizzata]». Warhol è chiarissimo, malgrado tutto, nell’indicare che l’obiettivo di un’immagine di quel tipo è la “finzione”. E di conseguenza afferma: «Cercavo proprio di crearli per poi interpretarli e scrivere qualcosa a riguardo, ma non ne ho mai avuto il tempo.

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Intervista con Andy Warhol Benjamin H. D. Buchloh

Benjamin H.D. Buchloh: Per cominciare posso farle una domanda sulla serie delle immagini pubblicitarie? Quali erano i criteri in base ai quali lei sceglieva una particolare immagine fra la gran copia di logo e marchi? È possibile descrivere il processo selettivo o tutto avveniva in modo casuale? Le immagini che lei ha scelto sono così significative che si possono considerare archetipi della storia pubblicitaria. Per chiunque sia cresciuto durante gli anni Cinquanta, il cavallo della Mobil è un’icona. Andy Warhol: Dunque, ho scelto il Mobil Horse, perché mi piacevano i ragazzi che lo collezionavano e lo disegnavano, cioè... non so... A Keith Haring il Mobil Horse piace molto... Forse pensavo a lui quando l’ho fatto. Quando l’ho scelto mi trovavo proprio in un parco-giochi... Anche le altre immagini sono quasi tutte prese dalla pubblicità degli anni Cinquanta. Fatta eccezione per l’immagine della Apple che, ovviamente, è degli anni Ottanta. Forse dovevo fare più immagini pubblicitarie degli anni Ottanta e roba del genere... Quindi la scelta delle immagini era piuttosto casuale? Be’, ci sono talmente tante immagini fra cui scegliere e a me piacciono tutte. Comunque ho scelto quelle che mi piacciono. Be’, molte le ha scelte Ronald Feldman, ma erano talmente tante, davvero tante.

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Postfazione Carla Subrizi

Questo libro su Andy Warhol, che Postmedia Books ha deciso di pubblicare per la prima volta in italiano, è importante. Lo è poiché riporta l’attenzione, oggi e in Italia, su alcuni saggi scritti tra il 1989 e il 1996 da Benjamin H. D. Buchloh, Thomas Crow, Hal Foster, Rosalind Krauss e Annette Michelson, ai quali si aggiunge un’intervista del 1985. Il libro in lingua originale uscì nel 2001 a cura della stessa Michelson, anche se i saggi erano stati in precedenza pubblicati su riviste, cataloghi, libri1. Il libro è dunque importante non soltanto perché considera una delle figure che più ha interessato il grande pubblico con mostre frequenti o che ha sollecitato la critica e il lavoro di molti artisti, seppur in modi differenti e da diversi punti di vista. Andy Warhol era nato a Pittsburgh nel 1928 da una famiglia di immigrati cattolici cecoslovacchi, trasferita negli Stati Uniti nel 1913, anche a causa della prima guerra mondiale. Il padre si chiamava Andrej Warhola, la madre Julia Zavacky e il nome stesso di “Warhol” fu il primo segnale di quel desiderio di trasformare se stesso che mai abbandonò Andy, sin da giovane. La formazione avviene negli anni Quaranta: segue corsi di pittura al Carnegie Institute of Technology, lavora come art editor e nel 1948 espone il suo primo dipinto: The Broad Gave Me My Face, But I Can Pick My Own Nose; nel 1949 lavora come pubblicitario. Il 1952 è l’anno della sua prima mostra personale presso la Hugo Gallery di New York. Tra il 1956 e il 1960 avvengono tuttavia i passaggi cruciali (ben descritti nel saggio di Buchloh) che, tra ripensamenti, indecisioni, desiderio di invertire le convenzionali definizioni tra arte “alta” e cultura di massa e scelte, sempre rivendicate, fatte da “autodidatta”, lo porteranno alla prima mostra presso la Ferus Gallery di Los Angeles in cui espone i primi cicli

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Indice dei nomi


Abraham, Karl, 120

100, 141, 143, 153, 159, 177

Acker, Kathy, 125

Carnegie Institute of Technology, 5

Adorno,Theodor W., 8, 113, 131, 172

Cars, 76

Ads, 7

Castelli, Leo, Gallery, 29, 50, 151, 177

Albers, Josef, 159, 179

Chelsea Girls, The, 116, 127

Amaya, Mario, 49

Cocteau, Jean, 159 - 160

Ambulance Disaster, 96, 97

Cow Wallpaper, 49 – 50, 78

Andre, Carl, 143

Crow, Thomas, 91, 96, 169 – 170, 174, 183 - 184

Andy Warhol’s Index Book, 7 Arman, 20, 34, 158, 163, 179 Avedon, Richard, 116 Bachtin, Mikhail, 124, 126, 127, 184 Ballard, J. G., 89, 98, 100 Barker, George, 118 Barthes, Roland, 90, 91, 95, 97 Basquiat, Jean-Michel, 155, 164 Baudelaire, Charles, 10 Baudrillard, Jean, 91, 94 Bauhaus, 12, 13, 114 Bellevue I, 77 Belyj, Andrej, 117 Benjamin,Walter, 19, 22, 23, 96, 102

Cutrone, Ronnie, 101 Dance Diagrams, 24, 25, 26, 27, 31 De Antonio, Emile, 17 - 18 Death in America (serie), 92, 94 Debord, Guy, 99 De Chirico, Giorgio, 148 – 151 De Kooning,Willem, 22, 33, 54, 71, 81, 178 Delacroix, Eugene, 39 Deleuze, Gilles, 90 Deren, Maya, 118, 185 Do It Yourself, 24, 27, 31, 177, 180 Dubuffet, Jean, 164

Black Mountain College, 157

Duchamp, Marcel, 10, 17, 23, 33, 35 - 36, 38, 51, 53, 54, 119, 120, 123, 124, 156, 157, 161, 174-178, 180, 181, 185

Blue Electric Chair, 27

Eisenstein, Sergei, 131

Brakhage, Stan, 118, 123, 129–131, 185

Elvis (serie), 27, 33, 37, 44, 49, 104, 175

Brecht, Bertolt, 43, 92

Factory, the, 12, 91, 100, 104, 115, 119, 123–127, 129, 130, 173, 176, 184

Berkeley, Busby, 19

Brillo Box, 14, 100 Buchloh, Benjamin H. D., 140-141, 169, 172-173, 182-184

Ferus Gallery, 46, 49, 159, 169, 175 Five Deaths, 76

Buffet, Bernard, 164

Flower (serie), 49, 78

Cage, John, 16, 20, 21, 23, 33, 34, 54, 115, 158, 174

Fluxus, 34, 51 – 52, 54

Calas, Nicholas, 122

Foucault, Michel, 90

Fontana, Lucio, 29

Campbell’s Soup, 46–49, 51, 53, 75, 93,

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Frampton, Hollis, 117

Karp, Ivan, 18, 149, 180

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Frankenthaler, Helen, 138, 139

Kelly, Ellsworth, 19, 29-30

Fremont, Vincent, 152

Kennedy, Jacqueline, 73

Freud, Sigmund, 94, 137, 139

Kennedy, John F., 69, 74, 78

Galleria Apollinaire, 48

Klein, Melanie, 120-121, 185

Geldzahler, Henry, 54, 180, 181

Klein,Yves, 29, 48, 159, 179-180

Giacometti, Alberto, 164

Kline, Franz, 54, 157, 179

Giorno, John, 129

Koch, Stephen, 156

Girard, René, 142-143

Kracauer, Siegfried, 19

Gloria, 40

Lacan, Jacques, 94–97

Greenberg, Clement, 37, 53, 174, 177

Lefort, Claude, 99

Gutaï, 138

Lichtenstein, Roy, 157, 172, 177, 180

Habermas, Jürgen, 99

Linich, Billy, 123

Hamilton, Richard, 40

Liz (serie), 37, 73, 175

Haring, Keith, 147, 164

Louis, Morris, 138, 139

Harvey, James, 14

Ludwig, Peter, 55

Hesse, Eva, 121, 123, 138

Maas, Willard, 118

Horkheimer, Max, 131, 172

Mailer, Norman, 71

Hymnal, 40

Malanga, Gerard, 51

Indiana, Robert, 180

Manet, Edouard, 39

Institute of Contemporary Arts (London), 49

Man Ray, 33, 159, 160

Institute of Design (Chicago), 13 Jackie (serie), 74 Jackson, Martha, 18 Johns, Jasper, 17, 19-20, 22-25, 29, 3235, 38-39, 45-47, 52, 121-123, 157, 172, 179-180, 183 Johnson, Philip, 45-46, 103 Judd, Donald, 143 Kandinsky, Wassily, 27 Kantorowicz, Ernst, 98 Kaprow, Allan, 11, 21-25, 28-29, 32, 34, 41, 183

Manzoni, Piero, 47 Mao (serie), 99, 102 Marilyn on Gold Ground, 27, 39, 70, 73 Marilyn (serie), 37, 70, 71, 73, 74, 94, 101, 102, 177 Marlon Brando, 27 Matisse, Henri, 159, 160 Moholy-Nagy, László, 12, 13, 114 Monroe, Marilyn, 33, 44, 70, 71, 73, 77, 80-84, 91, 96, 100, 177, 184, 185 Morris, Robert, 138 Morrissey, Paul, 116 Moses, Robert, 45, 103


Mustard Race Riot, 27

Saturday Disaster, 76, 91

Nadelman, Elie, 15

Scharf, Kenny, 164

New Bauhaus, 12

Scull, Ethel, 44

Newman, Barnett, 22, 28, 31, 157

Sedgwick, Edie, 73, 125

New York World’s Fair (1964–1965), 45

Segal, Hanna, 121

Noland, Kenneth, 121, 123, 138, 139

Shahn, Ben, 159

Oldenburg, Claes, 22, 138, 180

Sirk, Douglas, 130

Olitski, Jules, 138

Skull (serie), 101

Oxidation (serie), 26, 137, 138, 151, 153-155

Snow, Michael, 117

Ozenfant, Amédée, 19 Packard, Vance, 142 Paepcke, Walter, 13 Paolozzi, Eduardo, 40, 172 Pearlstein, Philip, 160 Picabia, Francis, 17, 33, 159, 160 Pollock, Jackson, 21-23, 25, 26, 31, 32, 41, 50, 54, 137, 138, 157, 178, 183 Rauschenberg, Robert, 17, 20, 22-25, 29, 32-38, 40, 41, 52, 157, 159, 172, 175, 179, 180, 183

Solanas, Valerie, 104, 115, 116 Solomon, Holly, 44, 143 Speer, Albert, 151 Stable Gallery, xii, 15, 23, 177 Stein, Gertrude, 130 Steinberg, Leo, 121, 122, 180, 182 Stella, Frank, 29 Suicide, 77 Swenson, Gene R., 16, 68, 92 Thirteen Most Wanted Men, 27, 37, 42, 45, 103

Red Close Cover before Striking, 30

Tunafish Disaster, 27, 75, 76

Reinhardt, Ad, 22, 28

Twombly, Cy, 138

Richter, Gerhard, 96

Verlaine, Paul, 123

Rockefeller, Nelson A., 45

Warner, Michael, 99, 100, 104

Rorschach (serie), 135, 138, 140, 144, 151-155, 184-186

Watts, Robert, 34, 183

Rose, Barbara, 150

White Burning Car III, 95

Rosenberg, Harold, 25, 32, 50, 183

Whitney Museum of American Art, 49

Rosenquist, James, 71, 72, 80, 180

Wilde, Oscar, 10

Rothko, Mark, 22, 28

Yellow Close Cover before Striking, 30

Weiner, Lawrence, 161

Round Jackies, 27 Ruscha, Ed, 138 Saatchi Brothers, 55 Sartre, Jean Paul, 130

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Pop Art. Pittura e soggettività nelle prime opere di Hamilton, Lichtenstein, Warhol, Richter e Ruscha Hal Foster Postmedia Books 2016 isbn 9788874901609

Concentro le mie riflessioni su cinque artisti (Richard Hamilton, Roy Lichtenstein, Gerhard Richter, Ed Ruscha e Andy Warhol) perché rimandano, in maniera più evidente di altri, alle mutate condizioni della pittura e dello spettatore nel primo periodo della Pop art, che faccio risalire alla metà degli anni Cinquanta. Ridotta alla sua essenza, la mia tesi è che in questo periodo cambia sia lo status dell'immagine che quello della soggettività e i lavori di questi artisti lo dimostrano nel modo più suggestivo. __Hal Foster

Hal Foster analizza le prime opere di Richard Hamilton, Roy Lichtenstein, Andy Warhol, Gerhard Richter, Ed Ruscha per restituirci uno sguardo inedito sulla Pop art con interessanti implicazioni anche nel design e nell’architettura. Edito da Postmedia Books, è finalmente disponibile in italiano l’illuminante saggio di Hal Foster. Si tratta di un’approfondita ricerca del noto critico d’arte americano attorno alla produzione di nuove soggettività e alle trasformazioni dello statuto dell’immagine avvenute nell’arte occidentale nella seconda metà degli Anni Cinquanta, grazie agli innesti della trionfante cultura consumistica di massa nelle pratiche artistiche. Con il consueto rigore, Foster guarda, giustamente, alle implicazioni teoriche nate in seno all’Indipendent Group di Londra dove giovani architetti, critici e artisti iniziano a produrre un rinnovamento dell’immaginario attraverso uno sguardo transdisciplinare, che attinge a piene mani dalla cultura popolare dalla quale ricavano le immagini per declinare seminali progetti un po’ trascurati dalla storiografia, soprattutto, italiana. __ Marco Petroni, Artribune, luglio 2017


Il ritorno del reale L'avanguardia alla fine del Novecento

Arte fuori dall’arte Incontri e scambi fra arti visive e società negli anni Settanta

di Hal Foster

di AA.VV.

isbn 9788874900268

isbn 9788874901982

L'antiestetica Saggi sulla cultura postmoderna

Anni Settanta La rivoluzione nei linguaggi dell'arte

di Hal Foster (a cura di)

a cura di C. Casero e E. Di

isbn 9788874901227

Raddo isbn 9788874901333

Il complesso ArteArchitettura

Breve storia della curatela

di Hal Foster

di Hans Ulrich Obrist

isbn 9788874901906

isbn 9788874900626

Design & Crime di Hal Foster

L'exforma Arte, ideologia e scarto

isbn 9788874900039

di Nicolas Bourriaud isbn 9788874901777

Nuove geografie artistiche Le mostre al tempo della globalizzazione

Forme di vita L'arte moderna e l'invenzione del sé

di Roberto Pinto

di Nicolas Bourriaud

isbn 9788874900831

isbn 9788874901401

Art Power di Boris Groys

Il radicante Per un'estetica della globalizzazione

isbn 9788874900671

di Nicolas Bourriaud isbn 9788874901005

Azioni che cambiano il mondo Donne, arte e politiche dello sguardo

Franco Angeli e Tano Festa

di Carla Subrizi

isbn 9788874901951

di Elisa Francesconi

isbn 9788874900800

Avanguardia di massa

Infrasottile L'arte contemporanea ai limiti

di Maurizio Calvesi

di Elio Grazioli

isbn 9788874902118

isbn 9788874901999

La Tartaruga Storia di una galleria

Pino Pascali. Fotografie

di Ilaria Bernardi

isbn 9788874902170

di AA.VV.

isbn 9788874901920

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Andy Warhol a cura di Annette Michelson

con saggi di Benjamin H. D. Buchloh, Thomas Crow, Hal Foster, Annette Michelson, Rosalind E. Krauss e una postfazione di Carla Subrizi postmedia books 2018 196 pp. isbn 9788874902156

Finito di stampare nel mese di ottobre 2018 in 700 copie tutti i diritti riservati / all rights reserved Ăˆ vietata la riproduzione non autorizzata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia o qualsiasi forma di archiviazione digitale. All rights reserved. No part of this book may be reproduced or transmitted in any form or by any means, electronic or mechanical, without permission in writing from the Publisher. Postmedia Srl Milano www.postmediabooks.it


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