FESSURE
Laura Cantale Giuseppe Mendolia Calella nota conclusiva di Valentina Barbagallo
Laura Cantale Giuseppe Mendolia Calella nota conclusiva di Valentina Barbagallo
Laura Cantale Giuseppe Mendolia Calella nota conclusiva di Valentina Barbagallo
Il mondo oltre il nostro muoveva di novità, di rivoluzioni, di trasformazioni… A noi toccava l’azzeramento; ci veniva chiesto di ricominciare da capo. Quelle case ora erano cumuli, tumuli fumanti, ceneri lente a risorgere.
Ludovico Quaroni e Luisa Anversa 1972, Chiesa MadreLì dove gli alberi si facevano più ftti, il verde più scuro e il cielo spariva, li attendevano mondi sconosciuti, ogni volta sempre nuovi. Uno spago, qualche biglia, una trottola di legno vorticava dove la terra battuta era più compatta; qualche risata, qualche pianto interrotto dal richiamo della mamma.
Passando sotto le fnestre spalancate, i suoni di qualcuno indaffarato in cucina spandono sulla strada insieme al profumo di olio caldo. Lo sfrigolio della frittura fa da sfondo a discorsi rarefatti, nel battere delle stoviglie e nello scampanare di posate.
E giorno e notte penso solo a te… si ride e si parla sui panni stesi profumati di Lisciva, oltre la tenda che ondeggia sull’uscio del bar Parisi. Dimmi la veritá!… Ti ascolto ora, sospeso in questo istante di nulla.
Franco Purini e Laura Thermes 1990, Sistema delle PiazzePer la festa di San Rocco indossavamo gli abiti più belli: la camicia bianchissima di papà, la giacca e i pantaloni erano sulla stampella, appesa al chiavistello della credenza. L’odore di pomata neutra per lustrare le nostre scarpe si diffondeva nella stanza a suon di spazzolate. La borsetta della mamma, piena di carta arruffata per tenerla voluminosa, aveva un fazzoletto come unico vero contenuto. Così si usciva, per guardare e farci guardare, per essere parte di questo piccolo mondo.
Franco Purini e Laura Thermes 1990, Sistema delle PiazzeQuando anche l’ora tarda della sera trattiene il caldo del giorno, i discorsi si fanno sull’uscio, seduti su sedie incrinate. La luce foca di casa sui ventagli, sul nero del lutto e sulle camicette forate; parole lente, commenti sottovoce su questo e su quella, l’eco di una risata. Ecco, non v’è mai silenzio e non v’è mai modo di restare soli.
Ludovico Quaroni e Luisa Anversa 1972, Chiesa MadreDue colpi di pistola seguiti da un silenzio assordante, fato corto, pugni stretti attorno a un centrino ricamato; erano tutti immobili, illuminati dalla lanterna magica arrivata in paese. Per me era un divertimento osservarli. Attendevo trepidante quel momento in cui quelli del quartiere Itria arrivavano a casa mia, prendevano posto davanti al televisore e iniziava il mio personale spettacolo.
Cosimo Barna 2005, MediterraneoPer vedere bene, salii i gradini della scalunera di corsa, uno dopo l’altro. Avevo attraversato correndo tutta la strada grande salutando con un sorriso frettoloso il barbiere appoggiato all’uscio del suo salone vuoto. Mi voltai con il fatone che scuoteva il mio corpo, e cercai da quell’altura di coprire con lo sguardo tutto lo spazio frastagliato di case e muri, come chi ha il potere di separare a destra e a sinistra e tagliare in due il paese.
Mimmo Rotella 1987, Omaggio a T. CampanellaSento ancora i suoni sordi dei tacchi dalle scarpe di cuoio lucidate per la festa, battere ritmate verso la strada grande. I confratelli di San Giuseppe si riuniscono a piccoli gruppi e mi salutano con gesti cordiali, scambiandosi sorrisi fraterni nell’intreccio di mani callate che stringono l’augurio domenicale.
Alessandro Mendini 1987, Torre CivicaEra tipico del giorno l’insieme dei fasci dorati che si facevano strada tra le vie del paese, ed era piacevole sentirne il tepore quando l’inverno iniziava a farsi sentire più irto; ma era la notte quella più solenne. Le prime nevi arrivavano col buio; tonf leggeri avvolgevano i colli di bianco e li facevano brillare come stelle in terra senza che nessun magnifco fulgore diurno interferisse.
Pietro Consagra 1988, Città di TebeSmaniavano le dita tra i ricami e danzavano, disegnando ombre nuove lungo il tessuto; si muovevano veloci, intente a evitare di rimanere intrappolate tra le foglie fatte di fli che, dal giorno alla notte, nascevano rigogliose.
Paolo SchiavocampoQuando la primavera stava per completare il suo passaggio noi cambiavamo tempo. Dal quartiere sant’Antonino ci spostavamo nelle campagne, dove il verde dei campi lasciava spazio al giallo, in un ondeggiare di vento caldo che smuoveva le piantagioni. Dentro grossi trusci di stoffa mettevamo gli abiti, riponevamo le scarpe, armavamo gli strumenti da lavoro. A piedi, in una fla disordinata di camminanti con serena andatura, il lavoro a venire prendeva i toni di una villeggiatura.
Era così, al vespro, mi muovevo veloce incrociando gli sguardi dei miei compaesani che, insieme al vento, mi attraversavano. Poi sparivo dietro al vicolo, nascosta dalle ombre che si allungavano protettive, dove ad attraversarmi era il suo odore carico di luce. Sussurrava e ci mescolavamo alle ombre.
Quando in paese arrivava il momento della corsa dei cavalli, era come una guerra gioiosa tra quartieri. Il manto delle bestie si bardava di verde, giallo e rosso tuonante; il ferro colpiva festoso la strada e noi, in fle ordinate ai margini, esultavamo al passaggio, battendo le mani e scalciando per il palio.
Giuseppe Uncini 1986, Sacrario ai CadutiL’altoparlate della Piazza del Potere annuncia il comizio: “Chi sarà il nuovo sindaco?” Sul muro del bastione che precede la scalunera strati di manifesti incrostano l’intonaco: “Vota! Sarà un comunista? Sarà un democristiano? Chi governerà il paese? Quale futuro costruiremo? Cosa miglioreremo? La risposta l’avremo presto! Domenica 15 gennaio 1968 si apriranno i seggi di Gibellina”.
Al bar Navarra ci si incontrava al vespro per un Sarti ghiacciato o una Soda. Stavamo sulle sedie di vimini, col bicchiere poggiato sulla cerata forata dei piccoli tavoli tondi. La radio, sempre accesa, ci faceva da colonna sonora mentre aspettavamo qualche ragazza passare di lì, insieme alla madre. Quando succedeva gli occhi si allungavano, si cercava un sorriso, un segno di approvazione e speravamo in un incontro futuro.
Salvatore Cuschera 1994, Scultura sdraiataIl vagone del treno della ferrovia a scartamento ridotto diretto a Mazzara del Vallo, attraversava il viadotto che spuntava, come un pontile o un acquedotto antico, tra due ciuff di ftta vegetazione. Un’immagine idilliaca, un quadretto naif. Il vagone usciva dall’abitato e attraversava la campagna dove gruppi di contadini, chini sul lavoro, sollevavano le spalle all’improvviso e ci salutavano in un impeto goliardico e allo stesso tempo malinconico.
Come sogno giungeva la fne di agosto, il fervore gremiva le strade; vociavano e si salutavano tutti con bracciate affettuose e lunghe. Chi tornava dalle campagne, chi era rimasto… e i bambini; guardinghi alla ricerca dell’ambito premio di fne estate, guizzavano tra le gambe adulte verso il più prezioso dei doni.
Mappare a memoria il cuore è impossibile Nota conclusiva di Valentina Barbagallo
Siamo alla fne degli anni ‘60, in un paese dell’entroterra siciliano simile a molti altri del nostro Bel Paese, quando all’improvviso la terra trema, le case crollano, le persone muoiono e la vita di prima si arresta per sempre. Il presente diviene, in un lampo, passato, e per il futuro non restano che macerie.
Siamo nella Gibellina che decide ostinatamente di rialzarsi rendendo Bella la sua profonda cicatrice e costruendo la città nuova per i sopravvissuti.
FESSURE racconta ricordi che sono di tutti: l’olio che sfrigola e avvolge la via dei sapori del pranzo sin dalle prime ore del mattino; la mamma che chiama/richiama/ricama i fgli; i vestiti buoni della domenica, ecc… I racconti di Gibellina sono fessure di memoria, arterie del nostro corpo e vie delle nostre città, per il loro essere storie di ciascuno e storie di tutti.
Mappare a memoria il cuore è impossibile: la scienza usa l’elettro/ecocardiogramma “per vederci dentro”; la psicoanalisi le parole; l’arte le immagini simboliche.
La Gibellina distrutta si è trasformata in un museo d’arte contemporanea a cielo aperto, in un santuario pieno di totem cui pregare e su cui rifettere. Gibellina oggi è poesia drammatica; è mappa che copre, ripercorre, custodisce le macerie della catastrofe naturale per riunire le famiglie e la comunità.
La compattezza del Cretto è un aspetto ma non la caratteristica assoluta dell’intervento di Burri perché al suo interno rimangono 18 vie, 18 fessure da cui è possibile intravedere inaspettatamente il futuro e non il passato. Il nome delle vie di ieri, in questo lavoro di Laura Cantale e Giuseppe Mendolia Calella, porta a uno scorcio della Gibellina di oggi.
Questo libro, come l’intero progetto voluto da Corrao, non vuole essere un tributo nostalgico, ma un inno alla vita e alla bellezza che da sempre accompagna l’umanità nel suo percorso di accettazione del per sempre.
testi, fotografe, grafca e impaginazione di Laura Cantale e Giuseppe Mendolia Calella nota conclusiva di Valentina Barbagallo stampa Studio Kina rilegatura Laura De Carlo Catania
Si ringraziano Massimo Limoncelli Cristina Costanzo Giulio Ippolito Realizzato a Gibellina (Tp) nel mese di Agosto 2021.
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