Ora ďŹ nisce l’inverno
Giuseppe Mendolia Calella Valentina Lucia Barbagallo 2016
Bianco– Nero Nero – Bianco Bianco – Bianco Nero – Nero. Picchi d’intesa massima e di totale afasia hanno seguito l’andare alterno di chi ha creduto che l’amore fosse, per definizione, anapodittico e di chi invece affidava il proprio futuro all’abduzione. Indimostrabilità o probabilità date da premesse certe: chi può dirlo! Si procede per tentativi, si procede navigando a vista, si procede sentendo e smettendola di domandarsi a priori come procedere. Si vive, non si va avanti (precede). Così finisce l’inverno. Si vive e le istruzione della vita e del sentirsi vivi, per fortuna, non sono ancora state scritte. Ognuno asseconda se stesso, ricordando che il patto il sociale regola il rapporto tra noi e gli altri non tra noi e noi. Mai una via di mezzo, mai! Bianco. Nero. Guai a noi a “essere via di mezzo”. L’attrazione – come da teoremi fisici dimostrati da storie letterarie - è determinata da polarità antitetiche, ma io non ho mai visto noi due in questi termini, né come (spero non me ne voglia a male Platone) due parti della stessa mela, piuttosto, e questo mi è chiaro solo da poco, ho sempre sentito noi come due esseri nati dalla stessa sostanza. Non fratelli, non uniti geneticamente, ma legati nell’essenza che determina ciò che siamo e il modo in cui esistiamo. Cosa ci ha fatto entrare in crisi individualmente e poi insieme? Scoprire, grazie all’altro, la tridimensionalità della nostra personalità. Fino a quando siamo rimasti da soli, pensavamo di essere bidimensionali e di coincidere con quello che noi e gli altri vedevano di noi. Insieme, il mito è crollato: tu mostri a me la parte di me che per conformazione io non posso vedere e io faccio lo stesso con te. Noi non ci siamo mai completati e non abbiamo mai avuto intenzione di farlo perché a noi il completo, il finito inorridisce. Rifugiamo il finito con la stessa forza con cui inseguiamo l’infinito e con lo stesso stato d’animo: paura e ansia. Finito - Infinito Nero - Bianco Tutto quello che è definibile per antitesi ci risulta antipatico… Definiamoci oggettivamente: descriviamoci. Basta! Troppa razionalità invade il campo dei sentimenti. Sillogismi, categorie, analisi, teorie: tutto troppo cerebrale… Necessito di emozioni, di interruzioni dei flussi della mente: necessito di rompere le catene. Ho paura di farlo ma voglio uscire dal bianco: essere luce non vuol dire vederla, sentirla, viverla. Quanta categorizzazione c’è in tutto questo andare aldilà delle categorie. La paura delle sfumature e delle vie di mezzo ci ha inevitabilmente collocati ai poli opposti (nemmeno la nostra arroganza può annullare la fisica) noi che siamo lo stesso polo, oggi, occupiamo estremità opposte. Noi che volevamo essere il tutto di tutto ci siamo scoperti poli opposti, elementi complementari: uno il nero, l’altra il bianco. Tu il mio tutto. Io il tuo tutto.
Impossibile essere tutto da soli: non impossibile ma, oggi credo che la solitudine del tutto in se riveli la parzialità di questo tutto che diventa pienezza solo nell’altro. Il maschile e il femminile della stessa sostanza. (Il passato ci vuole arroganti si, molto… spesso inconsapevolmente, ma ora siamo disposti a pentirci di tanta tracotanza) Un inverno rigido, iniziato in primavera, ci ha svelato quanto abbandonare la sicurezza data dalla protezione di una cattedra (leggi conoscenza) filosofica e dalla protezione di un abito invisibile di una suora laica (leggi tabù morali) abbia reso il nostro agire più spontaneo, più autentico. Il ritrovare noi stessi individualmente ci ha mostrato le diversità insite in noi, nella stessa sostanza, se questa è declinata al maschile o al femminile, se questa ha un vissuto piuttosto che un altro. Giunti all’essenza, nudi di fronte a noi stessi per la prima volta siamo stati avvolti da un calore proveniente da dentro. Ritrovarsi era l’ultima delle possibilità ma, ancora una volta, l’arroganza ci ha rapiti e ci ha fatto ritrovare nel mezzo delle nostre strade individuali e ci ha collocati al centro della nostra vita insieme. È nel grigio delle nostre esistenze che è rinato il nostro noi: che il mio grigio abbia una predominante bianca e il tuo, una predominante nera, poco importa, perché il nostro grigio è unico e nasce dall’unione di due tutti: Bianco e Nero che non sono due facce della stessa medaglia, ma due non colori da sempre accostati per antitesi: l’uno può influenzare (leggi, valorizzare) l’altro esaltandone degli aspetti e mischiandosi ad esso può creare nuove sfumature di un colore, il grigio. Il bianco è un non colore completo. Il nero è un non colore completo. Il grigio è un colore nato dall’unione di due non colori completi che esistono solo nell’unione: il grigio non può esistere senza il bianco e il nero che dunque diventano, entrambi, elementi indispensabili per esso. Il Bianco mostra al nero la sua tridimensionalità come il nero fa con il bianco e la loro esistenza viene scandita da quelle sfumature grigie che sembrano ombre ma che invece sono figure vere, sono vita. Ogni sfumatura di grigio che Bianco e Nero creano, corrisponde a momenti di vita trascorsa insieme: la predominanza di uno sull’altro o il loro equilibrio svelano in che modo il bianco e il nero hanno vissuto l’altro. Ogni sfumatura di grigio è una stagione dell’unione del bianco e del nero. Così finisce l’inverno. Io che amo le stagioni fredde ho sentito il calore grazie al freddo, cadendo nelle definizioni per antitesi e nelle categorie che detesto ma che più velocemente mi hanno fatto vedere quanto la mia vita da white cube mi predisponesse all’esposizione non alla creazione. Io che amo le stagioni fredde ho sentito il calore grazie al freddo, cadendo nelle definizioni per antitesi e nelle categorie che detesto ma che più velocemente mi hanno fatto vedere quanto coprendo di nero le parti dolorose della mia vita mi predisponessi alla negazione non all’affermazione di me stesso.
Illustrazioni e graďŹ ca: Giuseppe Mendolia Calella Testo: Valentina Lucia Barbagallo Catania 2016
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