portfolio_Marzo013

Page 1

giuseppe mendolia calella portfolio_marzo 2013


La mia ricerca recente concerne la tematica della conservazione: conservazione in senso lato, estrapolata da forme linguistiche e meccanismi semantici legati all’azione stessa del conservare. Altrove, servendomi di objet trouvè e di fotografie di interni non più abitati, indago le coordinate degli spazi dove le necessità della vita (o del tempo) non combaciano più. Luoghi ancora ingombri di cose, eppure già sequenze di vuoti. Residui di un’intimità familiare che mostrano un’unica e incondizionata realtà: l’assenza. C’è tuttavia nel mio lavoro una certa consapevolezza delle forme del presente, dalla trasmissione del sapere all’utilizzo di linguaggi che derivano dalle tecnologie informatiche. My recent research concerns the theme of conservation, that comes from linguistic forms and semantic mechanisms associated to the action of the store. Elsewhere, by using objet trouvè and photographs of interiors that are longer inhabited, I investigate the coordinates of the spaces, where the necessities of life (or time) don’t fit anymore. Places still cluttered with things, but already empty sequences. Residues of a family intimacy that show an unconditional reality: the absence. However, in my works there is a certain awarness of the forms of the present, from the transmission of knowledge to the use of language that derives from informatic technologies.


La dimensione del frammento mi sembra quella più propria per definire e avvicinarsi al lavoro di Giuseppe Mendolia Calella, artista che opera attraverso l’asportazione, l’assemblaggio e la composizione di oggetti e materiali. In ogni caso, si tratta di materia che porta con sé una storia, mai oggetti nuovi. E’ in questo senso, che la ridefinizione non è solo fisica, ma muove, soprattutto, attraverso l’accostamento di suggestioni o racconti accennati. Molti tra i lavori di Mendolia Calella hanno una dimensione intima, mi fanno pensare alle tracce che ci lasciamo volontariamente o meno dietro, prima di lasciare una casa, ad esempio. Ricordo che in una stanza in cui ho abitato trovai, nascosta dietro un cassetto, una collezione di fumetti con dentro ritagli di vecchie immagini erotiche e un modellino di macchina nascosti lì da chissà quanti anni. Sono queste eredità inconsapevoli che informano l’opera di Giuseppe e ci guidano attraverso il modo in cui lui ridispone, ordina e organizza ciò che raccoglie. Una storia scritta attraverso le cose dimenticate potrebbe correre il rischio di diventare preda di sentimentalismi patetici. In questo caso, invece, si avverte una separazione tra il vissuto dell’artista e la sua attività di “archeologo della quotidianità”; questa separazione informa il suo lavoro mischiando insieme finzione e ricostruzione. Per finzione, in questo caso, mi riferisco alle strategie utilizzate nel lavoro, come ad esempio, il modo in cui vengono organizzati e disposti gli oggetti che l’artista isola e ricombina in assemblaggi affascinanti. Non c’è nulla di casuale in queste operazioni: un approccio formale non è mai solo e semplicemente superficie, soprattutto quando è l’aspetto di una cosa, le sue tracce a parlarci di sé. La conservazione è di per sé un metodo arbitrario, bisogna selezionare, fare delle scelte anche involontarie. Non parlerei, in questo caso, di archivio perché un archivio dovrebbe tendere a un’organizzazione chiara del materiale, più illustrativa che suggestiva, mentre in questi lavori c’è uno sconfinamento poetico, l’organizzazione degli oggetti rimanda a una situazione precaria, più leggibile da una prospettiva intima e personale che collettiva. Gli oggetti trovati vengono installati sul pavimento, impilati o semplicemente reclinati tra pavimento e muro, senza cura apparente, nonostante la composizione tenda sempre all’eleganza formale, come in “Cerchi nell’Acqua”: installazione di oggetti e disegni. Seguendo questo metodo Giuseppe sceglie da una casa da poco acquistata dalla sua famiglia, una mattonella identica a tante altre e ce la consegna, avvolta in una carta da parati azzurra, legata con dello spago. L’involucro non è dei più preziosi, ma ha tutto il fascino del materiale trovato in cui avvolgere qualcosa quando non abbiamo altro sottomano, qualcosa da conservare o proteggere. Lo spago è un materiale spesso presente, anche negli altri lavori, usato come collante, come struttura per far combaciare diversi piani narrativi e temporali. In certi casi, sembra sia lo spago la parte più esplicita di alcuni lavori, per il modo in cui contiene gli oggetti e ne mette in luce la forma e le parti mancanti che, a volte, vengono sottratte agli oggetti per alterarne il valore. L’assenza è un aspetto sempre presente in queste opere, sia quella che segna gli oggetti che l’ordine delle composizioni. In fondo, si tratta di opere che nascono come composizioni di oggetti dimenticati che solo attraverso l’essere ridisposti possono trovare una soluzione al loro destino di frammenti. Enrico Piras


Giuseppe Mendolia Calella “L’orologio sa quando svegliarci” a cura di Valentina Lucia Barbagallo Zelle arte contemporanea, Palermo 16 Febbraio/16 Marzo 2013 “Pensiamo per lo più nello spazio, viviamo nel tempo…” Henri Bergson Afferma Goethe “l’inizio e la fine sono eternamente identici”: ciò che cambia, dunque, è la qualità e la quantità di tempo che sta in mezzo a questi due estremi astrattamente casuali quanto irreversibilmente immanenti nelle loro manifestazioni più note: nascita e morte. Due concetti intangibili – inizio e fine - che diventano concreti se espressi con un linguaggio convenzionale mediante cui si cerca di rendere visibile il tempo, sebbene esso non si mostri mai e lasci solo tracce di sé in ciò che avvolge. Stabilire unità di misura e inventare meccanismi in grado di rappresentare in maniera prestabilita l’evoluzione del mondo è un palliativo di cui l’uomo necessita per mettere a tacere la propria ansia esistenziale, ansia alimentata dalla consapevolezza di avere un tempo finito entro cui essere e esistere. Quanto e come questo tempo si dispiegherà resta l’incognita contro cui l’uomo - bramoso di possedere e domare il proprio destino - s’affanna invano. Misurare il tempo, vuol dire circoscriverlo, conoscerlo,controllarlo. L’“ansia da tempo” - inconscia e silente - rischia di colmare di “fatti” la memoria e di svuotare i ricordi. Figli degli stessi genitori, la memoria e il ricordo presentano delle sfumature diverse e complementari: la prima alimenta il lavoro di archeologi, filologi, storici, ovvero, di quanti cercano nelle tracce del passato delle risposte oggettive per ricostruire un tempo oramai finito che custodisce in se anche segni di epoche future. Il secondo – il ricordo – presenta un aspetto più segreto perché s’annida tra la mente e il cuore e, spesso, non si mostra sotto forma scritta ma come ausilio orale con cui la generazione passata si racconta a quella presente nell’intimità di un’origine comune: la famiglia, la comunità. La memoria esiste a prescindere dalle emozioni, il ricordo nasce proprio da queste: tutto ciò che ci colpisce in positivo o in negativo tende a essere custodito dentro di noi, come un segreto prezioso. Possiamo anche non ricordare chi fosse il papa ai tempi del fascismo, ma ricorderemo sempre le storie dei nostri nonni relative al secondo conflitto mondiale. Un monumento, una casa, una strada, costruiti in un dato momento storico sono, con il loro stile e i loro materiali, memoria di quel tempo. Ciò che ci sfugge è il loro ricordo, ovvero, quelle parentesi ignote che fanno si che quella carta da parati sia in una casa piuttosto che in un’altra e che quei mobili si trovino disposti in un certo ordine invece che in un altro. Non a caso, il supporto di pc e macchine fotografiche su cui restano le informazioni che abbiamo preso si chiama MEMORIA e non ricordo. Giuseppe Mendolia Calella, indaga un tempo che non gli appartiene né come individuo né come parte di una famiglia. Ricerca in oggetti e luoghi che non ha mai vissuto tracce di un passato non suo che prova a ricostruire per custodirlo. Si prende cura delle cose altrui, sceglie immagini da quaderni e libri di una o più generazioni passate e le accosta quasi a voler ricreare continuità e senso. Sottrae a interni domestici chiavi, saponette, monili, ecc e li lega con dello spago costruendo un nuovo spazio monodimensionale. L’altezza si piega sulla base e la larghezza acquista le stesse dimensioni delle altre due. Uno spazio apparentemente contratto, in realtà infinitamente vario, quanto infinita può essere la nostra memoria mescolata alla nostra immaginazione. Bonami sostiene che: “la differenza fra un artista iscritto al kronos e uno devoto al kairos è questa: il primo parte dall’universo e a poco a poco si riduce dentro un bicchier d’acqua, il secondo invece è così ossessionato dal suo bicchier d’acqua che alla fine riesce a inventarsi dentro un universo”. Kronos e Kairos sono due modi diversi di osservare e di interpretare attivamente e passivamente il tempo nella vita come nell’arte. Giuseppe Mendolia Calella è figlio del Kairos e i suoi lavori lo dimostrano, diventando cerniere indispensabili tra ieri e oggi. Mutuando un altro termine dalla nomenclatura informatica, Mendolia Calella “customizza” gli oggetti che trova, adattandoli alle esigenze dell’utente che è, in primis, egli stesso.



Dodici pendoli | chiodi, spago, materiali vari | dimensioni variabili | 2012 | Zelle arte contemporanea Palermo 16 Febbraio/16 Marzo 2013


Dodici pendoli, 2012 - dodici come le ore segnate nel quadrante di un orologio qualsiasi – è un’installazione costituita da fili di spago alle cui estremità inferiori vi sono appesi oggetti di varia natura, tutti appartenenti a ambienti domestici altrui che contano e raccontano il/un tempo. Non potendo misurare in maniera scientifica l’età degli oggetti che trova all’interno di case d’altri disabitate, Mendolia Calella inventa questi meccanismi – i pendoli – che in realtà misurano il tempo restando immobili fino a quando qualcuno non decide di interagire con essi, muovendoli. La stasi conta il tempo, il movimento racconta il luogo. I pendoli come i cerchi concentrici dei tronchi degli alberi ci indicano l’età di ciò che vediamo. L’artista contando un tempo inesistente che coniuga memoria e ricordo, elemento personale e oggettività storica, racconta una storia di nessuno ma che verosimilmente appartiene a qualcuno.


Almanacco del giorno prima | metallo, carta | dimensioni variabili | 2012 | Zelle arte contemporanea Palermo 16 Febbraio/16 Marzo 2013


Per dirla con le parole di Marcel Proust “il tempo ha assunto la forma dello spazio”. Nell’Almanacco del giorno prima, 2012, accumulazione e stratificazione sono le parole d’ordine. Fogli di supporti, dimensioni, generazioni diverse si sommano in un affastellamento di tempo che così come si costruisce per sovrapposizione casuale si decostruisce per asportazione ragionata che tende a “farci estrapolare” solo le informazioni che ci interessano, solo quelle su cui ci soffermiamo, rammentandoci a posteriori che non sempre tutto ciò che conserviamo, è da noi ricordato!


Carta///# | carta, cartone, spago, legno | 3 tavole 20x30 cm | 2011 | Zelle arte contemporanea Palermo 16 Febbraio/16 Marzo 2013


Il trittico Carta///#, 2011, in ideale dialogo con il lavoro che gli sta di fianco – l’Almanacco del giorno prima, appunto - presenta un uomo, una donna e un bambino legati ma non incollati ai supporti che li reggono. Non si tratta di collage ma di immagini di “fantasmi domestici” (probabili protagonisti dei luoghi “repertati” da Mendolia Calella) inseriti insieme a fogli con appunti, negativi, carte da gioco, ecc all’interno di un reticolo formato dallo spago che li trattiene, senza però fissarli tra di loro. Li avvicina, li accosta senza creare legami. L’artista ci ricorda così che la sua è solo un’ipotesi di ricordo e che, pertanto, non vi sono reali collegamenti tra le cose e le persone ma solo rapporti immaginifici di parentela.



Panama 12.10.1920 | carta, metallo, legno | 100x10 cm | 2012 | Zelle arte contemporanea Palermo 16 Febbraio/16 Marzo 2013

Panama 12.10.1920, un’installazione del 2012. Una cartolina datata 12 ottobre (dodici, come le ore dell’orologio) 1920 ci porta profondamente indietro nel tempo, ad un ricordo di una donna che ha ricevuto una cartolina da un figlio lontano. Chi siano questa donna e suo figlio, quanti anni avessero rispettivamente nel 1920 ecc sono tutte informazioni che non conosciamo e che non conosceremo mai, così com’è altrettanto vero che la cartolina, la madre e il figlio sono emblemi di una generazione che viveva di corrispondenze brevi e frequenti, dove dalla descrizione di paesaggi esotici traspariva una composta commozione legata alla lontananza degli affetti più cari. La riga di legno e la cartolina che compongono Panama 12.10.1920, diventano per l’artista un immaginifico piano cartesiano su cui disegnare ricordi e memorie immaginarie.



Untitled | carta, cartone, laterizio | 40x28x21 cm | 2012 | Zelle arte contemporanea Palermo 16 Febbraio/16 Marzo 2013

I supporti di cui si compone l’installazione Untitled, 2012, sono metafora della casa, dell’ambiente domestico (il mattone) e della riflessione sul tempo (il libro, canale per antonomasia della trasmissione scritta del sapere). Ancora una volta, Mendolia Calella realizza un asse cartesiano che crea, nel punto di intersezione tra le ascisse e le ordinarie, una compenetrazione sottrattiva: il mattone prende il posto di una parte del libro. Sarà ciò che viene tolto dalla nostra vista mediante un elemento costitutivo del nostro focolaio domestico, metafora del ricordo, e ciò che rimane palese del libro espressione della memoria?


porzione per il progetto “convivium“ Zelle arte contemporanea Palermo 15 Luglio/11 Ottobre 2012 | mattonella avvolta in carta da parati e spago | 2012


La memoria è un’attitudine delle forme viventi che permette loro di custodire ciò che viene conosciuto perché può tornare utile averne consapevolezza nel futuro. Gli animali, le piante, gli stessi minerali sembrano avere una naturale inclinazione a memorizzare dei dati sul mondo che li circonda. Anche l’acqua, a quanto pare, ha una “sua” memoria che la fa comportare diversamente in presenza di determinati elementi chimici alle ripetizioni degli esperimenti. La memoria sta all’esperienza, quasi come il grasso accumulato sotto pelle sta alla nutrizione: ciò che si ritiene utile non viene dimenticato, perché può rivelarsi importante per il tempo a venire; e in un certo senso questo “accumulo” necessita di un accudimento e una cura che lo mantenga disponibile nel futuro. In fondo è analogo alle dinamiche della stessa archeologia: ciò che tuteliamo dalle corrosioni del tempo non vale (solo) in sé, oggetto autoreferente, cosa accudita in quanto antica tout-court: la vera funzione della disciplina non serve (solo) la storia passata, ma la futura, poiché destina l’oggetto del ritrovamento a successive cure e successive memorie, togliendolo a ciò che non si conosce (la non-memoria) e regalandolo ai posteri: l’archeologia in realtà è una disciplina afferente al futuro. Giuseppe Mendolia Calella presenta il frammento di una casa non sua; una casa appena acquistata dalla famiglia dell’autore con dentro, intatto, tutto ciò che un’abitazione può contenere: mobili, abiti, suppellettili, le impronte delle sedie contro la parete, le pantofole ai piedi del letto. Davanti al bene immenso che solo gli oggetti usati sanno rendere nella loro disarmata umiltà, l’autore si è posto la questione di come far combaciare il futuro di quell’appartamento al suo passato, quale cerniera adottare per non interrompere il flusso del tempo, e ingannare così il destino di una sparizione improvvisa. Davanti a sé solo frammenti saldamente uniti da una prevedibile quotidianità, ma esplosi nel loro essere in qualche modo fuori-tempo-limite. Non può muoversi con disinvoltura; cautamente decide di procedere per gradi; e si deve accontentare di una sola scelta, come in quelle fiabe dove il fortunato può scegliere solo un certo tipo di tesoro, e non un altro. Sceglie una mattonella divelta del pavimento, la salva al destino delle sorelle, e la avvolge con un frammento di carta da parati, utilizzandola come fosse carta regalo: quella verticalità domata, contro un’orizzontalità nascosta e difesa: la sintesi di un’esistenza scomparsa è un dono che il tempo porge al tempo. Sceglie la porzione di un passato che non gli è appartenuto direttamente ma che vuole non venga disperso. Qui la memoria si fa scudo contro l’indifferenza, quella del tempo e quella degli umani. È posta a salvaguardia del vissuto e, contemporaneamente, fa da preambolo ad un nuovo vissuto ancora da venire: situa il suo frammento in una terra di mezzo tra ciò che ha assorbito vita e ciò che è pronto ad assorbirne di nuova. La memoria si fa omaggio sentimentale, redime l’oggetto e ne fa l’unità di misura affettiva, la moneta pagata al tempo affinché anche il nostro stesso destino di esseri umani venga salvato dal nulla. Qui però, a rigore, la porzione c’entra poco: porzione è funzione di una spartizione premeditata, progettuale, direi. Diversamente, qui siamo davanti ad un vero e proprio frammento, ad una porzione che non è funzione del tutto, non ne rappresenta una parte metonimica (una porzione di torta non ne muta il sapore, è una torta a sua volta, ma molto più piccola); al contrario, o al contempo, siamo davanti ad una parte indiziaria, un enigma da sciogliere: dipanare l’esistenza di chi ha già abitato la casa, sapendo in partenza di disattendere tale premessa (il frammento di un puzzle non ne riprenderà mai l’interezza, per quanto grande sia). Porzione e frammento appartengono alla stessa famiglia degli incompletati, ma figli legittimo e illegittimo rispettivamente. La porzione è associata al cibo spartito tra i commensali, se ne pregusta l’arrivo; dove frammento è incline al digiuno, alla privazione di un tutto ormai perso, e che giunge all’improvviso, senza attesa. Mi piace pensare a questo tipo di frammento come ad un dono della vita, un codice cifrato che può rimandare al senso delle cose. Custodirlo è compito dell’arte. E forse è questo il senso ultimo dell’omaggio breve compiuto da Mendolia Calella. Forse è questo il senso primo dell’omaggio infinito compiuto dalla bellezza, nel tentativo di preservare dalla morte il creato e le sue cose. Noi compresi. Gianluca Lombardo Giugno 2012


Progetto “convivium“ Zelle arte contemporanea Palermo 15 Luglio/11 Ottobre 2012 | vista d’insieme | 2012


“Emoticon Family� | stampa laser su carta | 10x10 cm | 2010


Filtrare ogni nostro contenuto interiore mediante i mezzi informatici che trasformano i ricordi in paratesto, in algoritmo. Le fotografie anni ‘30 di una qualunque famiglia, da analogiche diventano digitali. Ha spazio cosĂŹ anche la famiglia dei new media tecnologici. Filtering each our internal content through computer resources, that transform memories in algorithm. The 30s pictures of each family, becoming digital from analogic. So the new media family has its space. Text by Micol Di Veroli per Premio Celeste 2011 | artista della settimana Una risposta ironica e dissacrante sia alle moderne tecnologie ed alle forme di comunicazione che regolano i nostri rapporti sociali che alle odierne sperimentazioni di matrice concettuale.


“URL per un Don Giovanni” | carta, legno, chiodi a spillo | 20x30 cm | 2011


“Uniform Resource Locator o URL è una sequenza di caratteri che identifica univocamente l’indirizzo mnemonico di una risorsa in Internet, come un documento o un’immagine.” La pratica del linkaggio, molto in voga in alcuni social network, e lo scambio d’informazioni si realizzano attraverso la copiatura e la successiva condivisione di un indirizzo o di un codice alfanumerico detto appunto URL. Attraverso una rappresentazione meramente analogica, il lavoro in questione indaga proprio su questa attualissima pratica della cultura digitale. L’ossessione che don Giovanni aveva per le donne è la stessa che nutre la società mediatica nei confronti della rete che in certi casi pare assorbire l’individuo alla “ricerca” di dati. L’intellighenzia artificiale ci rende compiacenti amanti di alternative forme di comunicazione. “Uniform Resource Locator or URL is a sequence of characters that uniquely identifies the address of a mnemonic resource on the Internet, as a document or image”. The practice of linking, in vogue in social networks, and the exchange of informations are realized through the copying and subsequent sharing of an address or of an alphanumeric code, called URL. Through a purely analog representation, this work investigates precisely on this current practice of digital culture.The obsession that Don Giovanni had for women is the same that society that feeds for the network media that sometimes seems to absorb the individual to “research” data.The artificial intelligentsia makes us complacent lovers of alternative forms of communication. Text by Aria Spinelli e Jason Waite | Exibition: “Producing Censorship” 15/29 Settembre 2011, Milano - Fabbrica del Vapore.: “Attraverso l’installazione di un objet trouvè, l’artista attiva un gioco di parole e di concetto creando un’associazione d’idee tra il personaggio “Don Giovanni” e l’ossessione contemporanea del “Link” o URL. Da un minimo intervento di alterazione linguistica, l’artista trasforma in maniera subdola l’informazione. L’opera allude all’aspetto più creativo della censura, in cui la modificazione dell’informazione corrisponde allo spostamento di senso. “


Il sapere di un individuo è quasi sempre settoriale: infatti, si può essere preparati su un argomento e ignorarne totalmente un altro. L’uomo non sarà mai in grado di conoscere tutto lo scibile umano ed in fin dei conti c’è ancora molto di non conosciuto non ancora scoperto, che non può essere annoverato tra i saperi e le scienze. Questa installazione è una riflessione su ciò che si conosce già e su ciò in cui avremo sempre delle lacune nel nostro sapere. Il libro, simbolo per antonomasia della conoscenza, presenta delle mancanze, delle lacune. The knowledge of an individual is almost always sectorial: in fact, you can be prepared on a topic and totally ignore another one. Man will never be able to know all human knowledge and after all there is still much unknown yet undiscovered, that can’be counted among the knoledgwde and science. My work is an installation which is a reflection on what you already know and on what we will always have gaps in our knowledge. The book, the quintessential symbol of knoledge, has some shortcomings, weakness.



“Platform” | legno, carta, pinze di metallo | 40x120 cm | 2011

Uno studio sulla monotonia di un’esistenza ripetitiva e ciclicamente mobile nella sua stasi esistenziale. Una tavola parte della testata di un letto, delle pagine di un vecchio libro di computistica, forme geometriche: sono l’ideale rappresentazione formale della storia di un uomo dalla vita monotona che l’artista ha convenzionalmente battezzato Gino. Gino ha lavorato come ragioniere in una piccola industria di bottoni. Una vita monotona e solitaria spesa tra calcoli e casa. Giuseppe Mendolia Calella è entrato nella sua vecchia abitazione dopo la morte di Gino, mentre i suoi nipoti venuti da lontano gettavano via il suo letto e le sue cose, così ha preso con se una tavola del suo letto e qualche foglio dei suoi libri. Le forme geometriche alludono proprio ai bottoni che ogni giorni Gino “contava”.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.