I racconti di Sebastopoli

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FICTION

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sebastopoli


Di e su Lev Nikolàevič Tolstòj Gingko ha pubblicato: ► Confessione ► La Sonata a Kreutzer ► La morte di Ivan Il’ič ► Mio padre, Lev Tolstoj

biografia del grande scrittore russo scritta dal figlio, Ilya Tolstoj

I volumi sono disponibili anche in versione eBook


l’ au to r e Tolstòj fu la luce più pura che abbia illuminato la nostra giovinezza in quel crepuscolo denso di ombre grevi del diciannovesimo secolo che tramontava. Romain Rolland Quello che più mi ha attratto nella vita di Tolstòj è il fatto che egli ha praticato quello che predicava e non ha considerato nessun prezzo troppo alto per la ricerca della verità. Fu l’uomo più veritiero della sua epoca. La sua vita fu una lotta costante, una serie ininterrotta di sforzi per cercare la verità e metterla in pratica quando l’aveva trovata. [...] Fu il più grande apostolo della non-violenza che l’epoca attuale abbia dato. Nessuno in Occidente, prima o dopo di lui, ha parlato e scritto della non-violenza così ampiamente e insistentemente, e con tanta penetrazione e intuito. [...] La vita di Tolstòj, con il suo amore grande come l’oceano, dovrebbe servire da faro e da inesauribile fonte di ispirazione, per inculcare in noi questo vero e più alto tipo di ahimsa. Mahatma Gandhi


Rimane per molti versi il primo profeta del nostro tempo... Non c’è oggi nessuno che abbia il profondo discernimento e la forza morale di Tolstòj. Albert Einstein Pochi esseri umani hanno desiderato la felicità con la veemenza, la dolcezza, l’ebbrezza febbrile di Marcel Proust adolescente. Forse solo il giovane Tolstòj, il quale gli era legato da singolari affinità e somiglianze, desiderò la felicità con la stessa ansia dolorosa e incontenibile: egli pretendeva che la vita restasse se stessa, nient’altro che un attimo di tempo, eppure balzasse oltre un limite, diventando un misterioso al di là, un’epifania dell’invisibile e dell’oltretempo. Pietro Citati L’uomo più complesso del XIX secolo. Maksim Gor’kij Quando leggete Turgenev, sapete che state leggendo Turgenev. Quando leggete Tolstoj, lo leggete perché non potete smettere. Vladimir Vladimirovič Nabokov

l’aut ore

Le sue contraddizioni lo rendono sommamente credibile; egli è l’unica figura del passato che nei tempi nostri si possa prendere sul serio. Elias Canetti È uno dei pochi scrittori la cui personalità, già intuita attraverso la trasparenza dell’opera, finisce con l’attirarci più dell’opera stessa. La più drammatica delle sue opere, la più intensa e la più indiscreta, è la sua stessa vita. Daniel Gillès


I RACCONTI DI

SEBASTOPOLI ˬ Lev Nikolàevic

Tolstòj

VERSIONE INTEGRALE Introduzione di Romain Rolland Traduzione dal russo della Duchessa d’Andria


С еваСто́п ольСкие

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Titolo originale dell’opera

© 2017 Gingko edizioni ISBN 978-88-95288-78-9 Introduzione di Romain Rolland Traduzione dal russo della Duchessa d’Andria Traduzione dell’introduzione di Alessandro Pugliese tratta da Romain Rolland, Tolstoy, T.F. Unwin, London, 1911

GINGkO edIzIONI Molinella (BO) www.gingkoedizioni.it Progetto grafico di copertina: © 2017 ATALANTe


i n di c e AutoRE INtRoDuzIoNE 19

SeBASTOPOLI NeL dIceMBRe 1854

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SeBASTOPOLI NeL MAGGIO 1855

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SeBASTOPOLI NeLL’ AGOSTO 1855



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Seb a st op ol i

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L

’aurora comincia appena a tingere l’orizzonte sopra al monte Sapun; la superficie azzurrocupa del mare ha già rigettato da sé il tenebrore della notte e aspetta il primo raggio di sole per far giocare il suo allegro scintillio; dalla baia viene freddo e nebbia: neve non ce n’è, tutto è nero, ma la rigida gelata mattutina pizzica il viso e scricchiola sotto i piedi, e il lontano, incessante scroscio del mare, interrotto di tanto in tanto dai colpi che rombano a Sebastopoli, è solo a violare il silenzio della mattina. Sui bastimenti tutto sembra morto: batte l’ora ottava. Sulla Sjèvernaja l’attività diurna comincia a poco a poco a sostituirsi alla quiete della notte: dove si fa il cambio della guardia con rumore di fucili, dove il dottore si affretta verso l’infermeria, dove un soldatino sbuca fuori da un ricovero, si lava con acqua gelata il viso abbronzato e, voltandosi verso l’oriente che si arrossa, fa in fretta il segno della croce e prega Dio; dove


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l’alta, pesante madzara* tirata da cammelli si avvia cigolando al cimitero a seppellire i cadaveri insanguinati di cui è carica fin quasi al sommo. Vi avvicinate al porto: vi colpisce uno speciale odore di carbon fossile, di concime, di umido e di carne di bue; mille cose diverse, legna, carne, farina, ferro, eccetera, stanno a mucchi intorno allo sbarcatoio; soldati di diversi reggimenti con sacchi e fucili, o senza sacchi né fucili, si affollano là, fumano, gridano, trascinano pesi sul vapore che, fumando, sta presso al molo; svelti canotti, pieni di ogni specie di gente, soldati, marinai, venditori, donne, vanno e vengono dal porto. « Alla Gràfskaja, vostra nobiltà? Favorite ». Due o tre marinai in congedo, alzandosi in piedi nelle barche, vi offrono i loro servizi. Voi scegliete quello che vi è più vicino, scavalcate la carogna semiputrefatta di un cavallo baio che giace nel fango accanto alla barca, e andate a mettervi al timone. Vi staccate dalla riva. Intorno a voi il mare già risplende nel sole mattutino; davanti, un vecchio marinaio, in un pastrano di pelo di cammello, e un ragazzo dai capelli chiari lavorano attivamente di remi, in silenzio. Guardate le enormi navi dipinte a strisce, sparse vicino e lontano nella baia, i piccoli canotti neri che si muovono per l’azzurro splendente, e le belle, luminose costruzioni della città, colorate dai rosei raggi del sole mattutino, che appaiono da quella parte, la linea di spuma bianca che circonda il molo e le navi colate a fondo, delle quali emergono tristemente qua e là le punte nere degli alberi, e la lontana flotta nemica, che si estenua là, all’orizzonte cristallino del mare, e gli spruzzi di spuma nella quale saltellano le bolle d’acqua salsa sollevate dai remi; udite i suoni monotoni delle voci che giungono sull’acqua fino a voi, e i rumori imponenti degli spari, che vi sembrano intensificarsi a Sebastopoli. Non è possibile che, al pensiero di essere a Sebastopoli, non penetri nell’anima vostra un senso di orgoglio virile, il sangue non circoli più rapidamente nelle vostre vene. « Vostra nobiltà! Appoggiate direttamente sul Costantino** » vi dice il vecchio marinaio, volgendosi indietro per verificare la direzione che voi date alla barca col timone. _______________________________________ * Una specie di carro. (N.d.T.) ** La nave ‘‘Costantino’’. (N.d.T.)

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« Ci sono ancora tutti i cannoni » osserva il ragazzo dai capelli chiari, mentre si passa davanti a una nave, esaminandola. « E come no? È nuova, e ci ha vissuto Kornìlov » osserva il vecchio guardando la nave anche lui. « Guarda dove è scoppiata! » dice il ragazzo, dopo un lungo silenzio, guardando una bianca nuvoletta di fumo che si dilegua, apparsa a un tratto in alto sulla rada meridionale e accompagnata dal rumore deciso di una bomba che scoppia. « È la batteria nuova che spara oggi » soggiunge il vecchio, sputandosi in mano con indifferenza. « Su, forza, Mìska, oltrepasseremo la zattera ». E la vostra barca avanza più rapidamente sul largo increspamento della baia, oltrepassando difatti la pesante zattera dove sono ammucchiati dei sacchi e che dei soldati manovrano goffamente, e fra una quantità di imbarcazioni di ogni specie ormeggiate si accosta alla calata Gràfskaja. Sulla riva si muovono rumorosamente folle di soldati grigi, di marinai neri e di donne variopinte. Delle donne vendono ciambelle, dei contadini russi, coi samovàr, gridano: ‘‘Sbiten bollente*’’, e lì presso, sui primi gradini dello scalo sono ammucchiate palle di cannone arrugginite, bombe, mitraglia e cannoni di bronzo di diverso calibro; un po’ più lontano è un grande spazio dove sono sparsi enormi travi, affusti di cannone, soldati che dormono; ci stanno dei cavalli, carri, pezzi di artiglieria, cassoni verdi, fasci di fucili di fanteria; è un viavai di soldati, di marinai, di ufficiali, di donne, di bambini, di venditori; passano carretti carichi di fieno, di sacchi, di barili; ogni tanto passano un cosacco e un ufficiale a cavallo, un generale in vettura. A destra una strada è sbarrata da una barricata, sulla quale stanno alcuni piccoli cannoni alle feritoie, e accanto ad essi è seduto un marinaio che fuma la pipa. A sinistra, una bella casa, con lettere romane sul frontone, sotto alla quale stanno soldati e barelle insanguinate — dappertutto vedete le tristi tracce d’un accampamento militare. _______________________________________ * Bevanda fatta d’acqua calda e miele. (N.d.T.)

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La vostra prima impressione sarà senza dubbio sgradevole: quello strano miscuglio di vita di campo e di vita di città, di una bella città e di un lurido bivacco, non soltanto non è bello, ma sembra un ripugnante disordine, vi pare anzi che tutti siano spaventati, affaccendati e non sappiano che cosa fare. Ma guardate meglio in viso questa gente che si muove intorno a voi, e capirete tutt’altra cosa. Guardate magari quel soldatino del treno che conduce a bere tre cavalli bai e canticchia fra i denti qualche cosa con tanta tranquillità che di certo non potrà smarrirsi in quella folla eterogenea che per lui non esiste nemmeno, ma farà il suo dovere, qualunque esso sia — abbeverare cavalli o trascinare cannoni — con tanta tranquillità, sicurezza e indifferenza come se tutto ciò accadesse a Tula o a Saransk. La stessa espressione la leggete anche nel viso di quest’ufficiale che in impeccabili guanti bianchi vi passa accanto, e nel viso del marinaio che fuma, seduto sulla barricata, e nel viso dei soldati che aspettano con le barelle alla porta dell’ex circolo, e nel viso di questa ragazza che, temendo di bagnarsi il vestito color di rosa, traversa la strada saltando di pietra in pietra. Sì! Immancabilmente vi aspetta una delusione, se venite per la prima volta a Sebastopoli. Invano cercherete, sia pure su di un solo viso, tracce di preoccupazione, di snervamento, oppure di entusiasmo, di sacrificio, di risolutezza — niente di tutto ciò: vedrete la gente di ogni giorno occupata nelle sue faccende di ogni giorno, sicché forse vi rimprovererete il vostro eccessivo entusiasmo, concepirete qualche dubbio circa la giustezza dell’idea che, sull’eroismo dei difensori di Sebastopoli, si è formata in voi dai racconti, dalle descrizioni, da quello che vedete e che udite dalla Sjèvernaja. Ma prima di dubitare andate sui bastioni, guardate i difensori di Sebastopoli proprio sul luogo della difesa, o, meglio ancora, andate direttamente là di faccia, in quella casa che prima era il circolo di Sebastopoli, e alla porta della quale stanno soldati con barelle: vedrete là i difensori di Sebastopoli, vedrete là spettacoli terribili e tristi, grandiosi e bizzarri, ma che fanno stupire e che elevano l’anima. Entrate nella gran sala del circolo. Appena aperta la porta, siete subito colpiti dalla vista e dall’odore di quaranta o cinquanta amputati o feriti gravi o ammalati, alcuni dei quali sulle brande, la maggior parte per terra. Non date retta al sentimento 22


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che vi trattiene sulla soglia della sala — è un brutto sentimento: andate innanzi, non vi vergognate al pensiero che avete l’aria d’esser venuto a vedere i sofferenti, non vi vergognate di andare oltre e parlare con loro: gli infelici amano vedere un essere umano che li compatisca, amano raccontare le loro sofferenze e ascoltare parole di affetto e di simpatia. Voi camminate in mezzo alle file dei letti e cercate un viso meno severo e meno sofferente al quale potervi avvicinare per discorrere. « Dove sei ferito? » domandate, indeciso e timido, a un vecchio soldato smunto che, seduto in un letto, vi segue con uno sguardo bonario che sembra invitarvi ad andargli vicino. Dico: domandate ‘‘indeciso e timido’’ perché la sofferenza, oltre a un profondo interessamento, ispira, chi sa perché, paura di offendere e un alto rispetto verso colui che la sopporta. « Alla gamba » risponde il soldato; ma in quel medesimo momento voi stesso vi accorgete dalle pieghe della coperta che la sua gamba è stata tagliata al di sopra del ginocchio. « Sia lodato Dio » egli aggiunge, « voglio andar via ». « È un pezzo che sei stato ferito? ». « Sono ormai sei settimane, vostra nobiltà ». « E ora ti duole? ». « No, ora non mi duole; soltanto mi pare che mi faccia male il polpaccio, quando il tempo è cattivo; se no, non sento nulla ». « E come fosti ferito? ». « Sul quinto bastione, vostra nobiltà, quando ci fu il primo bombardamento; avevo puntato il cannone, stavo per ritirarmi verso un’altra cannoniera, quando fui colpito alla gamba, proprio come se avessi messo il piede in una buca guardo, la gamba non c’è più ». « E non sentisti dolore in quel primo momento? ». « No: solo come se mi avessero dato sulla gamba con una cosa rovente ». « E poi? ». « E poi nulla: soltanto quando mi tirarono la pelle, sentii come se mi scorticassero. La prima cosa, vostra nobiltà, è di non pensare a nulla: se non pensi, è nulla. Tutto sembra più grave, se ci si pensa ». In quel momento viene verso di voi una donna con un vestito grigio: rigato e con un fazzoletto nero intorno al capo; essa entra 23


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nel vostro discorso col marinaio e comincia a raccontare di lui, delle sue sofferenze, dello stato disperato in cui si è trovato per quattro settimane, e come, ferito, fece fermare i portatori della barella per osservare il tiro della nostra batteria, come i granduchi hanno parlato con lui e gli hanno regalato 25 rubli, e come egli ha detto loro che voleva tornare al bastione per istruire i giovani, anche se lui stesso non poteva più lavorare. Mentre dice tutto ciò d’un fiato, questa donna guarda ora il marinaio, il quale, voltato da un’altra parte, come se non ascoltasse, prepara delle filacce sul suo guanciale, e gli occhi di lui risplendono di un entusiasmo particolare. « È la mia donna, vostra nobiltà! » vi osserva il marinaio, con un’espressione che sembra dire: ‘‘Scusatela. Si sa, le donne dicono parole sciocche’’. Voi cominciate a comprendere i difensori di Sebastopoli: vi viene, chi sa perché, una certa vergogna di voi stessi davanti a quell’uomo. Vorreste dirgli moltissime cose per esprimergli la vostra simpatia e la vostra ammirazione; ma non trovate parole o non siete soddisfatto di quelle che vi vengono in mente, e in silenzio v’inchinate a quella taciturna, inconsapevole grandezza e fermezza d’animo, a quel pudore davanti al proprio merito. « Su, che Dio ti faccia guarire presto » gli dite e vi fermate davanti a un altro infermo che giace in terra e che pare aspetti la morte in mezzo a intollerabili sofferenze. È un uomo biondo, con un viso gonfio e pallido. Giace supino, col braccio sinistro piegato indietro, in un atteggiamento che esprime una crudele sofferenza. La bocca aperta e arida manda fuori con fatica un respiro rantoloso; gli occhi azzurri e vitrei sono rivolti in su, e di sotto alla coperta scivolata giù spunta un moncherino del braccio destro, ravvolto nella fasciatura. Un odore greve di cadavere vi colpisce più fortemente, e la febbre interna che brucia e penetra tutte le membra del sofferente pare che penetri anche in voi. « È senza conoscenza? » domandate alla donna che viene dietro a voi e vi guarda affettuosamente, come foste un suo parente. « No, ci sente ancora, ma molto male » mormora ella. « Oggi gli ho fatto bere un po’ di tè. E che? benché sia un estraneo, pure bisogna aver pietà. Ma ne ha bevuto appena ». 24


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« Come ti senti? » gli domandate. Il ferito volge le pupille alla vostra voce, ma non vi vede e non vi capisce. « Gli brucia il cuore ». Un po’ più in là vedete un vecchio soldato che si muta la biancheria. Il suo viso e il suo corpo hanno un colore bruno e sono magri come quelli di uno scheletro. Non ha braccia: un braccio è tagliato proprio alla spalla. Sta dritto ed è guarito; ma dallo sguardo spento e torbido, dalla terribile magrezza e dalle rughe del viso vedete che quest’essere ha già consumato la miglior parte della sua vita. Da un’altra parte vedete in una branda un pallido e delicato viso di donna, sul quale corre per le guance un rossore febbrile. « È la moglie di un nostro marinaio che il giorno 5 fu ferita alla gamba » vi dice la vostra accompagnatrice. « Portava il desinare al marito sul bastione ». « E gliel’hanno tagliata? ». « Gliel’hanno tagliata al di sopra del ginocchio ». Ora, se i vostri nervi son forti, andate a sinistra, oltre quella porta: in quella stanza si fanno le medicature e le operazioni. Vedrete là i dottori, con le braccia insanguinate fino al gomito e le facce pallide e rannuvolate, occupati intorno a un letto sul quale, con gli occhi spalancati e pronunziando, come in delirio, parole senza senso, a volte semplici e commoventi, giace un ferito sotto l’azione del cloroformio. I dottori sono occupati nella ripugnante, ma benefica opera dell’amputazione. Vedrete come l’affilato e ricurvo coltello penetra nel corpo bianco e sano; vedrete come con un grido tremendo, straziante e con maledizioni a un tratto il ferito ritorna in sé; vedrete come l’infermiere getta in un angolo il braccio amputato; vedrete come, nella stessa stanza, un altro ferito, su di una barella, guarda l’amputazione del compagno e si torce e geme, non tanto per il dolore fisico, quanto per le sofferenze morali dell’attesa — vedrete spettacoli tremendi, che lacerano l’anima; vedrete la guerra, non nel suo ordinamento regolare, bello, brillante, con la musica e il rullo dei tamburi, con le bandiere spiegate e i generali caracollanti, ma vedrete la guerra nel suo vero aspetto— nel sangue, nelle sofferenze, nella morte... Uscendo da quella casa di dolore, voi indubbiamente pro25



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