Plancton |1|
EsPlorazioni / Viaggi
MIRNA FORNASIER, 45 anni, vive a trichiana, vicino Belluno, con il marito e il figlio ventenne. lavora come impiegata presso il comune di lentiai. Ăˆ appassionata di trekking e montagna. assidua frequentatrice delle Dolomiti e delle montagne di norvegia e svezia, il suo amore per la natura e per la vita all’aria aperta la spinge ad intraprendere sempre nuovi viaggi. Per contattare l’autrice, scrivere a: mirnafor@libero.it
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O R N A S I E R
NEL SILENZIO DEll’AQUILA
Postfazione dell’autrice Con 3 cartine e 39 illustrazioni
GINGKO | |
Prefazione di Franco MichiEli
PLANCTON
Lungo iL PadjeLantaLeden, oLtre iL CirCoLo PoLare artiCo. iL viaggio in soLitaria di una donna neLLa wiLderness deLLa L aPPonia svedese
copyright © 2010 Mirna Fornasier illustrazioni © 2008 Mirna Fornasier © 2010 gingko edizioni Molinella, Bologna. i EDizionE maggio 2010 collana Plancton isBn 978-88-95288-16-1 Progetto grafico di copertina: © 2010 atalantE
titolo dell’opera: nel silenzio dell’aquila
gingko edizioni via luigi Pirandello n° 29 40062 san Pietro capofiume, Molinella, Bologna tel. 051.6908300 Fax: 051.6908397 www.gingkoedizioni.it www.fuggicalipso.net tutti i diritti dell’opera sono riservati. nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, o usata in alcuna forma, senza previo consenso degli aventi diritto. Le fotografie all’interno, ad eccezione delle cartine e delle illustrazioni riguardanti il popolo sami, sono di proprietà esclusiva dell’autrice. sono tutelate dalla legge vigente in materia di diritto d’autore. ne è vietata la divulgazione a qualsiasi mezzo, senza previo consenso scritto accordato dall’editore e dall’autrice.
PREFAZIONE di Franco Michieli
el nord dell’Europa si estendono terre che i cittadini del continente, salvo eccezioni, non sono in grado di immaginare; di cui non sanno formarsi un concetto veritiero per mancanza di ogni contatto con simili spazi e silenzi, fatti di successioni di monti, altipiani e acque lacustri quasi del tutto disabitati per distanze sorprendenti. là non si trova quasi altro segno umano che una rete di sottili sentieri, rifugi isolati e tracce della presenza saltuaria dei sami, allevatori nomadi di renne. Eppure quei paesaggi sono parte del nostro Vecchio Mondo, facilmente raggiungibili utilizzando anche semplici mezzi pubblici. Del resto, essi non costituiscono l’unico ‘‘territorio scomparso’’ nelle nostre immediate vicinanze. anzi, altre atlantidi similmente perdute alla nostra coscienza sono ancora più prossime: si trovano dentro di noi. si tratta di un’enorme estensione di facoltà umane che l’evoluzione ha sviluppato in milioni di anni di continuo confronto con la natura e che ha lasciato in eredità intatte anche all’uomo moderno, salvo che questi non è più in grado di conoscerle e utilizzarle, se non in casi insoliti. È l’ambigua economia contemporanea, con la cultura che si traina dietro, a richiedere la dimenticanza di quel doppio tipo di terre preesistenti alle rivoluzioni industriale e informatica: saturato il mercato che soddisfa i tradizionali bisogni materiali, la crescita economica ha puntato sulla vendita di surrogati tecnologici e virtuali che sostituiscono potenzialità già presenti nell’uomo e nel territorio, che perciò vanno fatte dimenticare. non si canta ma si scaricano registrazioni; non si parla incontrandosi ma si riproducono discorsi a distanza; non si esce nel mondo ma si ‘‘naviga’’ tra visioni confezionate da specialisti; non si impara la prudenza ma si paga il diritto a mille false sicurezze; non ci si orienta e non si interpreta ma si attendono le soluzioni degli
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addetti ai lavori. così il tempo e la libertà sono organizzati in mercato: li chiamano ‘‘pacchetti’’. la terra selvatica è uno dei primi antidoti da far sparire dall’esperienza: là nella natura libera nasce e rinasce da sempre l’immaginario umano, concorrenza troppo pericolosa per la crescita del Pil e per la decrescita dell’indipendenza di giudizio. il viaggio di Miki, la donna protagonista di questo racconto, non è semplicemente un trekking nella wilderness del nord: è prima di tutto un risveglio dal torpore della società contemporanea. Per poter compiere uno dei gesti più semplici e antichi della vita — camminare nella natura — Miki deve lottare contro un intreccio di pregiudizi e paure che inibiscono le persone che la circondano, oltre che se stessa. Uscire dalla gabbia è in fondo questione di usare la ragione e l’esperienza: molte paure che ci abitano sono indotte, non hanno cause serie nella realtà. Ma neanche questa constatazione è sufficiente: la verità è che la scelta di rompere gli schemi ha spesso bisogno di un invito che giunga dai mondi sommersi, quelli di cui ci siamo dimenticati. l’inconscio e l’istinto, per esempio, dove giacciono sepolti tesori di incredibile ricchezza di cui non sappiamo più quasi nulla. l’autrice fa trovare qui a Miki l’ispirazione decisiva, rifacendosi a una tradizione universale secondo cui è un animale selvatico — in questo caso l’aquila — a portare un messaggio che indica un possibile cammino, un comportamento, un traguardo misterioso. È una forma di annunciazione, dove l’angelo o l’animale hanno identica funzione, che mette alla prova la sensibilità e l’intuito della donna e della madre. Da quel momento il fattore decisivo per lo svolgersi dell’azione diviene la fede, la fiducia nel senso che assumerà il viaggio al suo termine; un senso ancora sconosciuto e quindi insufficiente a far svanire i dubbi. in questa dimensione, approfondita da Mirna Fornasier ben più degli aspetti tecnici o sportivi del percorso, sta la superiorità del racconto rispetto al gran numero di resoconti di exploit e spedizioni prodotti da personaggi più o meno famosi dell’avventura, che purtroppo non riescono più a scalfire la crosta in-
durita dell’immaginario collettivo. l’enfasi sul ‘‘record’’, su ‘‘la prima volta che...’’, sull’impresa ‘‘estrema’’ — affermazioni quasi sempre false e gonfiate — hanno svuotato moderne piccole odissee, di per sé non prive di fascino, delle principali esigenze interiori umane. Merito dell’autrice è invece di aver ricostruito la storia di una protagonista per nulla estrema, però vera e sincera nella sua ricerca e nei suoi sentimenti, perciò molto più coinvolgente per il lettore (per immedesimarsi nella storia non c’è alcun bisogno di essere esperti di alpinismo). al cuore del testo c’è un’intuizione decisiva: la lotta di Miki per potersi confrontare con la wilderness e trarne nuovi insegnamenti non è destino di superatleti, ma necessità di tutti — di ogni essere vivente — per correggere la direzione della propria esistenza. l’organizzazione artificiale della vita non basta: se non ci ritagliamo dei tempi in cui saltuariamente permettiamo a quei territori arcaici nascosti dentro di noi di riemergere a contatto con la natura — che li ha formati — ci mancheranno sempre importanti tasselli per interpretare ciò che siamo. recentemente un racconto sul medesimo tema ha ottenuto notevole visibilità e successo: si tratta di into the wild di Jon Krakauer, tradotto in film da sean Penn. l’importanza dell’opera letteraria e cinematografica sta proprio nella ricostruzione delle esigenze umane ed esistenziali, tutt’altro che sportive o turistiche, che portano il protagonista christopher Mccandless a cercare un’avventura solitaria nelle terre selvagge dell’alaska. il racconto di Mirna Fornasier si inserisce nello stesso tipo di ricerca; tuttavia, al di là delle differenze evidenti fra il modello socio-culturale nordamericano e quello europeo, Mirna lo fa insistendo non su un esito tragico e piuttosto raro come nel caso di Mccandless, quanto su ciò che molto più frequentemente e normalmente avviene come risultato di una permanenza solitaria nella wilderness. Un risultato positivo e salvifico, che riguarda non solo i protagonisti, ma anche persone a loro legate rimaste lontane. ciò risulta evidente nel film di sean Penn, benché avvenga troppo tardi e non eviti la morte di Mccandless.
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chi ha vissuto esperienze simili ma con uso di maggior prudenza — è il caso della stessa Mirna Fornasier che ha compiuto diversi itinerari a piedi nel grande nord — sa che di norma nel Wild non avviene nessuna tragedia, anzi vengono regalate capacità nuove di relazione col mondo e con le persone. senza svelare altro del racconto, vorrei sottolineare che lo sviluppo di questi temi offre anche risposte controcorrente a questioni malamente dibattute nel mondo contemporaneo. Penso alle contese sull’identificazione delle radici di un popolo o gruppo di popoli: intellettuali e istituzioni cercano spesso di ufficializzare le correnti culturali in cui una certa civiltà affonderebbe le sue radici, dimostrando grossolana ignoranza dell’uomo. racconti come nel silenzio dell’aquila ricordano che le radici dell’umanità intera, della sua psicologia e del suo immaginario affondano sempre e comunque nella natura: senza un ritorno personale alla terra, nessuna radice dell’uomo può essere evocata o valorizzata. le correnti culturali sono semmai parti del tronco di una civiltà, che si regge e si nutre comunque su radici preistoriche diramate nella terra, anche se foglie e frutti non lo sanno. inoltre, le riflessioni di Miki durante il cammino toccano più volte il tema del sacro, riconoscibile in certe manifestazioni della natura o in gesti semplici e arcaici delle persone. senza enfasi, ciò invita a superare l’antagonismo crescente tra diverse confessioni religiose, rimandando a una correzione necessaria: non esiste un monopolio del sacro, che molte chiese hanno avocato a sé. il sentimento originale del sacro non è proprietà di nessuno, ma nasce dalla relazione della persona con l’altro-dasé, con manifestazioni dell’essere non artificiali, che stanno oltre l’uomo. Benché dall’intuizione originaria si possa approdare positivamente a una specifica confessione religiosa, l’importanza di non ostruire la sorgente primordiale del sacro emerge proprio da esperienze-racconto come quelle di Mirna-Miki. come scrivevo all’inizio, simili consapevolezze sono non solo non comprese, ma anche malviste da politici ed economisti, che cercano di confinare l’uomo all’interno di un ambito sempre più
artificiale e regolato, dove anche l’uso del tempo (della libertà, del sacro) è merce a pagamento, in denaro o in consenso. Ma ciò non avviene in egual modo dappertutto. Per il lettore italiano è utile sapere che nei territori descritti nel presente racconto, o meglio in tutta la svezia e la norvegia, è riconosciuto per legge il celebre allemanssrett. si tratta del ‘‘diritto di tutti’’ di frequentare la terra, quindi di vivere liberamente il rapporto con la natura. Beninteso a piedi, con gli sci o in bicicletta, cioè senza veicoli a motore, che invece sono regolamentati. seguendo naturalmente specifiche norme di rispetto dell’ambiente. Quello che conta, e che fa la differenza, è che si può anche campeggiare pressoché ovunque, anche nei parchi nazionali e sui terreni privati, purché a determinate distanze da abitazioni e fuori da campi coltivati. nella presenza di un simile diritto che permea la cultura scandinava si riconosce una civiltà realmente democratica; che permette e incoraggia la formazione di personalità e idee a partire dall’ambito primario in cui tutto ciò è nato precedendo la storia: il territorio naturale.
Franco MichiEli, classe 1962, geografo, redattore di alp e di rdM, originale esploratore e garante internazionale di Mountain Wilderness, è tra gli italiani più esperti nel campo delle grandi traversate a piedi di catene montuose e terre selvagge. dopo i percorsi integrali delle alpi, Pirenei e norvegia, compiuti da giovanissimo, continua la ricerca dei significati dell’esplorazione, specie nelle terre artiche e sulle ande, ma anche sulle montagne di casa. dal 1998 propone una testimonianza controcorrente rispetto a una civiltà sempre più virtuale: con uno o due compagni attraversa a piedi terre impervie interpretandole esclusivamente con occhi e facoltà umani, in vero isolamento nella natura; senza gps, strumenti ricetrasmittenti, mappe, bussola e orologio, cioè come un animale migratore o un umano antico, mostrando che nel rapporto concreto fra uomo e natura si trovano molte soluzioni che la civiltà ipertecnologica ha dimenticato. Ha raccontato le sue esperienze in centinaia di articoli, conferenze e nel film la via invisibile.
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INDICE
PrEFazionE di Franco Michieli 21
VEnnE Da norD
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VErso norD
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PrEParatiVi
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PriMi Passi
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cosE Di DonnE
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ErrarE È UMano
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ingrEsso nEl granDE norD
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istinto
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Vita Di sociEtà
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la Donna aQUila
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Di nUoVo sola
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tErrE altE Di PaDJElanta
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cosa ci Faccio QUi?
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MUtE ParolE
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PrEghiEra PostFazionE dell’autrice
Nel sileNzio dell’A QUILA
a Manuel, che mi ha donato la gioia di essere madre. e a Max, che con me ha condiviso questa gioia. in ricordo dei miei genitori, Fedora e alberto.
Ritsem: inizio della maRcia di miKi
Kvikkjokk: fine della marcia. 160 km dopo.
il Parco nazionalE DEl PaDJElanta si trova in svezia a nord del circolo Polare artico, ad una latitudine di circa 67° nord, tra il confine con la norvegia ed il Parco nazionale del sarek. È stato istituito nel 1962. Misura una superficie di 1984 Km2 e, assieme ai contigui parchi nazionali del sarek e dello stora sjöfallet, costituisce l’ultima e più grande area wilderness d’Europa. il territorio fa parte dell’area laponia che, nel 1996, è stata inserita nell’elenco dei siti Patrimonio dell’Umanità dall’UnEsco. il parco è da sempre attraversato dalle migrazioni stagionali delle renne e, al suo interno, vi sono quattro villaggi estivi dei sami, o lapponi; i branchi di renne pascolano nelle alture del Padjelanta durante la primavera, l’estate e l’autunno, mentre in inverno scendono a valle dove è più facile procurarsi il lichene di cui si nutrono scavando la neve farinosa tra la vegetazione delle foreste. il Padjelanta nationalpark è attraversato dal Padjelantaleden, un tracciato che parte da ritsem, a nord, sulle sponde del lago akkajaure e arriva a Kvikkjokk, a sud-Est. il percorso è lungo circa 160 chilometri e passa per una delle aree più spettacolari delle montagne di svezia, tra ampie vallate ricoperte da foreste e altopiani circondati da innumerevoli laghi, tra cui il lago di Virihaure, considerato il lago più bello di svezia. catene montuose dalle forme arrotondate fanno da contrasto con i severi profili degli attigui Monti del sarek, il tutto ricoperto da una ricca varietà di flora. la maggior parte del Padjelanta si trova al di sopra del limite della vegetazione arborea. il Padjelantaleden è servito da una serie di bivacchi che si trovano in genere a un giorno di cammino l’uno dall’altro, e costituiscono un importante punto di appoggio anche perché dotati di un telefono di emergenza. Essendo il Padjelanta da più di mille anni territorio dei sami, i bivacchi sono gestiti direttamente dalla loro comunità: all’esterno delle costruzioni viene esposta la bandiera di saPMi, che noi conosciamo come lapponia.
non conosciamo mai la nostra altezza, finchÊ non siamo chiamati ad alzarci. E se siamo fedeli al nostro compito arriva al cielo la nostra statura. la bellezza che allora esprimiamo sarebbe quotidiana, se noi stessi non c’incurvassimo di cubiti per la paura di essere dei re. emily dickinson
Maria, turbata, domandò, Cosa vuol dire, e il mendico rispose solo, donna, tu porti un figlio nel tuo ventre, ed è questo l’unico destino degli uomini, avere inizio e fine, avere fine e inizio, Come hai saputo che sono incinta, non è ancora cresciuto il ventre, ma i figli brillano già negli occhi della madre, in tal caso, mio marito avrebbe dovuto vedere nei miei occhi il figlio che ha generato, Ma forse non ti guarda quando lo guardi tu, e chi sei tu, che non hai avuto bisogno di udirlo dalle mie labbra, io sono un angelo, ma non dirlo a nessuno. Josè saramago – il VangElo sEconDo gEsù cristo
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VENNE DA NORD
ei sapeva che l’aquila proveniva da nord, perché era apparsa alle spalle del monte Pizzoc e non poteva confondersi sul fatto che quella montagna si trovasse a nord rispetto alla radura dove era seduta. l’aquila, maestosa, si avvicinava decisa. si appollaiò su uno spuntone di roccia e lei si stupì di quanto fosse magnifica. Gli occhi dell’aquila, fatti per scrutare e leggere le cose più nascoste, per capire quello che altri occhi non riescono a comprendere, mostravano una profondità inimmaginabile, ma lei non riusciva a scorgervi niente. senza avvertirne timore, si lasciò penetrare dallo sguardo dell’animale. l’aquila le disse: « Una lunga strada ti attende, ma è l’unica strada che puoi percorrere; solo lassù, nel silenzio, le tue preghiere potranno essere esaudite. solo lassù, dopo un lungo cammino, potrai aiutarlo ». Poi l’aquila si involò nel cielo. Alla luce splendente del mattino degli adolescenti erano in attesa alla fermata della corriera. le sembrò di scorgerlo: quei capelli biondi da bambino, ormai bruniti; quell’atteggiamento un po’ da duro che, in realtà, nascondeva una profonda sensibilità e la grande paura per la vita.
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dopo aver socchiuso gli occhi sospirò, mentre la sua mano si chiudeva a pugno attorno a una ciocca di capelli tirandola con forza. l’assurda speranza che una minima razione di dolore fisico potesse cancellare quel suo grande dolore di madre, tornò a divorarla. No! suo figlio non poteva essere lì tra quei ragazzi.
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Ha una sua solitudine lo spazio solitudine il mare e solitudine la morte – eppure tutte queste son folla in confronto a quel punto più profondo, segretezza polare, che è un’anima al cospetto di se stessa: infinità finita. Emily Dickinson ha Una sUa solitUDinE lo sPazio
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VERSO NORD
entre il treno arrancava verso nord, cercava di concentrarsi sul libro che si era portato dietro. Tuttavia, la pagina era sempre la stessa, la frase rimaneva identica. scorreva con lo sguardo decine di volte quelle lettere, eppure le parole non riuscivano a superare la soglia della sua coscienza. i ricordi si affollavano e affioravano, gli eventi che l’avevano condotta fin lì, nel piccolo scompartimento con tre posti letto del treno notturno che da stoccolma sale oltre il Circolo Polare Artico, scorrevano e rigurgitavano nella sua mente. l’aquila maestosa... suo figlio... il suo indecifrabile sguardo vacuo, sperso nel vuoto... Allora si ritrovava a guardarlo, scampato per miracolo all’incidente d’auto, mentre se ne stava disteso su quel letto d’ospedale e lei cercava di sistemargli la coperta, dolcemente, con gesti di madre che le arrivavano dalla notte dei tempi, da lontane generazioni di madri vissute sulla terra prima di lei. d’un tratto, la voce allegra della giovane svedese, appena entrata nello scompartimento, la distolse dai suoi pensieri e le domandò: « di dove sei? ». in un inglese stentato, Miki cercò di risponderle ricambiandole il sorriso. Ma non sarebbe sfuggito quel sorriso tirato ad un
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osservatore attento, anche se la ragazza parve non accorgersene. il forzato buonumore di Miki derivava dal timore di infrangere il proposito di riservatezza che si era prefisso, sin dalla partenza. Non voleva incappare nell’ingenuità di raccontare ad una sconosciuta dove stesse andando e, soprattutto, il motivo per il quale andava. Non era pudore. solo il terrore che sarebbe bastato davvero un niente per farle girare i tacchi e tornare a casa. Un commento, un minimo accenno alla pericolosità dell’avventura che stava intraprendendo, un banale consiglio... Non avrebbe sopportato che la gente del posto potesse metterla in guardia sul suo cammino solitario. Così raccontò alla ragazza che stava facendo una vacanza su al nord, per visitare le località più caratteristiche senza peraltro aver programmato niente di specifico. Non le ci volle molto, dopotutto, per comprendere come ciascuno su quel treno avesse la propria storia, i suoi progetti importanti, e fosse puntato esclusivamente verso essi, senza badare a lei. Per ognuno di quei passeggeri non c’era niente di più importante che la propria storia. la ragazza si chiamava Karin. dopo aver ascoltato Miki con attenzione, le raccontò che si era appena laureata ed era stata assunta in una stazione di ricerca glaciologica nei pressi del Kebnekaise, la cima più alta di svezia. le confidava di sentirsi piuttosto emozionata dal momento che si trattava del suo primo impiego, e non si poteva dire certo che andasse a svolgere un lavoro come un altro. Per arrivare al centro non vi sarebbero state strade percorribili; Karin sarebbe arrivata in elicottero e, in seguito, si sarebbe spostata a piedi rimanendo lì, in mezzo ad una natura spettacolare, per tutta l’estate. le brillavano gli occhi mentre parlava. Quando la ragazza andò a sdraiarsi nella sua cuccetta, nel piano superiore dello scompartimento, anche Miki preparò il suo giaciglio. si distese cullata dall’ondeggiare del treno che continuava il suo viaggio nella notte, pur rendendosi conto che, nonostante la stanchezza, il sonno avrebbe tardato a farle visita. erano mille i dubbi. Non riguardavano il viaggio. Ad impen-
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sierirla non era tanto ciò che avrebbe dovuto affrontare in completa solitudine, ma lo scrupolo del trovarsi lì, a migliaia di chilometri di distanza dal letto d’ospedale dove Antonio, suo figlio, aveva sicuramente bisogno di lei. scacciò con fastidio quel pensiero. Aveva già dovuto tirar fuori le riserve del suo carattere per non badare a tutte le persone che, durante il mese precedente, nel corso dei preparativi, l’avevano accusata più o meno palesemente di essere una madre snaturata. era rimasto fuori dal coro il solo luca, suo marito, il quale, guardandola negli occhi, le aveva detto: « solo tu puoi sapere cosa è giusto fare ». e adesso era il solo pensiero di luca a rasserenarla. Miki cercava di essere forte nella convinzione che, a volte, il posto di una madre non è accanto a suo figlio; che in talune occasioni è giusto che una madre sappia allontanarsi per poterlo aiutare. se lei fosse stata forte, lo sarebbe stato anche Antonio. se lei avesse dimostrato di vivere, di non avere paura, di sfidare le proprie angosce e vincere, di essere una donna autentica, se lei fosse stata capace di insegnare a suo figlio tutto questo, dopo aver compiuto il suo personale percorso, anche Antonio avrebbe imparato a fare lo stesso, avrebbe appreso l’accettazione della propria esistenza. e anche se i dubbi ora la tormentavano, anche se non era facile dimenticare quegli sguardi accusatori, anche se in tutta la sua vita le era sempre parso necessario il dover lottare aspramente per emanciparsi dal giudizio altrui e ribellarsi, pur uscendone spesso sconfitta, Miki aveva la speranza che alla fine di quel viaggio tutto sarebbe stato luminoso, ogni cosa si sarebbe chiarita, così come i suoi tentennamenti, le sue preoccupazioni, le sue ansie erano state già spazzate via in un sol colpo quando l’aquila le era venuta in aiuto e l’aveva guidata. l’aquila le aveva detto che un lungo cammino l’attendeva, e che solo compiendolo fino in fondo avrebbe potuto trovare la risposta alle sue paure, e comprendere il senso di ogni cosa. in una di quelle sue tante sere tormentate, all’uscita dal-
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l’ospedale, mentre rovistava nella borsetta alla ricerca delle chiavi dell’auto, con ancora le lacrime agli occhi a causa del fatto che Antonio si era mostrato ancora più intrattabile centellinando le sue risposte, scacciandola persino in malo modo, proprio quando il sole stava tramontando cospargendo di una calda luce rossastra le montagne, indifferente ai dolori del mondo e alle sue stesse pene di madre, lei fu colta da un attimo di illuminazione, un’intuizione che le fece vedere ogni cosa pur se un poco offuscata. Vide una cartina topografica con tutte le sue brave curve di livello, i fiumi e i laghi azzurri, le fasce boschive verdi, le zone oltre il limite degli alberi color ocra, i ghiacciai bianchi, e una scritta, verso il limite inferiore della carta: offerTPlATs. Non capì subito. Pensò unicamente a far ritorno a casa. Tirò fuori tutte le mappe della Norvegia e della svezia, pensando che l’aquila era arrivata da nord e che, mentre le parlava, essa rivolgeva il suo sguardo proprio in quella direzione, e ricordò che l’aquila aveva parlato del silenzio. doveva trattarsi senz’altro di un luogo che lei conosceva bene; doveva trovarsi ‘‘lassù’’, nel Grande Nord, nel silenzio del Grande Nord. Quanto aveva amato quel silenzio! quegli spazi infiniti che non conoscevano l’invasione dell’uomo. Già dal suo primo viaggio in quelle terre lontane, Miki vi si era sentita come a casa. dispose ordinatamente le cartine sul tavolo, e ne studiò un paio in particolare che riproducevano due zone contigue oltre il Circolo Polare Artico, al confine tra la Norvegia e la svezia. riconobbe il luogo. era lì che si trovava, nei pressi di una cascata. era indicato con la scritta offerPlATs. Miki cercò di capire quali fossero le possibilità di arrivarci e, specialmente, quali fossero per lei queste possibilità. Non nascondeva a se stessa di essere poco più che una principiante, fatta eccezione per alcuni trekking che aveva percorso in Norvegia e svezia, peraltro in compagnia di persone esperte. Tutto ciò, stranamente, non la spaventava. Non era il tipo da tirarsi indietro. Non era mai stata a guardare la vita che le scorreva attorno. Aveva sempre osser-
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vato ogni cosa e colto tutte le occasioni per apprendere, cercando — come le aveva insegnato sua mamma — di “rubare con gli occhi”. Allora, percorrendo attentamente le cartine, vide che il luogo non era lontano dal paesino di Kvikkjokk. doveva distare al massimo un paio di giorni di cammino. Però, ancora, non poteva andare bene. le parole dell’aquila erano state chiare: “dopo un lungo cammino”. due giorni di marcia non potevano essere un lungo cammino. Ma poco distante dal luogo delle offerte, passava un sentiero segnalato. ripercorrendo a ritroso quel tracciato, Miki vide che esso partiva circa 150 chilometri più a nord-ovest, a ritsem — dovevano essere circa una decina di giorni di cammino. Bene, dieci giorni erano decisamente un lungo cammino, almeno per lei, e rappresentavano, almeno sulla carta, una meta alla sua portata. in quel momento comparve luca, stupito che la stufa non fosse stata ancora accesa, e ancora più stupito per tutte quelle carte sparse sul tavolo. Miki non disse niente, inventò una scusa per giustificare il trambusto: doveva prima capire bene, studiare ogni cosa alla perfezione per essere pronta a ribattere alle opposizioni che di sicuro vi sarebbero state. d’altro canto, neppure lei sapeva bene cosa stava facendo. si limitava ad accumulare dati, notizie, sensazioni, nella speranza di riuscire alla fine a sbrogliare i fili. Così impiegò i giorni successivi a raccogliere nozioni riguardo quella zona: come arrivare, le condizioni del percorso, quando sarebbe stato conveniente andare. in breve, si accorse che non stava neanche più chiedendosi se fosse il caso di intraprendere il viaggio, né cercava una spiegazione razionale ai suoi propositi. era entrata nell’ordine di idee secondo cui quella missione andava compiuta, quel compito adempiuto, e ciò prescindendo dal porsi domande logiche, interrogativi, ulteriori motivazioni che non fossero quelle avvolte nella fitta nebbia dentro di lei. stabilì una data approssimativa: fine giugno-inizio luglio.
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sarebbe partita prima dell’apertura dei bivacchi che si trovavano lungo il percorso, così da incontrare poche persone e, al contempo, non rischiare di trovare la pista ancora innevata — almeno così sperava. Chiese le ferie al suo capo ufficio e si preparò ad affrontare luca. l’immediata reazione di suo marito era comprensibile. « Miki, sei impazzita! ». Già in un secondo tempo, vedendola così determinata, luca capì di non avere speranze. Avanzò una proposta. « Non andrai da sola, verrò anch’io ». Ma Miki ribattè secca: « devo andare da sola ». « Ti rendi conto » disse luca, « che quando sarai lì in mezzo, non avrai possibilità di arrivare ad una strada se non dopo cinque giorni di cammino? ». lo sapeva bene. « Non è un percorso tecnico » rispose. « la difficoltà maggiore sta nel peso dello zaino, ma se voglio posso farcela ». luca insistette, flebilmente: « Potresti farti male anche camminando normalmente. Basta che metti un piede... e poi non sai quanta neve troverai ad inizio estate. le difficoltà aumentano, lo sai bene anche tu quanto poco ci voglia a farsi male con la neve ». « Ho studiato bene il percorso. ogni giorno incontrerò un bivacco. Anche se non ci sarà nessuno, potrò sempre contare sul telefono di emergenza... vedrai che me la caverò ». le ultime battute di luca non riuscirono a distoglierla dalla sua decisione, e caddero nel vuoto. « Un telefono! Magari lo trovi dopo venti chilometri di cammino con lo zaino pesante e una gamba rotta! ». suo marito avrebbe voluto domandarle quale fosse il senso di quel viaggio, ma di certo Miki non avrebbe saputo dare una risposta. « so solo di dover andare lassù ». la voce gracchiante dell’altoparlante la svegliò da quel
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sonno leggero che l’aveva colta. Aveva dormito non più di tre ore. il treno era arrivato a Boden. Ancora due, tre ore e sarebbe scesa anche lei. si sforzò di mantenersi ancorata all’‘ora’, al gesto successivo che meccanicamente avrebbe dovuto compiere, dicendo a se stessa: “ecco, adesso devo alzarmi, sistemare la cuccetta, mangiare qualcosa e mettere via tutto così da essere pronta a scendere appena il treno arriverà a Gällivare”. Una volta scesa alla piccola stazione ferroviaria di Gällivare, Miki si preoccupò di cercare la corriera che andava a ritsem. Aveva un’ora di tempo prima della partenza, e pensò di impiegarla alla ricerca di un negozio dove comperare qualcosa da mangiare per quel giorno, soprattutto il burro di cui aveva tralasciato di rifornirsi a stoccolma, nel timore potesse sciogliersi nello zaino durante il viaggio.
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