Otkudà - In bici sulla Via della Seta

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G In bici

OtkudĂ

NONFICTION

sulla via della seta

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P r e f a z i o n e di Antonio Martino Se la rosa più bella è quella che non colsi… il viaggio più bello è quello che non feci? In terza elementare, durante una lunga convalescenza da morbillo, mi fu regalato I misteri della giungla nera, di Emilio Salgari. Fu l’inizio di un grande amore e di viaggi meravigliosi. Ho navigato nei mari del Sud, traversato giungle e deserti, esplorato sotterranei, nuotato in fiumi vorticosi, scalato montagne e sognato amori con le più belle donne del mondo: quelle create dalla fantasia. Questo incipit alla prefazione di un libro che racconta in modo puntuale e senza retorica un viaggio vero, con date, orari, chilometri percorsi, personaggi descritti e spesso fotografati potrebbe sembrare ‘fuori traccia’. Eppure, se il turismo, malgrado la crisi, rimane uno dei settori economici che non conosce difficoltà, credo dipenda, in larga parte, dalla capacità che letteratura e cinema hanno di produrre e vendere sogni. Se il Colosseo è uno dei monumenti più visitati al mondo non è certo perché si studia la storia romana sui testi classici, ma perché tutto un filone filmico, da Quo Vadis a Il Gladiatore, spinge lì folle di visitatori che spesso non hanno la minima idea del suo significato e del suo valore storico-culturale. Una bella foto con il figurante vestito da gladiatore e si

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un libro che racconta in modo puntuale e senza retorica un viaggio vero

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pr e f az ion e

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Otkudà, “da dove venite?”. era la domanda rituale che ci veniva posta in ogni incontro

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torna a casa. D’altra parte, se è vero che l’unico modo per realizzare i propri sogni è quello di svegliarsi, è anche vero che difficilmente tra le due cose c’è corrispondenza. La Via della Seta, poche espressioni sono altrettanto evocative. Da qui, e da uno splendido sceneggiato televisivo ispirato al Milione di Marco Polo, nasce l’idea di questo viaggio. E se la vita è un po’ tutta un viaggio, « io voglio farla in bicicletta ». O almeno provarci. Così, nell’agosto del 2013, due ciociari si ritrovano a pedalare nel centro dell’Asia. Hanno fatto diligentemente i compiti, studiato Alessandro Magno, Tamerlano, letto Il Milione, sfogliato riviste specializzate, frequentato i forum che su Internet riportano opinioni di turisti e viaggiatori. A livello di conoscenza, ci sarebbe poco da imparare e uno potrebbe tranquillamente restarsene a casa. Meno spese, meno rischi, niente diarrea del viaggiatore, niente mal di schiena. Ma non di sola conoscenza e razionalità siamo fatti. Studiare a fondo un’opera d’arte non ci dà quell’emozione e turbamento definito Sindrome di Stendhal nelle forme più accentuate, che è provocato dalla sua presenza fisica. Otkudà, “da dove venite?”. Malgrado la bandiera italiana bene in vista, era la domanda rituale che ci veniva posta in ogni incontro. Tutti, o quasi, conoscono il nostro tricolore, ma chiedere “Da dove


vieni?” è il modo più semplice per iniziare una conversazione. Sono strani due italiani nelle steppe dell’Asia centrale. Ancor di più se in bicicletta. Il dialogo, anche a causa di difficoltà linguistiche, superate in parte grazie a una ricca e collaudata mimica, è piuttosto rituale. L’Italia è ben conosciuta e, in fondo, amata. La nostra storia coloniale è stata modesta, ci ha procurato poca ostilità. Insomma, dai guardiani delle moschee ai tassisti, dai ristoratori ai passanti che si rivolgevano con il rituale Otkudà, si poteva serenamente rispondere “Italia”, sicuri di un sorriso di simpatia. Il fascino della Via della Seta, come spiega bene Norman nel suo libro, è stato qualcosa di molto effimero, consumatosi nel giro di un centinaio d’anni. Lo stesso nome è un’invenzione dell’Europa moderna, affamata di esotismo e avventure. Un po’ come l’epopea del West, che è stata un’invenzione di Hollywood, o l’Odissea un sogno di Omero. Gli ingredienti sono più o meno gli stessi: paesi lontani, pericoli insormontabili, mari, tempeste, mostri e principesse di una bellezza che non trova aggettivi e che accolgono festose l’eroe in ogni porto. I nostri sogni, le nostre fantasie, la nostra voglia di rompere un’“eroica” quotidianità fatta di schemi ripetitivi, orari stressanti, compiti noiosi. Insomma, per concludere, il viaggio più bello è quello che non feci?

strani ‘due ‘ Sono italiani

nelle steppe dell’Asia Centrale. Ancor di più se in bicicletta

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pr e f az ion e una sintesi ‘di‘ storia,

geografia, economia, politica che può aiutare a capire meglio la realtà di questi paesi così apparentemente lontani

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ANTONIO MArTINO è insegnante di Italiano e Storia, cicloviaggiatore, esploratore di luoghi geografici e dell’animo umano. Lui e Norman Polselli hanno viaggiato insieme sulla Via della Seta.

Ci aiuta questo libro a sciogliere il dubbio? Io credo di sì. Norman ha una formazione tecnicoscientifica: preciso, analitico, curioso. Il suo libro è una sintesi di storia, geografia, economia, politica che può aiutarci a capire meglio la realtà di questi paesi così apparentemente lontani. Ma Norman è anche un poeta, innamorato dell’amore, di un paesaggio, di uno sguardo malizioso sotto un cappellino civettuolo, di una vecchina gentile, di una bistecca ben cotta. In altri termini, della vita che è fatta di sogni e del loro scontroincontro con la realtà. Non tutte le rose vanno necessariamente colte, non tutti i viaggi sognati vanno necessariamente fatti. Personalmente, non andrei mai in Malesia o nel Borneo. So che troppo grande sarebbe la delusione avendo negli occhi della mente le pagine di Salgari. Ma se è bello leggere dell’incantevole Elena di Omero o dell’Angelica di Ariosto, se le donne di Milo Manara o la Valentina di Crepax nella loro fantastica e fantasiosa bellezza turbano i nostri sogni, è pur vero che ogni roseto, insieme a rose altissime e irraggiungibili, ne ha tante di cui è possibile occuparsi. Viaggiare in Asia o nel cortile di casa è soprattutto un esercizio di fantasia oltre che risposta al desiderio di narrazione. In fondo, non si viaggia per viaggiare, ma per aver viaggiato.


L’ au to r e

NormaN PolsellI è uno scrittore di narrativa di viaggio. Ha pubblicato “Pedalando con i Troll”, Gingko, 2012. Collabora e scrive articoli per periodici e riviste di divulgazione scientifica. È inoltre autore di vari reportage di viaggio in diverse testate giornalistiche on line. Ha cicloviaggiato sul Cammino di Santiago, sulla Via della Plata, in Islanda, sulla Via Podiensis, in Asia Centrale. In Lapponia, per la prima volta nel 2012, ha lasciato la bici per trasformarsi in un camminante.

► Per approfondimenti sull’autore, si può visitare il sito “I diari della bicicletta” al seguente indirizzo: www.normanpolselli.it ► Il suo album fotografico su Flickr: www.flickr.com/photos/norman_polselli/ ► Il video del suo viaggio in Lapponia può essere visto qui: https://vimeo.com/5 6685133


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GINGKO

EDIZIONI


OTkUDà - IN BICI SULLA VIA DELLA SETA Copyright © 2014 NOrMAN POLSELLI © 2015 Gingko edizioni ISBN 978-88-95288-52-9 GINGkO EDIzIONI Molinella (BO) www.gingkoedizioni.it Copertina: © 2014 NOrMAN POLSELLI Progetto grafico di copertina: © 2015 ATALANTE

Tutti i diritti dell’opera sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta o usata in alcuna forma senza previo consenso scritto degli aventi diritto. Le illustrazioni sono di proprietà esclusiva dell’autore. Ne è vietato l’utilizzo a qualsiasi mezzo.


In di c e PrEFAzIONE AUTOrE 19 23 27 33 41 47 53 59 65 71 77 85 91 99 105 111 115 123 133 139 151 165 175 181 189 195 203 209

P r ologo 1. Cent ra l A si a 2. K irg h izistan 3. Bish ke k 4. Inte rh ou se Hostel 5. L a Tor r e di Buran a 6. Le gole f ilif o r m i 7. I l la go Iss yk -k ul 8. Le mo nta gn e c el e st i 9. So ng K öll 10. Pe rsi… 11. Na r yn 12. T ia n Sha n ce nt ra l e 13. J ala l A ba d 14. La Valle Fe r ga na 15. Osh 16. Uzbe kista n 17. K ok a nd 18. L’ ultim o k ha na to 19. Ta shk e nt 20. C hor su 21. S am a r c an da 22. I l R eg istan 23. Sha h- I- Zin d a 24. Buk ha ra 25. I l m ina r eto K a lo n 26. Ma lik a Ho tel 27. Cent ra l A si a ASIA CENTrALE: PrOMESSE E PrOSPETTIVE DI SVILUPPO VENTUrO

CONSIGLI TECNICI


k m t o ta l i p er c or s i i n bici:

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k m to ta li pe r cor s i in au t o:

805

k m to ta li pe r cor s i in t r eno :

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Ot kud Ă

in bici sulla via della seta



Questo libro è dedicato a Giuseppina Colantonio, mia nonna, il mio angelo.



Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell’abisso hai tu passeggiato? Ti sono state indicate le porte della morte e hai visto le porte dell’ombra funerea? Hai tu considerato le distese della terra? Dillo, se sai tutto questo! Giobbe 38,16-18



G Prol o g o e

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a dove inizia un viaggio? Dall’aeroporto? Quello di partenza o di arrivo? Inizia dalla propria dimora? Oppure nell’attimo in cui entriamo in un’agenzia di viaggio o apriamo un sito Internet? No, un viaggio inizia da un brivido. Quando, per la prima volta, crediamo che un luogo e il percorso per arrivarci sia stato creato solo per te. Riposa sulle mappe da secoli, forse millenni, con il solo scopo di aspettare il giorno in cui tu ti accorgerai della sua esistenza. Quando questo accade, io so di aver trovato per l’ennesima volta il cammino da seguire. Una leggera sensazione di freddo mi fa accapponare la pelle, la testa gira in preda alle vertigini e, cosa ancora più sconcertante, gli occhi mi s’inumidiscono come prima di un gran pianto.

G

L’idea di questo viaggio non è recente. Risale a quando assistevo sulla RAI alle grandi produzioni seriali. Allora, li chiamavano sceneggiati. Ricordo una discussione tra adulti, di


Otkudà - In bici sulla Via della Seta

quelle che a un bambino appaiono noiose, nella quale una signora si lamentava dell’ennesima replica su Rai Uno del Marco Polo di Montaldo. Come si poteva parlare male di qualcosa che per due ore ti strappava dalla vita di tutti i giorni per portarti in un mondo di colori sgargianti, odori impensabili, deserti infiniti e amori eterni? Ovviamente, non avevo né la maturità, né la pazzia sufficiente per pensare che nel mio futuro avrei avuto l’occasione di ripercorrere i passi del coraggioso mercante veneziano. Almeno in parte, e con mezzi diversi. Mio malgrado, non ho quattro anni da spendere sull’antica:

V i a del l a Set a .

Non è mai esistita un’unica Via della Seta, una strada che partiva da Xi’an, capoluogo di una delle province nord-occidentali dell’odierna Repubblica Popolare Cinese, per finire a Venezia. La definizione ‘‘Via della Seta’’ fu coniata dal geografo tedesco Ferdinand von Richthofen (1833-1905). Tuttavia, lo scambio di merci da Oriente a Occidente è sempre esistito e, a differenza di quanto l’immaginario collettivo ci impone, erano per lo più le merci occidentali ad andare in Oriente. Di recente, nello stato indiano sud-occidentale del Kerala, sono state portate alla luce le rovine di un antico porto romano. Di monete romane in India si è sempre saputo. Non parliamo quindi di due mondi, Oriente e Occidente, che non hanno mai avuto contatti, bensì di due culture cresciute anche grazie al supporto inconsapevole che l’una donava all’altra. La tradizione cinese fa risalire al viaggio di Zhang Qian a Occidente la nascita della Via della Seta. Nel II secolo a.C. i cinesi temevano l’espansione di un potente e misterioso popolo nomade, gli xiongnu, un’etnia turco-mongola che qualche storico collega a coloro che furono conosciuti secoli dopo dai romani come Unni. L’imperatore cinese Han Wudi Liu decise di mandare in spedizione oltre i territori controllati dagli xiongnu 20


Prologo

un suo alto ufficiale, Zhang Qian per l’appunto, per trovare alleanze militari. Anni prima, un altro popolo era stato scacciato dal suo territorio dagli xiongnu, gli yuezhi, ed era a questi ultimi che pensava l’imperatore per creare un’alleanza contro il nemico comune. La missione di Zhang Qian non fu né facile, né breve. I territori a occidente dell’attale Xi’an erano pressoché sconosciuti ai cinesi dell’epoca. Zhang Qian venne tenuto prigioniero per undici anni dagli xiongnu. Quando finalmente riuscì a fuggire, insieme al suo amico fedele Ganfu, si diresse nuovamente verso questa mitica terra abitata dagli yuezhi. Come recitano le cronache del tempo, nel loro andare “mangiarono al vento e dormirono con la rugiada”. Attraversarono i monti del Tian Shan, superarono il fiume Naryn e, infine, giunsero nella Valle Fergana (oggi, luogo conteso tra Uzbekistan e Kirghizistan). Il re locale aiutò i due messaggeri a raggiungere l’antica Battriana, il nuovo regno degli yuezhi (nord dell’Afghanistan). Dopo dodici anni dall’inizio del suo viaggio, Zhang Qian era giunto ai confini dell’impero fondato da Alessandro Magno! La missione diplomatica fallì. Il messo cinese trovò una popolazione raffinata e sofisticata che temeva la guerra con gli antichi nemici. Zhang Qian allora decise di ritornare dal suo imperatore, questa volta passando a sud del Tian Shan, presumibilmente costeggiando il terribile deserto del Taklamakan. Giunto al cospetto del suo imperatore, tredici anni dopo la partenza, con ancora il bastone dalle code di yak che testimoniava la sua missione, la sua storia commosse tutti ed egli venne onorato e ricompensato per il resto della sua vita. Ciò che neanche Zhang Qian immaginava era che aveva appena spianato la strada alla nascita del ramo settentrionale e meridionale della Via della Seta. Non era riuscito a tessere un’alleanza militare, ma aveva fatto ben di più per il suo paese: aveva aperto la Cina a nuovi mercati, a nuovi mondi, all’Occidente.

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G C ent ra l A si a e

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e distese azzurre e le verdi terre, le discese ardite e le risalite… esco dall’aeroporto di Tashkent con questo motivo in mente. Non ho mai amato Battisti, lo conosco poco, ma devo molto a questa canzone. È stata il raggio di sole a cui mi sono aggrappato per uscire dai momenti bui. E questo, certamente, è uno. I viaggi non dovrebbero mai finire, così come i bambini non dovrebbero mai smettere di ridere o un’alba durare per sempre. Ciò nonostante, accade ed è giusto che sia così. È il suo contrario la nostra misura per la felicità che viviamo attimo per attimo. Ora è buio, non solo metaforicamente. È notte da almeno un paio d’ore in questa remota città dell’Asia centrale. Il viaggio della vita, come poi lo sono tutti, è giunto al termine. Mi sento vuoto, stanco, irascibile. Niente di nuovo, sono sensazioni che ben conosco. Ho imparato persino ad amarle quando, dopo il primo Cammino di Santiago, giunsi alla tomba dell’apostolo Giacomo. Alla fine di ogni viaggio c’è soddisfazione, coscienza di sé, dei propri mezzi e, soprattutto, dei propri limiti, ma non c’è gioia. La gioia la si respira durante l’andare, quando hai consapevolezza che per una volta il mondo vibra alle tue stesse fre-


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quenze. Non c’è attrito, non ci sono vie senza uscita, c’è sempre una soluzione per tutto. Con la sicurezza che la nuova strada darà emozioni più forti di quella vecchia. L’aereo partirà a tarda notte, non voglio rimuginare per ore sulla mia instabilità emotiva. Ho migliaia di som uzbeki in tasca. Carta straccia, sia prima che dopo l’imbarco, ma almeno adesso posso tentare di trasformarli in pochi dollari o in qualche souvenir cinese. Fuori l’area d’accesso dell’aeroporto sostano strani figuri pronti ad illuderti del fatto che hai concluso un ottimo affare cambiando i tuoi soldi alle loro condizioni. Come secondo lavoro, fanno i tassisti. Mostro il passaporto alle guardie, posso uscire. Com’è normale che sia, i cambiavalute mi credono un turista appena sbarcato. A Tashkent, i voli transcontinentali arrivano di notte. Vengo immediatamente circondato da questi truffatori improvvisati che propongono un cambio euro\som che avrebbe solo suscitato ilarità in qualsiasi bazar da qui a Khiva. Non cerco som, rivoglio i miei euro. I cambiavalute si dileguano alla stessa velocità con la quale si sono palesati. D’altronde, come dargli torto? Quale pazzo cambierebbe con soldi veri questa carta da formaggio che spacciano per moneta? Be’, i miei acidi appunti stanno raggiungendo limiti pericolosi. Sto tornando a casa, non vado in guerra! Non devo farmi abbattere da questa malinconia. Mostro lo stesso passaporto alla guardia che me l’ha controllato cinque minuti fa. Lui ripete l’operazione con la medesima metodica. Sono finiti anche i giorni in cui mi meravigliavo della burokratia di sovietica memoria. La larga zona off limits da attraversare mi concede ancora qualche attimo prima di entrare nel terminal internazionale. « Fuck it ». L’imprecazione richiama il mio sguardo. Un ragazzo cerca di togliere una bici da un imballaggio di cartone. Alto, pelato, pizzetto ben in vista. Mi nota e rivolge un cenno di saluto. Mi avvicino per dargli una mano ed ecco che ar-

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Central Asia

riva il suo compagno di avventura. Una bella ragazza, vestita come le modelle sulle riviste specializzate di mountain bike. Ma non è una modella, sta realmente vivendo, lei, le condizioni per le quali quei prodotti sono pubblicizzati. La differenza è imbarazzante; non riuscirò mai a capire come facciano tutte le donne del mondo a custodire il loro più grande segreto: il modo di apparire sempre in ordine, anche nelle situazioni più improbabili! Jack e Lisa vengono dalla California. Non c’è alcun motivo valido perché dia inizio a questa surreale conversazione. « Perché vi siete portati dietro le bici? » chiedo a Lisa, simulando tutto lo stupore di cui sono capace. « Noi viaggiamo così, siamo un po’ matti » risponde con un larghissimo sorriso. « Ma per dormire, per il cibo, per la pioggia? ». So benissimo che avrà dovuto ripetere la stessa risposta mille altre volte, ad amici, parenti, semplici curiosi. Nonostante ciò, con entusiasmo, mi mette al corrente della loro relativa autonomia. Portano con sé una tenda tecnica, delle provviste e un fornello a cartucce di gas. Hanno le stesse borse tedesche che monto anch’io, differenti solo per colore (rosse le loro, bianche le mie).Contro la pioggia confidano nel Gore-Tex e nella buona sorte. Serve altro per esplorare il creato? Intanto, Jack ha finito di avvitare i pedali. Ora toccherà alla bici di Lisa. Ma anche lei si è data da fare, togliendo le borse dal cellophane, estraendo tenda e sacchi a pelo, e procurandosi l’acqua necessaria. Si sono semplicemente divisi i compiti. C’è complicità tra loro, non potrebbe essere altrimenti. Questa volta, davvero incuriosito, domando: « Che giro avete in mente? ». Lisa prende dalla sua borsa una cartina dell’Asia centrale. « Da Tashkent partiamo per Samarcanda, scendiamo a Dushanbe, in Tagikistan, per poi percorrere da Khorog l’alta via del Pamir ». Vorrei chiederle se fosse disponibile a sposarmi questa notte. Sarà mica così difficile trovare qualcuno in Uzbekistan con l’autorità per celebrare le nozze! 25


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Con una tranquillità disarmante, mi ha implicitamente detto che attraverserà un deserto, valicherà passi oltre i 3.000 metri, pedalerà su una delle strade più belle e isolate del mondo... Quello che ho fatto io nell’ultimo mese, che vorrei fare per il resto della vita. Il tintinnio di una chiave che cade dalle mani di Jack mi riporta alla realtà. « Come pensate di tornare a Tashkent? ». Anche qui conosco già la risposta, ma voglio prolungare l’agonia. « Non lo sappiamo di preciso » dice Lisa. « Forse cercheremo di rientrare in Uzbekistan da Osh. Jack vorrebbe perfino tentare di entrare in Cina dal passo Torugart! ». Scuote la testa, come se per la prima volta un mezzo dubbio facesse breccia nel suo sereno entusiasmo. Sono sicuro che sappiano che quel passo non è aperto agli stranieri. È classificato di seconda categoria. Lo possono attraversare solo cinesi, kirghisi o chiunque abbia soldi e fegato per corrompere il comandante della guarnigione di controllo. Lisa ripone la cartina nella borsa da manubrio. Niente deve essere più a portata di mano di una carta stradale. « E tu, dove hai intenzione di andare? ». « A casa » rispondo in modo fin troppo brusco. « Ah, stai partendo quindi… che tipo di viaggio hai fatto? ». Attendo forse qualche secondo di troppo per risponderle, sono ipnotizzato dalla ruota posteriore della bici di Jack che gira come non volesse mai fermarsi. La bici è capovolta, sta sistemando la catena. « Niente di particolare… non saprei neanche da dove iniziare per poter solo sognare di vivere le avventure che affronterete tu e Jack ».

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