Pedalando con i Troll

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Plancton |5|



EsPlorazioni / Viaggi


La strada per la cascata Dettifoss è stata impervia quanto terribilmente affascinante. Il paesaggio ricorda i canyon americani visti in tanti film.

N ormaN P olselli , è nato a Piacenza, ma vive, lavora e studia a Frosinone. Ha due passioni, viaggiare e raccontare quello che vede e vive nei suoi viaggi. Queste le sue esperienze: 2007, cammino di santiago; 2009, Via della Plata; 2010, islanda; 2011, Via Podiensis; 2012, lapponia, per la prima volta senza bici per trasformarsi in un camminante. Per contattarlo: n.polselli@libero.it


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PedalaNdo con i T roll Islanda BIke Tour 2010

GINGKO | |

PLANCTON

Con 57 foto di viaggio + 7 cartine Appendice tecnica e link utili

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titolo originale dell’opera: Pedalando con I Troll © copyright 2012 norman PolsElli © copyright 2012 gingko Edizioni san Pietro capofiume (Bo) www.gingkoedizioni.it i EdizionE novembre 2012 collana Plancton isBn 978-88-95288-37-6 Progetto grafico di copertina: © 2012 atalantE


CiCloviaggiare di norman Polselli

e ore di guida trascorse su una stradina tutte curve e paesaggi mozzafiato ci avevano un po’ sfiancati. Quattro compagni di viaggio, due partiti insieme dall’italia, due trovati lungo la strada. i trolley soffocavano ogni spazio libero della piccola citroen presa a noleggio. ascoltavamo american Pie, la versione originale, non quella di madonna — quella che dura quasi quanto una partita di baseball. stava nel cd trovato dentro lo stereo dell’auto. Eravamo partiti presto dall’ostello proprio per non perderci nessuna delle bellezze che la nostra guida magnificava. contea del kerry, irlanda, selvaggio ovest. Era l’estate del 2003, la più calda dell’ultimo secolo. ciononostante, pioveva a dirotto quel pomeriggio. Era l’unico giorno, in tre settimane, in cui provavamo il brivido del dispettoso tempo irlandese. dopo l’ennesima curva, prima di una salita diretta a un colle, avvistammo due disgraziati su delle bici. carichi come muli, con perseveranza, pedalavano contro il maltempo. commentammo con frasi del tipo: questi sono pazzi, ma chi glielo fa fare… Probabilmente, stavamo esorcizzando la paura del confronto. se eravamo stanchi noi, comodamente seduti nella nostra utilitaria, come potevano andare avanti quei due, in sella a una bici? allora non sapevo che da lì a quattro anni quel pazzo sarei stato io, quella pioggia sarebbe caduta su di me e, cosa ancor più assurda, mi sarebbe piaciuto da morire. sono un cicloviaggiatore. non penso di potermi descrivere

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meglio. non ho altri titoli, altre etichette, altre medaglie, non le cerco nemmeno. È difficile da spiegare a chi non l’ha mai provata, la forza che ti strappa dalla vita di tutti i giorni e ti spinge a partire su una bicicletta. Perché non farlo in altro modo? Perché sarebbe una limitazione delle mie esperienze. Prima di ogni viaggio so benissimo che ci saranno giorni, momenti in cui mi sentirò stanco come non mai, sarò sporco come non mai, fradicio o bruciato dal sole. allora maledirò l’istante in cui ho ideato questa ‘vacanza’, maledirò me stesso. nonostante questo, anzi grazie anche a questo, so per certo che sarà una delle esperienze più belle e totalizzanti della mia vita. Farò cose che non pensavo saper fare, comprenderò e parlerò tante lingue, conquisterò amicizie che dureranno un’ora, un giorno o tutta la vita. non visiterò borghi medievali persi in qualche campagna, ma vivrò quei borghi e quella splendida campagna. non osserverò un paesaggio, ma farò parte di un paesaggio. non solo alzerò il naso verso le guglie di una cattedrale, ma probabilmente dormirò in una dependance di quella cattedrale. Perché chi viaggia lento, a piedi o in bici, solitamente vive situazioni che ad altri possono sembrare assurde. oggi, però, so che l’assurdo sarebbe non viverle queste situazioni, queste emozioni. Vento nei capelli, il sangue che pulsa nelle gambe, tutto il mondo ti sembra a portata di pedalata. simbiosi perfetta con il tuo ferro, la tua bici. non è più un mezzo di locomozione, ma è quasi un’ estensione del tuo corpo. Più che un nuovo arto, un nuovo senso. Quello attraverso cui stai conoscendo il creato. a volte ci parli anche, la rassicuri, le chiedi sicurezze che non può darti. ma la tua razionalità, al limite del collasso, non prevede un no alla richiesta di non lasciarti a piedi in mezzo al nulla che ti circonda. la razionalità va conservata sempre, guai a perdere il controllo, eppure può capitare che da certe situazioni sia la pancia a tirarti fuori. non il cervello. ricordo di quarantasette gradi all’ombra, senza che questa vi fosse, ricordo la terra rossa sotto le mie ruote e il cielo infuocato


sopra la mia testa. ricordo che mi rivolsi al sole e gridai: è tutto qui quello che sai fare? niente di più? se è il tuo meglio, oggi tramonterai sconfitto. Perché non mi hai piegato, ti sono davanti, sopra la mia bici, e tu non puoi far niente per fermarmi. a tutto questo, però, c’è una controindicazione, quasi un pericolo. cercare sempre un nuovo limite da superare, alzare l’asticella delle emozioni e della capacità di stupirsi. Per quanto mi riguarda mi sono dato una regola: non tentare di alzare sempre più in alto l’asticella. se capita, bene, ma non deve diventare l’obiettivo. l’obiettivo, di volta in volta, di viaggio in viaggio, è trovare un nuovo campo su cui fare il salto. o magari soltanto ruotare il cavalletto, e l’asticella, per fare lo stesso salto di prima, ma in una prospettiva diversa. non cercare, insomma, una escalation di emozioni verticale, ma orizzontale. aumentare lo spettro delle esperienze, più che cercare sempre nuovi limiti o picchi massimi. È un modo per non cadere in ‘‘Point break’’, il bellissimo film di kathryn Bigelow sull’adrenalina come droga usata per evadere dalla società cosiddetta civile. Un altro pericolo è la superbia. Fare di tutto per combatterla, per non ritenere il proprio modo di viaggiare il solo che abbia una patente di nobiltà. È piuttosto difficile, lo sforzo spesso è vano. la tentazione di giudicare gli altri prende il sopravvento. Quando qualcuno mi parla di città o regioni che ho attraversato in bici, mi verrebbe da urlargli in faccia che quella di cui sta parlando non è la città che io ho vissuto, non è il territorio che io ho respirato. che un paese non lo si può conoscere con un weekend nella capitale o in una settimana chiusi in qualche villaggio turistico. ma, poi, il buon senso prevale, e mi rendo conto che così assomiglio ai miei genitori, che affermano senza tema di smentite che la musica, quella vera, è solo quella degli anni sessanta. da Vianello a rita Pavone. Be’, se viaggiare non insegna a rispettare il pensiero altrui, non vedo proprio a cos’altro possa servire. se l’amico che fa capodanno a Barcellona pensa e dice di conoscere la spagna, va

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bene! se non la prendono male i pastori dell’Estremadura, i viticoltori della rioja, i pescatori della costa da morte… chi sono io per prendermela?

‘‘si definisce cicloviaggiatore un individuo che effettua viaggi in bicicletta di più giorni consecutivi, e che trasporta se stesso e tutto il materiale che gli occorre su una bicicletta. tale cicloviaggiatore non organizza il proprio viaggio prevedendo l’impiego di mezzi di supporto che trasportino per lui i materiali o ne gestiscano la logistica dell’intero viaggio o di parte di esso. il cicloviaggiatore viaggia in bicicletta in maniera indipendente, da solo o in gruppo, ma non aggregato al seguito di un’organizzazione commerciale. il cicloviaggiatore non organizza a scopi commerciali il viaggio di altri cicloviaggiatori. il cicloviaggiatore è attento agli aspetti del territorio che attraversa, culturali e naturalistici, riconoscendo nel cicloviaggio uno strumento di crescita interiore e conoscenza della realtà che lo circonda’’. [dal manifesto del “cicloviaggiatore”] http://www.ilcicloviaggiatore.it/wp/

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La chiamo la mia bici pellegrina. Questo perchĂŠ mi ha accompagnato in ben tre Cammini di Santiago. Ăˆ una Bianchi Quake, una mtb entry level che ho comprato prima di prendere coscienza di voler conoscere il mondo su una bici. L’ho presa in un negozio distante da casa mia sette chilometri di tranquilla pianura. Ricordo che arrivai distrutto a casa. E pensai che forse la bici non era qualcosa di adatto a me, alle mie abitudini.


Forse neanche quel genio visionario di Jules Verne poteva pensare che il remoto vulcano, sotto un ghiacciaio, scelto da lui per accedere al centro della terra‌ sarebbe diventato la meta di qualche cicloturista.


il mio tour è iniziato a ovest, il luogo dove Verne, nel suo romanzo, collocò l’entrata verso il centro della terra. Poi ho attraversato gli altopiani centrali. la famosa pista del kjolur. trecento chilometri di pista immersa in un deserto subartico. giunto ad akureyri, la seconda città dell’islanda, mi sono diretto verso il parco di Jökulsárgljúfur. l’area ospita dettifoss, la cascata più potente d’Europa, e il famoso canyon ‘‘l’impronta del cavallo di odino”. sempre in bici, tra geyser, colline color ruggine e cieli infiniti, sono arrivato a myvant. Uno splendido lago, riserva avio-faunistica. Qui, dopo ottocento chilometri, si è concluso il mio cicloviaggiare. Per tornare a reykjavik ho preso il bus che completava il periplo dell’islanda. Ho fatto una sosta di due giorni sotto il Vatnajokull, il ghiacciaio più grande del mondo dopo le calotte artiche. il resconto di questo libro è stato scritto sul posto, nei momenti di pausa o di semplice contemplazione delle bellezze che vedevo. Ho cercato di rendere reali più possibile le emozioni, gli stati d’animo, le gioie e le malinconie che ho vissuto. Un viaggio del genere è qualcosa di importante non solo dal punto di vista fisico, ma anche emotivo. Ho raccontato quello che vedevo e le persone che incontravo. Perché alla fine è chi incontri, l’aiuto dato o ricevuto, le idee condivise o dialetticamente discusse, che fanno di un viaggio un’esperienza unica. che arricchisce. nel libro ho voluto aggiungere anche dei consigli per affrontare qualcosa di simile. alla fine, c’è una precisa e schematica appendice tecnica che aiuta il lettore a farsi un’idea di cosa veramente occorra. o, meglio, cosa necessariamente occorra. io ho dovuto studiare un anno per mettere insieme il know how necessario per non essere pericolosamente sprovveduto tra ghiaccio e fuoco. n.P.


PEDALANDO CON I T ROLL a mio padre, mia madre e a Pappi, per poter comprendere meglio la mia sete di antiche vie e sempre nuovi orizzonti



discendi nel cratere dello Jokull di sneels che l'ombra dello scartaris viene a lambire prima delle calende di luglio, viaggiatore ardito, e giungerai al centro della Terra. ecco quello che io feci. arne saknussemm

[JUlEs VErnE | Viaggio al cEntro dElla tErra]



BENVENUTO NEL GRANDE NORD!

29 Luglio 2010

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nsia, paura di non farcela. Non provavo simili stati d’animo da tanto tempo. Quattro anni fa presi una decisione, allora una ‘pazzia’: non avrei fatto le vacanze con i miei amici di sempre, ma mi sarei inventato cicloviaggiatore. Sul Cammino di Santiago. Io che con la bici ero stato a malapena a dieci chilometri da casa! Una geniale pazzia. Da tempo ormai ho smesso di cercare compagni di viaggio tra le mie amicizie. Dico sempre che penso e realizzo cose che la gente ‘normale’ non fa, ma neppure pensa. D’altra parte, viaggiando si incontrano compagni di strada straordinari. Persone con il loro vissuto, o magari solo facce appena intraviste, che impreziosiscono il nostro andare. Non importa dove, non è la meta che fa il viaggio. È il viaggio stesso che può rendere speciale una meta. Erano un paio d’anni che rimandavo l’Islanda. Avevo proiettato le mie insicurezze sul mezzo, sui materiali, sullo scarso allenamento, sul fatto di doverlo fare in solitaria perché non è facile trovare un altro disadattato come me. Quando poi finalmente decisi di partire sul serio, quelle insicurezze si sciolsero come neve al sole. L’idea era di visitare la parte sud-ovest e nord-est del paese. Limitando al massimo l’anello esterno. La strada numero Uno, quella che fa il periplo dell’isola. Per trasfe-


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rirmi da Sud a Nord volevo percorrere la mitica pista interna del Kjolur. Duecentocinquanta chilometri di sterrato che attraversano gli altopiani interni. Mi sembra ormai un secolo fa quando rimasi cinque minuti a riflettere se prendere o meno una stradina bianca a due chilometri da casa mia.

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Berlino-Tingel è un fac-simile di aeroporto. Un capannone con un paio di televisori su cui è indicata l’ora della partenza verso vattelapesca. Forse però proprio per questo si respira un’aria particolare. Notte, fresco, noi che percorriamo la pista a piedi per prendere un tubetto di dentifricio per l’Artico (a questo assomiglia il nostro aereo, o giù di lì), mi fa una certa impressione. Mi sembra un’eco di tempi passati, quando si viaggiava realmente e non si acquistava un pacchetto vacanza in agenzia. L’aereo decolla con la pioggia che sbatte sui finestrini neri come la pece. Per un attimo ho un brivido. Ma che sto facendo, dove diavolo sto andando? Non lo rimando da dove è partito, non lo seppellisco dove non lo posso più sentire, quel brivido. Devo, anzi, usarlo come energia per essere vigile e preciso. Per mantenere il controllo, per potermi così rilassare. Per farmi due ore di sonno. L’arrivo a Keflavic è altrettanto particolare. Tantissimi giovani, ragazze e ragazzi, con lo zaino sulle spalle, pronti ad iniziare la loro avventura. Io sono solo, ma non mi sento solo. Come sempre, viaggiare mi fa sentire vivo come non mai. Dovendo aspettare la bici, sono l’ultimo che esce dall’area imbarco. Mi dirigo verso l’ufficio informazioni per chiedere come arrivare all’ostello dove ho prenotato la


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BEnVEnUto nEl grandE nord!

prima notte. Mi indicano un telefono. In pratica c’è una linea diretta con l’Alex guest house. Alzo la cornetta e mi risponde Alex. Mi viene a prendere con un fuoristrada munito di carrello. Per la bici. Quasi senza accorgermene, senza discontinuità apparente, sto già entrando nel mondo che ho ideato e idealizzato per mesi. Solo due giorni fa avevo un mojito in mano e ascoltavo musica con i miei amici. Adesso muoio dalla voglia di attraversare un deserto subartico in sella a una bici. Scrive Guy de Maupassant: ‘‘Il viaggio è una specie di porta, per la quale si esce dalla realtà e si penetra in una realtà inesplorata che sembra un sogno’’. Sono le 02:00 ora locale. Inizia a fare giorno. Benvenuto nel Grande Nord! Clima: freddo, vento, pioggerella. Chilometri percorsi in bici: 0.

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