Una fortuna sfacciata

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una fortuna

sfacciata

NONFICTION

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Rassegna Stampa in USA

Una storia straziante... Un contributo degno di essere avvicinato alle testimonianze di Primo Levi ed Elie Wiesel. — KirKus reviews Parte del potere [del libro] risiede nello stile narrativo che non nasconde nulla, offrendo il dramma in taglienti sfumature di umorismo macabro. L’effetto è agghiacciante. Questo libro è uno dei più importanti punti di riferimento della letteratura sull’Olocausto. Oltre al suo valore storico, è un’arma potente nella battaglia contro i negazionisti dell’Olocausto. Il fatto che sia stato scritto da un non ebreo e non da uno dei cinquecentomila ebrei sopravvissuti, lo rende unico. — Livia Bitton-JacKson Sopravvissuta all’Olocausto e autrice di Ho vissuto mille anni. Un viaggio incredibile attraverso l’inferno dei campi di sterminio nazisti di un giovane francese determinato ad uscirne vivo [...] I dettagli della schiavitù quotidiana di Pierre Berg e lo sforzo di sopravvivenza sono conturbanti. — richard Z. chesnoff, editorialista del The New York Daily News; autore di Pack of Thieves - How Hitler & Europe Plundered The Jews

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Un viaggio incredibile attraverso l’inferno dei campi di sterminio nazisti

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R as segn a s tam p a Una storia ‘di‘ fortuna,

buona e cattiva, in un mondo impazzito

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L’incredibile testimonianza di Pierre Berg sui campi di concentramento nazisti pulsa di crudezza ed attenzione per i dettagli. È stata scritta subito dopo la guerra, quando i suoi ricordi si sono impressi con vividezza su ogni pagina. Con umorismo sagace, Berg narra una storia di fortuna, buona e cattiva, in un mondo impazzito. La sua avvincente storia di coraggio e la volontà di preservare la propria umanità nella più disumana delle condizioni è un importante contributo alla letteratura della Shoah e alla storia del XX secolo. — andrea warren autore di Surviving Hitler: A Boy in the Nazi Death Camps Pierre Berg merita un elogio per il suo avvincente racconto. Ha raggiunto un raro equilibrio di precisione e distacco, consentendo ai lettori di penetrare nei suoi ricordi senza bisogno di abbellimenti letterari estranei. Un contributo importante alla crescente libreria delle testimonianze sull’Olocausto. — Joshua M. Greene autore di Witness: Voices from the Holocaust Affascinante, devastante, ossessionante, Una fortuna sfacciata è coinvolgente come Schindler’s List. La storia di Berg è un monumento allo spirito umano che prevale al di là di ogni tentativo autoritario di schiacciarlo. Che Berg sia sopravvissuto per raccontare la storia è sorprendente e miracoloso quanto il libro stesso. È una lettura appassionante, un libro che non si riesce più a posare, un’esperienza indimenticabile. Dovrebbe diventare un testo obbliga-


torio in ogni classe di Storia del ventesimo secolo che osi affrontare l’Olocausto. — duff Brenna autore de The Book of Mamie, AWP Award-winner Best Novel ‘‘Nel mezzo del cammin di nostra vita...’’, nonostante Dante, io e voi non possiamo andare all’Inferno e ritornare a questa esistenza. Ma Pierre Berg, ancora adolescente, ha fatto proprio questo. La qualità cinematografica della sua narrazione ci proietta dentro l’abisso di Auschwitz, che inferno lo è stato veramente. Saremmo sopravvissuti? L’abilità di Berg gli fu utile, ma ci furono molti casi in cui ci andò vicino. Nel suo libro c’è suspense — davvero tanta — ironia, cinismo, lealtà e amore. I fatti lo dimostrano. Al di là delle fonti archivistiche naziste, questa è una storia vera, in cui non vengono risparmiati dettagli in nome del buon gusto e della delicatezza. — steven f. saGe autore di Ibsen and Hitler Il suo libro di memorie è uno dei pochi disponibili in inglese scritti da un detenuto di Auschwitz non ebreo, e rappresenta una cronaca ancora più rara delle esperienze presso l’impianto di Dora. La comprensione del funzionamento del mercato nero di Auschwitz e delle dinamiche relazionali dei Kapos verso i prigionieri politici e religiosi aiuta a far luce sull’effetto corruttivo della brutalità nazista sui prigionieri. Il viaggio personale di Berg — dallo sconvolgimento emotivo della cattura in una retata tedesca a Nizza fino alla progressiva

‘vera, ‘ unainstoria cui

non vengono risparmiati dettagli in nome del buon gusto e della delicatezza

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R as segn a s tam p a

morte delle sue emozioni, mentre cercava di sopravvivere tra i peggiori campi di concentramento — è una lettura avvincente... Altamente consigliato. — LiBrary JournaL Ad ogni pagina troverete voi stessi immersi nei ricordi di Pierre, come se egli stesse raccontando la storia solo a voi... Probabilmente il miglior libro di memorie mai scritto da un non ebreo, una parte vitale della letteratura sull’Olocausto e un testo classico. — the ManiLa tiMes

parte ‘vitale ‘ una della letteratura sull’ olocausto e un testo classico

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È la fusione di allegria ed orrore che distingue questo libro da tanti altri che ho incontrato sull’Olocausto. Mescolati alle condizioni di lavoro brutali, agli atti casuali di violenza, alle percosse, agli assurdi omicidi... ci sono momenti di meraviglia, persino di bellezza. — raLph MaGaZine Lo straordinario libro di memorie di Pierre Berg non è solo un contributo prezioso a una storia che non dobbiamo mai dimenticare, ma si distingue anche per la verve, la vitalità e lo spirito ironico con cui l’autore racconta la sua storia. Stimolante come un racconto d’avventura, impreziosito da toccanti riflessioni, Una fortuna sfacciata è una lettura emozionante e indimenticabile. — Jenna BLuM autrice di Those Who Save Us Questa è la storia, con tutti i pregi e i difetti, dell’incarcerazione di un prigioniero politico


diciottenne come schiavo-operaio nell’abisso di Auschwitz... Il mio libro dell’anno. — wiLLiaM BeMister vincitore di un Emmy; corrispondente e produttore di The Hunter And The Hunted e The Search For Mengele Una fortuna sfacciata racconta come sia stata vissuta la sopravvivenza, un passo alla volta, un momento per volta, un respiro per volta... È un libro straordinario. E dice la verità. Non può esserci lode più alta... — phiLip KinGry autore di The Monk And The Marines Berg offre ai suoi lettori la prospettiva affascinante di un adolescente saggio per la sua età, non-ebreo e non credente, che è stato testimone e vittima della Soluzione Finale. Anche se è praticamente impossibile dire che si goda nel leggere una memoria di Auschwitz, Berg mi ha portato fino alle lacrime, ma mi ha fatto anche ridere. Un lavoro importante che sarà letto per molto tempo. — MichaeL BerenBauM direttore del Sigi Ziering Institute ed ex direttore del progetto dell’United States Holocaust Memorial Museum Con dettagli sorprendenti degni di un thriller di fantascienza, Una fortuna sfacciata è crudo, stridente e straziante quanto il taglio di una frusta. L’estenuante lotta quotidiana di Berg per sopravvivere al successivo pestaggio, al successivo gelido appello, al successivo sadico nazista armato di pistola è più che reale. Berg

‘straordinario. ‘ un libro

e dice la verità. non può esserci lode più alta

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R ass egn a s tam p a

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offre la dura moneta del’esperienza di una persona comune che ricorda mentre ancora è viva e cruda la memoria

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non mira a porre o a dare risposte a grandi questioni filosofiche, ma offre la dura moneta dell’esperienza di una persona comune che ricorda mentre ancora è viva e cruda la memoria. Nel modo ‘rassicurante’ in cui Berg ha affrontato le necessità fisiche ed emotive sotto una pressione inimmaginabile — come ha elaborato la perdita, il dolore e la realtà contorta dei nazisti — si trova tutta la sua onestà. — eLinor J. Brecher reporter del Miami Herald e autrice di Schindler’s Legacy: True Stories of the List Survivors


Gl i au to ri

PIERRE BERG è nato a Nizza, Francia, il 26 settembre 1924. A diciannove anni è stato arrestato dalla Gestapo e tenuto prigioniero per diciotto lunghi mesi in quattro diversi campi di concentramento nazisti, come detenuto politico non ebreo. Prima a Drancy, alle porte di Parigi; poi ad Auschwitz. Da qui, dopo essere sopravvissuto alla ‘‘Marcia della morte’’, è stato internato a Dora. Nel maggio del 1945 Berg è riuscito a fuggire dal suo ultimo campo, Ravensbrück, e si è ritrovato nel bel mezzo di una battaglia furiosa tra le forze tedesche e l’Armata Rossa, ma per una serie di circostanze fortuite e grazie alle sue abilità è riuscito ad uscirne vivo. Nel 1947, due anni dopo il ritorno a casa, è emigrato con i suoi genitori negli Stati Uniti. Nel 1948, nel sud della California, ha scritto un diario di memorie sulla sua esperienza dell’Olocausto, in lingua francese. Il libro è stato pubblicato in inglese solo cinquant’anni dopo, con il titolo: Scheisshaus Luck - Surviving the Unspeakable in Auschwitz and Dora. Oggi Berg vive da solo a Beverly Hills. BRIAN BROCK è uno scrittore freelance. Lavorava in uno snack bar di un teatro per sbarcare il lunario quando incontrò Pierre Berg. Ha collaborato con l’autore per ampliare ed approfondire la versione originaria del testo.



Una fortuna

Sfacciata pierre

berg con

Brian Brock

Prefazione di Brian Brock Introduzione di Pierre Berg Postfazione di Joseph Robert White

Traduzione dall’inglese di Miriana Foschi

GINGKO

EDIZIONI


SCHEISSHAUS LUCK Copyright © 2008 by PIERRE BERG and BRIAN BROCK Originally published in Unites States by AMACOM Italian translation rights arranged with Regina Ryan Publishing Enterprises, Inc., 251 Central Park West, New York, NY 10024, USA

UNA FORTUNA SFACCIATA © 2015 Gingko edizioni ISBN 978-88-95288-54-3 GINGKO EDIzIONI Molinella (BO) www.gingkoedizioni.it

Traduzione dall’inglese: MIRIANA FOSCHI Progetto grafico di copertina: © 2015 ATALANTE


in dic e PREFAzIONE | INTRODUzIONE | RINGRAzIAMENTI 31 35 49 61

PARTE PRIMA | drancy CAP. 1. CAP. 2. CAP. 3. CAP. 4.

73 91 99 119 127 141 151 163 171 181 195

PARTE SECONDA | auschwitZ CAP. 5. CAP. 6. CAP. 7. CAP. 8. CAP. 9. CAP. 10. CAP. 11. CAP. 12. CAP. 13. CAP. 14. CAP. 15.

213 227

PARTE TERzA | La Marcia deLLa Morte CAP. 16. CAP. 17.

239 255

PARTE QUARTA | dora CAP. 18. CAP. 19.

263

PARTE QUINTA | ravensBr端cK CAP. 20.

277 289 299 313 327

PARTE SESTA | wustrow CAP. 21. CAP. 22. CAP. 23. CAP. 24. CAP. 25. EPILOGO | POSTFAzIONE



una fortuna

sfacciata



A tutti i miei compagni che non ce l’hanno fatta



i n b r e ve Ho intitolato questo mio libro di memorie Una fortuna sfacciata perché è grazie a questa che sono sopravvissuto.

► Sfuggii a una selezione per le camere a gas di Birkenau in quanto facevo un buon lavoro nel lavare le camicie del mio Blockälteste. Nella baracca dovevamo spogliarci tutti e passare davanti a una SS. Il nazista ci guardava. Quando, sedendoti, cominciavi a sentire le ossa — perché non ti era rimasto più nulla del culo — allora capivi che non saresti riuscito a sopportare un altro mese di lavoro. Il nazista si sarebbe preso il tuo numero, una piccola carta verde, e lo avrebbe infilato nella tasca: ciò significava un viaggio di sola andata verso Birkenau. L’SS mise il mio numero nel taschino, ma il Blockälteste se ne accorse e disse: ‘‘Oh, quel ragazzo lava le mie camicie. Posso usarlo un altro mese o giù di lì’’. ► Mi addormentai in un magazzino e fui denunciato per tentata fuga, ma poiché l’uomo che mi aveva tatuato il braccio aveva la mano che tremava, i nazisti scambiarono il 9 per un 3 e un’altra povera anima venne impiccata al mio posto. Durante la mia permanenza nei campi... ► Trasportai il corpo di una Testimone di Geova fuori dal bordello di Auschwitz. Si era suicidata perché non poteva essere la puttana di nessuno. Il suo corpo venne poi usato come esca per i pesci. ► Durante il viaggio da Auschwitz a Dora fummo caricati su vagoni merce scoperti. Eravamo affollati all’inverosimile, avevamo posto solo per i piedi. Ben presto, alcuni morirono e noi ci sedemmo su di loro. Non avevamo cibo e non c’era niente da bere. Due uomini divorarono il fegato di un cadavere, perché non era rimasto nessun altro muscolo da mangiare.


► Aiutai a consegnare le ceneri di milleduecento esseri umani alle donne che lavoravano duramente in un orto di cavoli. Dall’aspetto di quelle teste di cavolo dovevamo essere un buon fertilizzante. ► Sopravvissi a malapena alla ‘‘Marcia della morte’’ da Auschwitz, poi mi ritrovai a lavorare sui circuiti elettrici dei razzi V2 a Dora. Ogni volta che potevo, sabotavo quelle maledette schede. ► Mi innamorai di una ragazza nel campo parigino di Drancy, prima che ci spedissero entrambi ad Auschwitz. Qui sognai di ricongiungermi a lei, ma non ebbi un finale da favola. Trovai il suo corpo marcio in una baracca di caccia di un villaggio tedesco, dopo essere fuggito dai nazisti. ► La cosa principale che mi aiutò a mantenermi in vita fu la mia conoscenza delle lingue. Potevo parlare francese, tedesco, spagnolo, italiano e inglese. Essere in grado di parlare la lingua dei nazisti mi permise di rispondere immediatamente agli ordini di un Kapo o a un comando delle SS. Quei secondi impiegati da un prigioniero non tedesco per comprendere ciò che gli veniva gridato potevano giustificare un pestaggio, la mancata distribuzione di un pasto serale e, talvolta, rappresentavano la differenza tra la vita e la morte. ► Io sono un non ebreo. Voglio che gli skinheads, i neo-nazisti, i negazionisti vengano da me e mi dicano che l’Olocausto è solo propaganda ebraica. Penso che la mia fortuna sfacciata mi abbia messo qui per aiutare a mettere un tappo alla bile che questa gente sputa. ► La mia età era un altro fattore. Avevo una buona capacità di resistenza, anche perché vivevo su una collina a Nizza, ed ero sempre in sella a una bici. Facevo anche gare ciclistiche. Avevo gambe forti ed ero in buona forma. Inoltre, il mio corpo di diciottenne poteva sopportare più abusi e recuperare più velocemente rispetto agli uomini anche di dieci anni più grandi. Psicologicamente, non ero gravato dalla consapevolezza che le SS avessero ucciso i membri della mia famiglia, come quasi tutti i triangoli gialli lo erano.


Pref a zi one di Brian Brock

Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui restiamo zitti di fronte alle cose che contano. Martin Luther King, Jr

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el 1947, due anni dopo essere fuggito da un campo di concentramento nazista, Pierre Berg iniziò a scrivere le sue esperienze. Il suo obiettivo era registrare quei terribili diciotto mesi prima di dimenticarli. Non aveva affatto intenzione di pubblicarle. Diede, tuttavia, un titolo a queste memorie, Odyssey of a Pajama. [Odissea di un pigiama, N.d.T.]. Pierre annotò i suoi ricordi in francese ma, poiché adesso viveva in America, decise di farli tradurre da un dottorando dell’UCLA [Università della California a Los Angeles, N.d.T.]. Fece poi leggere la sua Odissea a un paio di persone e queste lo convinsero che una rivista o un editore di libri avrebbero potuto interessarsi alla sua storia. Nel 1954, dopo due lettere di rifiuto da parte del Saturday Evening Post e Harper’s, Pierre mise da parte il suo memoriale sui campi di concentramento e andò avanti con la sua nuova vita a Los Angeles. Più di cinquant’anni più tardi io stavo integrando il mio reddito da scrittore che cerca di affermarsi in uno snack bar di un teatro a Beverly Hills. Pierre, ormai in pensione, lavorava come usciere. Durante una matinée domenicale Pierre e io ci intrattenemmo in una conversazione sulla vita da scrittore. Pierre m’informò di aver scritto qualcosa sul suo periodo trascorso nei campi. Dopo qualche giorno mi consegnò un manoscritto di centoquarantacinque pagine. Non appena ebbi finito di leggere Odyssey of a Pajama, mi fu chiaro che le esperienze


Una fortuna sfacciata

di Pierre nei campi fossero qualcosa di unico e avvincente. La sua voce era franca, venata d’ironia, irriverenza e umorismo macabro. Le situazioni in cui si era trovato coinvolto erano orribili, strazianti, perverse e, talvolta, stranamente divertenti. Rimasi affascinato dalla storia e dal giovane uomo che l’aveva vissuta. Ero certo che la storia di Pierre avrebbe rappresentato un grande contributo alla letteratura dell’Olocausto. Decidemmo così di lavorare assieme per ampliare il manoscritto originale, sia attraverso conversazioni sia con registrazioni scritte. Uno dei problemi in cui m’imbattei fu che molti degli eventi che il giovane Pierre aveva raccontato difettavano di dettagli cruciali che avrebbero immerso il lettore in quel mondo e in ciò che lui aveva sofferto. Dopo i miei colloqui iniziali diventò evidente che alcune delle disavventure che l’adolescente aveva vissuto o di cui era stato testimone non comparivano nel manoscritto. Non costituiva una sorpresa per me il fatto che il manoscritto originale risultasse incompleto: era stato scritto come un diario privato, da un giovane che nel 1947 non aveva modo di giudicare il significato di ciò che aveva appena patito. Inoltre, siccome era sua madre a scrivere il manoscritto per lui, Pierre aveva tralasciato alcune cose per risparmiarle i dettagli degli orrori. Nelle vesti di collaboratore di Pierre sentivo dunque di avere due grandi responsabilità. In primo luogo, dovevo garantire che la sua personalità si rispecchiasse nella pagina. In secondo luogo, volevo essere sicuro che esprimessimo più vividamente possibile l’impatto emotivo della quotidiana lotta della vita contro la morte ad Auschwitz. Quest’ultimo obiettivo si rivelò il più difficoltoso. È ben noto che coloro che sono stati brutalizzati e violati blocchino quei ricordi come meccanismo di sopravvivenza. Pierre non era diverso. Lui era reticente a parlare delle emozioni che lo avevano attanagliato durante quei diciotto mesi, dicendo più volte di averle dimenticate e di non sentire più nulla. Tuttavia, man mano che mi raccontava i dettagli, i gesti e le espressioni che accompagnavano quegli eventi, Pierre diceva molto altro. 22


Prefazione

Quando non era disposto ad approfondire le emozioni di uno specifico avvenimento, io gli presentavo quella contingenza da diversi punti di vista emozionali, e questo, spesso, innescava un dialogo che ci permetteva di catturare il suo stato d’animo di quel momento. Abbiamo bisticciato diverse volte, specialmente quando provavo aggressivamente a suscitare in lui le reazioni e le emozioni. Lo incalzavo senza tregua perché pensavo fosse importante che la sua storia venisse raccontata in modo completo. È indicativo della forza di carattere di Pierre che non abbia mai vacillato nel suo intento di raccontare questa storia per intero — e che non mi abbia dato un pugno. I prigionieri dei campi di concentramento, tutti, indossavano triangoli di vari colori per distinguere le diverse classi di detenuti. Pierre aveva un triangolo rosso (quello dei prigionieri politici). La sua storia è di vitale importanza in quanto ci ricorda che non furono solo i triangoli gialli (gli ebrei) ad essere rastrellati e uccisi dai nazisti. Il popolo ebraico ha sofferto maggiormente, ma zingari, comunisti, Testimoni di Geova, omosessuali e altri uomini, donne e bambini provenienti da ogni angolo d’Europa vennero imprigionati e morirono al loro fianco. Una fortuna sfacciata ricorderà a tutti che nessuno di noi — non importa di quale razza, religione, nazionalità o convinzione politica — è immune dal diventare vittima di genocidio.

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Per essere fedeli allo spirito del manoscritto originale di Pierre, abbiamo volutamente evitato di collocare gli eventi in un contesto storico o di aggiungere i pensieri di Pierre anziano su ciò che ha sopportato sessantadue anni prima. Questo, allora, è il racconto autobiografico di un Häftling diciottenne (un detenuto).

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I nt ro duzi one

S

di Pierre Berg

e siete alla ricerca di memorie di un sopravvissuto all’Olocausto con una profonda dichiarazione filosofica o poetica sui motivi per i quali sei milioni di ebrei e molti milioni di altre anime sfortunate sono stati macellati, e sul perché una persona come me è sopravvissuta ai campi nazisti, avete aperto il libro sbagliato. Mentirei se dicessi di conoscere la ragione, o solo di aver creduto che vi sia una ragione per la quale io sia ancora vivo. Per quanto mi riguarda, è stata tutta una questione di fottutissima fortuna, il che equivale a dire — un po’ più elegantemente — che mi sono ritrovato sul lato buono della casualità della vita. Potrei snocciolare le ragioni dell’Olocausto che ho letto in libri e riviste, e queste, in definitiva, contengono senz’altro qualche verità, ma per me non possono spiegare a pieno come un posto tanto disumano come Auschwitz sia potuto esistere. Non c’è nulla in quello che ho sfogliato o in ciò che ho udito dire dagli esperti dell’Olocausto che spieghi il cancro sadico che nasceva dalle menti naziste, si diffondeva tanto facilmente attraverso i loro scagnozzi delle SS, avvelenava i Kapos (supervisori) e i subalterni, infine uccideva e mutilava milioni e milioni di individui. Quando hai vissuto con quel cancro giorno dopo giorno per diciotto mesi, nessuna parola, nessun modo di dire, nessuna ipotesi, contesto storico o semplificazione filosofica, nessuna retorica religiosa può spiegare adeguatamente la soddisfazione o la crudeltà fredda come la pietra negli occhi di quegli assassini. Nessun discorso filosofico darà senso ai ricordi degli uomini in-


Una fortuna sfacciata

nocenti che ho visto impiccati, picchiati a morte, sparati in testa o trasportati fuori da Birkenau. O perché il fetore della morte dovesse salutarci ogni mattina quando ci svegliavamo e ci assistesse mentre lavoravamo come schiavi per i nostri padroni nazisti, per poi seguirci di ritorno al campo ogni sera. Tutto quello che posso offrirti, spero, caro lettore, è raccontarti come un robusto adolescente è stato strappato alla famiglia, agli amici e alla casa, è stato gettato in un campo di sterminio nazista fino ad essere quasi ridotto a ciò che i nazisti consideravano tutti noi tatuati, Untermensch (subumani).

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