Tre riTraTTi di diTTaTori: HiTler, Mussolini, sTalin è disponibile anche in eBook. Trovi le versioni digitali dei nostri libri in vari formati sui principali estore nazionali e internazionali, da leggere su Pc, iPhone, iPad o iPod touch.
Emil ludwig, vero nome Emil Cohn, di famiglia ebraica, nacque il 25 gennaio 1881 a Breslau, germania, ora Breslavia, Polonia. dopo aver prestato servizio come corrispondente estero per un giornale tedesco durante la prima guerra mondiale, si dedicò alla carriera letteraria e ottenne grande fama internazionale con i suoi innovativi saggi biografici in cui gli elementi di minuziosa indagine storiografica si mescolano alla finzione, con un’importanza particolare assegnata all'analisi psicologica. dopo la sua biografia di goethe, scrisse quella di Bismarck, e, in seguito, la controversa vita di gesù. Nella germania nazista i suoi testi vennero considerati particolarmente pericolosi da goebbels, che parlò di lui nel suo diario, e Hitler ne ordinò la distruzione. Nel 1931 intervistò Josif Stalin e l’anno seguente ebbe diverse convcrsazioni con Benito mussolini, che confluirono in un libro di grande successo, ‘‘Colloqui con mussolini’’. Pubblicò nel 1936 il saggio su masaryk, ‘‘difensore della democrazia’’, che contiene una lunga intervista al fondatore e presidente della Cecoslovacchia. Scrisse, tra le altre, le vite di Napoleone, lincoln, Cleopatra, Hindenburg, Roosevelt, Beethoven, michelangelo, Rembrandt. morì nei pressi di Ascona, Svizzera, il 17 settembre 1948.
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EMIL LUDWIG
TRE RITRATTI DI DITTATORI
HITLER MUSSOLINI STALIN
In Appendice l’intervista dell’autore a Josif Stalin
Traduzione e cura di Antonello Musiani
GINGKO
EDIZIONI
Three portraits: Hitler, Mussolini, Stalin Alliance book corporation longmans, green and company New York-Toronto, 1940 © Copyright 1940 by Emil ludwig Talk With The German Author Emil Ludwig Bolshevik, 30 aprile 1932, n° 8 ‘‘works’’ by Joseph Vissarionovich Stalin Foreign languages Publishing House moscow, 1955, volume 13, pp. 106-25 Tre ritratti di dittatori: Hitler, Mussolini, Stalin Traduzione dall’inglese: © 2013 Antonello musiani © Copyright 2013 gingko edizioni San Pietro Capofiume (Bo) www.gingkoedizioni.it i edizione Settembre 2013 Collana Le Bussole iSBN 978-88-95288-47-5 Progetto grafico di copertina: © 2013 Atalante
indice PREFAzioNE 13 67 109
Hitler mussolini Stalin
PoST SCRiPTum APPENdiCE Intervista con l’autore tedesco Emil Ludwig ( J. V. Stalin)
PREFAZIONE
I
ritratti dei contemporanei non possono respirare quella stessa aria di serenità che cerchiamo di dare a quelli del passato. ‘‘Una storia imparziale del nostro tempo’’ non è né possibile, né auspicabile. È proprio a causa del loro pregiudizio che le grandi storie, le opere di Senofonte o di Tacito sulla loro epoca, sono oggi così interessanti. Al contempo, vi è una grande differenza tra una visione personale e la partigianeria. Solo chi si sente libero da uno spirito di partigianeria e di interesse come lo scrivente può sperare di raggiungere, nel bel mezzo della guerra, quel grado di platonico distacco che egli deve a se stesso e ai suoi lettori rispetto al suo precedente lavoro. Due dei dittatori europei li conosco da personali conversazioni, il terzo da descrizioni. Sono contro tutti e tre, in quanto operano contro la libertà. Come chiunque altro, però, nutro interesse per i loro personaggi, dal momento che il nostro destino oggi dipende in parte da loro. Ho
sempre cercato di fondare le mie opinioni, e in questi ritratti divergo da quelli già pubblicati solo su alcuni punti. Dopo la guerra tutto il fascino della dittatura, che ha intrappolato il mondo attuale, svanirà come altre malattie. Queste tre personalità sono tanto diverse quanto i loro scopi, eppure, da ogni punto di vista, l’ordine di merito non è lo stesso. Nella pagine che seguono, gli obiettivi di Stalin saranno visti come più interessanti di quelli degli altri due. Mussolini è senz’altro la personalità più interessante. Il lettore è invitato a confrontarsi con questa presentazione sulla base della propria opinione. Per un libello di questo tipo, la discussione è benvenuta. E. L. Moscia, Svizzera, febbraio 1940.
TRE RITRATTI DI DITTATORI
HITLER MUSSOLINI STALIN
HITLER
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i tutti gli uomini famosi dei nostri giorni, nessuno sembra così insignificante come Adolf Hitler. Roosevelt rappresenta il miglior tipo di americano; nessuno lo prenderebbe per un francese, un medico o un sacerdote. Mussolini, con la sua testa da Cesare, è al primo sguardo il dittatore romano. Anche Stalin ha l’espressione coerente di una personalità. Hitler, invece, non appare né come un tedesco, né come uno statista; men che meno un esemplare della razza che adora. Max von Gruber, un professore dell’Università di Monaco di Baviera, il più eminente eugenista in Germania, in qualità di testimone del processo del 1923, ebbe a dichiarare: ‘‘Era la prima volta che vedevo Hitler da vicino, a portata di mano. Un viso e una testa di basso livello, una specie di incrocio, di forma ibrida. Una fronte bassa e sfuggente, un brutto naso,
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degli zigomi larghi, occhi piccoli, capelli scuri. Non l’espressione di un uomo che esercita l’autorità con perfetto autocontrollo, ma con un delirio di eccitazione. Insomma, l’espressione di un egoismo compiaciuto’’. Tutto ciò che si vede nel suo ritratto, le sue abitudini, il suo stile, sarebbe di alcuno interesse se il tutto non fosse pervaso da quella ‘‘eccitazione delirante’’ sottolineata dallo scienziato, che è l’unica spiegazione del suo successo. Un essere patologico che, come molti altri nella storia, ha tradotto l’esagerazione malata di alcuni suoi impulsi in un’auto-esaltazione di sé che è la fonte delle sue decisioni e azioni. Questo temperamento infuocato, questo tratto audace e appassionato del suo carattere lo distingue da Mussolini, che è freddo e cinico. Il legame tra genio e follia, così frequente oggetto di ricerca, spicca nei momenti salienti della vita di Hitler. È ciò che lo rende imprevedibile, e se, dopo la grande débâcle dovesse presenziare sotto processo davanti a un tribunale mondiale, sarà anche da vedere se gli insigni medici legali lo reputeranno colpevole a causa di questo. Ma è sicuramente da tale punto di partenza che dobbiamo misurare il valore dei suoi trattati e le sue promesse. I tratti fondamentali del suo carattere inquieto e incostante sono già evidenti all’inizio della sua vita. Egli era imbevuto dell’ardente desiderio di compensare una brutta partenza; non vi è alcuna traccia di una qualsiasi intenzione da parte sua di gettare le basi di una felicità stabile, nessun segno d’amore per nessuno — genitori, familiari o donne. Ciò che emerge chia-
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ramente è il suo odio per chiunque si trovasse più in alto di lui agli occhi del mondo. Anche suo padre spese la sua esistenza a cercare di emanciparsi da una nascita illegittima e dal mestiere di calzolaio onesto a cui era stato educato, sforzandosi di diventare un funzionario statale con un berretto a visiera, un titolo e una pensione. Fino alla sua morte, l’oscuro ufficiale doganale boemo lottò per ritagliarsi la sua bella reputazione nella piccola cittadina di provincia nella quale abitava, lottò per essere qualcuno; rinnegò persino il cognome di sua madre — Schicklgruber — e adottò quello di sua suocera. I suoi tre matrimoni furono ispirati dal medesimo desiderio, cosicché, per emergere nel mondo, prese come prima moglie una donna di quattordici anni più anziana di lui, mentre la sua terza moglie, che divenne la madre di Hitler, era una ragazza di ventitré anni più giovane. Il figlio ereditò il risentimento del padre. Anziché prendere sul serio e impiegare a buon frutto i risparmi che sua madre aveva messo da parte per farlo studiare, abbandonò la scuola all’età di quattordici anni per via di problemi ai polmoni, in un primo momento, e in seguito per nessuna ragione. Trascorse l’intera gioventù senza compiere il minimo sforzo per acquisire una qualsivoglia conoscenza o competenza pratica. Come egli stesso scrive: ‘‘Mentre il divario tra il mio ideale e il mio rendimento scolastico si ampliava, la mia indifferenza interiore cresceva. Tutto ciò che ho trascurato a causa della mia sfida alla scuola, ho dovuto pagarlo amaramente dopo’’. Nel suo libro afferma che anche allora non poteva sopportare alcuna costrizione a svolgere, secondo 17
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orari regolari, il lavoro o altre attività, desiderando diventare un artista libero, un pittore. ‘‘Molto bene’’ gli disse la povera madre. ‘‘Prova l’Accademia d’Arte a Vienna’’. Una volta a Vienna, però, venne rifiutato per mancanza di talento, e non gli fu nemmeno consentito di fare un secondo tentativo. La scuola di architettura, nella quale cercò di entrare dopo, non lo ammise perché era sprovvisto di un diploma di scuola secondaria, e in più perché difettava di quelle doti naturali per compensare tale lacuna. Il suo orgoglio soffre ancora oggi per questi fallimenti. Quando sua madre morì, subito dopo, Hitler si ritrovò, a vent’anni, per le strade di Vienna, senza un soldo e senza la minima attitudine apparente o formazione per ogni genere di lavoro. Per i successivi quattro anni — il miglior periodo di formazione per un giovane con uno scopo nella vita — visse, senza meta e senza stimolo, sulla spalle di organizzazioni caritatevoli sovvenzionate per lo più da ricchi ebrei, dapprima in un istituto per senzatetto, poi in una casa di accoglienza per soli uomini. Era il 1910, quando non c’era il problema della disoccupazione. Di tanto in tanto si procurava qualche soldo come facchino, talvolta spalando la neve. Prendeva i pasti negli spacci per poveri, offerti dal barone ebreo Königswarter. L’unico sforzo che fece per assicurarsi una sussistenza fu quello di dipingere cartoline o immaginette che un amico vendeva per lui ai rivenditori e ai produttori di mobili, i quali le inserivano come decorazioni nelle testiere dei divani. Hanisch, l’artista, che a vent’anni fu l’amico di Hi18
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tler per quasi un anno, e che agiva come intermediario nella vendita di queste sue realizzazioni, parla gentilmente di lui nelle sue memorie. Uno degli schizzi che Hitler fece ai quei tempi mostra due postini, uno dei quali è quasi prostrato dal caldo e sta strizzando i suoi calzini, mentre l’altro lo guarda allegramente, consigliandogli in rima una polverina contro la sudorazione. Questo annuncio pubblicitario fu realizzato per l’ebreo ungherese Neumann, che gli aveva dato soldi, camicie, e una cosiddetta Kaiserrock [una giacca maschile, N.d.T.]. All’epoca Hitler parlava di lui con la grande gratitudine. Siccome, invariabilmente, indossava il suo cappotto lungo, con il mento non rasato e coperto da spuntoni scuri, veniva soprannominato ‘‘Zio Kruger’’, dal nome del Presidente dei boeri. Intellettualmente, Hitler era attratto a Vienna dall’antisemitismo che il sindaco stava allora sviluppando in un programma politico. Esso era diretto contro i numerosi ebrei viennesi, molti dei quali a capo di case d’affari. Si fondava su nessun’altra giustificazione se non quella della lotta contro la concorrenza. Hitler, al pari di tutti i caratteri innatamente indolenti, avversava con fervore ogni genere di persona a cui poteva attribuire colpe a parole o con i fatti, al fine di bloccare la sua strada nel mondo. Si unì a questo partito aggressivo perché vedeva a Vienna molti ebrei ricchi, sebbene ciò non gli impedisse di vivere di elemosina ebraica e, in più, per anni, continuare a dipingere bigliettini di buon anno e spedirli a Linz, al suo medico di famiglia che era ebreo, firmando: ‘‘Con profonda gratitudine, Adolf Hitler’’. 19
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Rendendosi così dipendente da una razza la cui influenza tanto esagerava quanto invidiava, la sua innata debolezza allevò dentro di lui un odio verso coloro i quali, al di là di ogni teoria, avrebbe dovuto offrire gratitudine, e questo a prescindere del fatto che nella casa di accoglienza per soli uomini avesse conosciuto certi ebrei poco raccomandabili. Giudicò invece la razza dai singoli individui, e noi commetteremmo lo stesso errore se giudicassimo i tedeschi a partire da Hitler. Nonostante le doti organizzative che mostrò in seguito, Hitler non avrebbe potuto farsi strada nel mondo come un giovane uomo senza credenziali se la sua repulsione per un qualsiasi lavoro regolare non fosse divenuta un’afflizione. Aveva il cosiddetto ‘‘sogno dell’artista’’, che la sua mancanza di talento però rendeva impossibile da realizzare. Così, a un giovane del suo tipo, determinato ad emergere a tutti i costi, non rimaneva che una sola strada — la politica — e i movimenti a cui aderì gli aprirono questa strada. Come Hitler stesso dice, leggeva a quei tempi gli opuscoli sulla Grande Germania e gli studi di politiche sociali del tempo, assorbendo il loro sproloquio. Nel corso dei lunghi dibattiti con gli altri sfaccendati della casa, scoprì di essere un oratore con molto più talento degli altri. Non era ancora, naturalmente, un oratore, ma la sua aggressività e il modo accalorato di urlare rivolgendosi agli altri, i suoi gesti, soprattutto l’aspra passione dei suoi discorsi, derivante dall’invidia radicata nei confronti di tutti coloro che gli passavano davanti in strada in abiti eleganti e lussuose automobili, che vivevano in ricchi appartementi o avevano il di20
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ritto di entrare in un palco all’opera, gli diedero un vantaggio rispetto agli altri e si plasmarono in lui in un coerente ragionamento. Poco a poco imparò le tesi dell’antisemitismo allora in voga a Vienna. Allo stesso tempo, anche se battezzato cattolico, divenne un furioso oppositore della Chiesa cattolica, i cui stessi appartenenti che stavano accusando gli ebrei di tutti i mali dell’Austria, stavano anche cercando di annientare il cosiddetto movimento ‘‘Lontano da Roma’’. Il terzo punto programmatico nella politica di questo movimento era l’unione dell’Austria con la Prussia, e Hitler confessò il suo entusiasmo quando, sotto il dominio degli Asburgo, un membro del Parlamento viennese gridò: ‘‘Lunga vita agli Hohenzollern’’. Lo stato della Germania come grande potere attrasse questo figlio d’Austria tanto irresistibilmente quanto ogni cosa del mondo che irradia ordine, forza e brillantezza. Nella pigrizia della sua giovinezza, rivolse il suo sguardo ai pinnacoli da scalare finora sconosciuti. Mentre nel suo entusiasmo filo-tedesco era uno di un piccolo gruppo di partigiani dell’‘‘Anschluss”, nelle discussione che si tenevano nella casa tuonava contro i socialisti, ai quali, in quanto ‘lavoratore’, egli comunque apparteneva. Alla stregua di suo padre, la sua prima ambizione era quella di salire alla classe media. Conti e principi erano al di là del suo rango; lui non li invidiava. Gli operai erano miserabili creature; li evitava. Ma la classe media, la sicura classe media, era il suo ideale, e poiché la maggior parte degli ebrei non erano né no21
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bili né operai, né aristocratici né proletari, né plutocrati né poveri, ma tranquilli membri della classe media, e molti di loro grandi autorità in essa, lui trovò un altro motivo per odiarli. Improvvisamente la guerra salvò l’artista deluso di se stesso, che era andato alla fine alla ricerca di fortuna a Monaco di Baviera ma con la stessa mancanza di successo. Nutrendo odio per tutto ciò che segnava la sua origine, il suo paese, la sua classe, i suoi parenti e familiari (che non sono nemmeno menzionati nelle sue memorie), si arruolò come volontario nell’esercito tedesco, al fine di evitare il servizio militare in Austria. Lì, per la prima volta nella sua vita, entrò a far parte di una grande comunità, l’esercito della Germania. Uno scopo, un obiettivo finalmente stava davanti a lui, vale a dire fare la sua parte nel difendere l’Impero tedesco e la sua gente. Alla dichiarazione di guerra, scrive, si lasciò cadere in ginocchio piangendo. Tuttavia, poiché è sua abitudine interpretare ogni reazione del mondo che lo circonda dalla sua personale prospettiva, egli dichiara nelle sue memorie che anche tutto il popolo tedesco desiderava la guerra, semplicemente perché la desiderava lui. Nei quattro anni trascorsi sul fronte occidentale fu ferito una volta lievemente e, in una seconda occasione, venne raggiunto dal gas. Il contatto con il gas colpì la sua voce, e anche oggi gli effetti permangono e ciò gli richiede cautela nel mangiare e nel bere. Un esame completo di tutti i documenti e le testimonianze sul suo servizio di guerra dimostrano che trascorse tutti e quattro gli anni in modo disciplinato con il personale dello staff del Comando di reggimento, e che 22
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questo gruppo perse un solo uomo durante tutto il conflitto. Secondo i libri di testo tedeschi utilizzati nelle scuole, Hitler fu insignito della Croce di Ferro di Prima Classe, per una brillante azione portata a termine, ovvero per aver sorpreso dodici o quindici francesi in una trincea e averli consegnati come prigionieri al Comando del reggimento. Nella storia del reggimento, però, che descrive due simili azioni riportando i nomi e le date, non vi è una sola parola relativa a questa azione. Se davvero venne insignito della Croce di Ferro, ciò non è ancora stato provato. Diciamo che è improbabile, per non dire altro. È interessante invece notare che egli rimase un caporale per l’intero periodo di leva. Benché vi fosse un numero insufficiente di sergenti, il suo comandante di compagnia dichiarò al tempo: ‘‘Non potrei mai promuovere quel pazzo’’. Hitler, in seguito, nei suoi discorsi, insignì se stesso con il titolo di ‘‘Milite Ignoto della Guerra Mondiale’’. Purtroppo, è il vero eroe che ora giace nella sua tomba d’onore a Berlino. Dopo la guerra, una serie di società segrete fecero la loro comparsa, con l’approvazione e il parziale appoggio della Reichswehr, per armare il popolo tedesco contro — e in violazione — del Trattato di Versailles. Alcuni ufficiali dell’esercito riconobbero le doti oratorie del caporale Hitler, che ormai aveva fatto ritorno dal fronte, e lo usarono come un agitatore. Quando venne coinvolto in un processo politico, la Reichswehr a malincuore lo scaricò. A Monaco, si unì a uno dei circoli di partito di recente formazione che poi divenne il Partito nazista, e rapidamente si affermò 23
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come un popolare oratore, tra il 1919 e il 1923. Prese lezioni di oratoria pubblica da un attore, e così migliorò le sue doti a tal punto da essere presto in grado di attirare migliaia di spettatori sotto il suo incantesimo. Ecco qui la prima fonte del suo successo. I tedeschi sono forse l’unica nazione che non ha mai avuto un grande oratore popolare. Musica e oratoria raramente si trovano insieme, sia negli uomini che nelle nazioni. Non è sorprendente, ad esempio, che l’Inghilterra, una nazione poco musicale nel suo insieme, abbia prodotto i più straordinari oratori politici, mentre i tedeschi, che guidano il mondo della musica, non ne abbiano prodotto. Poiché i ministri tedeschi erano nominati dai loro re e principi, e non presi dai parlamenti, non avevano la benché minima esperienza nel parlare in pubblico. Bismarck, per esempio, pronunciò il suo primo discorso pubblico all’età di settantasette anni, dopo il suo licenziamento. La tecnica oratoria di Hitler è in gran parte il risultato dei suoi studi di psicologia di massa, in cui si è immerso e che ha approfondito con passione dopo la guerra. Egli ha dichiarato al suo piccolo, nuovo partito che tutto dipendeva dall’affascinare la folla. Sopra tutto, ha capito l’unica cosa che i repubblicani tedeschi avevano trascurato, vale a dire rigenerare il popolo tedesco deprivato di un esercito, di una bandiera, di bande e canti. Ammiratore di Richard Wagner, da cui apprese la tecnica delle parate, i cori e le pose eroiche, Hitler mostrò molta più immaginazione dei suoi predecessori nella Repubblica, anche se si trattava di un’immaginazione di tipo più rozzo. Inventò lui stesso ogni em24
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blema, tranne la svastica, disegnando il suo personaggio e prescrivendo ogni colletto e bottone per le truppe di partito lentamente in crescita. La svastica non la inventò; la importò dalla Finlandia dove i soldati tedeschi l’avevano vista nella loro campagna di intervento dopo la guerra. La svastica ha origine in Asia, e i finlandesi, che sono in parte discendenti dai mongoli, la portarono dalla Mongolia. Dunque, il partito che considera la razza tedesca come suprema, reca come suo distintivo l’emblema di una tribù straniera e di colore. L’obiettivo principale di Hitler era quello di attirare attenzione su di sé. Fin dall’inizio, ha personalmente organizzato tutti gli effetti di luce e i fari, così come il suo ingresso in un sala accompagnato e scandito dalle fanfare. Fu lui ad addestrare le folle a salutare con il braccio destro alzato, lui che insegnò loro le sue canzoni, lui che trasformò il pubblico da una massa apatica in collaboratori attivi nei suoi festeggiamenti. Come direttore di scena e pubblicitario, diede prova di reale genio. Nel suo libro, trentadue pagine sono dedicate alla guerra, di cui venti occupate dalla questione della propaganda che, come dice lui, i tedeschi avevano gestito male. ‘‘L’Intesa’’ scrive, ‘‘ha vinto la guerra semplicemente ed esclusivamente grazie alla sua propaganda’’. Una folla è pronta a credere a tutto, ‘‘vero o falso’’, a condizione che ciò sia costantemente ribadito; uno deve solo dire la stessa cosa abbastanza spesso. Hitler è, senz’altro, un maestro eccezionale nella tecnica del parlare da un palco, e può essere diver25
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tente, serio, spiritoso, tragico e cinico come l’occasione richiede. Dà il suo meglio nel grande crescendo da un grave, cupo esordio, all’invettiva nella quale la sua voce erompe fino a urlare. Il suo effetto carismatico e attrattivo è dovuto al fatto che si destreggia con questioni mistiche quali l’Onore, il Sangue, la Terra, e così avvolge il suo pubblico in quella nuvola di misticismo. In questo modo egli ha avvinto migliaia di cuori, in special modo i cuori delle donne, perché lavora per creare un’unica grande impressione, che è quella che lì, davanti a loro, c’è un profeta, il cui cuore sta sanguinando per la sorte del suo popolo. Le sue stridule, isteriche grida sono fondamentalmente vere, genuine; egli parla primariamente a se stesso, in uno stato di parossismo. Ma, allo stesso tempo, è abbastanza furbo da usare un congegno sistemato sul podio attraverso il quale, premendo un pulsante, i riflettori si accendono su di lui in modo che le sue estasi possano essere adeguatamente filmate per le notizie dei cinegiornali. Una combinazione simile di estasi e di artificio può essere osservata in altri attori. Cinque anni dopo la fine della guerra, Hitler pensò di poter rischiare un colpo di stato con il suo giovane partito. Unì le forze con Ludendorff, il comandante tedesco nella guerra mondiale. Parte della Reichswehr bavarese era con loro, ma i prussiani di Berlino erano fortemente contrari. Nel giorno dell’armistizio, nel 1923, tentò il ‘‘Putsch della birreria’’, a Monaco di Baviera, con l’obiettivo di rovesciare la Repubblica tedesca. Quella notte, nel corso di un raduno di massa di proporzioni gigantesche, molto abilmente intrappolò in una stanza 26
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il generale Ludendorff e alcuni ministri, e con una rivoltella li costrinse ad arrendersi e a cooperare con lui. La maggior parte di costoro, tuttavia, lo abbandonò successivamente. A quel punto, egli comandò a più di un centinaio di suoi seguaci armati di scagliare un attacco contro le forze di polizia. Queste ultime incontrarono i ribelli in una stretta via di Monaco. Furono esplosi dei colpi. Quattordici uomini persero la vita sul marciapiede. Hitler svanì in un’automobile. Il suo processo, come istigatore della sommossa, portò tutte queste circostanze chiaramente alla luce. Mentre Hitler se la filava in auto durante i primi minuti del suo primo combattimento, il generale Ludendorff avanzò dritto incontro ai fucili, e li oltrepassò, sicuro che nessuno avrebbe avuto il coraggio di far fuoco. I primi quattordici eroi del movimento nazista furono in seguito elogiati solennemente e magnificamente per la scena della loro morte, proprio dal leader che li aveva abbandonati nel pericolo. Cinque anni più tardi, Hitler fece il suo ingresso in una riunione che si teneva nella stessa sala, portando un bambino per mano, e dichiarò che era saltato in macchina per salvare la vita del ragazzo. Ma nessun ragazzo era apparso al processo, e anche durante i fatti nessuno lo aveva visto. Dopo il fallimento del suo colpo di stato e lo scioglimento del partito, Hitler dimostrò la sua appassionata perseveranza ad emergere nel mondo mantenendo una fede incrollabile nella sua missione. Iniziò ancora una volta, da un altro lato. Aveva trascorso un anno come prigioniero politico in una fortezza dove aveva goduto di tutte le comodità, eccetto il permesso di uscire. Questo ‘imprigionamento’, di 27
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cui si servì ampiamente per costruire la sua leggenda, era così diverso dai campi di concentramento che lui stesso istituì in seguito come un camper può esserlo da un carro bestiame. Fu lì, tra l’altro, che cominciò a scrivere il suo libro, anche se i capitoli cruciali, quelli contro la Francia, non furono redatti fino al 1926. Dunque, essi non furono scritti, come i suoi partigiani dichiarano, sotto l’impressione vivida dell’occupazione francese della Ruhr, che si concluse nel 1923. Ciò che è certo è che il grottesco tedesco in cui il libro è scritto, dimostra che Hitler è il suo vero autore. Negli otto anni che seguirono, tra i suoi trentasei e quarantaquattro anni, egli ricostruì il suo partito e mostrò il suo brillante talento di organizzatore, per il quale lo spirito tedesco è dotato di così ammirevole predisposizione. Si rese conto che poteva raggiungere il successo solo attraverso il sostegno degli scontenti e della ‘‘classe media assolutamente disillusa’’ — Hitler non ha mai convinto o conquistato la classe operaia; tutto ciò che ha fatto è stato di soggiogarla in seguito. Rauschning descrive in dettaglio l’intenso odio nutrito da Hitler per le masse lavoratrici della Germania. Nato nella piccola borghesia, comprendeva la mentalità di chi vi apparteneva, e vinse al loro fianco. Per queste persone che erano state private dell’atavica fiducia in se stessi, restaurò l’orgoglio sotto forma di titoli, divise e sfilate. Chiunque, unendosi al suo partito, poteva lusingare il suo egotismo con un distintivo e diventare, se non leader di un gruppo, almeno un vice-assistente-tesoriere della sezione del partito nel suo villaggio. La piramide familiare per i tedeschi,
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e cioè quella struttura nella quale ciascun individuo porta un altro sulle proprie spalle, ma poggia anche i piedi su qualcun altro, fu riportata in auge nuovamente da Hitler. I tedeschi, i quali amano l’ordine più della libertà, gioirono nel ritrovarsi organizzati in nuovi ranghi di superiorità e inferiorità, e decretarono il successo di Hitler. Benché abbia dovuto tenere il campo contro decine di concorrenti di altri nuovi partiti, i quali erano tutti in lotta per assegnare al popolo tedesco il suo posto al sole, Hitler, con il suo partito, riuscì a sbaragliarli. Come miglior oratore, attrasse il più grande numero di sostenitori. Come uomo senza religione, senza filosofia, senza principi, non esitò davanti a nulla. Mentre ribadiva a se stesso e agli altri che il suo unico scopo era quello di far risorgere i tedeschi, nascondeva a sé e agli altri il suo desiderio di auto-esaltazione, e oggi, finalmente, crede nel suo proprio idealismo. Poiché le banche e i grandi industriali volevano sbarazzarsi dei socialisti, con le loro rivendicazioni salariali e gli scioperi, furono essi che contribuirono generosamente al rafforzamento di questo partito popolare. Era anche nell’interesse della Reichswehr saldare buoni rapporti con la giovane forza politica, in quanto i discorsi di Hitler costantemente promettevano alle masse un rinnovamento dello spirito del soldato, un nuovo esercito e nuove vittorie. L’amara esperienza del suo primo, fallimentare tentativo di presa del potere, tuttavia, lo aveva messo in guardia contro il ripetersi di un’azione violenta. Adesso era determinato ad impadronirsi delle leve di 29
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comando esclusivamente attraverso l’appoggio di una maggioranza, e, anche contro il parere dei suoi amici, restò fedele con ostinazione alla sua decisione di ottenere il governo ‘legalmente’. Dopo cinque anni di una campagna di propaganda come il mondo non aveva mai visto, riuscì, nel 1930, a far insediare centodieci deputati al Reichstag, formando il partito più forte. Mediante strumenti legislativi, esercitò pressioni contro il presidente del Reich e lo isolò. Hindenburg lo disprezzava perché era un generale, e Hitler un caporale; perché era uno junker e Hitler un plebeo; perché era un prussiano e Hitler un austriaco. Per anni lo tenne a bada. La storia di come fu preso d’assalto è raccontata nel mio libro su Hindenburg. Il risultato fu che il vecchio uomo, allora ultraottantenne, cadde vittima di un intrigo e credette di nominare un Cancelliere che avrebbe governato insieme con gli altri partiti, sotto la sua presidenza. Quando il 30 gennaio 1933 apparve accanto ad Adolf Hitler al balcone sulla Wilhelmstrasse, fischiettando allegramente la marcia che veniva suonata sotto la luce di mille torce, non aveva sentore della marcia di eventi che aveva messo in moto quel giorno, e per la quale egli si trova responsabile agli occhi della storia.
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