Mio padre, Lev Tolstoj

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Mio padre, Lev Tolstoj | ISBN 978-88-95288-31-4

I edizione novembre 2011 | Traduzione e cura di Alessandro Pugliese pagg. 88 | 12,5 x 19,5 cm | 12,50 euro Mignon 2 | Biografia


I LyA T o L S T o j

MIO PADRE,

LEV TOLSTOJ

rIcordI deL fIgLIo, IL coNTe ILyA

TrAduzIoNe e curA dI

ALeSSANdro PugLIeSe

MIgNoN 2

ToLSToj


Titolo originale dell’opera: reMINISceNceS ToLSToy

of

ToLSToy

By hIS SoN, couNT ILyA

Titolo dell’opera: MIo PAdre, Lev ToLSToj - rIcordI deL fIgLIo, IL coNTe ILyA ToLSToj

Traduzione dall’inglese e cura: ALeSSANdro PugLIeSe capitoli scelti dall’edizione chAPMAN ANd hALL, Ltd, Londra, 1914, tradotta dal russo da george calderon

© 2011 gINgko edIzIoNI Molinella, Bologna. I edIzIoNe novembre 2011 collana MIgNoN ISBN 978-88-95288-31-4

Progetto grafico di copertina: © 2011 Atalante

Per ordini rivolgersi a:

gINgko edIzIoNI via Luigi Pirandello n° 29 40062 San Pietro capofiume, Molinella, Bologna Tel. 051.6908300 fax: 051.4598447

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INDICE 11

PArTe PrIMA ● La vita familiare in campagna ● I servi della casa ● casa Tolstoj ● un viaggio nelle steppe ● Sport all’aperto ● Anna karenina

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PArTe SecoNdA ● La cassetta delle lettere ● Sergéi Nikoláyevitch Tolstoj ● fet, Strákhof, gay ● Turgenev

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PArTe TerzA ● Mio padre come padre ● Aiuti per la carestia ● La malattia di mio padre in crimea ● La morte di Masha ● Il testamento di mio padre


ILyA LvovIch ToLSToj


ILyA LvovIch ToLSToj nacque nel 1866 a jasnaja Poljana, tenuta della famiglia Tolstoj, nella provincia di Tula, a sud di Mosca. fu il terzo di tredici figli dello scrittore e di sua moglie Sófya Andréyevna. dopo una breve carriera militare svolse diversi lavori in patria. fu impiegato di banca e poi agente assicurativo. Assistette suo padre nelle operazioni di soccorso durante la carestia russa del 1891-1892. Lavorò con la croce rossa durante la seconda guerra mondiale. fu anche giornalista e fondò nel 1915 un giornale ‘‘Nuova russia’’. Poco prima dello scoppio della rivoluzione russa, nel 1916 emigrò negli Stati uniti dove, oltre a continuare la sua professione di giornalista e scrittore, lavorò come consulente per alcuni film di hollywood legati alla trasposizione delle opere del padre (tra le altre, ‘‘resurrezione’’), e inoltre svolse una serie di altri lavori. Tenne conferenze e letture pubbliche sulla figura di Tolstoj. Pubblicò un libro di memorie: ‘‘reminiscences of Tolstoj’’ che è il libro che qui editiamo nella versione italiana. Scrisse altre due opere, di narrativa, che non ebbero grande successo. Si sposò due volte. ebbe cinque figli. Morì a 67 anni, nel 1933, in povertà, in un ospedale di New haven, connecticut.


di Lev Tolstoj gingko ha pubblicato ‘‘coNfeSSIoNe’’. Il libro che segna il punto di svolta radicale nella vita e nella carriera del grande scrittore russo. un resoconto delle sue ossessive interrogazioni sulla religione, sul significato dell’esistenza e sui suoi stessi successi letterari. coNfeSSIoNe ISBN 978-88-95288-13-0 euro 5.00

I fIgLI dI ToLSToj. ILyA è IL SecoNdo dA SINISTrA


PArTe deLLA fAMIgLIA ToLSToj A jASNAjA PoLjANA NeL 1887



PARTE PRIMA

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n una delle sue lettere alla sua prozia, Alexándra Andréyevna ITolstoj, mio padre dà la seguente descrizione dei suoi figli: LA vITA fAMILIAre IN cAMPAgNA

Il più anziano [Sergéj] è biondo e di bell’aspetto; c’è qualcosa di leggero e paziente nella sua espressione, e di molto delicato. La sua risata è contagiosa, ma quando piange faccio fatica a trattenere le lacrime anch’io. Tutti dicono che è come il mio fratello maggiore. Ho paura di crederci. È troppo bello per essere vero. Caratteristica principale di mio fratello non era né l’egoismo né una spontanea rinuncia, quanto piuttosto una ben delineata via di mezzo tra i due. Non ha mai sacrificato se stesso per chiunque altro, al contempo non solo ha sempre evitato di ferire gli altri, ma anche di interferire con lora vita. Ha custodito la sua felicità e le sue sofferenze del tutto dentro se stesso. Ilya, il terzo, non è mai stato malato in vita sua; di robusta ossatura, bianco e rosa, raggiante, è recalcitrante ai divieti, un vero monello. Sta sempre lì a pensare a cose alle quali gli vien detto di non pensare. Inventa i suoi giochi. È irascibile e violento, vuole combattere tutti e subito, ma è anche dotato di un cuore tenero e di un’indole molto sensibile. È un sensuale, una buona forchetta, appassionato del cibo, e si ferma solo quando non ne ha più a portata di mano. Tánja [Tatjána] ha otto anni. Tutti dicono che è uguale a Sófya, e io gli credo, e me ne compiaccio per giunta; ci credo solo perché è ovvio. Se fosse stata la figlia maggiore di Adamo ed egli non avesse avuto altri figli dopo, lei avrebbe trascorso di certo una infanzia infelice. Perché il suo piacere più grande è quello di prendersi cura dei bambini. Il quarto è Lyof. Bello, agile, di buona memoria, aggraziato. Tutti i vestiti gli calzano a pennello, come se fossero stati fatti apposta solo per lui. Tutto ciò che fanno gli altri, lo fa molto più abilimente e meglio. Sebbene ancora abbia tanto da apprendere. Il quinto, Masha [Marija], di due anni, è quella la cui nascita è costata quasi la vita a Sófya. È una bimbetta debole e malaticcia. Con una pelle bianca come il latte, i capelli ricci e chiari, e strani grandi occhi azzurri, strani in ragione della loro profonda espressione seria, che sprizza intelligenza e un’aura minacciosa. Sarà uno degli enigmi, lei ne soffrirà, tenterà di venirne a capo e non troverà niente, sarà sempre alla ricerca di ciò che è meno raggiungibile. Il sesto, Pëtr, è un gigante, un enorme, delizioso bambino col berretto in testa, che si scopre di continuo i gomiti e subito dopo è già lì che s’impegna incessantemente e con ostinazione in nuove cose. Mia moglie cade in un’estasi di ~ 11 ~


agitazione e di emozione quando lo prende in braccio, ma io in verità non ne comprendo poi molto il motivo. So che ha una grande forza, è una donna alquanto energica, tuttavia, se c’è uno scopo per cui questa forza le è richiesta, io non lo so. Forse per questo non sono incline alle premure verso i bambini sotto i due o tre anni, non li capisco. Questa lettera fu scritta nel 1872, quando avevo sei anni. I miei ricordi risalgono a quel periodo. Prima di allora mi si sono impresse nella memoria solo pochissime cose che sono in grado di ricordare. dalla prima infanzia fino a quando la mia famiglia si trasferì a Mosca — nel 1881 — tutta la mia vita si svolse, quasi senza interruzione, a jasnaja Poljana. Il modo in cui vivevamo era più o meno questo. Il personaggio principale della casa era mia madre. decideva e regolava ogni cosa. Lei discuteva con Nikolái, il cuoco, cucinava e metteva in ordine; lei ci mandava fuori per le passeggiate, stirava le nostre camicie e sempre aveva qualche bambino attaccato al seno, mentre tutto il giorno, con grande energia e passo frettoloso, si aggirava in lungo e largo per la casa. capitava che qualcuno di noi le disobbedisse e, allora, qualche volta, si arrabbiava e ci puniva. Non le sfuggiva nulla. Sapeva di ogni cosa più e prima di chiunque altro. Sapeva che ci si doveva lavare ogni giorno, che bisognava mangiare la minestra a cena, che era necessario parlare francese, che non era bene strisciare sul pavimento a quattro zampe o mettere i gomiti sul tavolo e, se diceva che non era momento quello di andarsene a spasso, perché di lì a poco avrebbe piovuto, era sicura di aver ragione e si doveva fare come diceva. Papà era l’uomo più intelligente del mondo. Anche lui sapeva sempre tutto, ma non si poteva fare i cattivi con lui. Quando si trovava nel suo studio ‘‘a lavorare’’, non era consentito fare il minimo rumore, e nessuno poteva entrare nella sua stanza. che cosa facesse quando era ‘‘al lavoro’’, nessuno di noi lo sapeva. Più tardi, quando imparai a leggere, mi fu detto che papà era uno ‘‘scrittore’’. e fu tutto ciò che imparai. ricordo che un giorno ero molto felice per aver letto alcuni versi di una poesia e chiesi a mia madre chi li avesse scritti. Lei mi rispose che era Puskin l’autore e che Puskin era un grande scrittore. Alché io rimasi contrariato che anche mio padre non lo fosse, un grande scrittore. Mia madre, vedendomi in quello stato, mi spiegò che mio padre era anche lui un noto scrittore. A tavola, per pranzo, papà sedeva di fronte a mamma e aveva il suo cucchiaio d’argento rotondo. Quando la vecchia Natália ~ 12 ~


Petróvna, che viveva al piano di sotto con la prozia Tatjána Alexándrovna,* si versava un bicchiere di kvas, lui lo prendeva velocemente togliendoglielo da sotto il naso, e poi diceva: ‘‘oh, mi spiace tanto, Natália Petróvna, ho commesso un errore!’’. e così noi ridevamo tutti divertiti, e a me sembrava strano che papà non avesse affatto paura di Natália Petróvna. Quando era servito il budino, papà diceva che era buono per incollarci le scatole di carta, allora noi ci precipitavamo fuori per procurarci un foglio, e papà lo ripiegava per farne un contenitore. La mamma si arrabbiava, ma lui non aveva paura neanche di lei. Avevamo con nostro padre, di tanto in tanto, dei momenti più allegri di quanto si possa immaginare. Poteva cavalcare meglio e più veloce di chiunque altro, e non c’era nessuno al mondo così forte come lui. Papà non ci puniva quasi mai, ma quando mi guardava negli occhi, sapeva tutto quello che pensavo e avevo paura. A mamma si potevano raccontare delle storie, ma non a papà, perché lui avrebbe visto attraverso di te come fossi stato trasparente. e in un modo che nessuno equiparava. oltre a papà e mamma, c’era anche la zia Tatjána Alexándrovna yergólsky. Nella sua stanza teneva un grande ritratto con un montagna d’argento. Noi piccoli avevamo paura di questo quadro, in quanto era molto vecchio e annerito. Quando avevo sei anni, ricordo mio padre insegnare ai bambini del villaggio. Avevano le loro lezioni ‘‘nell’altra casa’’,** dove Alexéy Stepánovitch oryékhof, l’amministratore di jasnaja Poljana, visse per qualche tempo, e in alcune occasioni anche noi — al pian terreno. c’era un gran numero di bambini del villaggio che era solito venire. Quando arrivavano, l’ingresso odorava di giacche di pecora; prendevano lezioni da papà e Seryózha e da Tánja e dallo zio kóstja tutto in una volta. Lezioni che erano molto allegre e vivaci. I bambini facevano esattamente ciò che volevano, sedevano dove gli piaceva, scorrazzavano da un posto all’altro e non rispondevano alle domande uno per uno, ma tutti insieme, interrompendosi l’un l’altro e aiutandosi vicendevolmente nel tentativo di ricordare ciò che avevano letto. Se quello di sinistra ne sapeva un po’, saltava fuori un altro e poi un altro, e la storia o la somma delle storie veniva ricostruita dagli sforzi uniti di tutta la classe. * Tatjána Alexándrovna yergólskaya, una lontana parente, che ebbe un ruolo importante nell’allevare Tolstoj dopo la morte di sua madre. (N.d.A.) ** Il nome che davamo all’annesso in pietra della casa. (N.d.A.) ~ 13 ~


ciò che piaceva a mio padre della maggior parte dei suoi allievi era il pittoresco e l’originalità della loro lingua. Non pretendeva mai da loro una ripetizione letterale delle espressioni libresche, anzi incoraggiava tutti particolarmente a parlare ‘‘fuori dalla propria testa’’. ricordo che una volta mio padre fermò uno di loro che stava correndo nella stanza accanto e gli chiese: ‘‘dove stai andando?’’. ‘‘dallo zio, a mordere un pezzo di gesso’’.* ‘‘fai in fretta! In fretta! Non sta a noi insegnare, ma a voi’’ disse mio padre.

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I ServI deLLA cASA

Quando mio padre si sposò e portò a casa la sua sposa giovane e inesperta, Sófya Andréyevna, a jasnaja Poljana, Nikolái Mikháilovitch rumyántsef era già affermato come cuoco. Prima del matrimonio di mio padre aveva uno stipendio di cinque rubli al mese, ma quando mia madre arrivò, lei lo elevò a sei, somma che Nikolái continuò a percepire per il resto dei suoi giorni, cioè fino a più o meno la fine degli anni ottanta. gli succedette in cucina il figlio, Semyón Nikoláyevitch, figlioccio di mia madre,** e quest’uomo degno e amato, il mio compagno di giochi infantili, vive ancora con noi a tutt’oggi. Sotto la supervisione di mia madre preparava la dieta vegetariana di mio padre con zelo affettuoso, e senza di lui mio padre non sarebbe mai vissuto, molto probabilmente, fino alla sua veneranda età. * L’istinto per la calce, necessaria per alimentare le loro ossa, spingeva i bambini russi a sgranocchiare pezzi di gesso o calce dai muri. In questo caso il ragazzino correva verso uno degli adulti della casa, che chiamava ‘‘lo zio’’, come i bambini russi chiamano zio o zia tutti, per ottenere da lui un pezzo di gesso che teneva in mano scrivendo sulla lavagna. ‘‘Mordere’’, disse. chi di noi si esprimerebbe così? Non disse: ‘‘avere un pezzo di gesso’’ o ‘‘rompere’’, ma proprio ‘‘mordere’’, e si espresse in un modo molto preciso, perché letteralmente ‘‘mordevano’’ il gesso con i denti, e non lo rompevano. (N.d.A.) ** Il figlioccio, in alcuni riti del cattolicesimo, è colui che viene accompagnato a ricevere il sacramento del Battesimo dalla coppia formata da padrino e madrina. Il figlioccio non può essere figlio né del padrino né della madrina. (N.d.T.) ~ 14 ~


Agáfya Mikháilovna, invece, era una donna anziana che visse in uno primo momento nella cucina dell’‘‘altra casa’’ e, successivamente, nella fattoria. Alta e magra, con grandi occhi purosangue e lunghi capelli lisci come quelli di una strega, gironzolava grigia ed era piuttosto terrificante, ma, più di ogni altra cosa, strana. un tempo era stata cameriera della mia bisnonna, la contessa Pelagéya Nikoláyevna Tolstoj, la nonna di mio padre, nata principessa gortchakóf. A tale riguardo Agáfya amava raccontare della sua giovinezza dicendo: ‘‘era molto bello. Quando c’erano signori in visita alla grande casa, la contessa mi chiamava, ‘Gachette [Agáfya], femme de chambre, apportez-moi un mouchoir! ’. Allora io dicevo, ‘Toute de suite, Madame la Comtesse! ’.* e ognuno era lì a fissarmi, e non poteva togliermi gli occhi di dosso. Quando attraversavo l’aia per andare all’annesso, mi seguivano per prendermi sulla strada. Ma molte volte li ingannavo — correvo intorno dall’altra parte e saltavo il fosso. Non ho mai apprezzato questo genere di cose in qualsiasi momento. una cameriera io ero, una cameriera sono’’. dopo la morte di mia nonna, Agáfya Mikháilovna fu trasferita alla fattoria per qualche ragione e si occupò delle pecore. finì con l’appassionarsi così tanto ad esse che per tutti i suoi giorni a venire non toccò mai più carne di montone. dopo le pecore, nutrì un profondo affetto per i cani, e questo è l’unico periodo della sua vita che ricordo. Non c’era niente nel mondo che amava, a parte i cani. visse con loro nella sporcizia e in mezzo agli odori orribili, e dedicò tutta la sua mente e tutta la sua anima a loro. Abbiamo sempre avuto setter, harrier e borzoi, e tutto il canile, spesso molto numeroso, era sotto la gestione di Agáfya Mikháilovna, con qualche ragazzo o qualcun’altro che le dava una mano, solitamente quanto più goffo e stupido si potesse trovare. ci sono molti ricordi interessanti legati alla figura di questa donna intelligente e originale. La maggior parte sono associati nella mia mente alle storie che raccontava mio padre su di lei. Poteva sempre cogliere e svelare ogni tratto psicologico interessante, e questi tratti, che magari esponeva incidentalmente, si bloccavano saldamente nella mia mente. era solito dire, per esempio, come Agáfya Mikháilovna si lagnasse con lui a causa della sua insonnia. * ‘‘cameriera, portami un fazzoletto’’. ‘‘Subito, Signora contessa’’. (N.d.T.) ~ 15 ~


‘‘da quando posso ricordarmi di lei, ha sempre detto di soffrire come se ‘una betulla le cresce dentro dalla pancia in su, premendole contro il petto e tarpandole il respiro’. ella si lamenta della sua insonnia e della betulla, e dice: ‘Qui me ne sto tutta sola e tranquilla, solo il ticchettio dell’orologio sul muro: chi sei? che cosa sei? chi sei? cosa sei? e allora ho cominciato a pensare: chi sono io? che cosa sono io? e per questo ho passato tutta la notte a pensarci’’’. una volta, dopo che Agáfya gli aveva raccontato la stessa storia con grande entusiasmo, mio padre le disse: ‘‘Be’, immagino si tratti di Socrate, Agáfya! ― conosci te stesso’’. durante l’estate il fratello di mia madre, Styópa (Stepán Behrs), che stava studiando a quell’epoca alla scuola di giurisprudenza, aveva l’abitudine di venire a stare con noi. In autunno era solito andare a caccia di lupi con mio padre e noi, con il borzoi, e Agáfya Mikháilovna lo amava per questo. L’esame di Stëpa era stato fissato per la primavera. Agáfya Mikháilovna, che lo sapeva, attendeva ansiosamente la notizia della sua promozione. una volta mise una candela davanti al ritratto e pregò che Stëpa fosse promosso, ma ricordandosi che i suoi borzoi erano usciti e non avevano ancora fatto ritorno al canile, ‘‘Santi in paradiso! Li faranno entrare in qualche posto e temo per il bestiame e che facciano qualche danno!’’ si mise a urlare. ‘‘Signore, lascia che la mia candela bruci per i cani, che tornino presto. giuro che ne comprerò un’altra per Stëpa Andréyevitch’’. raccontò poi: ‘‘Lo avevo appena detto a me stessa che sentii il tintinnio dei collari dei cani nel portico. grazie a dio! erano di ritorno. Questo è ciò che la preghiera può fare’’. un altro favorito di Agáfya Mikháilovna era un giovanotto, Misha Stakhóvitch, che spesso si fermava da noi. ‘‘vedi quello che mi hai fatto, piccola contessa!’’ diceva in tono di rimprovero a mia sorella Tánja. ‘‘Mi hai presentata a Mikhaíl Alexándrovitch e mi sono innamorata di lui nella mia vecchiaia, come una donna di cattivi costumi!’’. Il quinto del mese di febbraio, il suo onomastico, Agáfya Mikháilovna ricevette un telegramma di auguri da parte di Stakhóvitch. Quando mio padre lo venne a sapere, la rimproverò scherzosamente. ‘‘Non ti vergogni che un uomo abbia dovuto arrancare per tre chilometri attraverso il gelo, di notte, solo per amore del tuo telegramma?’’. ‘‘Arrancare, arrancare? Angeli lo portavano sulle loro ali! Arrancare, è questo che dici? Tu ricevi tre telegrammi da una stra~ 16 ~


vagante donna ebrea’’ ringhiò, ‘‘e telegrammi ogni giorno dalla tua golokhvótika e dici ‘arrancare’, eh? Poi io ricevo degli auguri per il mio onomastico, e questo sarebbe arrancare!’’. e non si poteva non riconoscere che avesse ragione. Questo telegramma, l’unico in tutto l’anno che era stato indirizzato al canile, per il piacere che diede ad Agáfya Mikháilovna era molto più importante, naturalmente, di questa o quella notizia riguardante una festa data a Mosca in onore della figlia di un banchiere ebreo, o per l’arrivo di Andréyevna golokvástovy a jasnaja. Agáfya Mikháilovna morì all’inizio degli anni Novanta. Non ci furono più cani da caccia o domestici a jasnaja da allora. fino alla fine dei suoi giorni Agáfya diede rifugio a una variegata colonia di bastardi, curandoli e nutrendoli affettuosamente.

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cASA ToLSToj

ricordo la casa a jasnaja Poljana com’era nei primi anni dopo il matrimonio di mio padre. occupava uno dei due piani di un’ala della vecchia villa dei principi volkónskij che mio padre aveva venduto per farla demolire quando era ancora uno scapolo.* da quello che mio padre mi ha raccontato, so che la casa in cui è nato e ha trascorso la sua giovinezza era un edificio a tre piani con trentasei stanze. Sul luogo dove si trovava, tra le due ali, i resti delle fondamenta in pietra sono ancora visibili sotto forma di trincee piene di macerie, e il sito è coperto da grandi alberi che hanno sessant’anni e che mio padre stesso ha piantato. Quando qualcuno chiedeva a mio padre dove era nato, era solito puntare il dito verso un alto larice che cresceva sul sito delle vecchie fondamenta. * jasnaja Poljana (‘‘radura Serena’’) è il nome della riserva in cui si trovava la villa della madre di Tolstoj, la principessa volkónskaja. Lo scrittore visse a jasnaja Poljana per quasi tutta la sua vita, vi scrisse i suoi maggiori lavori e vi fu sepolto. Si trova a circa duecento chilometri a sud di Mosca. oggi è un museo. Lo scrittore ereditò la villa, ma da giovane fu costretto a venderla per pagare dei debiti di gioco. L’abitazione fu acquistata da un vicino, che la smontò pezzo per pezzo per farla ricostruire sulla propria terra. A Tolstoj non rimase che la riserva e un annesso in pietra dove, dopo il matrimonio, ritornò a vivere con tutta la sua famiglia. (N.d.T.) ~ 17 ~



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