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Il pensiero positivo delle donne
(finalmente) che la parità tra i sessi, nel nostro Paese, sia stata raggiunta? Lo chiediamo a Vittoria Tola, dal 2011 responsabile nazionale dell’Udi.
“Non lo è assolutamente. Per quanto Giorgia Meloni premier sia un fatto importante dal punto di vista simbolico, come lo sono anche le donne alla guida della Corte costituzionale e di quella di Cassazione, semplicemente si tratta di un passo avanti che non cambia nessuno dei problemi che ancora ci sono sul riconoscimento delle donne”.
In questo contesto di tuttora non raggiunta parità, quali sono le battaglie che devono essere combattute, oppure i diritti acquisiti a rischio?
“La battaglia che deve essere portata avanti è affinché in questo Paese sia possibile avere una forma di democrazia paritaria e che sia riconosciuta la partecipazione attiva delle donne che sono tante, colte e coscienti ma in condizione di disparità.
Poi, non è detto che le libertà siano a rischio ma anche con questo governo non si creano le condizioni affinchè i diritti costituzionali al lavoro e a una ricompenza adeguata siano garantiti. Chi è madre ha ancora degli scompensi eccessivi, ci sono problemi di natura sanitaria ed è problematica sia la gestione dell’infanzia che anche di una popolazione anziana ahimè sempre più numerosa. Ci sono molte questioni aperte sui diritti e che non sono ancora indirizzate verso una soluzione adeguata”.
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Qual è il ruolo attuale dell’associazionismo femminile e, in quanto legato appunto all’essere “femminile”, non rischia di autoconfinarsi da solo?
“Se per associazionismo femminile intendiamo associaioni come l’Udi, che esiste dal 1945, i collettivi strutturati e una serie di fondazioni molto at- tive, anche tra le dirigenti d’azienda, non sui corre il rischio di autoconfinarsi. Il bello del mondo delle donne e che non ragionano in base al sesso ma che creano nuove libertà e diritti per tutti. Cercano di fare sì che l mondo, la politica, la cultura e l’impresa si accorgano di quanto pensiero positivo c’è nelle donne per migliorare la vita di tutti”.
Per quanto riguarda nello specifico il mondo del lavoro, esistono delle difficoltà oggettive o soggettive nell’accesso delle donne a ruoli imprenditoriali o dirigenziali?
“Io credo che la parte soggettiva sia sempre più piccola e che riguardi il dover conciliare il ruolo familiare e di cura. La discriminazione vera è il non volere riconoscere quando e quanto sono all’altezza, o addirittura sopra, del loro ruolo. Anche perchè se si assume una donna in un ruolo di responsabilità significa che un uomo deve lasciarlo”.
Le quote rosa sono state e sono tuttora utili al raggiungimento della parità?
“Abbiamo sembra pensato che le quote rosa, anche se in alcune realtà hanno portato a quale risultato come meccanismo difensivo, non siano la strada giusta e non abbiano mai creato le condizioni per una democrazia paritaria. Anni fa, a tale proposito, raccogliemmo 200mila firme per una iniziativa di legge popolare che prevedeva il 50 e 50 di presenza femminile e maschile nei luoghi decisionali. Nella storia le donne, non solo per il loro sesso biologico, sono state sempre discriminate e poste in una condizione di subalternità e tuttora il lavoro di cura e di diventare madre rischia di essere un elemento per cui si viene licenziate o non si viene assunte. Siamo il Paese con il più basso tasso di lavoro femminile, mentre per esempio in altre società europee come la Francia e la Germania sono state attuate una serie di politiche per fare sì, per esempio, che sia le madri che i padri possano occuparsi della famiglia”.
Vi è mai capitato di occuparvi di problematiche specifiche relative al settore del gioco con vincita in denaro?
“In linea di massima no, anche se a volte capita di occuparci di persone che hanno problemi di dipendenza, nel qual caso le mettiamo in contatto con chi le possa aiutare. Ma ogni tanto qualcuna di noi dice che vuole giocare e speriamo tutte che vinca, così possiamo usare i soldi per risistemare il nostro archivio!”.
Come commenta le recenti dimissioni, entrambe per motivi personali, prima della premier neozelandese Jacinta Ardenr e poi di quella scozzese Nicola Sturgeon?
“Al di là delle vicende politiche che hanno accompagnato queste dimissioni, sono la dimostrazione che persone pure riconosciute attraverso le elezioni, continuino, in quanto donne, a essere sottoposte a pressioni maggiori e a un peso superiore a quello che grava su tanti uomini”.
Parlando di percezione delle donne sui mass media italiani, ritiene che ci sia stata un’evoluzione?
“Riteniamo che sia una questione estremamente importante tant’è che in passato avevamo realizzato un calendario sulle donne della scienza e su quelle che hanno vinto dei premi Nobel. Tutti conosciamo il valore dell’astronauta Samantha Cristoforetti o della direttrice del Cern Fabiola Gianotti, eppure c’è ancora il tentativo di rimarcare che ricoprono ruoli che non sono da donna. C’è ancora questo brutto vizio di sessualizzare tutti e di dire che se una donna occupa un ruolo di responsabilitù ed è madre, non è una madre affidabile. Capisco dunque lo sconcerto di chi giunge in Italia da altri paesi. La questione vera non sono i diritti conquistati ma chi decide in maniera schizofrenica di non farli applicare. Ecco, qui in Italia quando si tratta di diritti delle donne si ha sempre il braccino corto”.
E cosa può fare l’Udi in proposito?
“Ci occupiamo per esempio dell’immagine della donna in Tv e a tale proposito abbiamo realizzato il progetto ‘Immagini amiche’ con cui si selezionavano trasmissioni e pubblicità che facevano pensare non solo positivamente alle donne, ma anche al fatto che con la loro rappresentatività possono migliorare la vita di tutti. Fondamentale è anche la formazione culturale nei giovani. Nel 2022 abbiamo creato un album rivolto ai bambini delle scuole materne ed elementari, ‘Mimose in fuga’, che mostra come le donne siano state discriminate. Le condizioni attuali hanno una storia: bisogna averne memoria e coscienza”.
Udi tra passato e futuro
L’Unione donne italiane (Udi) è un’associazione femminista di promozione politica, sociale e culturale, senza fini di lucro. Costituita ufficialmente il 1° ottobre del 1945, pochi giorni dopo il primo congresso nazionale vede i Gruppi di difesa della donna confluire nell’unione per creare la più grande organizzazione per l’emancipazione femminile italiana. In essa confluisce anche l’Associazione femminile per la pace e la libertà fondata dalla partigiana e scultrice Velia Sacchi. Dal 2003 ha assunto il nome di Unione Donne in Italia.
Ancora oggi l’obiettivo dell’Udi è quello di impegnarsi per la difesa dell’autodeterminazione delle donne e di contrastare la violenza da parte di uomini nei confronti delle donne, specie in ambito familiare. L’Udi ricorda di mettere in pratica quanto riportato nell’art. 51 della Costituzione Italiana, secondo il quale uomini e donne debbano trovarsi in una posizione paritaria in assemblee elettive o luoghi decisionali.