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Note al vento

DARIO SALVATORI GIUDICA CON SEVERITÀ LA MUSICA LEGGERA CONTEMPORANEA DOPO L’ESPERIENZA

DELL’ULTIMO FESTIVAL DI SANREMO, DI CUI RACCONTA LE ORIGINI FORTEMENTE LEGATE AL CASINÒ E ANTICIPA SCELTE FUTURE DELICATE E STRATEGICHE

di Anna Maria Rengo

Una premessa è d’obbligo, per voi che state per leggere questa intervista. È stata infatti realizzata alla Biblioteca comunale di Terni, in occasione della rassegna Umbria Libri Love, domenica 12 febbraio. Dunque, una manciata d’ore dopo la fine della 73esima edizione del Festival della Canzone. E l’intervistato è uno tra i più enciclopedici e noti conoscitori della musica leggera italiana, giunto nella città umbra dritto dritto dalla sua trasferta sanremese: Dario Salvatori. Ovvio dunque che l’intervista non potesse che partire così!

Il Festival è appena terminato ma la nostra rivista uscirà il primo marzo. In quella data, quali saranno le canzoni che canteremo ancora, o che passeranno alla radio?

“Questa è una domanda a trabocchetto! Come covata di canzoni, questa non è stata la migliore. Dopo quattro o cinque giorni i network radiofonici non le metteranno più, già non mandavano quelle di grandi melodie, figuriamoci queste! C’è un perimetro di intervalli musicali che non crea la cantabilità., se non in pochi casi La situazione non è interessante, questi cantanti, soprattutto le donne, hanno un approccio con il loro mestiere molto complicato. Ci sono artiste che hanno dieci anni di carriera, cercano di ravanare tutto quello che è possibile. Una volta vanno a Sanremo come cantanti, un’altra come vallette, poi fanno una comparsata al cinema, se le inviti a cantare, a pagamento, alla tua festa di compleanno, vengono... questo significa che c’è depressione e la paura di non farcela, che è reale. Quale è del resto oggi il mestiere che ti assicura la capacità economica di sopravvivere? Non ce ne è neanche uno, neanche il bancario, il parastatale, e così neanche il nostro”.

L’attuale musica leggera è solo trasgressione e voglia di sorprendere, o dietro ci sono dei messaggi più elevati e duraturi?

“La trasgressione è una moda. Ora che ci eravamo liberati di Achille Lauro, che era tra l’altro un clone di tanti altri, c’era bisogno di avere Rosa Chemical? Questi artisti lanciano un sasso nello stagno e restano a vedere che cosa succede”.

Quali consigli darebbe a un giovane che vuole approcciare una carriera musicale? E sono gli stessi consigli che avrebbe dato anche in passato?

“Il signore che mi ha accompagnato qua a

Terni ha detto delle cose che sono perfettamente sovrapponibili ai giovani della musica. La gavetta non la vuole fare più nessuno. Studiare musica non lo vuole fare più nessuno. Allora vedi queste figure che ci provano: c’è chi dura un anno, chi dura due anni, ma la maggior parte non ce le ricordiamo più. Perché non facciano un elenco di quelli di X Factor che sono spariti? Io lo so dove stanno: su un cornicione, dall’analista, è questo il problema. Poi spesso passa il messaggio che la musica e la televisione sono la stessa cosa, hanno il volano della Tv e pensano che basti andare da Mara Maionchi, o da Maria De Filippi, e il giorno dopo hanno un milione di follower”. Ma non è detto che duri… e a tale proposito, parliamo del gruppo più noto del momento. I Maneskin sono davvero i nuovi Rolling Stones o sono sopravvalutati e sono una bolla destinata a scoppiare?

“Non scherziamo, veramente. Loro non sono innovativi: loro sono derivativi. Tutte le cose che fanno, le ha fatte qualcuno prima di loro. Te ne dico qualcuna. Spogliarsi, perché sempre nudi stanno, giusto? Poi, la foto di Vittoria sul water, nuda. Il primo a farlo è stato Frank Zappa, e poi Jim Morrison. E ancora, sfasciano gli strumenti. Questo lo facevano gli Who, lo faceva Lou Reed. È ovvio che un ragazzino di vent’anni che li vede si sorprende, poi è vero, hanno l’aspetto carino, ma qualcosa comincia a scricchiolare... dovevano prendere i Grammy Awards negli Stati Uniti ma poi Samala Joy, a ventuno anni, ha spazzato via tutti con il suo jazz. Certo, qualcosa sono, ma non dite che sono innovativi... la dodecafonia è stata innovativa, non loro!”.

Torniamo per finire a Sanremo, città dei fiori, della canzone ma anche del Casinò, di cui è stato spesso ospite. Quanto conta per la cultura e l’economia della cittadina ligure?

“Per risalire al modo in cui si è creata questa triangolazione bisogna fare la storia del Casinò.

Era il secondo dopoguerra e il Casinò non se la passava bene. Il gestore Pier Busseti cercava di inventarsi qualcosa e al tempo stesso la Rai aveva pensato di fare qualcosa con i cantanti, era partita a Viareggio, con due edizioni nel ‘48 e ‘49 tutte e due vinte da Narciso Parigi e poi ci si spostò a Sanremo. E poi, perché il Festival si tiene a febbraio? Perché le canzoni poi si ballavano durante il carnevale, dovevano rubare la scena a Viareggio, che aveva un carnevale meraviglioso. Inoltre, tutti i cantanti incidevano le proprie canzoni e quelle degli altri, all’epoca non era il cantante che decideva che cosa fare, ma era l’editoria musicale. Quindi la rivalità era poca cosa. Per arrivare all’oggi, ci sono due nodi che verranno sciolti quanto prima. La convenzione tra Rai e Sanremo scade a dicembre prossimo. E poi c’è un altro ospite, che non si è palesato, che ha fatto un’offerta a Sanremo. Ricordati che il marchio del festival è del Comune... penso che questo ospite sia un’organizzazione musicale. Vediamo che cosa succederà e se ci sarà un cambio, o se la Rai rilancerà, tenendo anche presenti i problemi dell’Ariston, che non è più adeguato perché ha dei camerini fatiscenti e altre cose da cinema di provincia”.

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