Mosaico di storie vere Corso Serale GiorgiFermi

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Mosaico di storie vere

Ipsia Giorgi Treviso Corso Serale 2 st Edition


. • Presentazione 5 . • Ringraziamenti 7 • Le storie .8 Lamine Diakitè IL LAVORO 9 . Carmine Monaco BUNGEE JUMPING 11 . Baldissera Francis IL DISTACCO LA PERDITA .14 Viorel Rimbu LA RISSA 16 . Stefano De Benetti IL CANE 18 . Adrian Buda


RIVOLUZIONE IN ROMANIA .21 (letto da Flavio Tonolo) .21 Cristinel Vulpe SPARATE SULLA FOLLA 23 . Ruzhdi Sopa FUGA IN ALBANIA .25 (legge Shukai Besnik) 25 . Adriano Condrò FOSSE 27 . Luis Arroyo CON EL PASO DEL TIEMPO 31 . • Testi non portati in scena 33 Federico Durante RIFLESSIONI IN VERSI 33 . Giacomo Miattello


PENSIERI 34 . . • Conclusioni 35 . • www.ipsiagiorgi.it 36


Presentazione Tutto è iniziato dopo aver partecipato con le classi del CORSO SERALE allo spettacolo di Cinzia Zanardo “Una memoria sofferta” sulla prima Guerra Mondiale. Dopo lo spettacolo ci siamo ritrovati a commentarlo in pizzeria con Cinzia e tra un boccone e una birra alcuni studenti hanno iniziato a raccontare le proprie memorie sofferte; da qui è nata l’idea di questo lavoro. Scrivete, scrivete… finalmente qualcosa da dire, che fluiva spontaneo dalla propria esperienza vissuta e sofferta. Il bisogno di raccontare, di condividere, di rielaborare. Da qui la nascita di un percorso “Dalla scrittura al teatro” con persone che forse mai avrebbero pensato di trovarsi su un palco a raccontare… Si è formato un bellissimo gruppo di studenti di età, esperienze, classi e nazionalità diverse che con molta determinazione, passione e sacrificio, nonostante il poco tempo a disposizione, si è impegnato in un percorso di scrittura , lettura, dizione, interpretazione, scelte musicali e di immagini. Cinzia Zanardo è stata la musa, l’ispiratrice, la realizzatrice dell’interpretazione teatrale, “il condottiero”di questa avventura, che con molto entusiasmo, professionalità e rigore ha seguito il gruppo per diversi mesi, mettendo a disposizione il suo tempo e la sua esperienza. “Se un percorso di studio è sostenuto anche dalla passione, dalla creatività, dalla disponibilità di mettersi in gioco e guardarsi dentro, anche il dolore che è nell’anima si può trasformare in nuova energia per vivere meglio e più intensamente” questo ci ha risposto Cinzia accettando di far parte di questo progetto.


È stata una sfida lavorare con un gruppo che non si era mai cimentato con la lettura e recitazione. In questo laboratorio totalmente sperimentale abbiamo cercato di aiutare a sviluppare le potenzialità di chi aveva come bagaglio solo un’ esperienza e un ricordo da rielaborare. La sfida è stata quella di trovare gli strumenti più adatti per dare voce a ogni singolo vissuto.

Prof.ssa Giuliana Giromella Insegnante di Lettere del Corso Serale


Ringraziamenti Un grazie a tutti gli studenti del Corso Serale che hanno avuto il coraggio di raccontare e condividere. Grazie a Cinzia Zanardo che ha curato la lettura e la regia con tanta pazienza e determinazione. Ci ha permesso di realizzare un nostro piccolo sogno.

Grazie al prof. Gianni Maddalon che ha curato le riprese video e l'impaginazione della prima edizione. Grazie a Eleonora Montini e Alessandro Sambo per la collaborazione tecnica, supporto indispensabile allo spettacolo. Grazie  al prof. Ermanno Domenicale per i suoi preziosi consigli e per la realizzazione fotografica e grafica.


Le storie Prof, abbiamo preso carta e penna e abbiamo scritto anche noi. Non ambizione letteraria, ma il bisogno di farci sentire. Il bisogno di liberarci dai nostri dolori, dalla nostra sofferenza, dalla fatica di essere. Prof, non è facile misurarsi con l’indifferenza, col dolore, con la guerra, con la morte, con la follia umana, o più semplicemente con la responsabilità di diventare adulti. Stasera portiamo qui le nostre storie, vissute sulla nostra pelle, storie che ci hanno fatto crescere velocemente. Sono i nostri ricordi. Alcuni i esistono per dare un senso alla nostra esistenza, altri, invece solo per dare grazia all’anima… Ma esistono! e sono dentro di noi, parte di noi, nascosti nel più profonda del nostro pensiero o perennemente davanti agli occhi, come lezioni di vita… Siamo qui col desiderio che il ricordo ci faccia guardare al futuro con speranza. Sarà la storia di DIAKITE che ha lasciato il suo villaggio in Africa La storia di CARMINE che per dare un senso alle sue paure si è lanciato da un ponte La storia di FRANCIS e la morte di suo padre La storia di VIOREL che conosceva il linguaggio delle botte La storia di STEFANO, che ha subito soprusi e violenza in una caserma La storia di BUDA che sente l’eco della rivoluzione in Romania La storia di CHISTINEL anche lui figlio della rivoluzione La storia di BESNIK con una pistola puntata su una tempia La storia di SOPA che racconta la fuga in Albania Le atrocità viste da ADRIANO, in missione di pace in Kosovo Le riflessioni di LUIS che ha lasciato il Messico, pensieri intrisi di amarezza ma anche di speranza. Storie che ci portiamo dentro e che abbiamo il coraggio di condividere con voi


Lamine Diakitè IL LAVORO

La Guinea è il mio paese ed io ne sono fiero. Sono nato in un piccolo villaggio, Morodu, fondato da mio nonno. Un mattino, avevo 9 anni, mio padre mi disse: “Voglio che frequenti la scuola, da lunedì mattina” Risposi: “Papà, sono pronto”. Pochi giorni dopo, con gli short e la camicia kaki, iniziai la prima lezione. Mio padre invece, decise di tentare la sorte in Italia. Partì solo, non conosceva assolutamente nessuno, né tanto meno l’italiano. Sbarcò a Napoli. Fu tutto una grande avventura. Non so come


abbia vissuto, ma dopo quasi 4 anni ha potuto far venire mia madre… poi si è trasferito al Nord, prima come operaio in una fabbrica, poi come camionista. La situazione è andata migliorando e ha potuto far venire i suoi figli in Italia. Per tutto quel tempo noi cinque eravamo rimasti al villaggio dai nonni. Io avevo 17 anni. Ero felice di poter vivere di nuovo insieme ai miei genitori. Per me tutto era nuovo, non avevo mai preso l’aereo: che sorpresa lasciare Conakry per Dakar, poi Dakar per Lisbona ed infine Roma. Sullo schermo dell’aereo seguivo il tragitto e vedevo tutti quei chilometri sfilare. Poi a Roma la metropolitana, il treno... quella grande città. Era inverno, non conoscevamo né il freddo, né la nebbia, né la neve, ma ho trovato molte persone che ci hanno aiutato. Il primo anno, durante il giorno, distribuivo la pubblicità nelle cassette della posta Guadagnavo 30 euro al giorno. Ero contento. La sera seguivo un corso per apprendere l’italiano. Poi sulla mia bicicletta, scoprivo le città: Treviso, Castelfranco, Montebelluna, Feltre. Poi ho trovato lavoro in una fabbrica di Brera che produceva letti. Era un lavoro faticoso alla catena di montaggio. Sono rimasto là solo 3 anni perché la fabbrica ha cambiato zona. Si è spostata molto più lontano. Ho rinunciato al mio lavoro perché volevo seguire i corsi serali per ottenere un diploma, continuare con la meccanica come avevo già fatto in Guinea. Mio padre mi ha incoraggiato in questa scelta. Però ora sono senza lavoro, lo cerco disperatamente. Metto tutte le mie speranze su questo diploma. Se l’otterrò, potrò diventare meccanico o idraulico. Sennò… preferisco non pensarci ma con tutto il mio impegno ce la farò. ∼∼∼


Carmine Monaco BUNGEE JUMPING

Immagine: Un’auto, 5 amici, la lunga strada che porterà alla realizzazione di un sogno…futile… ma reale come le piccole cose che conquistiamo ogni giorno per vivere ed essere felici. Le nostre facce, tese, gioiose, cariche, dubbiose, assonnate, splendenti, determinate… un mix di sentimenti che come il lampo arrivano sfuggevoli tutte insieme a ricordarci quello che stiamo per fare, sicuri di non voler tornare indietro…


Immagine: I colori. Che salgono quando l’adrenalina si insinua nelle vene, esplosivi. distinti e vivaci, quasi sentimentali nella loro integrità. Il verde, la vallata… Il grigio, il ponte… Il blu, l’orizzonte… figure separate che per quattro secondi si sono unite in un vortice dal sapore della mia soddisfazione. Di quella giornata nella mia testa non rivivo altro che immagini. Mi avvicino al ponte, sono il primo, sono le nove e la tensione mi percorre ogni centimetro del corpo. Il cuore batte a diecimila. Ho paura di non farcela, e non è da me. La mia faccia cerca di non far trapelare nulla ai miei amici che mi guardano, come a chiedermi una dose di coraggio. La partenza è sempre la più difficile, è vero. Immagine: Tre gradini, tre gradini e poi giù. Occhi chiusi? No, occhi aperti. Voglio vedere tutto, ogni singolo momento cementato nel mio essere. Meno tre! Sono sul bordo del ponte. Il vento mi spara raffiche contro. Non riesco più a vedere niente intorno a me. Mi do del pazzo. Per dimenticare tutti i miei dolori e provare a me stesso di essere forte mi sono spinto sempre al limite, ma a questo non ero mai arrivato. Se lo faccio, sarà l’iniziazione alla mia maturità. Meno due! Lo vedo, il sole ride di me. Sicuramente è consapevole di non poter essere raggiunto… Ormai non mi tiro indietro… Meno uno! Respira Kombat, respira…. Viaaa! Sono nel vuoto, finalmente tocco il cielo con un dito, oltre i cento chilometri all’ora. Il volo è infinito. Ho gli occhi aperti ma non vedo niente, solo la terra che si avvicina sempre più. Il mio cuore si è fermato, il mio respiro è mozzo in gola e il vento mi accarezza la pelle, vuol dire che mi ha accettato. Sono felice… Sto volando. Poi c’è il ritorno, il rimbalzo, come una catapulta, verso quello che pochi secondi prima ha riso di me. Sono immobile ma non ho ancora il tempo di pensare, mi godo il ritorno e spero


che non finisca più. Immagine: Sono abbracciato alla corda, con una mano mi tengo e con l’altra saluto l’orizzonte e la nuova vita che assaporerò da li in avanti e finalmente urlo, urlo tutta la mia rabbia e abbandono al cielo le esperienze negative che hanno accompagnato l’ ultima parte della mia vita. So di aver superato un altro gradino, magari insignificante per tutto il resto del mondo, ma importante per me che ho sempre desiderato di sentirmi libero, fin da piccolo. ∼∼∼


Baldissera Francis IL DISTACCO LA PERDITA

Il mio giorno più triste… la morte di mio padre. Morto per un infarto per problemi respiratori a causa anche del fumo. Mi ricordo molto bene la notte prima che morisse…due giorni prima del suo compleanno. Pur sapendo che fumare aggravava il suo stato, il vizio non lo aveva mai perso; quell’ odore di tabacco, per me così nauseante, a lui piaceva tanto, era quasi una medicina, “la sua sigaretta”. Apro il pacchetto delle


Marlboro light 100s, gliela poggio sulle sue labbra. Prendo l’accendino….. mi dà un senso di tristezza e gioia, “ecco il primo tiro è il più bello”, mi diceva, Sentire il gusto del tabacco e la nicotina che entravano in circolo, lo rilassava. Non ho mai sopportato quell’ odore del fumo… quello sguardo perso nel vuoto con la sua sigaretta tra le labbra mi rende sempre più triste, e ancora oggi mi tormenta il rumore della carta e il tabacco che brucia. Guardo l’ora, è tardi, il giorno dopo devo lavorare, la sigaretta è finita, la spengo, mi saluta, lo saluto con un bacio in fronte, sono a letto, cerco una posizione per dormire ma il pensiero non mi lascia, è già mattina, scendo di corsa le scale e vado in camera di mio padre mi avvicino e sento ancora il suo cuore che batte, un senso di gioia e tristezza mi prende, esco e vado a lavoro col dubbio che quella sia la mia ultima volta che lo vedo. Alle 12.30 arriva mio fratello e mi dice -dai torniamo a casa, nostra madre ci deve parlare- era una scusa, dal suo tono di voce capii già tutto. Entrati in casa, il medico di famiglia ci dà la brutta notizia. Il mondo mi crolla addosso, tutto si ferma. Mi avvicino al suo letto, mio padre è lì disteso, inizio a tremare ad avere paura che sia vero, mi sento nudo e senza forze, il mio orecchio appoggiato al suo corpo ancora caldo, nello stesso punto di questa mattina. Allora sentiva il suo cuore, ora un silenzio attonito. Non poter fare nulla. Un bacio in fronte, papà ciao. ∼∼∼


Viorel Rimbu LA RISSA

Tutto è cominciato con una rissa, in una giornata d’ autunno, pioveva, e da una rissa si è creato un macello… Ero io che dovevo dimostrare che valevo in gruppo. A un certo momento guardavo, dall’ alto verso il basso la persona che era giù per terra tra il sangue il fango. Mi guardava dritto negli occhi e senza dire niente chiedeva pietà. Volevo fermarmi, ma non


potevo… alle mie spalle sentivo la voce del gruppo che mi gridava: “dai, dai, che aspetti. Ancora, ancora picchia picchia”… mi sono fermato..ma poi… sono andato a finire quello che avevo cominciato. Ma le mani non erano come prima, erano più pesanti, la mente era offuscata, non era più chiara e lucida. Di quelle risse sulla strada mi stavo abituando, per me ormai era normale. Ma quel giorno mi è bastato un solo sguardo al suo viso e il cuore in un attimo ha ripreso a battere più veloce e di colpo ero io che mi guardavo dall’ alto verso basso. Si…..mi sentivo sconfitto, in preda alla paura di diventare quello che non volevo essere. Non volevo più dimostrare agli altri che valevo usando i pugni. Volevo cambiare. Sapevo che il primo passo per cambiare era uscire dal gruppo. Non era così facile come pensavo, erano tempi duri per i giovani, era necessario sentirsi parte di un gruppo, per non avere paura di uscire di sera. Avevo bisogno di cercarmi degli amici che mi potessero accettare, capire, con i quali condividere i mie pensieri, le mie paure, poter essere me stesso, senza dover nascondere le mie debolezze : avevo voglia di poter esprimere le mie vere emozioni, i sentimenti, la pietà. Sono grato a due amici che mi hanno aiutato a scoprire altre possibilità, hanno cambiato la mia vita, mi hanno aiutato a istruirmi, a farmi capire che la vita non è solo dimostrare agli altri la propria forza fisica. Mi hanno aiutato a cambiare. All’ inizio è stato difficile, avevo paura di non essere nel posto giusto, non riuscivo a capire come essere me stesso. Si dice ” fammi vedere i tuoi amici e ti dirò chi sei”. Prima mi sentivo qualcuno se picchiavo… Ora voglio ricominciare da un foglio bianco. ∼∼∼


Stefano De Benetti IL CANE

Diverse esperienze negative, vissute in caserma durante il mio servizio di leva, hanno marchiato la mia pelle, e il mio cuore, con molta sofferenza, fisica e psicologica. Era l’anno 1987. Una vita da cane, che un cane non vive e non fa. Il pensiero del mattino era quello che arrivasse presto la


sera, per chiudere gli occhi e non pensare: ingiustizie, violenze, disagi, sofferenze, subite dopo una specie di lavaggio del cervello. Non sapevo cosa fare per non essere punito con botte, calci, servizi, guardie, sputi, sveglie continue di notte, servizi di caserma ed altre infinite violenze. Ero alla caserma Londonderri Irlanda del 21^ Battaglione paracadutisti Tenebre, che operava prevalentemente di notte. Compagnia di assaltatori. La 5^ assaltatori era la caserma punitiva per quelli che dovevano scontare pene impartite dal tribunale militare. Arrivavano paracadutisti da ogni dove. La compagnia Tenebre faceva gelare il sangue a chi ne sentiva parlare e ammutolire chi l’aveva conosciuta. Al suo interno accadevano violenze inaudite con indifferenza al dolore e sprezzo del pericolo (figli di puttana ci chiamavano, operativi di notte). Di notte si sentivano i calci nella carne, nei fianchi di chi stava facendo le flessioni , anche mille ogni sera…poi lamenti e pianti. Nei bagni, anzi latrine, una lametta da barba era appesa con uno spago alla vaschetta di ghisa e sulle piastrelle rosse del muro un foglio con su scritto “svenatevi qui”. Una mattina un via vai, fuggi fuggi, c’era qualcuno che correva ai bagni e poi di corsa una barella che vi entrava. Due parà, avevano usato quella lametta. Poi le minacce con coltelli puntati alla pancia, i Fox con lama da 20 centimetri, affilatissimi e a dente di sega, il così detto “strappa carne” che non fa rimarginare le ferite. Ricordo che arrivai da Gorey con un camion insieme ad alcuni amici, la mattina. Ci inquadrarono in un cortile, fermi sull’attenti per ore, in attesa che pochi per volta, ci chiamassero. Ero rimasto solo, e non avevo mangiato…ero in piedi che aspettavo, era ormai sera, quando un maresciallo maggiore aiutante, venne da me seguito da un ragazzo. Questo mi strappò i porta mostrine dalla verde da CBT mi strappò tutte e due le tasche, mi strappò via la cintola, mi prese la verde ai fianchi e me la strappò dall’alto al basso. Ero rimasto con la maglietta e gli slip. In quelle condizioni, di corsa, mi portò in 5^ Tenebre e mi assegnò la branda. Il comandante mi disse che dovevo fare il furiere,


ma io non volevo finire in ufficio, mi avrebbero odiato tutti. Gli altri ragazzi mi consideravano un imboscato di merda, anche se dovevo preparare il contrappello e spiegare tutto all’ufficiale di ispezione… chi c’era, chi non c’era, chi di servizio, di guardia, in polveriera, in licenza, ammalato, punito… Dormivo nella camerata comando, ma la serata per me non era ancora finita. Due o tre anziani mi accompagnavano ai bagni, mi facevano fare infinite flessioni poi arrivava uno che mi spingeva e mi faceva cadere di fianco sulle pozzanghere del pavimento. Se li bagnavo con degli schizzi, mi prendevano a calci con gli stivaletti da lancio, mi mettevano a faccia in giù, e mi pisciavano addosso. Ma quello che mi faceva male era soprattutto l’emarginazione perché ero solo. Il comandante usava chiamarmi: “Furio vieni da papà”. E un giorno mi disse : “Ti racconto una storia: mentre tornavo da Dublino, ieri in autostrada, c’era un cane bianco impaurito che non poteva uscire dall’autostrada, scappava dalle macchine che gli andavano incontro e per poco non lo ammazzavo,! quel cane! Hai capito” Risposi: ”Signor no signor capitano” e lui mi disse: ”Vai via, vai fuori dalle palle, cane!” e cominciò a chiamarmi cane morto. Il comandante non capì che quello che lui chiamava “cane”, in quella corsa, aveva trovato la sua libertà. ∼∼∼


Adrian Buda RIVOLUZIONE IN ROMANIA (letto da Flavio Tonolo)

Sono nato nel 1989, tre mesi prima della Rivoluzione Anticomunista in Romania. I miei genitori dicono che prima della rivoluzione si viveva in un modo strano, compravano il cibo con delle cartelle, ogni famiglia aveva


una modesta quantità di viveri disponibile al mese, non c’erano tanti prodotti nei negozi. La TV trasmetteva poche ore al giorno. Poi c’erano altri divieti, chi aveva una macchina, non poteva guidarla in certe giornate stabilite dalla legge. Una sera i Servizi Segreti hanno arrestato, senza nessun motivo, un prete di Timisoara. Il secondo giorno i cittadini hanno provato a protestare per liberarlo, ma intervenne l’esercito. Poi hanno cominciato a protestare i lavoratori di Bucarest e a insorgere di fronte ai rappresentanti del Governo. La protesta diventò furibonda quando sentirono le notizie dell’intervento militare contro i cittadini a Timisoara. Fu così che iniziò la rivoluzione. Il 18/12/1989 fu uno dei giorni più sanguinosi della Romania. Il governo sparò sui manifestanti. Ma Città dopo città seguirono l’esempio di Bucarest e Timisoara. In quei giorni io e la mia famiglia scappammo dalla nostra casa in montagna, dai miei nonni. Mio padre e mio nonno erano andati a proteggere la riserva d’acqua della città con i fucili da caccia, insieme ad altri cittadini. Il 25/12/1989 il presidente Ceausescu fu catturato a Targoviste, dopo essere stato tradito dai piloti dell’elicottero, mentre tentava la fuga all’estero con la moglie. Fu subito processato e fucilato sul posto dai militari che lo accompagnavano. Fu così che finì la dittatura comunista in Romania. ∼∼∼


Cristinel Vulpe SPARATE SULLA FOLLA

Sono nato il 27 aprile 1990 e da quattro mesi il mio paese, la Romania, aveva cambiato politica. Dopo 35 anni il comunismo abbandonava le nostre terre lasciando i residui di quella che sarebbe diventata una


disperazione. Quella disperazione era chiamata da mio padre ”rivoluzione”. Fu lui che mi raccontò cosa successe in quei terribili giorni: il popolo chiedeva in comune accordo che il loro capo, Ceausescu, se ne andasse, liberando la politica rumena da un male apparentemente incurabile. Nelle parole di mio padre sentivo tanta malinconia, incomprensibile alle mie orecchie di fanciullo che non conosceva il dramma degli eventi che macchiarono di sangue la piazza di Bucarest. Colui che aveva comandato la Romania nell’ombra sovietica per tanti anni, si trovava davanti il suo stesso popolo, testa a testa per la prima volta, nemici mortali. La popolazione, racconta papà, volgeva i suoi occhi di rabbia verso quel davanzale che era stato simbolo di tante altre dittature spietate: fascismo, nazismo, franchismo… Ceausescu nella sua disperazione, tipica di un lupo in gabbia, fece l’ultimo gesto sconsiderato che solamente un criminale può fare: dare un ultimo ordine, disperato... ”Sparate sulla folla” e così fu. Persone inermi animate tutte da un futuro di speranza persero la vita così, in quella piazza, cercando di fuggire da proiettili invisibili e lasciando la memoria nell’eco di solo tre parole...”Sparate sulla folla” ∼∼∼


Ruzhdi Sopa FUGA IN ALBANIA (legge Shukai Besnik)

Anno 1999, ero a scuola, un giorno come tutti gli altri, di tensione e di paura, visto il conflitto che c’era tra i serbi, da tanto tempo. Non sapevamo cosa sarebbe successo il giorno dopo. Ma quel giorno giunse la notizia che i serbi avevano iniziato ad attaccare, con violenza, tutti i


villaggi del Kosovo, per conquistare il paese. Uscimmo tutti da scuola immediatamente e ci dirigemmo verso casa a prendere il necessario, vestiti e mangiare, per poi scappare dalle nostre case. Chi si fosse trovato davanti ai serbi avrebbe fatto una brutta fine, ammazzato subito, se andava tutto bene. Ma non andava sempre così, prima torturavano la gente, la violentavano, tagliavano un orecchio, cavavano gli occhi, e tanto altro. Ecco perché siamo scappati un po' di là un po’ di qua, dove potevamo, per andare poi in Albania e rimanere li fino a quando non fosse finita la guerra, almeno per tre mesi. Intanto nel mio paese i serbi erano già entrati, bruciavano e ammazzavano tutti quelli che trovavano li. Ma poi dei ragazzi e altre persone normali con un gran coraggio si unirono costituendo una sorta di esercito chiamato UçK. Il loro compito era quello di tenere il più possibile lontane le forze serbe dai cittadini per dar loro il tempo di scappare. Pur non avendo tante armi per combattere e affrontarli ci riuscirono, guadagnando un po’ di tempo. Il primo posto dove ci rifugiammo fu a casa degli zii, ma dopo una settimana da loro, giunse la notizia che i serbi stavano entrando anche lì. Abbiamo preso il trattore e siamo saliti in trenta dietro il rimorchio, prendendo la strada per l’Albania. Uscendo dal paese dei miei zii, ci arrivavano proiettili sopra la testa e ci sparavano contro da lontano. Dopo un giorno di viaggio ci siamo fermati in un altro posto dove la mattina presto ci hanno raggiunto i serbi. Lì hanno ammazzato un po’ di gente, così come gli girava. Così, allo stesso modo, come gli girava, ci hanno detto di andare immediatamente via dal Kosovo che sarebbe diventato il loro paese, cacciando tutti i kosovari con il terrore e il sangue. ∼∼∼


Adriano Condrò FOSSE

Correva l’anno 1999, mese di Giugno, località di Tecane zona martoriata dalla guerra del Kosovo. Partii da Torino e navigai l’Adriatico, attraversai l’ Albania per giungere in Kosovo dopo 2 giorni, Ero dentro una nuova


“brutta guerra”, anche se appena finita. Io volontario in una missione di pace per aiutare un popolo che aveva sacrificato tantissime vite umane per avere un’ identità. Ero partito in compagnia di altri cinquecento ragazzi, quasi tutti ventenni come me. Così mi ritrovai in un accampamento militare allestito in quello che era stato, in origine, un villaggio vacanze e che durante la guerra era stato usato come caserma da parte dell’esercito Serbo. Quante cose avrebbero raccontato quelle mura se fossero state in grado di parlare, ma pian piano mi rendevo conto che il loro silenzio copriva tutto. MI ricordo gli spari in lontananza nel cuore della notte, i momenti di nostalgia per Italia. Ma un ricordo in particolare mi accompagnerà per tutta la vita, come un tatuaggio impresso nella mente, un odore... Eravamo in quel villaggio da tre giorni e avevamo una caserma da ripulire per poter viverci almeno sei mesi. Si! Facevamo gli uomini di casa. Tra tutti i miei amici però ne mancava uno quel giorno e mi chiedevo dove si fosse “imboscato” per non faticare, mi dava il nervoso. Non potevo sapere che aveva già preso servizio presso un sito: Alfa2. Fu solo quella sera che, in camera, mentre preparavo la mia brandina per la notte, lo vidi arrivare. Non risparmiai le battute, chiedendogli dove si fosse nascosto. Lui era sconvolto, fumava una sigaretta col nervosismo di chi ha i sensi di colpa dopo aver commesso qualcosa. Aveva addosso il peso di quello che aveva visto. Fu difficile farmi raccontare, dargli conforto, la sua voce era spossata, triste, impregnata di orrore e di malinconia. I suoi occhi ogni tanto guardavano il vuoto cercando forse di allontanare i pensieri dalla mente Poi iniziò a parlare... Mi raccontò del sito Alfa due... di una buca a circa dieci km dalla base, in un paesino impronunciabile. Era grande come la stanza in cui eravamo. Quella mattina gli ordinarono che doveva recarsi insieme agli altri -per svolgere il primo servizio di guardia - al sito Alfa 2. Mi descrisse i particolari di quel sito, ma ancora non capivo. Mi raccontò di aver visto uscire da quella buca, dentro barelle mortuarie, corpi inermi di persone


di tutte le età, uomini, donne, bambini, persino animali. Il personale aveva il compito di “ catalogare” i corpi e in qualche caso anche di dargli una parvenza di dignità. Ogni cadavere veniva accuratamente lavato e ripulito dal fango e ispezionato negli abiti nella speranza di ritrovare qualche documento che ne indicasse l’identità, speranza vana nella maggior parte dei casi. Mi disse di aver visto uno degli addetti imprecare furibondo e allontanarsi velocemente dalla fossa e inginocchiarsi con le mani a protezione della nuca. La disperazione. il senso dell’orrore. Sul ciglio della fossa una donna massacrata, nella sua giovane età. Si apprestava a diventare mamma e portava in grembo una vita che purtroppo non vide mai né la luce né gli occhi della madre. Il mio amico parlava con orrore, con rabbia, con amarezza con furore contro una guerra che aveva insanguinato e ucciso ingiustamente migliaia di persone. Provavo sgomento per la stupidità e ferocia umana. E mi sono sentito fortunato a essere rimasto alla base quel giorno. Ma fu proprio in quel momento, forse per ironia della sorte, che entrò nella nostra camera il mio diretto superiore, dicendomi: “ Preparati! Portati tutto al seguito, tra dieci minuti devi montare di guardia ad Alfa2”. “Alfa2”..... rimasi un attimo esterrefatto ma subito confermai di aver capito e inizia a prepararmi: zaino, giacca, razione viveri, torcia, radio.... mi ricordo solo che Antonio, il mio amico, mi disse: “Non andrei là stanotte, neanche per tutto l’oro del mondo”. Ci portarono al sito “Alfa2” e ci dissero che dovevamo fare la guardia davanti a quel telone in plastica che copriva una fossa con cinquecento cadaveri molti dei quali ancora da estrarre. Iniziava la mia prima notte di guardia, forse la più brutta. Io e i miei colleghi eravamo distanti uno dall’altro e ciò rendeva impossibile qualunque forma di dialogo. Lì, tra mille sensazioni... mille pensieri... li a sopportare così tante cose in così poco tempo”...e per assurdo, mi meravigliai in seguito di come fosse possibile farlo. Mi ricordo la luna piena di quella sera che illuminava il telone; la mia ombra sembrava voler


fuggire da quel posto, mi sembrava di sentire voci e rumori dappertutto e dicevo tra me e me: “ è colpa del silenzio! è colpa del silenzio!” Ma il ricordo che mi porto addosso è un odore, l’odore di quel posto. Intorno a me vi era un odore marcato,profondo,unito all’ odore di zolfo. Era “l’odore della morte” lo stesso odore della follia umana. ∼∼∼


Luis Arroyo CON EL PASO DEL TIEMPO

Sin dall’inizio la terra e l’uomo erano uno solo, Madre e Figlio. Con el paso del tiempo, la madre terra preparò un paradiso per lasciarlo come eredità a suoi figli e questi uscirono alla luce del mondo. La madre li vede


partire. L’uomo scoprì la sua nuova casa, l’Eden. Con el paso del tiempo, l’uomo imparò ad amare, rispettare e convivere in perfetta armonia con la natura senza modificarne il suo corso. Nella sua gioventù, cominciò a dominare la terra e a costruire grandi opere meravigliose. Con el paso del tiempo. L’uomo diventa grande. Per vanità, pretese una corona e anche una porzione di terra, poi pretese la terra dei suoi fratelli, e con la forza gliela tolse. Con el paso del tiempo. Si sono levati in guerra Regno contro Regno, sordi innanzi alla frase, ”amatevi gli uni gli altri” urlando “armatevi gli uni contro gli altri”. Hanno seminato odio, guerra e distruzione, lasciando morte,dolore e desolazione ai loro figli. Col el paso del tiempo. L’uomo non si sente più figlio della terra ma padrone di essa, perdendo l’armonia che l’univa alla natura. La saccheggia, la violenta la distrugge giorno dopo giorno. Con el paso del tiempo l’uomo si perde nel buio, nella confusione e nel dolore. Restano i bambini senza amore, i giovani senza una guida e disorientati, gli adulti ciechi e schiavi delle apparenze e gli anziani, ammalati e abbandonati nell’ indifferenza. Con el paso del tiempo. La madre amorosa guarda con tristezza l’ umanità che grida per il dolore, per le sue ferite, per la sua devastazione. L’uomo ha trasformato l’Eden in una valle di lacrime. Con le paso del tiempo. Nostra madre sente che il dolore che ci vide partire, è lo stesso che non ci vede più tornare. Ma con amore madre Natura chiede ai suoi figli la restituzione della purezza che le fu tolta con stupidità e superbia. Con el paso del tiempo. L’uomo cercherà il bene, guarderà di nuovo la luce, camminerà verso sua madre e capirà che triste fu il suo passato, che difficile è il suo presente ma che c’è una speranza nel suo futuro. ∼∼∼


Testi non portati in scena Federico Durante RIFLESSIONI IN VERSI Le nuove generazioni vivono quotidianamente le problematiche legate forse e paradossalmente, a una vita troppo agiata rispetto a pochi anni fa. Ecco il delirio di cui oggi il nostro paese vive. La droga oggi rientra ormai nella vita quotidiana. - A piedi nudi su aghi appuntiti, aghi di siringhe, così lunghi da raggiungere l’interno del paese. Le vittime delle due ruote non cessano d’apparire, spesso per gagliardia verso i propri coetanei - A capo scoperto col vento fra i capelli, interrotto solo da un pianto di madre. Le vittime della strada soprattutto del sabato sera sembrano inarrestabili. - Frenesia scaricata su di un pedale, corpi inermi e freddi lungo il viale. Pornografia e prostituzione giovanile, i giusti valori del passato risultano perduti. - Maturi nell’adolescenza, ricavandone un corpo ormai destinato all’umido. ∼∼∼


Giacomo Miattello PENSIERI Viviamo in un’isola sperduta nell’universo, dove sono gli uomini a scrivere la storia, quel susseguirsi di segni profondi lasciati sulla sabbia. Ma il tempo ci inganna e cancella ogni cosa, il vento, spesso, allunga le mani e li trasforma. In quest’ isola, pochi “sanno”, tanti “tacciono” e troppi “si nascondono”, nessuno riuscirà mai a fuggire. Se un giorno, qualcuno ti chiedesse dove si trova la linea, che divide il bene dal male, il ricco dal povero, il giorno dalla notte... tu rispondigli che quel “solco” si trova dove ognuno di noi decide di scavarlo. - Quando combatterai contro chi è più forte di te, con la consapevolezza di non poter vincere, ma saprai abilmente trasformare la sconfitta in un punto di partenza per costruire una grande vittoria. - Quando imparerai a seguire i sentimenti, ma senza farti governare. - Quando tenterai di vendere soltanto la verità, pur rendendoti conto che questa avrà un prezzo troppo alto per essere comperata da tutti. - Quando ciò che ti spingerà a non ingannare nessuno, sarà la gioia di essere stimato da pochi,soltanto allora, potrai combattere per la tua causa, convinto di dover rischiare, perché soltanto così qualcosa potrà cambiare. ∼∼∼


Conclusioni “Col tesoro dei nostri ricordi guardiamo al passato. Con la forza di questa nuova speranza guardiamo al domani. Con la consapevolezza di questo momento ci riprendiamo la gioia di vivere.”

Prima rappresentazione 8 giugno 2011 Coordinamento Giuliana Giromella Laboratorio e Regia Cinzia Zanardo ∼∼∼


www.ipsiagiorgi.it questo lavoro è disponibile on-line su: issuu.com

giuliana.giromella@ipsiagiorgi.it

IPSIA Giorgi Treviso maggio 2013


disponibili in formato ebook epub (ipad) e mobi (kindle)


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