I versi del Trivio - Hell poetry

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Poesie Tremende

Giovanna & Duplex 1


I grandi poeti, librettisti e canzonieri, della Napoli di una volta, si distinsero anche per una forma “segreta” di poesia, erotica o “volgare”, che trattava gli argomenti di sempre ma con una veemenza nei sentimenti e con una libertà nei vocaboli che, per l’epoca, poteva essere solo sussurrata nei bordelli, nelle cene carnascialesche o, nei talami, ma solo al buio, di notte. Il giornalista e scrittore napoletano, Angelo Manna, con meticolosa ricerca, cercò e mise insieme questo inestimabile patrimonio dialettale in una raccolta intitolata: L’inferno della Poesia Napoletana. Ci siamo permessi di ispirarci ad alcune di quelle poesie e tentarne una rivisitazione, col solo scopo di aprirne il significato a chi le legge in lingua italiana. Certi che, nella forma dialettale, tali opere (alcune stupende), sarebbero state destinate all’oblio. Le troviamo degne di entrare a pieno titolo nel patrimonio culturale nazionale, come espressione di Eros, che mai placa i suoi ardori e come spaccato della vita viva, che non soccombe al tempo e alle mode: a dispetto di ogni credo e filosofia che, una volta passate, puzzano di stantio. G. S.

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Indice

Una notte al Casino Confessione La bandiera Il Cavaliere A Giacomo Leopardi Giovanni, detto: lo storto Passato remoto Idillio infimo La resa Trattenersi: mai La bella è addormentata

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Poesie Tremende

Giovanna & Duplex

Š

Giovanna 2012 4


Honni soit qui mal y pense (Attr. Eduardo III)

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Una notte al Casino

Strillò il portiere: - Ehi! Dove andate? Qua le puttane si son coricate; ma una casa ce l’avete, oppure no? Chi cazzo vi apre? Ormai son le tre! – - Che cazzo dici? - Passa un bel guaio! - Noi siamo giusto giusto, sei scopate, a quattro soldi a testa, a te, portiere t’ entra una Lira, e subito. Apri, per l’ossa dei tuoi morti: adesso! – E salirono sopra. La “maitresse”, Concetta, aprì tenendo in mano una candela. - Donna Concetta: voglio una fessa stretta! – - Donna Concetta, svegliate a le puttane! – - Margherita dov’è? – - Chiamatemi Lisetta! – - Sta facendo la nottata … - E quelle nuove? Quelle di campagna? – - Ah, quelle: una ha da fare e un’altra è fuori, 6


è andata, mantenuta di un signore. – - Allora, chi ci sta? - C’è Franceschella! – - E chi la chiava quella grande stronza? – - ... e c’è pure Luisella! Ma quella è figa da cinque soldi a botta. - Basta! Adesso fai così: tu ce la chiami e noi ci si arrangia un po’ per uno. Donna Concetta, siam così arrapati, che sborriamo se solo ci toccate! Eravamo arrapati veramente: io che tenevo il cazzo duro e grosso. Vincenzo e Ciccio, lievemente alticci, erano rossi come due aragoste. E Camillo, anch’egli mezzo brillo, andava in cerca d’un paio di chiappe toste: di quelle che se tu ci poni mano sembrano la chierica d’un parrocchiano. - Però, pensiamo bene, che facciamo? Noi siamo in sei e qui ce n’è una sola. Ognuno poi vorrebbe far da primo; e se per caso invece, per sfortuna, capita dopo ad uno che, ha fottuto ed è malato proprio al capo “della fune”(*)? Che fai, lo vai a cercare in culo alla sorella, se ti mischia il mal suo sulla cappella? Perciò, sai che facciamo, o mia Concetta, mi tiri una gran sega con la mano. Dai, su, ch’oggi è domenica, fammi sborrare per amor cristiano. Guarda la mia capocchia, è grossa come un uovo, vieni a guardarla meglio, siediti sul divano. -

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- Ma tu sei matto, oppure sei ubriaco? - Ma prendilo nel culo, vieni vicino! E cosĂŹ, in piedi, col cazzo da fuori, con gli occhi accesi, brillanti per la voglia, corsi da quella vecchia prostituta, che, come tante, facea la santarella. Come tante che, dopo ore di trastullo, col cazzo di chi capita, a menare, fanno finta che loro niente sanno. Come la canzone del Paparacianno. (**)

(*) (**)

La testa del pene. La canzone del Paparacianno è una antica canzone “a doppio sensoâ€?, parla di un particolare cagnolino inglese, che tutte le signore vorrebbero accarezzare per trarne gran piacere.

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Confessione

Gaetano si fa scrupoli, or che si vuol sposare, s’affida a Fra’ Liborio per farsi confessare. - Padre, son malalingua e m’incazzo molto e presto; ma poi dico il Rosario e quello vale questo … Padre, sfrutto le donne e vivo sul bordello; poi sento messe e prediche … e questo vale quello. Bestemmio, rubo … truffo la gente e rincaro la dose a ogni pretesto; ma poi do l’elemosina … e quello vale questo. E adesso Fra’, sentitela quest’altra cannonata: vostra sorella, Brigida, me la sono chiavata… 9


Fra Liborio lo scruta: - Sei Gaetano? Ah, si, sei quello! Io mi fotto tua madre: e questo vale quello! -

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La bandiera

Il simbolo Italiano è la Bandiera con tre colori: il rosso, il bianco, il verde: il sangue dei dispersi, la neve di frontiera e … la speranza che giammai si perde e tutti insieme questi tre spezzoni formano un drappo, il nostro tricolore, che garrisce su miliardi di pennoni svegliando il senso eroico dell’onore e questo senso ispira il mio commento: “Sale la bandiera in alto come un razzo la gente guarda distratta un momento e poi non se ne passa neppure per il cazzo!”

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Il Cavaliere

Il Cavaliere Improta, benestante, autentico ed antico puttaniere, con un passato fulgido e brillante di chiavatore esperto e bordelliere, usa … ogni mezzo per tirarsi su: ancora va al “casino”, ma non ci chiava più. Si corica con numero di danza facendo il trio: la dama e il ballerino. Languide carezze riceve nella stanza, si succhia un seno, abbozza un ditalino, ma … niente: una tristezza … e che può fare? Non scopa! Paga bene ... e poi scompare. La scorsa notte, con Caterinella, la prima di una troupe di giocolieri, certo non si può dire proprio “bella”, ma è graziosa e col corpo ci sa fare: vanta un culo iperbolico ed un seno che nemmeno ad un morto, viene meno, ma, per il Cavaliere: effetto zero! 12


Sudati, come chi fa un trasloco a Ferragosto, provava a stargli sotto, tutta storta, lo succhiava, inzuppandolo, di gusto ma effetto alcuno ancora non sortiva. FinchÊ ridotta uno straccio, poverina, disse: - Qui lo sai chi ci vuol? La sorellina! - Tua sorella? - Ma certo, l’ acrobata: un portento! S’ avvita, fa capriole, il doppio salto, con lei ci riuscirete certamente. Mette le mani in terra, i piedi in alto, Spalanca le sue cosce e, figa al centro voi, Cavaliere mio, ce lo calate dentro. -

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A Giacomo Leopardi

Un tanfo di anticaglia: aria di cimitero intorno a se spandea, completa di miasmi. La tua poesia mefitica, col senso dell’ austero, intrisa di patenze, malanni e cataplasmi. Avessi scritto mai: - Mi sento bene veramente e il cuore mi borbotta in allegria … Niente! Col muso sotto, giravi eternamente, arrecando tristezza in ogni via. Pur devi assaporare un po’ di miele, nonostante l’amaro della vita non è che sappia tutta e sol di fiele. Anche per te, talvolta, sarà stata saporita. Ma invece, no! Che cosa ti costava tra cotanto dolor, lanciare un lazzo? Adesso, complimenti! Ma tutto è come stava: Vattene a fare un culo e non rompere il cazzo!

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Giovanni, detto: lo storto

Giovanni, detto “lo storto”: il massimo … Il migliore cliente: mi fa sborrar con l’anima ma senza darmi niente. Se vuoi che ti dia il massimo: offendilo. Dagli dei morsi in faccia. Strillagli: - Sei una chiavica! - poi storcigli le braccia. Di sicuro si eccita, ma lo devi picchiare, mettergli in culo un dito: glielo devi sfondare! Lo devi scottare; tormentar con gli spilli il suo cazzo ferito. E’ un vero masochista del sesso, un disgraziato, per avvocati e medici, è un grande depravato. Ma io sono una zoccola, mi piace la manfrina, perché mi placa l’anima, mi rende una regina! Quando perde le staffe, al letto si fa legare: allora torno femmina: mi posso vendicare. Contro agli uomini di sempre o di questa settimana, alzo la mano e “zacchete”, picchio … non sono più puttana. Dieci anni al marciapiede, come un povero straccio, mi esplodon tra le mani, colpisco, e so che faccio! 15


Questa, la dedico a quello che, illudendomi (una vera cacca), mi portava a fottere: alla monta, come una vacca; e questo è per il parroco, che per farci mangiare, anche davanti a mamma, si facea masturbare. Quest’altro va a mio padre, che sorride e sta zitto, perché gli faccio comodo: cornuto, ma è un gran dritto. E … prendi, adesso beccati questo: un forte morso in faccia, lo dedico a chi vive del denaro che valgo: il mio magnaccia. Il più schifoso di tutti ma ora gli appartengo: soldi, regali, macchina … lui comanda, e io spendo. Giovanni, detto “lo storto”: il massimo … si eccita, solo se lo colpite, e io lo faccio ... e coi colpi, medico tutte le mie ferite. Gli grido: Sei una chiavica, vali meno di un bottone: tua madre fotte con tua sorella e tuo padre è ricchione. Ma poi gli prendo la mazza e niente mi trattiene: torno latrina e zoccola … e me ne vedo bene! Duro come il marmo, liscio come la seta, è il suo cazzo; dolce come lo zucchero, lo prendo anche nel mazzo. Tanti anni per la strada, stronze! Non fate testo, tutte sciocchezze e chiacchiere: il vero cazzo è questo. E per mezz’ ora, spasimo, non importa il passato, eravamo nel fondo ed ora mi ha arrapato. Non sono che una zoccola, lo “storto” è un masochista, siamo gentaglia scomoda, siamo poveri cristi, eppure, chi ci supera? Anche i regnanti, infino, non sanno che si perdono. Ci fanno un bel pompino! Ti è piaciuto prenderle? E quante te ne ho date … ed ora noi godiamoci le migliori chiavate.

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M’ accovaccio sulla pancia, gli striscio il culo addosso - Succhiami … sfogati: godi e leccami la fessa. – E quando poi, sfiniti noi veniamo, con una mossa sola … il glande, rosso fragola, mi affonda tutto in gola. Ah, quella roba calda, con niente di più dolce il paragone faccio, mentre mi scende in corpo, mi godo a modo mio, tutto lo “spaccio”. Gianni … “lo storto” … il massimo: si alza e lascia il letto, e io torno, stronza e zoccola; indegna di rispetto.

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Passato remoto

La spranga a cui tendevi la pargoletta mano è ormai una settimana che non s’intosta più. Pure se piscio è moscia, se guardi fa paura, la povera creatura non si ripiglia più! Stanotte, in un anelito, lo sguardo stralunato, mi ha fatto una guardata, come dicesse: - Ehi, tu! Non so perché t’infuri e vai facendo il pazzo, ma mi volevi “Cazzo” fino all’ eternità? Ti ricordi in passato? Quando, come bastone, mi sapevi ostentare? Bhè … adesso tu ti fotti: mi devo riposare. -

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Idillio infimo

Un giorno una cacata solitaria abbandonata ai bordi di un sentiero, complice Luglio e l’ olezzo dell’ aria, s’invaghì dello stronzo di pompiere. Era ella aggraziata e formosetta, lui era grosso, scuro, prorompente. Lei ricordava un piccolo cappello. Lui torreggiava: imponente e bello. E in una sera tutta profumata, con la complicità d’ un gran moscone, lui ricevette la dichiarazione della piccola cacca innamorata. Lui si commosse, essendo triste e solo e da nessuno mai considerato. Volle subito bene a “cacatella”, di più che al culo che l’ avea creato.

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Ma per sfortuna, erano lontani. E sol la luna, i sassi e le verzure del piccolo viale solitario, potevano conoscere i tormenti di quei due timidissimi escrementi. E un bel mattino, erano le otto, un secchio d’ acqua, lesto, da un balcone, l’ effetto provocò sul grande amore, come il famoso libro galeotto, che a Paolo ed a Francesca prese il core. Benedicendo insieme la secchiata in fine, al cor si strinsero gli amanti. Piccoli oggetti, dell’ amore indegni, scambiarono tra loro, come pegni. E scivolando nell’ acqua delle alici, seguiti dai “moschilli”, planarono, felici. Così finì che cacca di stiratrice a nozze convolò con stronzo di pompiere e dopo, in viaggio, stettero abbracciati tra due cocci di “cantero” spaccati.

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La resa “ Te ne stai sempre tra le cosce a sonnecchiare senza svegliarti neanche per pisciare? E dire che eri un cazzo duro e liscio, ed ora ti sei fatto storto e moscio! Prima arrapavi spesso, bestia da fatica, soprattutto in presenza della fica, adesso triste, dormi sulle palle statiche e non ti svegli neanche tra due natiche. Povero cazzo mio, tu m’ hai lasciato, non so se sopravvivo al mio dolore; povero cazzo mio, te ne sei andato come chi s’ allontana, giace e muore.” Mentre con questi versi, farneticava Enrico, parlando solo, come fosse pazzo, lesto gli dissi: “Lo vuoi un consiglio, amico? Sputagli in faccia a questo vecchio cazzo!”

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Trattenersi: mai

Ditemi pure: porco! Ditemi: sei fetente! Ma io, quando scorreggio, ne godo veramente. Se mangio pasta e ceci e di fagioli un po’ e un piacere ascoltare come canta il popo’. Magari è un brutto vizio, ma, al fin, chi non lo tiene? Anzi, povero sciocco, chi il peto si trattiene. Vi sfido, contradditemi, anche senza rumore diventa divertente sentirne un po’ l’ odore. E’ questa un’ abitudine diffusa in ogni ceto; solo i signori, i nobili, si trattengono il peto.

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Se uno, per esempio, ha un forte mal di pancia, gli passa tutto e subito se due scorregge sgancia. Scaricare dal culo guarisce tutti i mali: e un peto, certe volte ti mette su le ali. Se questo non lo fai la pancia, grossa e goffa, appesterà l’ ambiente scaricando una “loffa”. E questo qui il motivo, chi lo trattiene è fesso: tanto è lampante e logico, che al fin puzza lo stesso. E’ un vizio ereditario, di far col culo tromba, papà faceva un peto più forte di una bomba. Lo giuro, e non esagero, che una volta, ricordo come adesso, abbattette una tavola e spaccò pure il cesso. Poi, mi diceva: - E’ inutile, la scorreggia è fetente: la puzza è micidiale, se sganci lentamente.

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C’ è chi fa la battuta: che il peto tuo è appestato, che è andato militare e che l’ hanno cacciato … allora tu ne scarichi uno “fenomenale” … e allora puoi gridargli: Tie’! Questo, è Generale! -

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La bella è addormentata

Ero giovane e montavo con veemenza. L’ eccitazione, per il bel possesso mi facea concentrare sull’amplesso e della fantasia facevo senza. C’ ho messo alcuni anni per scoprire tutti i ricoveri, possibili o nascosti, le ardite posizioni, i modi più scomposti, per potersi accoppiare e poi venire. Quando la forza dell’ impeto iniziale, gli ostacoli di vita e i pargoletti, mi resero più stanco ed attempato mi resi conto di aver capito male … Mi concentravo a rendere la copula più ardita, e lei, supina, non mi contrastava. Ma veniva senz’enfasi: un po’ m’ accontentava! Potendolo, optava per una gran dormita.

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Allora, alla ricerca di novello vigore: ripassai il Kamasutra, acquistai qualche “oggetto”, ordinai lingerie. Ma era tutto inutile, finivamo nel letto, il talamo noioso che invitava al torpore. - E allora cosa faccio? – supererò me stesso: cerchiamo amico, efebo o ragazza vogliosa, perché, si sa, il triangolo è cosa appetitosa. Anche qui m’accontenta e resiste all’amplesso, ma dopo qualche spinta, estrema ed ulteriore, come se niente fosse, ritorna al suo torpore. Lo so, la vita è dura e si stanca la donna, ma s’io non mi decido alzandole la gonna, lei, tra lavoro, fornelli e familiar consesso: nemmeno si ricorda che facevamo sesso. Allora guardo, e ammiro: che uomo fortunato! Forse ha ragione lei e io sono un depravato! Che gioia la Maserati ... averla in casa mia … ma se non spingo ... è ferma: è senza batteria!

©

Giovanna 2012

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