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“In tutte le lacrime indugia una speranza.� Simone de Beauvoir
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eatrice si precipita attraverso le viuzze e le scale che scendono verso il mare; nonostante l’apprensione sta assai attenta ai cumuli di rifiuti in putrefazione e ai tanti detriti sparsi sul selciato, non tanto per paura di sporcarsi quanto per evitare di inciampare, rischiando così di cadere rovinosamente; non vuole perdere quell’appuntamento, atteso con trepidazione da molti mesi. Altre mamme, intanto, arrivano da punti remoti: non portano niente tra le mani, solo tenui speranze e la loro preghiera a un dio che non conoscono più. Come le altre, Beatrice si muove cauta nella bruma del mattino; l’umidità e lo smog rendono quelle madri ombre. Come fantasmi infelici raggiungono silenziose la zona portuale. Mothers Bay, così era stata ribattezzata la loro, nonostante il nome ufficiale fosse Base Arcobaleno/32-IT. Il progetto era nato con floride premesse e costellato di rosee speranze ma, come tante opere dell’uomo, progrediva lento, a costo di lacrime e sangue. Le baie erano dislocate un po’ in ogni parte del mondo, su varie zone costiere; erano sempre nei pressi di enormi “spettri” di pietra; tutto ciò che restava delle grandi città. Beatrice non avrebbe mai creduto di assistere, in soli quarant’anni, a tanti cambiamenti, a un tale sfacelo. Spesso le succedeva di desiderare di non esser mai nata, ma poi volgeva il pensiero a Stefan e l’amore materno prendeva il sopravvento. Adesso siede sulla sua pietra, un semplice stallo in granito a picco sul mare; una lastra scura che degrada verso l’acqua. Scrutando i flutti ancora bui si sente stringere il cuore d’angoscia; le viene da piangere. Lascia che le lacrime cadano nell’acqua salmastra, forse alla ricerca d’una impossibile alchimia. pag. 5
Beatrice, si stringe nello scialle nero; fa ancora freddo ma l’alba è sul punto d’incendiarsi, per l’aurora. A est, i colori grigi e rossi del cielo avvelenato rinvigoriscono lentamente. L’appuntamento è per la mattinata ma tutte le madri sono già sedute ai loro posti, in silenzio; la maggior parte di loro veste di scuro. - Speriamo bene, - dice piano una delle donne più vicine – ho proprio un brutto presentimento, quest’anno... - Ho imparato a non sperare più – fa Beatrice, dopo un lungo silenzio, la voce trattenuta, come se ricordasse qualcosa solo a sé stessa – Questi non sono figli... io amo il mio Stefan ma non so più chi sia! -Però, tornano signora... nonostante tutto, a volte, ritornano, e che vuol dire? Che ci amano ancora, a modo loro, certo – dice un’altra, poco più in là. Tutte temono; tutte sanno che per alcune l’appuntamento non ci sarebbe stato, probabilmente per sempre. Gelate nel freddo novembre, guardano il mare e aspettano.
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ell’anno 2020, la Germania aveva creato un’alleanza con gli Stati Uniti. Non si era trattato di un incontro voluto dai popoli, ma della presa di posizione di alcuni “Poteri Forti” che rappresentavano gli interessi di pochi banchieri e di alcune famiglie miliardarie. La Germania si era ritirata dall’Unione Europea, considerando la sua politica troppo debole e poco incisiva. Il problema era il controllo della popolazione. Anche i grandi avevano paura; l’umanità aveva superato gli otto miliardi di individui. La scusa era la sicurezza ma, in realtà, tristi presagi aleggiavano sulla povera gente. Lo scopo dei ricchi era stabilire un ordine mondiale ma il desiderio nascosto era trovare il sistema di liberarsi di una buona metà della popolazione. Falliti i tentativi e le ricerche per trovare uno sbocco verso altri pianeti colonizzabili, l’obiettivo allucinante, la “soluzione finale”, sembrava l’unica speranza per donare ai sopravvissuti un pianeta più ecologico e vivibile... almeno per chi se lo sarebbe potuto permettere. Come eliminare quattro miliardi di persone? Come smaltirne i corpi, senza alterare l’ecosistema? La distruzione di massa non era una soluzione ma solo una follia della classe dominante; erano ricchi esaltati dal potere. Grazie alle loro strategie, applicate a una popolazione ipnotizzata dalla TV, avevano accumulato ricchezze e beni ma a cosa sarebbero serviti? I ricchi e i poveri erano prigionieri della stessa gabbia. Nonostante tutto, la guerra avvenne! Il terrore e la rabbia infiammarono gli animi. All’apparire dei primi focolai, la Cina, il Giappone e gran parte dei paesi Asiatici, che si sentivano i più minacciati a causa della densità di popolazione, sferrarono l’attacco. Conquistare l’America era più complicato; l’esercito “giallo” trovò più comodo dichiarare guerra alla Germania. In realtà, armi e militari si pag. 7
riversarono in tutti i Paesi della vecchia Europa. Il blocco occidentale tentò una debole risposta ma senza speranze. Non c’erano veri soldati. Paradossalmente milioni di giovani validi erano del tutto impreparati a combattere, e questo valeva anche per gran parte degli orientali. La vita comoda, ai limiti del parassitismo; anni e anni passati davanti a un video, a un computer... Avevano vissuto un’esistenza virtuale, erano inadatti al contatto fisico, all’uso della violenza. La maggior parte cercava di rifiutarsi di partecipare alle operazioni belliche, organizzando sit-in e manifestazioni di protesta quando, con la forza, venivano costretti alla vita militare, al fronte si aggiravano senza meta precisa in manipoli scombinati e anarchici, sperduti e perduti sul campo di battaglia. Non riuscivano a identificare il nemico; non riuscivano a sparare; erano incapaci di obbedire correttamente o di prendere iniziative di carattere pratico. Il passo successivo fu il ricorso alle armi atomiche: e avvenne la catastrofe.
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ul ponte dell’Unità Speciale Oceanografica Nemo, un vecchio osserva il mare grigio, appena increspato. Scruta l’orizzonte senza un obiettivo preciso. La mente perduta nei ricordi, confusa riguardo al futuro. Lui e la sua squadra avevano dedicato anni a un progetto folle: adesso l’esperimento gli era del tutto sfuggito di mano. È il giorno del quinto appuntamento, il professor Finley stringe il corrimano tra le dita, sa di essere impotente; l’operazione delle Baie era stata solo un disperato tentativo di salvare ciò che restava dell’umanità. Uno scienziato non ama tanta “insubordinazione” nei suoi obiettivi, adesso lui e i suoi dovrebbero solo monitorare, per quanto possibile, le conseguenze dell’esperimento. Quando la grande guerra aveva cancellato il futuro della Terra, furono selezionate circa diecimila donne, ingravidate da poco. Tutte, per un motivo o per un altro, non contaminate dalle radiazioni in maniera rilevante. Vennero informate sullo stato del pianeta e sull’esperimento di Finley. “Nelle prime settimane di vita, l’embrione umano attraversa rapidamente vari stadi evolutivi fino a trasformarsi, per alcuni giorni, in una specie di anfibio. Il piccolo, in quello stato, era più simile a un pesce che a un essere umano, presentava persino un accenno di branchie. A quel punto le scoperte degli scienziati vennero adoperate sui feti che, probabilmente, avrebbero potuto evolversi con una nuova, ma forse, primordiale capacità: sopravvivere nel mare aperto.” Non esistevano particolari certezze ma era l’unica speranza che rimaneva alle donne della terra. Seimila mamme accettarono e, dopo alcuni mesi, quasi a tutte nacquero strani bambini: bianchi come la cera, le braccia corte e i piedini particolarmente allungati, come fossero pinne. I piccoli esseri erano bruttini ma non per le mamme e, miracolosamente, erano sani. pag. 9
Intanto furono create le Baie Arcobaleno, tutte più o meno, nei pressi dei vecchi porti. Ogni madre aveva ricevuto una postazione: era formata da una pietra laterale e da una specie di vasca. I piccoli allattavano al seno e le mamme, per quanto possibile, restavano in acqua insieme a loro. I nuovi mutanti riuscivano a stare anche all’aria ma il loro elemento diveniva ogni giorno di più il mare aperto. Così, dopo circa un anno, i piccoli che si sviluppavano a notevole velocità, man mano che crescevano, lasciavano le madri e la terraferma per periodi sempre più lunghi, fino a sparire, per sempre, nell’oceano. Dalla nave, Finley, aveva la possibilità di monitorare gli spostamenti dei ragazzi ma non di capirli. La vita dei figli dell’operazione Arcobaleno era un mistero. Non si era trattato di un’evoluzione ma di un’involuzione, almeno secondo i nostri parametri culturali. Ciò che si conosceva della nuova razza non bastava agli scienziati. Finley doveva delle risposte a sé stesso, ai membri del team, ai suoi finanziatori... Il comandante della Nemo, Kosta, si avvicina allo scienziato: - Gli uomini sono pronti, professore... Finley si riscuote, sembra più vecchio e provato del solito. - Bene, capitano, arrivo! – segue il militare, per scale e corridoi fino alla piattaforma a pelo d’acqua. Due sub, attrezzati di tutto punto, aspettano solo un ordine. - Signori, conoscete tutto del progetto... – comincia lo scienziato. Altri dei suoi sono presenti; nessuno ha dormito, quella notte. - Fate del vostro meglio per portarceli su vivi, sarebbe un bene, per loro e per noi ma – sospira spostando lo sguardo verso il mare – se proprio è necessario... portateci almeno i corpi. La nostra conoscenza è ferma e Dio sa se possiamo permettercelo! A Tania, la biologa, si stringe il cuore: - Ma almeno non si può aspettare dopo l’incontro con le mamme? In questo modo ne ammazziamo due: uccidiamo il figlio, e spezziamo il cuore a sua madre!
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- Tania, ti prego – risponde Finley, duro – lo sai bene come stanno le cose! Solo adesso possiamo conoscere il loro percorso, dopo si disperdono veloci e scendono a grande profondità. - Tania, perdonami – dice con una certa delicatezza Kosta – se li avessimo voluti uccidere lo avremmo già fatto. Stiamo facendo tutti del nostro meglio perchè ai “ragazzi” non accada niente di male. – I sub annuiscono, sono impazienti di iniziare la missione. Carlo, il più giovane, interviene a sua volta: - Ci sono anche quelle strane “foche” o cosa diavolo sono, pare che al di sopra dei cinquanta non salgano mai; dai controlli Sonar, intendo. Non ci teniamo a scontrarci con quei siluri misteriosi... non somigliano a nessun pesce conosciuto, però sono grossi, e molto. - Ok, lasciamo perdere! – dice Tania, e si allontana stizzita nel corridoio che la riporta nello scafo. E’ una scienziata, sa benissimo cosa faranno ai ragazzi... vivi o morti, la loro sarà solo una lunga agonia. Per forza: lo scopo finale di Finley e degli altri è sezionarli per studiarne le trasformazioni fisiche strutturali. “Siamo il cancro di questo pianeta.” pensa amaramente Tania tra sé.
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ntorno a lui, il nero intenso e freddo diviene lentamente blu profondo. Lo strano ragazzo, che qualcuno aveva chiamato Stefan, si riscuote dal torpore. È ciò che per lui rappresenta un vero e proprio sonno, ma senza sogni. Un piccolo guizzo, poi cerca con il naso sensibile e schiacciato la presenza dell’altro che, tanto tempo prima, è stato chiamato Gray. Lui, Gray e altri come loro condividono con milioni di esseri viventi il rifugio rappresentato da un enorme e frastagliato banco roccioso. Le cavità e le fenditure, scavate dal mare nella lava primordiale, fornivano una tana e una difesa in quel mondo strano e ostile. Ogni essere, celato negli anfratti, aveva ha un solo scopo e nessuna filosofia, nessun ripensamento. L’unica spinta a tirare avanti è un comando immotivato ma potente: sopravvivi! Sopravvivere, nell’immenso oceano, comprendeva soltanto due azioni: cercare una preda da mangiare e... fare del proprio meglio per non essere mangiati a propria volta. Questa semplice equazione è l’unica legge vigente. Nonostante la violenza di certe improvvise battaglie per la vita, non esiste alcuna malvagità, nessun preconcetto, solo l’infinito bisogno di cibo. In certi periodi speciali, un nuovo comando prende il sopravvento sul destino di quelle creature: accoppiati! Tutti, periodicamente, nei modi più strani e incomprensibili, si ritrovano a vivere il cosiddetto periodo “degli amori”; allora l’accoppiamento o la partenogenesi erano la principale occupazione dei viventi nel mare. Chiamare amore questi periodi ottusi di frenetica ricerca della fecondazione è un eufemismo. Dopo, però, il misterioso attaccamento delle madri alla propria progenie, ha sempre in sé qualcosa di meraviglioso e misterioso al tempo stesso. L’amore di una madre per i propri piccoli incute un rispetto sibillino in ogni creatura, a qualsiasi stadio della sua evoluzione.
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Nell’oceano c’erano altri come loro; si riconoscevano, non si attaccavano, non sapevano cosa avessero in comune; era troppo presto per identificarsi in una stessa razza. Come gli altri, i due, ignoravano del tutto le loro origini e il loro destino. Da qualche tempo Stefan e Gray s’erano fatti ancora più guardinghi, si sentivano osservati. Lunghi esseri, scuri nell’oscurità, percepiti a stento con le nari, gravitavano assai spesso nello spazio buio che li circondava, senza mai farsi avanti. Non gli davano la caccia, anche se ne avevano avuto l’occasione, però li seguivano discretamente: forse li controllavano. Gray arriva e si pone al fianco di Stefan. È il grande giorno, lo sanno, lo sentono, anche senza calendario. Da quando hanno lasciato la costa, abbandonando chi li aveva allattati, per iniziare questa nuova vita solitaria, i ragazzi, guidati a intervalli regolari da un misterioso richiamo, tornano alla baia dove sono nati. La prima volta le madri furono chiamate, avvertite dal monitoraggio dei tecnici di Finley, e corsero alle Baie: la stessa cosa era accaduta, simultaneamente, in tutto il mondo. Da allora, ogni anno la cerimonia si ripete e, contrariamente a qualsiasi logica, i ragazzi ritornano all’unisono, senza concertarsi, senza sapere nemmeno perchè. Non tutti ritornano, certo: la legge del mare non perdona. Quelli che ce la fanno, invece, passano ore con le madri: girano intorno alle loro pietre e ci scivolano sopra per lasciarsi accarezzare. Nient’altro, poiché i ragazzi non sanno e non possono parlare. Le carezze delle mani calde sulla pancia e sul dorso, i sorrisi e gli occhi dolci delle donne, valgono i rischi del viaggio. I mutanti non sanno il motivo ma ogni anno, in un certo giorno di novembre, sentono il bisogno di tornare a riva, alle Baie Arcobaleno, là dove ha avuto inizio la loro incerta avventura solitaria. Nuotando come delfini, i due compagni saettano nel blu. I loro occhi sono più grandi di quelli umani ma, nel buio degli abissi servono anche nuovi sensi, e loro li stanno man mano acquisendo: i mutanti vedono e sentono in maniera diversa, nuova. pag. 13
I ricercatori annotano alla meglio ciò che del loro comportamento riescono a seguire però, negli abissi bui, dove ogni luminescenza può essere una trappola gli strumenti servono a poco. Le nuove creature stanno sviluppando organi nuovi e specializzati, nuovi sistemi adatti ad affrontare quel tipo di vita. Tutto questo adattarsi sembrava troppo repentino, troppo improvviso; una certa ipotesi si era fatta strada grazie alle analisi di Finley e dei suoi: quelle caratteristiche parevano scaturire spontaneamente sì, ma da un passato remoto. L’essere umano, come tutte le creature, proviene dal mare: forse, dopo milioni di anni, riemergeva ora una traccia, un progetto primordiale, scartato e perduto. Finley e gli scienziati volevano sapere, indagare... sezionare. A dieci anni dalla nascita, i nuovi sono già adulti. Incredibile a dirsi, all’epoca, tutte le donne partorirono maschi eppure, adesso che si stavano adattando alle nuove condizioni di esistenza, parte di loro iniziava a presentare una trasformazione genitale: molti maschi stavano diventando femmine. Inoltre le unità sparute, tremanti e aliene nell’oceano, cominciavano a riunirsi in branchi e a seguire spontaneamente un capo. Così era andata con Gray che, da un po’, era divenuto gregario di Stefan. Adesso scivolano veloci, determinati, verso il chiarore in direzione della Baia guidati solo dall’istinto. Gray segue a ruota Stefan ma, improvvisamente, gli piomba addosso con tutto il suo peso. Due strane figure attendono i ragazzi al limitare delle acque più chiare. I due sub, perso l’effetto sorpresa, si catapultano insieme verso Stefan, mentre armano una spessa rete. Per fortuna l’ago soporifero ha colpito il giovane di striscio, provocandogli una lacerazione ma senza riuscire ad addormentarlo. Gray, invece, è rotolato sul corpo del compagno e perde l’orientamento. Terrorizzato, finisce facilmente nella rete dei cacciatori. I ragazzi sono troppo vicini perché i due uomini addestrati mollino la preda. Uno, armato di un bastone elettrico, pungola Gray sul fianco e lo rende inoffensivo, lasciando l’altro a terminare il bloccaggio della preda; si volta verso Stefan, adesso che è quasi a portata di scossa. pag. 14
Si spinge deciso con un violento colpo delle pinne e tende l’asta verso il ragazzo ma stavolta tocca a lui restare sorpreso. Il corpo del sommozzatore viene spedito lontano da un colpo possente, alla schiena. Qualcosa lo ha sbalzato via facendogli compiere varie giravolte prima di riuscire a ristabilirsi. Il cacciatore si ritrova a parecchi metri dal campo d’azione. È abile e addestrato, si riprende rapidamente ma ciò che vede lo immobilizza per lo stupore... Un gruppo di creature scure ha circondato Stefan e, quasi sorreggendolo, lo trascina via a velocità incredibile, lontano dalla portata delle armi. Poco più in là, anche il suo compagno assiste sbigottito a tutta la sequenza. Quando si riprende dalla sorpresa, il militare tenta di respirare e solo allora si rende conto che, nell’urto, ha perso il bastone elettrificato e che il tubo di alimentazione dell’erogatore è spaccato e disperde il prezioso ossigeno sotto pressione, in mare. La missione è terminata, ora i due devono concentrarsi sulla difficile operazione di risalita. Nonostante tutto hanno una preda, il povero Gray che, anche se serrato dalla rete, si sta riprendendo e comincia a scalciare. Gli uomini però sono nervosi e impauriti: hanno a disposizione un solo erogatore, adesso, e non sono in vena di cortesie. Uno dei due affonda l’ago soporifero direttamente nel collo del ragazzo. Gray si addormenta subito: se sarà fortunato da quel sonno non si sveglierà mai più.
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lle nove del mattino il sole ha la meglio sul grigio autunno. Lontano, fuori dalla Baia, la nave di Finley si allontana silenziosa verso l’orizzonte. Il predatore si eclissa come un ladro che ha ottenuto la sua preda. Tania, scrutando dal ponte la Baia lontana pensa con amarezza che, alla fine, il sacrificio del ragazzo catturato è servito a far desistere l’equipe dal cercare di indagare sulle creature misteriose. Almeno per adesso, una parte della natura era sfuggita alla morsa ottusa di una scienza sbagliata. Più passano gli anni più la biologa si convince che l’approccio dell’uomo col creato è del tutto errato. Nella Mothers Bay le mamme scrutano attente il mare. Lentamente le prime sagome, tanto attese, s’intravedono a malapena tra i flutti, lo sciabordio dell’acqua sulle pietre aumenta di ritmo e di intensità. I ragazzi sono tornati, girano guardinghi per la baia poi, sempre più decisi, puntano verso le pietre dove sono stati allattati. Gran parte delle donne, scaricata la tensione, si agitano e gesticolano. Quando i primi ragazzi sgusciano festosi sui massi lisci, i pianti di gioia si mescolano alle lacrime di chi ha atteso inutilmente: ci sono madri che non avrebbero mai più rivisto il proprio figlio, proprio come la mamma di Gray. Beatrice non piange più. Ora è un fascio di nervi, non va via e aspetta imperterrita come pietrificata sulla sua postazione. Non accetta di perdere Stefan, non così... adesso è decisa: se il suo ragazzo non torna, quel giorno sarà lei a raggiungerlo, abbandonandosi per sempre nella acque gelide dell’oceano. Ma succede qualcosa che sarà ricordato per sempre, un gesto semplice quasi insignificante, ma segna l’inizio della Nuova Era. Un filo di speranza si dipana, esile, dall’oceano profondo e sconfinato. Poco fuori dalla baia l’acqua s’increspa in modo anomalo. Il punto è lontano e non si vede bene ma è chiaro che quella spuma è pag. 16
provocata da un brulicare di corpi: un branco di creature, lunghe e scure, dall’aspetto misterioso e insolito. In due si staccano dal branco, come saette ispezionano attentamente lo specchio d’acqua prima di avvicinarsi di più al porto. Sono esseri di oltre tre metri e hanno dei lineamenti incredibili. Eppure in chi guarda è netta la sensazione di averli già visti, forse nei sogni o forse è solo l’immaginazione. Altri due si staccano dal gruppo, si avviano decisi verso terra. Nuotano rapidi e, in pochi secondi, sono davanti alla roccia di Beatrice. La donna trasale quando una testa lucida e bruna la osserva con i due grandi occhi opachi e inespressivi. Poi la creatura arretra e, voltandosi contemporaneamente alla sua gemella, deposita sulla pietra liscia qualcosa... è un corpo: provato e ferito, con la spalla livida ma vivo. È Stefan! Beatrice sussulta mentre la vita ritorna a circolare tra le membra gelide del figlio. I due strani “pesci” sporgono la testa dal mare, come per controllare che il loro operato fosse andato a buon fine. Tutti videro, e videro bene: i lineamenti del viso degli esseri dalla pelle colore del piombo avevano inequivocabilmente tratti femminei, vagamente umani. Le movenze sinuose ricordavano il corpo di una donna. Si allontanarono verso il largo, spuntarono due lunghe gambe, che terminavano con uno strano piede dalle dita palmate. Arrivati al centro della Baia, i quattro esseri marini si sporsero tutti, col busto fuori dal mare, osservando e lasciandosi osservare. Il momento è solenne, il silenzio tangibile. Davanti agli occhi di quella gente, il mito divenne realtà. Le quattro Sirene si rituffarono tra i flutti e si allontanarono veloci in direzione del loro branco. Poco dopo il mare si richiuse su quel nuovo mistero. Le mamme osservarono stupefatte tutta la scena, anche le webcam avevano registrato quelle immagini che avrebbero fatto il giro del mondo. Un branco di sirene, gli esseri mitologici cantati dagli antichi naviganti, aveva appena visitato la Baia delle Madri. pag. 17
I nuovi figli dell’uomo sembrava fossero stati accettati dall’oceano. Fu un giorno memorabile e non sarà dimenticato, qualche ora dopo le mamme lasciarono andare i loro ragazzi; capirono che stavolta sarebbe stato per sempre. Nuove ma antiche “mamme”, da adesso, si sarebbero prese cura del futuro genere umano. Tante lacrime si sono sparse sulle rocce della Baia e la risacca della sera se l’è portate via, verso il mare aperto, insieme alla speranza di un domani migliore.
Giovanna’S
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