Un amore piccolo, piccolo tratto da una storia vera
GIOVANNA S.
Š Giovanna S. - 2013
A Fedra, che fa vivere le favole.
“ Inaspettatamente si asciugò una lacrima con la mano destra, e proseguì: - L’amore ci si parò dinanzi come un assassino sbuca fuori in un vicolo, quasi uscisse dalla terra, e ci colpì subito entrambi. Così colpisce il fulmine, così colpisce un coltello a serramanico! Del resto, lei affermava in seguito che non era così, che ci amavamo da molto tempo pur senza esserci mai visti, e pur vivendo lei con un altro… e io, allora… con quella, come si chiama?... ” MICHAIL BULGAKOV
Prologo La Signora in nero con la grossa falce che mandava riverberi d’argento, se ne stava tranquilla e sorniona, seduta su un grande masso, sulla faccia nascosta della Luna.
La musica siderale era una lenta e solenne cantilena, che con la sua pulsazione perenne dava un senso di pace e quiete; ma la Signora era troppo antica per lasciarsi ingannare da quella falsa tranquillità. Li vide arrivare da lontano, rombanti come un temporale che si avvicina alla fine della stagione, c’erano tutti: tutti gli dei più antichi dell’Universo, e quando si riunivano per applicare la loro attenzione su un Quadrante, qualche evento speciale stava per accadere. La signora in nero attendeva e si compiaceva del suo potere. Vederli in consesso a discutere era una cosa che capitava sempre più di rado; avrebbe rotto la monotonia dei millenni e comunque, alla fine, sarebbe spettata sempre a lei l’ultima parola. Urano, il più esperto riguardo alle scienze astrali, zitti la pletora che lo scortava: - Ripeto che la questione introdotta da Venere non è altro che una perdita di tempo, non esiste alcuna prova che colleghi i due destini! – - Sei vecchio e presuntuoso, come sempre, e privo di sentimenti. affermò decisa la Dea dell’amore. - Non è così! I sentimenti li abbiamo tutti ma non per questo dobbiamo essere schiavi delle illusioni, come capita a chi, come te, lascia sempre la porta aperta a futili fantasie e amori impossibili. – - Se non fossero impossibili non sarebbero veri amori – replicò la bella, adornata di luce siderale – dovresti saperlo che l’Amore è una forza del creato e da il massimo della sua energia, quanto più è potente la differenza di potenziale! - Oh, insomma - intervenne Cassiopea – mi pare che Venere abbia portato delle argomentazioni. Non è qui per parlare a vanvera. – - Grazie, sorella – disse raggiante la Dea – lo Zodiaco parla chiaro e questi destini si sono già congiunti due volte attraverso i millenni, guardate. – così dicendo proiettò lo sguardo nello spazio buio, illuminandolo di una luce azzurrina. Su quel fondale evanescente si fecero spazio due figure che procedevano, mano nella mano, per le strade polverose di un villaggio egizio, sullo sfondo, le tre Piramidi troneggiavano bianche e luminose, riflettendo la luce solare. Gli dei, in pochi istanti, colsero
tutta l’innocenza e l’intensità di quell’amore ma non fu la sola manifestazione del miracoloso incontro d’anime. L’unisono tra i due fortunati continuò, oltre mille anni dopo, quando in un villaggio della Gallia, il grosso e forzuto Hackmud, stringeva tra le mani una piccola creatura. Era appena nata da una donna massacrata dai Romani, insieme al resto degli abitanti del suo villaggio. Hackmud non si staccò mai più da quella bambina, che divenne una fanciulla e gli fece ufficialmente da figlia. Il loro amore non trovava confronti... mai si era vista tanta dedizione, neppure tra un figlio e il suo vero padre. - E tu affermi che le due Anime sono quelle stesse? – disse Crono, col suo tipico atteggiamento un po’ beffardo. - Mi meraviglio – ripose Venere sdegnosa – che proprio tu, tu che sei il principale responsabile degli scherzi del tempo, che a volte sanno essere odiosi... – - Piano, piano, non scaldiamoci – intervenne Urano, che era sempre il più pratico e realista – Controlliamo le mappe, confrontiamo i percorsi, solo dalle stelle potremo leggere i segni che il tempo ha impresso nel destino di questi mortali. Così, gli antichi Dei si persero, tra previsioni e quadrature, tra congiunture e precessioni, finché scoprirono qual’era la causa delle loro divergenze di opinione: tra le date astrologiche e le date astronomiche esisteva un divario notevole e la faccenda, vista col cuore, era in antitesi con la prospettiva della matematica pura. Così, dato che gli Dei, in fondo, sono un po’ sentimentali e dato che l’Amore provoca più caos della fredda geometria siderale, chiusero volentieri un occhio e donarono una primavera in più a due spiriti predestinati in un mondo sempre più grigio, avido, banale. La Signora in nero, non provando sentimento alcuno, non fece altro che deporre la sua falce, affilatissima, appoggiandola sulla luna, appena entrata nel primo quarto. Per un attimo dal corpo celeste un riverbero d’argento invase lo spazio, rendendolo lievemente più luminoso. Sulla Terra, nessuno se ne accorse, ma il fato cambiò impercettibilmente direzione.
1 Quando finisce un amore provi una sensazione che ti rende ottusa e insicura, è come se niente, assolutamente niente, di quello che è successo nell’intervallo tra il momento A e il momento B fosse mai accaduto veramente. Non importa se quest’amore è durato un giorno o una vita intera, quando finisce, al suo posto resta solo il vuoto: un vuoto incolmabile... un pezzo di vita sprecata. E’ come salire su una scala, faticosamente, una scala impervia, a ogni gradino corrisponde qualcosa: momenti belli, momenti brutti, esperienze... ricordi. Poi, una mattina ti svegli e... sei di nuovo al punto di partenza. Tutto quel tempo vissuto, tutti gli scalini superati, non ti lasciano nulla, se non l’amarezza e quel senso, incolmabile, di vuoto dentro. Ti senti talmente inutile che vorresti scoppiare di tanto... vuoto! “Bah! Domani è un altro giorno, la routine mi inghiottirà come un mostro inesorabile, e amen.” pensò la signora Effe sul comodo divano, un po’ troppo spazioso per una persona sola. La TV trasmetteva cose che lei non guardava e la sua gattina dormiva placida sul puff preferito. Effe sgranocchiava qualcosa nervosamente, mentre una lacrima si seccava prima di riuscire a scorre sul suo volto, lievemente triste. Si alzò dal divano; era tardi. Tra poco sarebbe andata a letto, passò dal bagno, poi si lavò i denti e, intanto, si guardava allo specchio. Chi era quella donna? Perché non era più la ragazza, che riceveva fiori di campo da uno studente innamorato? Eppure la fanciulla era li, da qualche parte, ma non la trovava più; avrebbe voluto vederla rifiorire, almeno un giorno, per mostrarla in giro come un trofeo, come una coppa vinta a un torneo. Avrebbe voluto dire a tutti: - Ecco, ecco: io sono così! Non mi è successo niente... non ho mai sprecato il mio tempo e nessuno mi ha fatto conoscere il dolore, la tristezza, l’umiliazione. Sono solo una ragazza: non so ancora cos’è il
vero amore! – Effe si asciugò la bocca e rise di se apertamente. Per fortuna la natura l’aveva dotata di una simpatia naturale ma, soprattutto, del dono dell’ironia: una medicina importante per superare meglio i momenti più difficili della vita. Ma da dove le nascevano quei pensieri? “Sarà la Luna!” pensò, vedendo dalla finestra, quella falce, ferma e luminosa, che spiccava nel cielo notturno come un sorriso sbilenco. Ogni volta che Effe vedeva la luna così non poteva fare a meno di goderne, ricordando un personaggio che tanto aveva colpito la sua fantasia: lo Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie.
2 Gli odori orribili degli ospedali: il dolore, l’abbattimento, la sofferenza... Quella spossatezza delle membra che se non la provi non la puoi capire: all’improvviso il male divampa dentro di te, come esplodono quegli incendi impossibili che divorano un palazzo solido, devastandolo. Il male cova, il fuoco cova, come tutte le cose maligne, agisce nell’ombra e di nascosto, per poi colpire con tutta la sua forza nel momento in cui sei più indifeso. Ah, com’è bella la sincerità che arriva trionfante alla luce del sole. Nella notte tutto si era complicato; dopo il dolore era diventato calore e la passione per le persone che amava si era trasformato in compassione. Poi il distacco, fatale, decisivo: come guardare un fiume che scorre e sapere di non poter fare altro che guardarlo scorrere, perché è diventato troppo impetuoso. - Sei stato fortunato, il dottore dice che poteva andare peggio... – la moglie del signor Gi non mostrava particolare interesse ma, comunque, era li, dopo tutto. Era stata una brava donna. Gi la guardò con quella nuova “compassione” che aveva sperimentato da poco, leggermente fatalistica, priva di emozioni forti. Rassegnata alla vita e, perché no? quando il signore vorrà, alla morte. Nonostante la debolezza, lo stress e i patimenti Gi si sentiva più sereno nei confronti della vita. Le parole sono semi, è vero. Qualche tempo prima una parola breve, semplice ma fatale, lo aveva segnato: Cancro. Quelle sei lettere avevano agito nella sua mente come le cellule malate avevano agito dentro il corpo: devastando le sue certezze, le sue convinzioni ma rendendolo, forse, un po’ più coraggioso. Coraggioso nei confronti della vita, delle emozioni, quelle vere, non quelle che “crediamo” di dover provare. Dopo la convalescenza, finalmente a casa, il signor Gi riprese pian piano possesso delle sue cose, della sua esistenza. Lo sapeva, sarebbe
stata solitaria ora che le figlie avevano preso la loro strada e vivevano lontano. Si rassegnò con meno tristezza a una vita un po’ piatta e con pochi piaceri; Amore, poi, sarebbe stata una parola grossa e, mestamente, si accorse di non saperla usare... almeno non con la donna con cui divideva la vita: non combaciava. Ma Gi non si lamentò: l’aveva scampata bella e, più di prima, amava le piccole cose, quelle più semplici. Ogni giorno ritrovava il piacere di vivere; era una persona solare; una persona amata dagli amici, dai colleghi e questo era impagabile: una vera gioia per l’anima. Appena poteva si gustava i suoi piccoli grandi hobby e... la “passionalità”? Anche per quella, aveva trovato un suo angolino segreto per sfogarla, per condividere il gioco del piacere, scrivendo racconti sul web. Un modo intrigante e divertente per comunicare anche il calore che si portava dentro, senza spezzare la piattezza di un ménage già difficile e che rischiava di diventare impossibile.
3 - Ma tu guarda questo che fantasia fervida! – Effe sorrise davanti al suo PC per stemperare il lieve rossore che si era dipinto sulle sue gote rotondette... dovette ammettere con se stessa che non era tanto la pudicizia quanto una lieve eccitazione a tingerle il viso. Strinse i pugni: la parola le suonava strana era da tanto che non provava della vera, sana, gioiosa eccitazione! Era da tanto che non palpitava, anzi, dopo i dolori e le delusioni, con la maturità e un pizzico di saggezza, vedeva il piacere, la gioia di vivere, come ricordi felici di una gioventù passata e lontana. Nella solitudine di quella sera, ispirata dalle parole bollenti scritte da chissà quale “spirito” sperduto nell’etere, le dita di Effe iniziarono a battere sui tasti: non poteva lasciare così quell’essere lontano (eppure tanto vicino)... tanto da farle rimescolare lo stomaco solleticando desideri e passioni accantonate. Sentiva il bisogno di dirlo, come una specie di ringraziamento, come un cenno di comprensione. E scrisse la prima, breve e-mail, a quella persona sconosciuta. Avrebbe potuto essere chiunque, uomo, donna, giovane o anziano e lontano chissà quanto... forse scriveva dall’altra parte del mondo. Il giorno dopo arrivò la risposta e Effe ne gioì come una bambina e, senza che se ne accorgesse, dietro la sua nuca una piccola scintilla scoccò e accese una fiammella insignificante... eppure, da quell’esca, si sarebbe sviluppata la fiamma di un amore sconosciuto che avrebbe arso, e illuminato tutta la sua esistenza. Fu così che Gi entrò nella vita di Effe. Come due liceali si conobbero sul web, sorprendendosi a vicenda e ridendo di sé stessi senza malizia. La loro storia, il loro incontro, era così incredibile che non riuscirono mai ad abituarsi del tutto a questa specie di miracolo.
Inutile dirlo: i due si subissarono di mail. Si dicevano tutto l’un l’altro e ogni volta che si lasciavano, restavano con l’amaro in bocca; avevano la netta sensazione di avere tanto ancora da dirsi, da condividere, da spartire. Una valanga di sentimenti inattesi li travolse, e non ebbero neppure il tempo di valutare attentamente le rispettive sensazioni. Sapevano che erano fatti l’uno per l’altra e, quando finalmente si incontrarono, non poterono che confermarsi una passione che li portò l’uno tra le braccia dell’altra. Dimentichi di tutto: delle loro rispettive esistenze, degli impegni e delle convenienze. Si desideravano parlando e, quando si incontrarono, non poterono che abbracciarsi, avvinghiarsi, per placare una sete che nessuno dei due credeva di poter provare con tanta determinazione.
4 La loro vita cambiò. La parola routine sparì dalle labbra stanche e venne sostituita da voglia d’amore, d’avventura e gioia di vivere. Gli ostacoli divennero piccoli davanti al loro amore e li superarono uno dopo l’altro con la forza del loro sentimento, col sorriso sulle labbra. Non importa quanto grande sembrasse l’ostacolo. Niente li spaventava, l’importante era finire, presto, tra le braccia dell’altro. - Gi, ma cosa combini? – una zia affettuosa lo metteva in guardia, e lui le sfuggiva, come un ragazzino che non ha voglia di fare i compiti. – Ma ti rendi conto che la tua ex-moglie ti porterà via tutte le tue “cose”? – e lui sorrideva, fingendo di preoccuparsi, per accontentarla: quella donna affettuosa era stata una seconda mamma per lui. Ma adesso che importavano le “cose”? Che importava ormai del ninnolo? Una vecchia fede, l’orologio d’oro... la collezione di francobolli... magari i residui d’un corredo tarlato? La vita scivolava veloce e come un presagio, lui sentiva che il suo tempo era prezioso e voleva passarlo dedicandosi all’amore, appena ritrovato Ne rideva con Effe. Le piccole beghe del quotidiano lo annoiavano: adesso che aveva assaporato la vita: i fronzoli a cui ti appigli quando non hai niente di meglio da “amare” diventavano briciole... granelli di sabbia di cose caduche. Il tempo le avrebbe trasformate in polvere. Ma il loro Amore no, quello sì che meritava tutta la sua attenzione, era: “possesso perenne”. I giorni sempre uguali, le storie irrisolvibili, si perdevano adesso nella nebbia del disinteresse e venivano risolte per liberarsi di ogni impedimento, come capita a chi è rimasto prigioniero per troppi anni: oggi che ha trovato “la vita”, vuole viverla intensamente e cerca di infrangere ogni pesante e sterile catena.
Si incontrarono in una grande città e d’improvviso anche il traffico divenne romantico, il caos piacevole, la gente... socievole: e poi era primavera e in primavera il mondo riesce a sorridere, dappertutto. Come due ragazzini si cercarono, come due amanti “peccarono” ma il loro peccare non feriva nessuno, se non le abitudini di un esistenza grigia. Per i due, invece, fu un esplosione di sensi inaspettata e ciò che credevano sopito, se non perso della loro anima stanca, si rivelò invece potente e coinvolgente. I baci non si contarono e il desiderio delle braccia dell’altro non passava mai. Quando dovettero lasciarsi sentivano ancora bisogno di stare insieme; da quella volta contavano le ore e il tempo trascorso da separati, sembrava perduto. Così decisero di cambiare... meglio, di rivoluzionare le loro esistenze, perché una sola cosa contava adesso: due anime si erano ritrovate, per fondersi in un sentimento nuovo. Un mistero che non si poteva spiegare ma che aveva una semplice soluzione: amarsi ogni giorno, semplicemente, automaticamente, era facile come camminare, come respirare. “Dopo i cinquanta inizia uno strano percorso di montagna,” le scrisse lui “sai di essere arrivato sulla vetta di qualcosa ma, se ti guardi alle spalle, ti sembra di aver fatto tanta di quella strada da doverti sentire stanco, per forza... però se hai la fortuna di guardare davanti a te, allora ti accorgi che la vita non è finita, anzi: ti senti rinascere, forte deciso, assetato d’amore. Per tutto questo ti ci vuole una guida, un’ispirazione... ecco perchè ringrazio il cielo di averti incontrata. Con te sono rinato e ho ritrovato la gioia di vivere.” Venne l’estate e dopo l’estate, la moglie di Gi, come recitando una scena ripetitiva, chiese a lui di separarsi, ma Gi non rispose secondo copione... non disse di tirare avanti, stancamente come sempre: accettò raggiante, lasciando lei allibita e tutti sorpresi. Dopo tutto cambiò! Come sentisse che quando la vita ti fa un regalo devi prenderlo al volo Effe e Gi si impegnarono al massimo per non sprecare quel dono della sorte.
Rapidamente lui si rese “libero”; presero insieme un piccolo nido, un’alcova a misura del loro amore. Un piccolo ricettacolo fuori dal mondo, dove vivere la loro felicità, circondati dalle cose che amavano. Volevano condividere tutto: anche le loro passioni, i piccoli vizi, i desideri nascosti. Giocavano, godevano, ognuno mostrava all’altro solo il bello della vita. Lui arrivava con la sua lista segreta di cose da fare, dove tornare, quali posti rivedere... luoghi incantati e misteriosi, che spesso si nascondono dietro l’angolo. anche in una grande città, ma per svelarne la magia devi guardarli con occhi innamorati. Così si presentarono le loro strade, si confessarono le loro esistenze, riscoprendole e godendo della gioia ritrovata negli occhi dell’altro. Anche i più piccoli sentimenti volevano condividerli, sembravano aprirsi il cuore per dire all’altra: - Leggi, questo sono io, veramente. Quello che gli altri nemmeno intravedono... – Una volta, dopo averle mostrato i Navigli nella luce più poetica del meriggio e il Duomo segreto, tra guglie puntute e vicoli silenti, la portò per mano davanti a un palazzo. Una lapide consunta ricordava il sacrificio di tanti giovani nella Grande guerra. Suo nonno lo portava li, da bambino e con le lacrime agli occhi gli trasmetteva tutta la rabbia per tanta follia e Gi, adesso, voleva condividere con lei, persino quel vecchio stralcio della sua gioventù. Tutto e insieme... per sempre!
5 La loro casa divenne un punto di riferimento, il faro del porto sicuro in cui godersi reciprocamente. Gli ultimi impegni li tenevano ancora legati alla loro esistenza precedente ma il fine settimana era sacro e correvano per poterlo passare insieme. “Aravano” il loro orticello segreto e seminavano per il loro futuro. Infine l’obiettivo era riunirsi per passare la vita insieme. Fantasticavano e adattavano gli spazi del nido alle loro piccole passioni. Gi era amante di modellismo in maniera quasi maniacale ed Effe, per amore, scoprì un mondo nuovo che divenne anche il suo. Pian piano si distendevano anche gli animi delle persone intorno a loro, forse il loro amore “illuminava” anche i cuori un po’ aridi, induriti dal tempo, forse sembrava davvero una favola e si sa: le favole sono contagiose. Quando venne l’estate il loro amore era alle stelle: l’Agosto fu tutto per loro e se lo godettero come due ragazzi, felici e innamorati. Il mare, il sole, la natura, tutto sorrideva e, per la prima volta, acquistava un colore senza macchie: la tinta accesa della felicità. Tutto sembrava facile, possibile... deciso! Ma il destino non si era fermato. Pietoso, il tempo, aveva solo rallentato un po’... L’ultima gioia la colsero con le mani unite a Natale. Gi, nonostante provato dalla malattia, si godette il piacere di una festa tranquilla, tra i suoi cari e con al suo fianco l’amata Effe. L’inverno arrivò, freddo e implacabile, e con l’inverno la vita gelò, stringendo in una morsa anche il cuore di lui. E infine, un giorno di febbraio, tutto il mondo iniziò a girare al contrario... niente andava
per il verso suo; dopo, la sirena di ambulanza si perse nel mattino, segnalando al mondo il suo triste presagio. Due note monotone si allontanavano nella foschia sottolineavano una speranza ma un addio.
e non
Pian piano quel giorno freddo passò e la sera silente ritrovò i due amanti con la mano nella mano. Come il primo giorno, quando si erano incontrati. Le voci sommesse, i suoni ovattati, l’odore sterile della sala rianimazione: c’è forse un posto meno romantico per dirsi addio? Eppure... per Gi, avere Effe al suo fianco, sentirne il calore, era un piacere immenso e gli rendeva più facili le dolorose formalità che il destino gli aveva riservato. Aveva da poco superato la cinquantina, non avrebbe dovuto finire così! Per lui fu come addormentarsi tra le note di un coro, con tutto il meglio della vita che gli passava davanti: Effe gli aveva insegnato a capire Prevert, a “sentire” il cuore di Mogol celato sotto la chitarra di Battisti. Lui le aveva fatto intravedere il genio di Napoleone e il coraggio dei soldati dei piccoli, raffinati eserciti di piombo; e, poi la musica, quella grande: le note delicate di Puccini, i trionfi possenti di Verdi, le ariose armonie di Mendellsohn. Lei lo aveva aiutato a respirare l’aria del mattino, a contare i colori dell’autunno... Effe lo aveva aiutato a ritrovare l’amore per la vita: lunga o breve che fosse. Aveva dato uno scopo al suo viaggio, e lui avrebbe parlato! O sì: avrebbe raccontato la sua storia agli angeli, a chiunque avesse mai trovato dall’altra parte... adesso aveva tanto, tanto da dire! Ora sembrava tutto più giusto e ogni attimo aveva il profumo intenso dell’eternità.
Epilogo La signora in nero lasciò controvoglia il suo scanno tra le stelle. Avrebbe preferito che fosse estate, che non ci fosse tanto freddo intorno a loro ma il tempo era scaduto e non poteva più rimandare. Con un ultimo sguardo avido alla dolcezza di quella storia inattesa, tagliò con un colpo netto il sottilissimo filo d’argento... Quella notte una stella brillò un po’ di meno, offuscata da una lacrima che cadde... e si perse nello spazio profondo.
FINE
Ogni riferimento a fatti o persone veramente esistiti è da ritenersi puramente casuale.