Giovanni Anceschi
“Ogni aspetto della realtà, colore, forma, luce, spazi geometrici e tempo astronomico, è l’aspetto diverso del darsi dello spazio-tempo o meglio: modi diversi di percepire il relazionarsi fra spazio e tempo”. Dichiarazione del gruppo T, Milano, 1959.
Il design del contesto: plasmare il tempo e l’informazione Spazio Se esploriamo il lessico e la terminologia del mondo elettronico, virtuale, cibernetico, ecc., troviamo sovente espressioni come: |piazza elettronica|, | digital square|, |portale| e soprattutto, più di recente, si è imposto il termine |web architecture|1. Tutte parole che fanno riferimento a caratteri spaziali. Anche se sono espressioni metaforiche e se ancora più metaforico è il termine | infoarchitecture|, in quanto in esso il traslato |architettura| è di grado estremamente spinto, il metaforizzante rimane comunque sempre lo spazio. Come avviene nell'espressione |architettura di un sistema informatico|, o addirittura in |architettura istituzionale|, la parola |architettura| sta per una qualunque soluzione costruttiva ragionata, se non addirittura per un qualsiasi caso di accostamento sintattico cioè compositivo. Insomma come avviene nell’espressione |spazio semantico| non si tratta, nel web, di uno spazio reale ma di uno spazio potenziale, di uno spazio, cioè, della rappresentazione.2 Insomma, in quello che possiamo chiamare il discorso intorno al virtuale, è proprio lo spazio che sembra oggi la nozione prevalente. La matrice (matrix) e la città occupano l’immaginario cibernetico, anche se qualche indizio contrario lo si trova: nello stesso lessico si usa anche |explorer|, |navigator| e |cybernauta|, dove la dimensione temporale non è secondaria. Neanche |interfaccia| è una metafora spaziale, ed ha avuto tanta fortuna perché è felicemente somatica, gestuale o più precisamente mimica. Spazio e architettura hanno uno stretto legame. Anzi si può dire che lo spazio sia l’ossessione disciplinare dell’architettura. Inteso sia come lo Spazio (ipostatizzato e idealizzato), sia come gli spazi (si pensi a open space, o a Raume in tedesco). E' altrettanto spaziale la vuota astrazione dello spazio fra le 1
R. S. Wurmann (Ed.) Information Architects, Graphic Press, Zürich, 1996: così si esprime Wurmann, che è architetto, diversamente da altri autori di origini differenti: Edward Tufte, Visual Explanations, Graphics Press, Connecticut, 1997 o Jaques Bertin, Jaques, Semiologie Graphique: les. diagrammes, les reseaux, les cartes, Gaurhiers-Villars, Paris, 1967). 2 Trevor J. Barnes,, Logics of Dislocation: Models, Metaphors and Meanings of Economic Space, New York, Guildford Press, 1996.
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coordinate cartesiane che si contrappone alla densità vissuta e affollata dell’ambiente, così come tutta spaziale è l’omogeneità di ciò che viene detto il luogo dell'abitare e che si frammenta invece nella fenomenologia delle stanze e delle sale, delle camere e dei cortili, degli androni e dei portici, o, meglio ancora nei programmi d’azione possibile offerti dalle cucine, dalle aule, dai living, dai sanitari, ecc. La deformazione spazialista degli architetti vede perfino la diversità delle attività progettuali (la grafica, il design, l’architettura, l’urbanistica, la pianificazione terrioriale) come una questione di scala (dal cucchiaio alla città3). Ma è proprio lo svilupparsi dei linguaggi multimodali4 e delle strumentazioni ipermediali a far saltare questo paradigma e la domanda diventa a questo punto: un |sito| è a scala grande o piccola? A dire il vero già una merce prodotta in serie, rappresenta un'entità di difficile definizione solo in termini dimensionali e spaziali, senza tener conto, cioè, del raggio d’azione distributiva della produzione. Negroponte è perentorio The site is a place without space.5 E il fatto che nel lessico del digitale e del virtuale si parli appunto di |sito|, intendendo così un ricettacolo in cui qualcosa trova posto, e ad un tempo la posizione di qualcosa che ha trovato un posto, non ci fa pensare assolutamente all'eternità immota dello spazio. Ci fa pensare invece a una pratica che si è svolta nel tempo e che nel tempo si svolge, come poteva essere un precedente rito di fondazione o che può essere oggi un’attuale procedura di attivazione. La stessa nozione di |indirizzo| (email, e più in generale, l’idea di goto), metaforicamente spaziale, è, nel fondo, tutta procedurale. In altre parole il |sito| è semmai topico, non spaziale. E dove invece una sorta di pseudo-spazialità sembra insinuarsi, é quando ad emergere é il carattere asincrono dell’incontro fra emittente e destinatario. In tutte le segreterie, le messaggerie, i blog, ecc. In conseguenza di questo Natahan A. Rogers, Dispense di Architettura, Milano, ciclostile, s.d. “Noi oggi operiamo secondo un metodo, non secondo delle forme prestabilite, lo stesso metodo che ci permette di avvicinare il problema del cucchiaio e della città. É evidente che quello che cambia è la misura, è l’accento dei diversi elementi che compongono il problema ... É evidente che non ci sono importantissimi fattori che nel cucchiaio sono minimi e nella città sono in grado massimo, ma il modo di capire la forma del cucchiaio e la forma della città, tra la forma e il contenuto è lo stesso” (R.3,12,15) 4 |Multimodale| significa: che intreccia una pluralità di forme tecniche (ma non tecnologiche, come indica invece il termine |Multimediale|), insomma appunto di modalità di configurazione dell’artefatto comunicativo (i codici cromatici, fotografici, disegnativi, illustrativi, schematici e notazionali in generale, quelli cinetici e cinestetici, quelli coreografici, gestuali e mimici, quelli rumoristici, sonori e musicali, ecc.). Vedi: Letizia Bollini, Multimodalità vs.multimedialità, in "Il Verri", n. 16, maggio 2001. 5 Nicholas Negroponte, Being digital, New York, Knopf, 1995 (tr. it. Essere digitali, Milano, Sperling & Kupfer, 1996. 3
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sganciamento fra spazio e tempo, la rete pullula di luoghi appunto senza spazio, cioè che nemmeno rimandano a nessunospazio (al Realm of Nowhere). E' piena di luoghi di fantasia proprio come l’isola che non c’è di Lewis Carrol, ma anche di paesi truffaldini come il Dominion of Melchizedeg, con la sua Island of Malpelo (!). Cioè la rete accoglie facilmente pseudoluoghi: luogi deprivati, ad esempio, della sensorialità, come nel caso dei virtuelle Friedhöfe , [camposanti virtuali]. In queste chat per poveri vecchi l’assenza, o meglio la non-astanza, insomma la rimozione della salma, la scomparsa per vaporizzazione di quello scandalo che è il Leib diventato Körper6, fa di tutto l'insieme una caricatura irrisoria. E ancora, se l’espressione metaverso7 allude a un oltremondo, a un aldilà artificiale, che sta forse in un subspazio, il cybermondo è un mondo parallelo, che scorre - temporalmente - in parallello. Tempo La vera novità è dunque il tempo8 non lo spazio. La profondità dell’ipertesto, ad esempio, è una profondità non solo potenziale. Si realizza in una serie di successive fasi di ricezione e di progressive tappe di elaborazione ermeneutica.9. E’ diventato insomma possibile distinguere fra ciò che succede sul versante del processo che porta alla realizzazione e ciò che succede invece sul versante della ricezione. Sculpting in time è il titolo di un fortunato libro di Andrey Tarkovsky, cineasta qualche volta anche troppo votato alla fluidità, ma dove si parla del tempo della ricezione cinematografica come di un imprinted time10. (E non è un caso che ‘Sculpting in time’ sia il nome del ritrovo più alla moda di Beijing, dove convivono un cinema, un café, un bookshop, in un sontuoso intreccio esperienziale). The film, dice anche Tarkovsky, può essere visto as graphic realisation, allo stesso modo in cui l’interfaccia è la realizzazione grafica (cioè spazializzata) dell’interazione. Spaziale è dunque l’insieme degli attrezzi di scena, ma ciò che davvero conta, ciò che è il vero protagonista, ovverossia E. Husserl, Ideen zur einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Phänomenologische Untersuchungen zur Konstitution (Zweites Buch), «Husserliana» Bd. IV, Nijhoff, Den Haag, 1952, Hrsg. Marly Biemel , Kap. III (tr. it. di E. Filippini, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. Ricerche fenomenologiche sopra la costituzione (Libro secondo), Einaudi, Torino, 1976). 7 Neal Stephenson, Snow Crash. Milano, Shake, 1995. 8 Gilles Deleuze, L’image-temps et L’image mouvement, , Ed. de Minuit, 2 tomes, 1983 et 1985; Carlo Branzaglia, L’immagine del tempo, Essegi, Ravenna, 1992. 9 Si pensi all’idea di immagine densa, stratificata, varata nel quadro di un discorso storicoartistico, Antonella Sbrilli, L'immagine densa, in "Il Verri", n. 20, novembre 2002 10 Andrei Tarkovskii, Sculpting in Time: Reflections on the Cinema. New York, Alfred A. Knopf, 1987. 6
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l’azione scenica diventata tutt'uno con l’esperienza del fruitore, è qualcosa di sostanzialmente temporale. Proprio come in realtime si da forma al virtual clay11 si tratta (per l’autore, per il web designer), di dare una forma all’esperienza sensorio/cognitiva, anzi proprio di plasmarne il flusso. Il visitatore/utente/fruitore fa, a sua volta, l’esperienza di un tempo vibrato, come è vibrante l’energia dell’esistenza, per Bachelard ripreso da Barthes, quando riflette sulla convivenza resa possibile dalle regole e dai riti di comunione nell’ascesi come nella festa.12 E davvero è in uno stato teso e febbrile che siamo immersi quando ci gettiamo nel frenetico scuotersi di ogni game, e, a dire il vero, in ogni momento della navigazione13. Il virtuale (nel senso della potenzialità asincrona che esperiamo davanti alla mappa, al menù e ad ogni bivio), è quasi-spaziale, diciamo spazioide. L’attuale (nel senso della performance), è invece compiutamente temporale. Ma poi la traccia mnemonica del temporale torna di nuovo ad essere spazioide. Un sito lo si esplora, lo si naviga, lo si vive. Magari lo si abita. Io lo abito per così dire spazialmente, in modo istantaneo e acrono (cioè in un certo senso in modo sinottico), in riferimento al contesto frammentato e sincopato del mio pensiero, e cioè nel quadro dell’istantaneità della mappa mentale, mentre è nel contesto fluente della mia mente-corpo che io lo abito temporalmente, e cioè ne faccio eperienza, nel senso che lo vengo via via conoscendo, che passo da un’emozione all’altra, che mi faccio avanti di percezione in percezione, che mi vengo intridendo di sensazioni. O ancora meglio e in una parola, io procedo attraverso una sorta di sintetica modalità unitaria, la quale è più della somma di tutte le componenti analitiche, cognitive, emotive, percettive e sensoriali che vi posso discriminare. Spazio-tempo Più di una volta mi è parso di poter segnalare che la forte inclinazione per l’essenziale, la straordinaria capacità di assorbimento, la spinta estrema verso l’unificazione, provocate dal digitale fa sì che spesso le elaborazioni e le semplificazioni emerse occupandosi del virtuale siano utilissime a capire cioò che succedeva e continua a succedere nel fattuale14. 11
‘Virtual clay’ è un software sviluppato presso l’Università di Buffalo, “‘Virtual Clay' Brings the Act of Sculpting to the Virtual World. New technology developed by UB engineers can be used in product design. Release date: Monday, July 12, 2004.” http://vww.buffalo.edu/news/fast-execute.cgi/article-page.html?article=68030009 12 Roland Barthes, Comment vivre ensemble. Cours et sèminaires au Collège de France 197778, a cura di Claude Coste, Paris, Seuil-IMEC, 2002. 13 Per una discussione delle relazioni fra configurazione dei siti ed effetti ergonomici e timici cfr. il nostro La fatica del web, in “il verri”, n.16 (maggio) 2001. 14 Uso l’opposizione actual/factual come l’ha proposta Josef Albers, nel suo Interaction of Color, New Haven and London, Yale University Press, 1971, che ricalca la distinzione scolastica fra in acto e de factu.
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Riemergiamo dunque dall’iperspazio e torniamo allo spazio occupato dai nostri corpi. Contrariamente alle previsioni, anche qui, la prospettiva temporale appare vincente, verrebbe da dire, Per quanto riguarda appunto la dimensione reale e per quanto attiene le condizioni fisiche dell'abitare e della fruizione dell'ambiente, anche la città è pensabile come un agglomerato dentro al quale i cittadini, quelli autoctoni, come anche i visitatori, vivono. Anzi addirittura la possiamo pensare proprio come l’oggetto che i cittadini vivono nel tempo. E lo stesso vale per una Fiera , per un Mall commerciale, per una Mostra per un Aeroporto. Sembra insomma venuto il momento di varare una proposta di natura teorica. Sembra opportuno proporre una sostanziosa aggiunta, un nuovo pezzo di terminologia adeguato ad investire questo ambito della progettazione di grandi scene/pipeline della comunicazione e dell’informazione. I personaggi che si occupavano finora di queste cose erano grafici, adesso bisogna chiamare in soccorso le terminologie di discipline limitrofe non più solo dello spazio e della sua percezione ma del tempo (o dello spazio-tempo) e della sua fruizione (ad esempio: regia e più in dettaglio coreografia da un lato, scenografia e stage design dall’altro). A dire il vero l’idea di totalità è inscritta nella disciplina del design della comunicazione da lungo tempo. Lo studio che nei primi anni Sessanta ha progettato il primo sistema di segnaletica aeroportuale a Shipol in Olanda, aveva voluto chiamarsi profeticamente Total design: non si tratta – insomma - solo di rendere riconoscibile, e praticabile una determinata entità operativa o aziendale attraverso la proposta della sua immagine, ma, anche e soprattutto, della capacità di pilotare il comportamento degli utilizzatori. Di plasmare la loro esperienza. In questo la branca della disciplina che si occupa di quell’altra megascena/pipeline virtuale che è il web, è andata da tempo molto avanti: una importante figura di teorica e ricercatrice che si chiama Brenda Laurel, ha scritto un libro che si intitola Computer as theatre, nel quale, come strumento concettuale per capire come strutturare i siti, viene usata addirittura quella parte della la retorica di Aristotele dove si parla di unità d’azione, di tempo e di luogo 15 . Non è un caso che uno dei più interessanti studiosi del design dell’interfaccia, sia Ken Friedman che ha un passato come artista del movimento Fluxus negli anni ’60-’70, un periodo di grandi anticipazioni. La nuova istituzione artistica promossa da Fluxus, cioè l’happening (che vuol dire evento), diventa una metafora già più appropriata che il teatro. Il teatro classico infatti è uno spettacolo chiuso, dove lo spettatore è passivo, mentre negli spazi-tempi 15
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Brenda Laurel, Computers as Theatre, Reading, MA, Addison-Wesley, 1993.
dell’interazione (virtuali come i siti e fattuali come la mostra o l’aeroporto) lo spettacolo o meglio la fruizione è e dev’essere aperta.16 E qui si impone una nozione, quella di opera aperta sviluppata da Umberto Eco negli anni Sessanta17. L’idea di Eco è che l’opera d’arte non è conclusa senza la cooperazione proiettiva e interpretativa del lettore/spettatore: i quadri di Pollock funzionano - per così dire, anche - in modo analogo ai test di psicologia proiettiva di Rorschach, nelle cui macchie lo spettatore legge scene aggressive o erotiche. L’opera d’arte, secondo Eco, si realizza appieno accogliendo i contenuti e gli atteggiamenti timici prodotti dallo spettatore. Ma ecco che con l’happening l’apertura non è più solo ermeneutico-proiettiva, ma fattualmente ad opera dei partecipanti può succedere una cosa o un’altra. Resta però un tratto che non consente neppure all’happening di essere la metafora perfetta degli ambienti dell’interazione: l’evento è addirittura definito dal fatto di avere un inizio e una fine: c’è sempre una Fin de partie. Alla complessità strutturale e interpretativa e alla apertura fattuale si deve aggiungere quindi un carattere ulteriore. L’ambiente interattivo deve essere un’apparecchiatura in qualche modo reattiva, lì – per così dire - in attesa, come potrebbe essere una trappola. O precisamente come una mostra. Tutto l’exhibition design (che non voglio chiamare allestimento, proprio perché questo termine tipico del discourse architettonico, come del resto il termine arredamento, pensa la mostra come uno spazio senza tempo, senza comunicazione e interazione) è l’archetipo disciplinare corretto18. La mostra è il luogo del pilotaggio del comportamento, anche cognitivo, dello spettatore, attraverso artifici che ho chiamato figure di regia.19 Nell’aeroporto le sequenze di azioni e movimenti provocate dalla segnaletica presso l’utente destinatario, presentano forti analogie con la processualità dei comportamenti propri dell’exhibition design. Anche qui il progettista/regista opera una scelta vantaggiosa delle figure di comportamento dello spettatore/attore e le mette in sequenza secondo una logica di scrittura scenica (con andamenti e temperature timiche più o meno progressive di anticlimax e climax). Potrebbe essere davvero sensato pensare al mall commerciale come a una mostra e viceversa, e entrambi come a un canale comunicativo di cui vanno disegnate o meglio modulate e plasmate in funzione delle diverse esigenze le diverse modalità espressivo/comunicative e la loro orchestrazione complessiva. 16
Ken Friedman, The Wealth and Poverty of Networks, http://www.newcastle.edu.au/journal/poetics/issue-02/ken-2.htm 17 Umberto Eco, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee,
Milano, Bompiani, 1962, Giovanni Anceschi, La struttura narrativa della scena ostensiva, in Claudia Donà (ed.), Mobili italiani. Le varie età dei linguaggi, Milano, Cosmit, 1992. 19 Giovanni Anceschi, Retorica verbo-figurale e registica visiva, in: Eco U. e al., Le ragioni della retorica, Modena, Mucchi ed., 1986; id., Visibility in progress, in “Design Issues”, vol. 12, n. 3 (autumn), 1996.
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La realtà multimodale delle diverse fasi e dei diversi comportamenti trova riscontro nella realtà tecnologica di questa macchina scenico/tubolare: anzi più che una macchina siamo di fronte (anche) a un gigantesco apparato multimediale, a un proteo mediatico fattuale, ai suoi diversi canali e registri20. E in effetti sulla Grande Scena della Mostra, del Mall, dell’Aeroporto convivono gli infiniti apparati della canalizzazione (elettronica e altro) dell’informazione, come anche della presentazione e rappresentazione della comunicazione, come, infine, del colloquio interattivo. Il dibattito sul “silent airport”, ad esempio, è il risultato del problema dell’interferenza e del disturbo reciproco fra canali mediatici (e fra registri sensoriali), e l’idea risolutiva è quella di lasciare vuoto il canale sensoriale auditivo per favorire la comunicazione visiva. Il ragionare in termini di canali e di (multi)media, rappresenta la dimensione tecnologica della questione e rappresenta anche il luogo delle effettive e concrete manipolazioni e modificazioni, e rappresenta infine la fonte e il supporto di ogni stimolazione e di ogni percezione, è una base fondamentale nel senso che fissa dei vincoli e offre delle opportunità, ma non va dimenticato che – se si potesse dire così – ancora più fondamentale è ciò che viene definito la struttura del destinatario, in termini somatico/sensoriali, percettivo/cognitivi, ecc. La comunicazione ai ciechi si fa in braille o comunque attraverso messaggi trasportati da veicoli segnici tattili, e in generale vanno scelti registri, codici e lessici adeguati a quelli del destinatario. Il regista multimodale è il regista degli effetti attuali (e sensati) che saranno prodotti da differenze e modulazioni fattuali tecnicamente realizzate. Oggetti di vita ll passo avanti può consistere in qualcosa di più che nel considerare la città, la mostra, il mall, l’aeroporto, come oggetti di cui fare esperienza o, addirittura, da godere21 in qualche misura. Come si gode lo spettacolo di una grande scena. Soprattutto nella prospettiva della relazione fra gestori e consumatori, fra amministrazione e cittadini, ecc., o ancora più in generale fra momento dell'offerta e della produzione di circostanze vitali e momento della loro fruizione, ricezione e godimento, la scena/pipeline può essere intesa, appunto come una grande macchina che eroga servizi. Anzi in qualche modo, ad esempio, la città in quanto tale, la città nelle sue caratterizzazioni fisiche, storiche, culturali, ambientali, può essere considerata il servizio primo. Ma per accedere a questo servizio, cioè alla vita cittadina, in
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L’dea di un Proteo mediatico è di Papert, che definisce così il computer. Seymour Papert, Mindstorms: Children, Computers, and Powerful Ideas, New York, Basic Books, 1980) 21 Vedi, ad esempio, il numero monografico di “aut aut”, Godimento e desiderio, n. 315 (maggio-giugno) 2003.
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mezzo, per così dire, fra vita cittadina e il suo fruitore, o utente potenziale, si colloca un insieme di circostanze intermedie. Ad esempio il sistema della mobilità automobilistica che ci consente di raggiungere la destinazione che vogliamo. A Venezia, invece, uno dei mediatori protagonisti è il sistema della mobilità pedonale. E, ancora di più e assolutamente per tutte le città, l’ulteriore apparato intermedio principale, che aiuta a vivere la vita cittadina, è l'apparato di erogazione delle informazioni. Ben lontano dal rappresentare un lusso, come purtroppo ancora oggi ancora troppi ritengono, la comunicazione dell'offerta e l'informazione delle sue articolazioni e delle sue forme, è - ormai lo sappiamo - parte integrante del servizio stesso. E ovviamente la più cittadina di queste forme di presentazione delle informazioni è rappresentata dall’antico sistema delle affissioni, che va certamente intesa come azione persuasiva nell'interesse delle istanze commerciali, ma che altrettanto correttamente va intesa come un'attrezzatura, o un dispositivo che fornisce informazioni ai cittadini. In altre parole, noi abbiamo dunque un'offerta di beni e servizi, e per poter raggiungere quest'offerta di beni e servizi ci sono di mezzo altri servizi (informativi). Questo modo di intendiere la città, non più come una machine á abiter quanto come un grande organismo, la vede come un unico corpo esso stesso animato. In un certo senso, anche senza cadere nel meccanismo psicologico della personificazione, abbiamo una percezione piuttosto vivida del fatto che una città sia un'entità unitaria con la quale intratteniamo (visitatori o abitanti), delle relazioni molto particolari. L'immagine coordinata , come dicono i fondatori della teoria della corporate identity, è esattamente questo. Attraverso una serie di misure, (interventi grafici, programmi sistemici, iniziative comunicative, campagne, ecc.), essa costruisce l'aspetto, e compone lo stile di comportamento di questa persona artificiale che è l'ente, l'azienda , nel nostro caso la città22. Ecco quindi che ci aspettiamo che l'amministrazione sia quell'entità che ha il compito di orchestrare i servizi (e come dicevamo non solo i servizi veri e propri ma anche l’insieme degli “help” informativi per i servizi), e che abbia, insomma, il compito di disegnare la coreografia dei comportamenti della città nei confronti dei cittadini/utenti. Ma nella prospettiva del cittadino, se non deve essere pensato come un suddito, la metafora non è quella di uno spettatore passivo, di uno spettacolo orchestrato. La metafora giusta è quella che lo ponesse in un ruolo straordinariamente attivo, Anzi interattivo, quasi di coautore. Vista dal cittadino, la città (ma in fondo qualsiasi scena/pipeline da parte del suo utente/spettatore) può essere pensata come una sorta di grande veicolo, magari di navicella spaziale. Il concetto di veicolo suggerisce l'idea che ciascun fruitore 22
FHK Henrion e A. Parkin, Design Coordination and Corporate Image, Studio Vista, London, Reinhold Publishing Co. NY, 1967.
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abbia a sua volta di fronte a se qualcosa di simile a un cruscotto, a una stazione di guida, di pilotaggio. Abbia cioè di fronte a sé un insieme di organi, che sono appunto quelli dell'informazione, che gli consentono di dirigere il proprio singolo comportamento, la propria rotta, all'interno dell'ambiente generale: il fruitore inteso come soggetto dell'interazione. E questa è sempre meno una metafora e sempre più una descrizione a causa della introduzione delle tecnologie informatiche. Questa metafora è stata materializzata particolarmente da quelle realtà tecnologiche che erano i punti informativi elettronici (bancomat e biglietterie elettroniche) e che oggi abbiamo direttamente in casa via internet. Questi siti incarnano l'idea che il cittadino sia l'utente di una rete informativa. In qualche modo comincia a delinearsi qualcosa di molto unitario, che potrebbe essere definito come il sistema informativo della città, cioè come il sistema degli scambi informativi e comunicativi che si sviluppano in seno ad essa. E’ un sistema il quale, come abbiamo visto, ingloba una serie di organi specializzati, come il sistema delle affissioni, il sistema della segnaletica (della segnaletica abbiamo parlato poco ma sia la segnaletica automobilistica a grande scala che quella pedonale, sia il sistema delle insegne sia quello del’epigrafia urbana, per i negozi, le istituzioni, ecc., potrebbero rappresentare un prolungamento, un'estensione dell'interfaccia di pilotaggio della città, il complemento materiale e spaziale della guida informativa della città. In altre parole esserne l’interfaccia diffusa o distribuita. Le segnaletiche possono rappresentare il modo di manifestarsi delle informazioni, ad esempio, topografiche che non può essere erogata in forma concentrata e puntiforme (digitale) come nei siti virtuali e nei punti informativi, ma che deve essere fruita via via nel corso del nostro percorrere e vivere la città. Rappresentare cioè la conferma fattuale complementare dei Navigator digitali e satellitari. Ma il sistema informativo è, di fatto, composto anche di altre componenti. E’ composto di parti direttamente pubbliche e in parte è erogato da istanze che possono essere largamente gestite dall’iniziativa privata. Mi riferisco appunto a tutto il sistema delle guide cittadine, artistiche, turistiche, gastronomiche, ecc. insomma di tutte quelle pubblicazioni che garantiscono un accesso alle parti nascoste o comunque interessanti della città. Questa cosa, ovviamente, si ramifica poi all'interno degli altri servizi. Pensiamo al museo, o al luogo pubblico importante, al monumento (come una basilica o un museo civico, ecc.), dove anche lì dipendiamo da un sistema informativo parziale o locale (le didascalie, le audioguide o i ciceroni elettronici), che costituisce un assieme di istruzioni per l'uso di questo bene culturale. Anche qui c’é una specie di corredo informativo composto da varie attrezzature (dai cataloghi, alla segnaletica interna, dalle targhe museali alle eventuali didascalie, dal cicerone in carne e ossa, all'insegna dell'eventuale bar interno), e che si può
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prolungare ulteriormente, in una dimensione virtuale, (nell'archivio multimediale consultabile, ecc., ecc.). E questo si ripete (si può ripetere), se si pensa ad altre estensioni interne della città, come la fiera campionaria, o appunto l’aeroporto e le stazioni, ecc. ma soprattutto gli uffici pubblici, dove l'informatizzazione già ha sicuramente portato degli avanzamenti nell'accelerazione, e nell'agevolazione dell'uso della città. E ci sono addirittura casi dove punti informativi e siti diventano delle protesi, delle estroflessioni, dei prolungamenti dell'amministrazione che vanno incontro al cittadino dentro al tessuto urbano e con internet fin dentro casa, e sono in grado di produrre certificati, ecc. Ecco che, allora, possiamo pensare che da un lato ci vuole dentro all'amministrazione l'ingresso veramente energico di competenze, che vanno addirittura al di là delle competenze puramente manageriali. Certo le competenze manageriali sono sicuramente fondamentali. Attualmente si parla normalmente di city manager, ma oltre, e in associazione e proprio mescolate con le competenze del city manager, ci vogliono delle competenze da designer. Designer dei servizi abbiamo accennato - e cioè della gente che nel mettere insieme i servizi, sappia fornire, all'amministrazione quel tipo di capacità di invenzione funzionale e quel genere di innovazione anche estetica che l'industrial designer fornisce all'industria dei prodotti23. Negli anni ’60 i designer impegnati dicevano che disegnando un prodotto si progettava il comportamenteo dell’utente. Oggi emerge con chiarezza che ci vogliono degli Achille Castiglioni, dei Ross Lovergrove, dei Toshiyuki Kita dei servizi.
Molti designer dei servizi non sanno nemmeno di esserlo. Un esempio è Piero Maccioni esperto di sistemi di trasporto (di formazione economista), grande consulente a partire dagli anni ‘80 del Servizio Trasporti della Provincia Autonoma di Bolzano. Un altro designer dei servizi è stato il Renato Niccolini dell’estate romana. 23
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