4.4 Pubblica Utilità per la disciplina

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Giovanni Anceschi Pubblica Utilità per la disciplina Nel campo delle discipline del progetto il movimento della Grafica di Pubblica Utilità è stato l’’ultimo’ evento culturale ‘di rilievo. ‘Di rilievo’ nel senso del suo configurarsi come un’azione culturale spontanea ma strutturata, dotata di intenzioni ma anche di un background etico e culturale, caratterizzata da un esplicito atteggiarsi al pluralismo, ma anche di un peculiare e originale stile di pensiero. ‘Ultimo’ perché dopo su quest’ambito della vita del nostro paese si è richiusa l’onda o meglio il flusso dell’indistinto rizomatico, increspato via via soltanto da innocue serie di piccole onde modaiole, che appaiono e scompaiono sotto la spinta del vento dell’indifferenza o dei refoli di quello zefiro incostante, euforico e subito disforico, che è il soffio dell’audience. Oggi le cose buone si trovano non nei discorsi generali ma nei risvolti appartati dell’approfondimento, che – come per esercizio – sembrano fare a meno di un orizzonte. Questo giudizio molto positivo sulla Grafica di Pubblica Utilità potrebbe suonare come un auto-incensamento, e il proverbio dice “chi si loda s’imbroda”. E, in effetti, io sono stato uno degli esponenti di quel movimento e quando parlo di quel periodo davvero esaltante spontaneamente impiego un convinto ‘noi’. Noi siamo stati l’espressione di un tipo di progettisti assolutamente nuovi nel panorama italiano. Dei progettisti che – anche se allora non si diceva così - conferivano un’interfaccia ai servizi pubblici e che spesso erano essi stessi i designer di servizi nuovi ed imprevisti, talvolta effimeri, andando ben oltre i confini ristretti del graphic design. Dei “grafici condotti” come si definiva – con la precisione di un arguto understatement - Massimo Dolcini, ma designer che parlavano di impresa di comunicazione (avendo nella mente Intrapresa di Gianni Sassi, e che vedevano il progettista di comunicazione come deejay (come diceva a quei tempi Gaddo Morpurgo), in altre parole come un autore poliglotta o, come diciamo noi oggi, un regista multimodale. Erano dei designer che per queste originalità - all’inizio - si erano voluti fregiare del nome antagonista di “altra grafica” ma che poi hanno deciso, nel nome di Albe e Lica Steiner, di costringere – per così dire - gli “altri” a riconoscere di essere l’’altra’ grafica (vale a dire la grafica industriale e commerciale dell’International Style). Designer o ultradesigner che fossero essi mantenevano però consapevolmente la parola grafica e l’affiggevano programmaticamente, per sottolineare – con Giovanni Lussu - il ruolo centrale della scrittura nei fenomeni della comunicazione. Noi abbiamo dato vita – a partire dalla Biennale di Cattolica - ad una


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