In Italia, a partire dagli anni Ottanta, si è sviluppato un importante movimento culturale, che ha coinvolto la grafica e in generale il progetto di comunicazione. Il testo che appare qui, apparso finora solo in francese, e che va a esplorare le radici storiche del fenomeno, rappresenta la tappa centrale di un processo, che ha preso inizio con la Biennale della Grafica di Pubblica Utilità, tenutasi a Cattolica nel 1983, e che ha avuto la sua massima espressione programmatica nella Carta del Progetto Grafico, pubblicata ad Aosta (presso Franco Balan) nel1989. Una tappa, questa parigina, che, avendo preso la forma di una grande mostra al “Centre Pompidou”, rappresenta il riconoscimento internazionale degli sforzi del gruppo di progettisti e teorici italiani, anzi si può dire che la mostra parigina abbia rappresentato un importante segnale di un risveglio degli interessi per le tematiche del public design nel quadro dell’intero panorama mondiale. Il gruppo, che all’inizio aveva scelto come nome di battaglia “L’altra grafica”, nel senso di una grafica antagonista non solo nelle modalità espressive autre ma anche antagonista della centralità e del quasi monopolio della tradizione milanese nell’ambito del design della comunicazione, ha poi deciso di segnalarsi come “Grafica di Pubblica Utilità”, cioè come una grafica pubblica che considera il proprio utente non più come un suddito ma come un concittadino. Il gruppo ha sviluppato una ricca stagione di manifestazioni e un intenso contesto di elaborazioni culturali, rivitalizzando l’AIAP (l’associazione professionale dei designer della comunicazione) e arrivando a esprimere una rivista di teoria, storia e metodologia intitolata “Grafica”, pubblicata a Salerno. Di Salerno sono Pino Grimaldi e Gelsomino d’Ambrosio, di Bari è Beppe di Liso, di Pesaro Massimo Dolcini, di Roma Elena Green, Giovanni Lussu e Daniele Turchi, di Firenze è Andrea Rauch, di Venezia Gaddo Morpurgo, Enrico Camplani e Gigi Pescolderung, di Torino Gianfranco Torri, Paolo Derobertis e Tiziana Erbetta, di Milano Roberto Pieracini, Gianni Sassi, Lica Steiner e Giovanni Anceschi. La stragrande maggioranza di queste figure di autori e di progettisti, se non lo erano già a quei tempi, sono oggi attivi come docenti nell’Università Italiana. Prima di abbozzare un’analisi delle immagini della pubblica utilità, è necessario dare qualche definizione, perchè non c’è storia senza teoria e chiunque produce storia possiede, più o meno inconsapevolmente, una teoria tassonomica o tipologica che sia, foss’anche rudimentale. Insomma va creata una mappa con la sua toponomastica. Va creata una terminologia. La rappresentazione lineare della storia ci guadagnerebbe ad essere sostituita da una mappatura, suddivisa in aree diverse a seconda dei caratteri tipologici o tematici. Sappiamo bene che la sequenza temporale è solo un espediente narrativo che privilegia certi nessi. Una griglia o una mappa di relazioni soggette a periodici cambiamenti potrebbe essere un modello più adatto. È questo cinetismo metamorfico che bisognerebbe tradurre. E potrebbe funzionare come programma per quegli studi (che non ci sono né per la storia della produzione grafica, né nel campo del visual design), garantendo una periodizzazione più analitica di quella ovvia dei grandi cicli: dalle origini alla Scriptura Artificialis, e poi da Gutenberg sino alla fine dell’Ottocento con il diffondersi dei libri e dei periodici, e ancora sino al boom della pubblicità e del manifesto. Ed è inoltre possibile entrare più nel dettaglio distinguendo i pionieri degli inizi del secolo, legati alle avanguardie storiche, dai professionisti attivi a partire dagli anni Trenta. Questo processo ha finito per creare una koinè, una 1