ASL - CLASSE 3A ITE TURISMO - AMALFI

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OUR SCHOOL: ESPERIENZE DA RACCONTARE Giornalino

Come è nata quaesta iniziativa Questo giornalino nasce nell’ambito delle attività di Alternanza Scuola-Lavoro organizzate dalla Scuola. Per la realizzazione di questo numero abbiamo ricevuto alcune lezioni dal nostro professore di Italiano su come scrivere un articolo di giornale e, soprattutto, molti utilissimi consigli ci sono stati forniti dal giornalista Mario Amodio che ci ha spiegato con grande competenza come procedere per il nostro progetto. Esso prevedeva di realizzare una sorta di guida gastronomica della Costiera per i turisti. Così è nato questo giornalino che rappresenta solo il primo frutto di un lavoro che potrà essere compiuto in futuro. La classe 3A

redatto

a cura della 3A ITE Turismo di Amalfi. NUMERO MONOTEMATICOGENNAIO 2018

Amalfi: i limoni e la sfogliatella Antica Repubblica Marinara, Amalfi è Patrimonio dell'Umanità Unesco dal 1997 anche per le sue specialità gastronomico– culinarie

L'oro giallo della Costiera e la famiglia Aceto I limoni Costa di Amalfi sono i più pregiati grazie al profumo intenso che sprigionano appena colti ed il succo poco acido, con rari semi. Ad Amalfi, nella Valle dei Mulini, tra i custodi delle sue straordinarie qualità c’è la famiglia Aceto, che coltiva limoni da sei generazioni. Un aggraziato veicolo di un giallo squillante preleva i turisti, soprattutto stranieri, davanti allo splendido Duomo di Amalfi e li conduce fino al cuore della Valle dei Mulini, dove, passeggiando tra un’incantevole pioggia di frutti gialli di sole, i membri della famiglia illustrano i metodi di coltivazione del limone e ne disegnano il passato, che transita dalle glorie marinare di Amalfi, in tempi in cui le stive delle navi si riempivano di agrumi per combattere lo scorbuto fino ai nostri giorni in cui viene usato per produrre liquori e dolciumi di cui i teristi fanno incetta nei negozi della città.

PANSA E LE SUE SFOGLIATELLE La pasticceria Pansa, in attività dal 1830, rappresenta l'arte della pasticceria in Costiera Amalfitana. Quest'attività ripropone la sfogliatella, il dolce simbolo di Conca dei Marini, così come nacque nel 1600. Dopo mesi di confronto e analisi di vecchie ricette tramandatesi per generazioni tra nuclei familiari storici di Conca dei Marini, finalmente si è giunti alla giusta sintesi di gusto e tradizione presentando quella che per ovvi motivi si ama definire la "Santarosa del Monastero”.

Alessia Cavaliere Angela Romano Carmen Ruocco Fabiana Apicella Sharon Laudano Silvana Anastasio


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Tra le colline di Furore e Agerola Sopra Amalfi, Positano e le solite località note, vi è una serie di frazioni con fantastici punti di vista su una delle più scenografiche litoranee del mondo. Con tanto di sentieri, da scoprire subito sono Agerola, un belvedere panoramico al centro di una conca verde che guarda sulla Costa d’Amalfi, e Furore, un gioiello abbellito da colorati murales. Allo splendido paesaggio di Agerola, si uniscono gli ottimi prodotti tipici dell’arte casearia. Si tratta di prodotti di alto artigianato gastronomico, per i quali è imminente il riconoscimento di “Prodotto tipico” con Denominazione di Origine Controllata da parte dell’Unione Europea. Le specialità prodotte sono numerose. Ricordiamo fra esse il fior di latte, formaggio molle a pasta filata; il caciocavallo, formaggio semiduro dalla caratteristica forma a fiaschetta; i ‘bocconcini’, pezzettini di fior di latte. Una citazione a parte merita il Provolone del Monaco che si ottiene rigorosamente da latte di Mucca Agerolese. La sua produzione è concentrata in autunno e ad inizio primavera. Si tratta di un formaggio duro, che richiede sei mesi di stagionatura. Intanto, tra viti e rocce a strapiombo sul mare di Furore, c’è da ricordare la famosa azienda vinicola Cantine Marisa Cuomo. Questa azienda vinicola è stata fondata nel 1980 ed è di proprietà di Andrea Ferraioli e Marisa Cuomo. Essa si estende lungo 10 ettari di territorio. La selezione di uve nobili unite allo scorrere del tempo, ai vecchi segreti tramandati da vinificatori del luogo e a tecniche di elaborazione all’avanguardia, danno vita a vini di elevatissima qualità stimati in tutto il mondo, come il Furore Bianco Fiorduva. Di altrettanta importanza sono i Pomodorini del Piennolo, dalla conformazione a grappolo che li caratterizza e la forma ovale con l’apice appuntito dal rosso vermiglio. La loro coltivazione segue rituali consolidati dal tempo antico. I semi sono gelosamente conservati dal raccolto dell’anno precedente e poi, a gennaio, sono messi in acqua per uno o due giorni fino a quando non germogliano o, come dicono i contadini, “cacciano ‘o sguiglio”, una piccola cimetta dalla quale la pianta successivamente germoglia. I semi sguigliati vengono messi in un semenzaio e tenuti al caldo fin quando non nascono le prime piantine. Quando giunge marzo, le piantine vengono piantate. La coltivazione richiede molta cura e pazienza perché le piante devono essere irrorate con verderame ogni dieci giorni circa. Il fresco clima collinare estivo rende Agerola e Furore luoghi di sereno soggiorno per numerosi turisti che desiderano unire alla beltà del paesaggio ed alla tranquillità del posto, la passione per la buona tavola. Antonella Criscuolo Manuela Gambardella Maria Teresa De Riso Natalia Russo Vera Carrano


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Le bontà culinarie di Tramonti Per gli abitanti del Sud Italia e, in modo particolare della Campania, la pizza è un avvenimento che unisce le persone, è condivisione di allegria ed emozioni. La prima vera pizza è quella preparata con pasta di pane, cotta nel forno a legna e condita con aglio, strutto e sale grosso, ossia la schiacciata condita. Ben presto si aggiunse olio al posto del grasso, formaggio ed erbe aromatiche, con alcune foglioline di basilico era detta "alla Mastunicola". Siamo ancora nel Seicento e sulle schiacciate non comparivano né la mozzarella né il pomodoro; di questi due ingredienti, infatti, se ne ha traccia solo a partire dalla prima metà del XIX secolo. Tramonti può essere definita "la patria dei pizzaioli" grazie alle oltre 3000 pizzerie gestite sia in Italia che all'estero da tramontani, divenuti così gli ambasciatori delle tradizioni culinarie locali nel mondo. Il comune di Tramonti ha deciso non solo di preservare la memoria storica ma anche di fissare le caratteristiche della sua pizza che privilegia l'uso di pomodori scelti, olio extravergine DOP delle Colline Salernitane e fiordilatte dei Monti Lattari. A Tramonti è molto importante la produzione vitivinicola. La base varietale è strettamente legata alla tradizione, essendo imperniata, per i tipi rossi, su Piedirosso, Sciascinoso e Aglianico, e, per i tipi bianchi, su Falanghina e Biancolella; ma rilevante è anche l'apporto di numerosi vitigni locali minori, dalle rese contenute,- la Ginestra, la Pepella, la Biancazita o la Bincatenera, ecc. che contribuiscono a conferire ai vini spiccata personalità e accentuata originalità. Nell'antico Conservatorio Regio di S. Giuseppe e Santa Teresa, sito nella frazione Pucara, vide la luce il noto liquore denominato “Concerto” per l'armonia di erbe che lo compone. Le religiose, avendo a disposizione molte varietà di erbe e spezie come liquirizia, finocchietto, chiodi di garofano, noce moscata, stella alpina e mentuccia, idearono questo meraviglioso infuso di erbe con l’aggiunta di orzo e caffè. Ancora oggi la tradizione di Tramonti vuole che questo liquore venga offerto dalle famiglie agli ospiti in segno di ospitalità e di continuità con il passato. Usato anticamente come panacea per tutti i mali, le anziane massaie credono ancora nelle sue qualità terapeutiche. La diffusione massiccia dei castagneti in Campania viene fatta risalire al periodo fra l' XI ed il XII secolo, ad opera dei monaci Benedettini, come è testimoniato in preziosi manoscritti dell'epoca. Da allora il castagno iniziò a diffondersi in molte zone collinari, sino a diventarne, col tempo, la coltura predominante. I boschi di castagni sono fra i più “addomesticati” dall’uomo: pensati per la raccolta dei frutti, sono tenuti puliti, sgombri da foglie, e piantati su terreni accessibili. Un bosco di castagni assomiglia più a un oliveto che a una foresta di querce o di lecci, e richiede cura da parte dell’uomo. In primavera, lontano dalla stagione della raccolta, sono freschi e incredibilmente vasti, con alberi distanziati, dai tronchi possenti e dall’aspetto ben saldo. Il castagno è un albero che può raggiungere età considerevoli e dimensioni maestose. Il castagno fiorisce nei mesi di giugno e luglio. Il suo fiore non è particolarmente bello: è un lungo grappolo giallastro dall’odore acre e appiccicoso al tatto, ricco di polline e nettare. Le api impazziscono per i fiori di castagno. Per oltre cento anni la castagna è stata uno degli alimenti principali di vasti strati di popolazione, ma dopo la guerra molti castagneti sono stati abbandonati. Oggigiorno la coltivazione del castagno sta riprendendo piede, e il frutto non è più considerato un alimento povero, ma è ricercato e sempre più stimato dai gastronomi. I Monti Lattari rappresentano da secoli un'area di elezione per la coltura del castagno da frutto. A Tramonti l'attaccamento della popolazione rurale a questa specie è manifestato dalla perseveranza nel continuare la coltivazione anche negli anni di crisi del castagno. Andrea Gambardella Maria Teresa De Riso Ugo D’Angelo


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Minori: la Villa Romana e gli ‘Ndunderi Le fonti antiche, da Omero a Strabone, non citano mai direttamente la Costiera, ma la chiamano la Costa delle Sirene, forse per le tre isolette che fronteggiavano Positano, dette le Sirenuse (o Sirenum Petrae oggi chiamate Li Galli, covo sicuro delle leggendarie figure omeriche metà donna e metà uccello che, con il loro canto ammaliavano i passanti). Minori deve il suo nome al fiume Reghinna Minor, (per distinguerlo dal Reghinna Maior di Maiori), che fu scelta dai Romani come residenza estiva, come testimoniano i resti di una grandiosa villa marittima del I sec d C. costruita scenograficamente tra le rocce circostanti, e ben visibile dal mare per diventare poi un vero e proprio laboratorio all’interno del quale operavano schiavi e liberti. Molti di questi erano dediti alla pesca e all’agricoltura a giudicare da materiali e attrezzi venuti alla luce durante le varie fasi di escavazione. La presenza di sale fornite di sistema di riscaldamento aggiunto in un secondo momento ci rende testimonianza del fatto che la Villa nata come un centro di vacanza venne adattata in seguito a una fruizione invernale. La Villa Marittima di Minori fu fatta edificare sicuramente da qualche patrizio romano, ricco e facoltoso, a giudicare dalla mole della costruzione e da quello che rimane della superba ornamentazione plastica e pittorica, che volle un luogo solitario e tranquillo per ivi trascorrere i suoi "otia" lontano dal caos e dal frastuono cittadino. Non si conosce il nome del personaggio che commissionò l’opera né di conseguenza la sua provenienza. Le parti murali sono in un ottimo stato di conservazione e ci permettono di avere un’idea molto chiara circa la distribuzione interna dello spazio. Lo sviluppo planimetrico ci induce a pensare che le dimensioni della villa fossero considerevoli e che essa aveva uno straordinario impatto scenografico su chi ne avesse contemplato la mole dal mare. La Villa è databile al I sec. d.C. ed ha attraversato nella sua evoluzione storica varie fasi edilizie. Lo schema costruttivo è quello tipico che nell’architettura romana si applicava alle Ville o alle dimore residenziali; abbiamo, infatti, un peristilio che corre lungo un giardino (viridarium) con al centro una piscina, che si salda all’estremità dei lati minori a un corpo di fabbrica che include a sua volta le varie stanze costituenti la domus. Tra queste stanze spicca per ampiezza e per la decorazione musiva pavimentale il triclinio ninfeo che posto al centro della domus la divide in due ali simmetriche. Del piano superiore rimangono solo alcune tracce di pareti divisorie interne, di mosaici e di una stanza fornita di sistema di riscaldamento del quale si possono ancora osservare le tipiche suspensurae. Il prospetto era chiuso da due ali laterali che gli dovevano conferire la forma di un atrio, con superfici plasticamente articolate con edicole, dove probabilmente erano alloggiate delle statue, semi-colonne, capitelli, lesene, cornici e modanature; tale prospetto affacciava direttamente sul mare essendo la linea di costa molto più interna rispetto ai tempi odierni. La parte interna del peristilio, delle stanze, sono in opus incertum, costituito da scapoli in calcare locale abbastanza regolari nel taglio e nella disposizione e cementati con poca malta grigiastra. Gli stipiti e le testate di finestre e porte sono in blocchetti parallelepipedi di travertino paestano. La teoria di archi che descrivono il triportico è in opus latericium di buona qualità. La grande abilità degli architetti romani nell’ottenere effetti illusionistici si rileva nella scala che dal piano superiore della villa portava a quello inferiore. Detta scala dà l’impressione a chi la guarda dal basso di essere più profonda e monumentale di quanto non sia in realtà. Ciò è stato ottenuto con un restringimento della scala verso l’alto e con un graduale assottigliarsi della super-


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ficie della pedata al quale corrisponde un aumento dell’alzata. I criteri prospettici subordinati a effetti scenografici li troviamo anche applicati nel triclinio-ninfeo, l’ambiente più importante della villa, lo spazio, potremo dire, edonistico del padrone, dove ci si divertiva, si ballava e si mangiava fino ad ingozzarsi. I podi sui lati est ed Ovest del ninfeo aggiunti in una seconda fase dovevano costituire letti triclinari a terrapieno in muratura, piuttosto che, come è stato sempre sostenuto finora, vasche per l’acqua in relazione con il ninfeo. Sicuramente buona parte dei piani di calpestio della villa erano ricoperti di lastre marmoree. Sulle vasche a terrapieno del triclinio-ninfeo sono stati rinvenuti in situ frammenti marmorei che ci forniscono seri segnali sull’eleganza e sulla finezza dell’ambiente. Possiamo asserire con una certa tranquillità che pezzi pregiati, elementi ornamentali come colonne, capitelli, marmi siano stai asportati durante un periodo di spoliazione in età tardo antica. Minori durante il medioevo fece parte del territorio della Repubblica di Amalfi e, oltre ad essere uno scalo commerciale, sulla sua spiaggia si costruivano le navi da guerra della Repubblica. L'abbondanza di acqua favorì la nascita di mulini e frantoi e nel seicento la cittadina era famosa per la pasta fatta a mano. Tutti ritengono Gragnano, capitale della pasta, ma non conoscono bene la storia degli ‘ndunderi. Pochi sanno che i pastai di Minori, che nel 700 valicarono i monti lattari, giunsero a Gragnano e, con l’utilizzo di un macchinario chiamato “marchingegno”, diedero inizio alla produzione industriale della pasta. Una delle paste che ancora oggi viene più prodotta a Minori e dintorni son gli ‘ndunderi, una sorta di gnocchi giganti per intenderci, preparati con farina, uova, ed altri ingredienti. La loro origine risale al ’900, sembra infatti che le massaie del tempo abbiano dato vita a questa spettacolare ricetta utilizzando come ingredienti farina di farro e il caglio, poi con il passare del tempo, una volta capita la loro importanza a livello culinario , gli ‘ndunderi di Minori sono stati prodotti anche dai pastifici artigianali di Minori e della costiera Amalfitana. Gli ,ndunderi sono il piatto tradizionale per la festa di Santa Trofimena, protettrice di Minori. Ma veniamo adesso alla preparazione degli nduderi con il sugo classico che li accompagna, fatto con il pomodoro: Ingredienti per 4: 250 gr di ricotta di mucca fresca, 3 tuorli d’uovo, 200 gr di farina tipo 00, 50 gr di caciocavallo grattugiato, sale, pepe, una spolverata di noce moscata e pomodorini. Per la preparazione del sugo occorrono: 1 cipolla piccola, olio extra vergine d’oliva e sale q.b. basilico, 100 gr di scamorza affumicata che va sciolta nel sugo di pomodoro. Mettiamo sulla spianatoia la farina a fontana, aggiungiamo i tuorli d’uovo, la ricotta setacciata, il formaggio grattugiato, la noce moscata il sale ed il pepe. Amalgamiamo e lavoriamo l’impasto fino a che diventi morbido e compatto in modo da ottenere un cordone cilindrico che andremo a tagliare in pezzetti. Per renderli concavi basta fare scivolare la pasta sui dentini di una forchetta oppure su una grattugia, con un po’ di forza. Una volta pronti cuoceteli in acqua e sale per circa 15 minuti. Per la preparazione del sugo fate soffriggere in una padella con un po’ di olio la cipolla, aggiungete i pomodorini a pezzetti e la scamorza e fate cuocere per non più di 5 minuti. Terminata la cottura salate e pepate, se volete potete dare anche una spolverata di basilico. Fate saltare gli ‘nduderi per qualche minuto, nella padella con la salsa preparata, impiattate e buon appetito. Assunta Romano


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La colatura di alici di Cetara Un borgo di pescatori, una torre vicereale. Duemila anime, la metà delle quali vivono di pesca. E' Cetara. Essa sorge ai piedi del monte Falerno ed è uno dei paesi più caratteristici della Costiera Amalfitana. Immune al turismo di massa, Cetara è ancora legata ad attività economiche quali la pesca e per questo conserva praticamente intatto il suo fascino di borgo marinaro. Il legame con il mare si sente ovunque, a cominciare dal nome che potrebbe derivare o da "Cetaria", (tonnara in latino), o dai "cetari", i pescatori o commercianti di tonni per finire con la gastronomia dove il pesce è l'alimento principe. Tonni ed alici sono protagonisti della cucina di Cetara il cui piatto tipico è rappresentato dagli spaghetti con la colatura d'alici. Le origini di questo borgo marinaro risalgono forse all'alto Medioevo. Durante l'Evo Antico, il suo territorio, quasi completamente disabitato, apparteneva alla giurisdizione della città etrusca di Marcina, coincidente molto probabilmente con Vietri sul Mare. I pescatori di Cetara, come tutti quelli della riviera di Amalfi, applicarono nella loro attività il capitolo sulla ripartizione degli utili menzionato nella raccolta delle leggi marittime meglio nota come Tabula de Amalpha. Si tratta del patto "a mezzo guadagno" o "alla parte" che prevedeva la divisione degli utili derivati dalla pesca e dalla conseguente vendita del pescato in tre parti, di cui una spettava al proprietario della barca, un altra al Capopescatore e la terza alla ciurma. Nel piccolo borgo marinaro di Cetara, si prepara una salsetta, a base di alici, che viene usata per condire primi piatti, verdure o piatti a base di pesce, davvero squisita, che riscuote gran successo tra la popolazione del luogo, ma anche tra i turisti, che tra le tante attrazioni, non disdegnano di beneficiare dell’indole culinaria dei cuochi di Cetara. Detta salsa, conosciuta come colatura di alici, si presenta liquida, trasparente e dal colore ambrato e viene prodotta da un tradizionale procedimento di maturazione delle alici in una soluzione satura di acqua e sale. Le alici impiegate sono rigorosamente pescate a Cetara, nel periodo che va dal 25 marzo, fino al 22 luglio. Le origini di questo prodotto risalgono ai Romani, che producevano una salsa molto simile alla colatura odierna, chiamata garum. La ricetta venne poi recuperata nel Medioevo da alcuni gruppi monastici presenti in Costiera, i quali ad agosto erano soliti conservare sotto sale le alici in botti di legno, che avevano la particolarità di essere composte da doghe lontane tra di loro e che quindi creavano delle fessure. Sotto l’azione del sale, le alici perdevano liquidi che fuoriuscivano tra le fessure delle botti. Il procedimento si diffuse successivamente tra la popolazione della costa, che perfezionò il procedimento. Oggi, alle alici appena pescate vengono rimosse la testa e le interiora, vengono quindi tenute per 24 ore in contenitori con abbondante sale marino. Successivamente vengono trasferite in piccole botti di castagno o rovere, alternate a strati di sale, e ricoperte da un disco di legno sul quale sono posti dei pesi, via via minori col passare del tempo. A seguito della pressione e della maturazione del pesce, affiora del liquido in superficie che fornisce la base per la preparazione della colatura di alici, che verrà conservato in grossi recipienti di vetro ed esposto alla luce diretta del sole che, per evaporazione dell’acqua ne aumenta la concentrazione. Dopo circa quattro o cinque mesi, tipicamente tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, tutto il liquido raccolto viene nuovamente versato nelle botti con le alici, e fatto lentamente colare attraverso un foro, in modo da raccoglierne ulteriormente il sapore. Viene infine filtrato attraverso teli di lino ed è quindi pronto per gli inizi di dicembre. Una procedura che viene accuratamente seguita, fase dopo fase, e che termina con una salsetta, che conserva tutto il sapore del mare e che viene usata tipicamente per condire le linguine che debbono essere cotte senza sale, essendo la colatura di alici molto salata. Può essere utilizzata anche per insaporire piatti a base di pesce o verdure, come ad esempio bietole e spinaci saltati in padella con aglio, olio e peperoncino. Da alcuni è apprezzata anche come condimento per pomodori e olive e perfino per panini farciti e uova. Sebbene viene più spesso consumato in estate, anche a causa della massiccia presenza di turisti che affollano il posto, a Cetara questo piatto è tipico della vigilia di Natale. Andrea Gambardella


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