Etica e/o efficacia?

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GIOVANNI SCARAFILE

Etica e/o efficacia?

Le competenze comunicative in prospettiva relazionale




GIOVANNI SCARAFILE

Etica e/o efficacia?

Le competenze comunicative in prospettiva relazionale


© 2015 Lulu Enterprises Inc. Raleigh, NC, USA ISBN 978-1-326-23245-0 G. Scarafile, Etica e/o efficacia? Le competenze comunicative in prospettiva relazionale Prima edizione. Marzo 2015 Collana YOD MAGAZINE. Didattica www.yodmagazine.com All rights reserved. Except for the quotation of short passages for the purposes of criticism and review, no part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording or otherwise, without the prior permission of the Author. DTP Roberta Pizzi | www.robertapizzi.com Immagine di copertina: Piero della Francesca, dettaglio dal ciclo di affreschi della “Leggenda della Santa Croce” nel coro della Basilica di San Francesco ad Arezzo. Scena: “Esaltazione della Santa Croce”, 1452-1466. Source: The Yorck Project: 10.000 Meisterwerke der Malerei. DVD-ROM, 2002. ISBN 3936122202. Distributed by DIRECTMEDIA Publishing GmbH. The compilation copyright is held by Zenodot Verlagsgesellschaft mbH and licensed under the GNU Free Documentation License http://www.gnu.org/licenses/fdl.html


A mio padre, uomo mite e maestro di ascolto.



INDICE

Introduzione....................................................................................................... I

1. Le competenze comunicative....................................................................... I

2. Un’etica a priori?......................................................................................... IV

3. Risemantizzare l’efficacia, prendendo sul serio l’interlocutore.... VI 4. Una comunicazione etica ed efficace........................................................ X

Ringraziamenti................................................................................................XII

SEZIONE UNO: PERCORSI....................................................................................... 1 Capitolo 1: Competenze comunicative........................................................ 3

1. Primo scambio comunicativo: simmetria................................................... 7 2. Secondo scambio comunicativo: asimmetria......................................... 10

3. Fagocitosi dell’interlocutore: il venditore/1.................................... 11

4. Antidoto alla fagocitosi: il venditore/2.............................................. 12 5. Autodifesa conversazionale................................................................... 13

Capitolo 2: Comunicare ................................................................................ 35

Capitolo 3: L’isteria immaginata.................................................................. 67 Riferimenti Bibliografici della Sezione Uno......................................... 85 SEZIONE DUE: SAGGI........................................................................................... 89 Capitolo 4: Per un’etica della comunicazione orientata in senso pragmatico. Cenni sulla attitudine contrastiva di Leibniz nei Nuovi

saggi sull’intelletto umano.......................................................................... 91 1. Osservazioni preliminari.......................................................................... 91

2. Assunzioni teoriche e metodologiche................................................... 94 3. I fattori considerati all’interno del dibattito................................... 97

Primo modello: plausibilità indiretta.............................................................. 98 Secondo modello : dissimulazione.................................................................105 Terzo modello: sostituzione...........................................................................110

4. Conclusioni...............................................................................................113 Riferimenti bibliografici del Capitolo 4...................................................115


Capitolo 5: In ascolto dell’altro: cenni per un rapporto tra etica e retorica..........................................................................................................117 Premessa..........................................................................................................117 1. Il contatto tra le menti.........................................................................119

2. Il concetto di espressione.....................................................................122 3. Espressività e percezione.......................................................................129

4. Conclusioni...............................................................................................133 Riferimenti bibliografici del capitolo 5...................................................135

Capitolo 6: Una carezza lieve. Note per un’etica dell’ascolto.......139

Riferimenti bibliografici del capitolo 6...................................................148

Capitolo 7: Cibarsi del leviatano. Il conflitto nella relazione

medico-paziente............................................................................................151

Riferimenti bibliografici del capitolo 7...................................................163


Introduzione

Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio, che noi ci aspettiamo la nostra cena, ma dal loro rispetto nei confronti del loro stesso interesse. Noi ci rivolgiamo, non alla loro umanità ma al loro amor proprio, e non parliamo loro delle nostre necessità ma della loro convenienza. Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, 1776

1. Le competenze comunicative Ciò che state per leggere è un libro pensato appositamente per accompagnare il percorso didattico degli studenti che frequentano le mie lezioni nell’Università del Salento. Generalmente, occupandosi di comunicazione, si ha il compito di illustrare le teorie più accreditate, mettendone in evidenza le implicazioni etico-morali. Oggi, nell’ambito dell’alta formazione, l’accoglimento delle diverse indicazioni istituzionali che chiedono di non trascurare i possibili sbocchi professionali dei percorsi di studio, pone il docente di fronte a possibilità didattiche


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ulteriori rispetto al recente passato. Nel caso degli insegnamenti che mi sono affidati, i vantaggi che potrebbero derivare agli studenti dall’inserimento di qualche riferimento alla traduzione nella pratica delle teorie della comunicazione sono indubbi. A tale scopo rispondono le competenze comunicative. Esse colmano il gap tra teoria e pratica, dando così credito alla plausibilità di quel percorso di integrazione, prendendo le distanze da due atteggiamenti opposti, ma convergenti. Chi voglia cimentarsi nel compito di integrare la teoria della comunicazione con la pratica deve, infatti, fronteggiare da un lato lo snobismo di quanti vorrebbero preservare gli studi filosofici da ogni possibile contaminazione con la fatticità delle situazioni concrete dell’umano e, dall’altro, l’approccio meramente funzionalistico di quanti ritengono che la comunicazione sia di fatto riconducibile all’acquisizione di “tecniche”. I due approcci sono insufficienti e fuorvianti rispetto alla sopra citata esigenza di alta formazione. Le ragioni in tal senso sono molteplici. Una, in particolare, chiede di essere esplicitata per il fatto di essere interna all’idea stessa di comunicazione. Il processo comunicativo, infatti, prima ancora di inerire alla trasmissione di qualsivoglia messaggio, implica il darsi di una relazione almeno tra due interlocutori. Tale implicazione si traduce più opportunamente in consustanzialità: c’è comunicazione quando c’è relazione. L’istituirsi o meno della relazione genera l’effettività del processo comunicativo. È chiaro che la dinamica di tale processo può essere considerata esclusivamente da un punto di vista teorico, benché tale possibilità rischi di fare della comunicazione una idea monca. Il concetto si completa divenendo prassi. In ragione di ciò, II


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l’aspetto pratico del comunicare non può essere un corollario eventuale di una teoria che si presume essere autosussistente. Al contrario, lo scambio comunicativo nelle modalità del suo eventuarsi completa la teoria, può confermarla, avvalorarla o perfino smentirla. Vorrei, in proposito, richiamare quanto Gadamer scriveva sulle condizioni che creano un colloquio: «Non il fatto dunque che siamo venuti a sapere qualcosa di nuovo ha fatto di qualcosa un colloquio, piuttosto il fatto che nell’altro ci è venuto incontro qualcosa» [19]. Nelle parole del filosofo tedesco, si colgono due piani. Il primo, «siamo venuti a sapere qualcosa» è collocabile ancora al livello della comunicazione non pienamente esperita, ma limitata alla trasmissione di un messaggio. È un riferimento all’aspetto teorico del comunicare. Il secondo livello, «ci è venuto incontro qualcosa», si riferisce all’attraversamento della soglia che separa il teorico dal pratico da parte di una teoria che nell’incontro con l’altro si è fatta realtà. È questo il livello di cui credo si debba parlare per prendere distanza da ciò che denominerei best then theory. Mi riferisco a quella convinzione che, affermando la derogabilità di una traduzione in pratica delle teorie, rivela la sua fallacia direttamente sulla pelle dei destinatari dei nostri corsi universitari: gli studenti. Nel migliore dei casi, infatti, essi diventano conoscitori di teorie, senza ausili per declinare quelle conoscenze nella realtà. Questo libro è stato pensato per colmare per quanto possibile questa lacuna. Esso presenta alcune teorie della comunicazione insieme ad alcuni modi in cui quegli approcci teorici possono essere messi in pratica. Come dicevo, il risultato è ciò che definiamo competenza comunicativa. La letteratura scientifica ha di volta in volta fatto coincidere III


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le competenze comunicative con la padronanza del codice verbale o con la conoscenza e il rispetto delle convenzioni o, infine, con il sapersi orientare appropriatamente nei diversi contesti. Tuttavia, in quei casi, se così si può dire, siamo ancora al livello della “teoria della competenza comunicativa” e, per certi versi, ancora più subdolamente installati nella best then theory. Nel caso di questo libro, si intende perseguire un altro obiettivo. È per tale ragione che la struttura del volume è divisa in due sezioni. La prima, Percorsi, propone una serie di questioni, tra loro interrelate come a formare la stessa trama delle argomentazioni proposte in sede didattica. La seconda, Saggi, presenta alcune declinazioni del tema di fondo di questo libro. In definitiva, la competenza comunicativa si fa carico di rendere visibile (ed anche verificabile) la consustanzialità tra teoria e prassi. Come scrive Maria Teresa Giannelli: ha sviluppato un’adeguata competenza nel comunicare chi ha

la capacità di mettersi in relazione con l’altro in modo diretto, creativo e appropriato, sapendo avviare e mantenere una relazione costruttiva. [21].

2. Un’etica a priori? Una comunicazione efficace, spesso considerata sinonimo di comunicazione di successo, è compatibile con una comunicazione etica? Comunicare bene è possibile solo all’interno di un’etica della comunicazione effettivamente praticata da coloro che comunicano? Non si tratta di una domande peregrine. Si noti, infatti, cosa scrive in merito la già IV


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citata Giannelli in merito alla figura del buon comunicatore: «è una persona che basa il successo comunicativo sulla capacità di essere autentico e quindi di instaurare e mantenere relazioni fondate sulla fiducia. È una persona, sostenuta da un senso etico della vita e delle relazioni, in grado di generare nuova e più profonda comunicazione» [21]. Ora, è evidente che una comunicazione etica, appannaggio di coloro che di quell’etica sono per così dire impregnati è operazione pregevole, ma purtroppo ben poco realistica, dal momento che la situazione odierna risulta piuttosto agli antipodi. È per questo che l’ideale del buon comunicatore è per certi versi inquietante. La mia tesi è che nostro compito consista nell’immaginare un approdo etico per situazioni comunicative che, almeno in partenza, possono non avere alcuna connotazione morale. È più ragionevole, infatti, supporre che gli attori di un qualsivoglia processo comunicativo possano essere interessati al perseguimento del proprio interesse individuale piuttosto che il contrario. Un esempio paradigmatico in tal senso è fornito dalla comunicazione nella relazione medico-paziente. Alcuni indicatori, richiamati nel prosieguo di questo libro, denunciano una cattiva qualità di quella comunicazione i cui effetti ricadono a valanga non soltanto sui pazienti, ma anche sugli stessi medici (per esempio, nei termini di una altissima diffusione della sindrome burn-out). In questi casi, secondo il modello discusso in questo libro, l’adozione da parte dei medici di più adeguate modalità comunicative non può essere affidata alla buona volontà dei singoli. La buona volontà, infatti, quale movente delle scelte individuali, farebbe ricadere l’adozione di una determinata scelta su una preesistente virtù e ci farebbe così precipitare nell’aborrito ideale del buon comunicatore. E che cosa ne sarebbe di tutti V


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quei medici che, per una ragione o per l’altra, non possono esibire quella stessa “buona volontà”? Sulla scia del modello offerto da Adam Smith ne La ricchezza delle Nazioni, quando osservava dell’individuo che «si propone unicamente il proprio profitto è come se fosse guidato da una mano invisibile a promuovere un fine che non faceva parte delle proprie intenzioni. […]. Perseguendo il proprio interesse, un individuo spesso fa progredire la società più efficacemente di quando intende davvero farla progredire», io credo che occorra invertire il rapporto, seguendo un percorso più realistico, in grado di considerare più oggettivamente i fenomeni sotto esame. La realtà non va modificata in base alle più o meno buone aspirazioni dei singoli, ma facendo leva su ciò che definisco la loro intrinseca convenienza. Assunto questo nuovo criterio, la domanda iniziale muta sostanzialmente: che cosa è più conveniente per un medico: comunicare nel modo tradizionale o sforzarsi di adottare qualche accorgimento nel comunicare? Se si riuscirà a dimostrare la presenza di una convenienza per il medico stesso, allora l’adozione di determinate pratiche potrà poggiare sul prolifico interesse dei molti e non sulla purtroppo sterile buona volontà dei pochi. 3. Risemantizzare l’efficacia, prendendo sul serio l’interlocutore Il percorso proposto persegue l’etica della comunicazione non in modo aprioristico, ma in seguito ad una disanima dei contesti, non esclusi i bisogni di coloro che sono coinvolti nelle relazioni comunicative. Oggigiorno, anche in seguito al moltiplicarsi dei flussi comunicativi consentiti dai social network, vi è uno spasmodico VI


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bisogno di comunicazioni efficaci, laddove l’efficacia viene quasi sempre a coincidere con l’effettività della diffusione del messaggio veicolato. Invece di ipotizzare mondi ipotetici in cui una comunicazione (ideale) potrebbe aver luogo, la mia proposta è di verificare all’interno delle condizioni attuali la presenza di elementi che, opportunamente valorizzati, possano costituirsi a “leva”, punto di appoggio, per uno sviluppo delle teorie della comunicazione in direzione dell’auspicato approdo etico. Come procedere, dunque? Credo che la chiave di volta sia costituita dalla stessa idea di “efficacia”. Quell’idea, che indica etimologicamente la capacità di raggiungere l’effetto che ci si è proposto, riferita alle nuove sfide che dobbiamo fronteggiare, chiede di essere risemantizzata. L’efficacia comunicativa rappresenta un obiettivo largamente condivisibile, possibile se si riescono a modellare i contenuti del comunicare sugli interlocutori effettivi. Si tratta di un riscontro di antica data, risalente alla filosofia scolastica medievale che aveva coniato il detto «quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur», ovvero, ciò che viene ricevuto in un soggetto è ricevuto secondo la capacità della natura del ricevente. Già, ma al giorno d’oggi, chi è l’interlocutore? Ecco, io credo che la filosofia della comunicazione debba aiutare a problematizzare la natura dell’interlocutore, troppo spesso dato per scontata. Se si prova a fondare la natura dell’interlocutore sulla alterità, allora difficilmente esso potrà esser dato per scontato. Mi riferisco alla necessità di assumere un armamentario teorico lontano dagli immaginati prodigi delle tecniche. All’interno di questo orizzonte, perfino banale, l’altro viene “inteso” troppo fugacemente. Di conseguenza, la relazione che ne deriva non può far altro che subordinare i bisogni VII


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dell’altro a quelli dell’io, come mostrato nella parte di questo scritto dedicata al cosiddetto “dialogo del venditore”. In quel caso, la relazione stabilita con l’altro è una specie di cavallo di troia, utile per nascondere e veicolare le reali intenzioni di un io onnivoro e desideroso soltanto di vedere allargati i propri interessi. Quel tipo di rapporto, rubricabile come un ennesimo capitolo di una mai esaurita egologia, è ben lontano da ciò di cui abbiamo bisogno se vogliamo pensare l’efficacia in modo nuovo. L’incontro con l’altro può riservare piacevoli sorprese: «Incontrare un uomo – ha scritto Lévinas - significa essere tenuti svegli da un enigma» [31]. Questo pensiero ha il merito di trasmettere una inquietudine di fondo rispetto ad ogni facile e presuntivamente acquisita sicurezza di riuscire a “dire” l’altro. L’altro si pone, invece, al di là di ogni tentativo di prensione – anche linguistica - da parte dell’io. Egli, dirà ancora il filosofo lituano-francese, si sottrae ad ogni forma plastica con cui si vorrebbe incapsularlo. D’altro canto, questa particolare posizione dell’altro che lo lascia disvelare nel chiaroscuro piuttosto che esibire platealmente, non autorizza nemmeno una dismissione del cercare, come quando – esausti – si rinunci a perseguire una meta, ritenuta impossibile. Sono ancora le parole di Lévinas ad indicare la via: l’altro permane come enigma e, ciononostante, continua ad interpellare l’io, cioè ad incuriosirlo, a darsi a pensare. In un’unica, efficace espressione: l’altro toglie il sonno! In questa vigilanza indotta da una presenza enigmatica che inquieta, noi iniziamo ad intuire che le consuete modalità di rendicontazione dell’altro sono del tutto inefficaci. Ecco dove alberga il bisogno di una efficacia nuova! In una relazione, senza eccezione, ogni prensione si rivela priva di oggetto proprio perché l’altro, il nostro interlocutore VIII


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con cui vorremmo stabilire un autentico rapporto, solo impropriamente può essere inteso come un oggetto afferrabile. Ma, allora, quale è la relazione adeguata? Per rispondere a questa domanda, bisogna rinunciare alla monologia. In particolare, occorre rinunciare alla presunta autosufficienza di una rendicontazione del reale condotta dall’interno di un’unica prospettiva, la nostra. Ogni dire deve essere preceduto da un udire. In tal senso, l’ascolto, prima ancora della parola, diventa la disposizione a rendicontare un enigma che ci riguarda. È proprio l’ascolto che, come scrive Lizbeth Lipari [32] «pone in essere un surplus infinito di benvenuto, invito e ricezione, non importa cosa sia detto o ascoltato. L’ascolto […] è un potenziamento di responsabilità resa manifesta attraverso una postura di ricettività, una passività del ricevere l’altro in se stessi senza assimilazione o appropriazione. L’ascolto è un processo di contrazione, consiste nello stare un passo indietro e creare un vuoto nel quale l’altro può entrare». L’atteggiamento cui ci si riferisce in queste pagine è ben riassunto dal particolare della Storia della Vera Croce di Piero della Francesca, posto in copertina di questo libro. Di fronte alla Croce di Cristo, finalmente riportata da Eraclio a Gerusalemme dopo molte peripezie, l’ultimo dei fedeli, prima ancora di cadere in ginocchio, porta le mani alla testa nel tentativo di togliersi il copricapo. Essendo l’ultimo della fila, nessuno può vedere l’uomo. Quel gesto, tuttavia, nella sua istintività e proprio per il fatto di essere sottratto agli sguardi, ben indica il tipo di detronizzazione dell’io nei confronti dell’altro. “Contrazione”, scrive la Lipari per alludere al movimento più appropriato nei confronti dell’altro. La mia tesi è che, nell’ambito dello stile della contrazione, solo l’infinito interrogare dell’io possa approssimare l’altro. Il movimento della domanda, infatti, è in grado di istituire la relazione IX


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autentica disinteressata, forse anche indipendentemente dalla adozione di un atteggiamento analogo da parte dell’altro. 4. Una comunicazione etica ed efficace Nel paragrafo precedente, nel prendere le distanze dalla sindrome del bravo comunicatore, eravamo partiti dal dubbio se una comunicazione etica fosse possibile solo per coloro che sono in grado di una specifica professione di fede filosofica. Avendo scartato questa possibilità perché riservata a pochi fortunati, ci eravamo messi alla ricerca di una diversa modalità, “più realistica”, assunta direttamente dal contesto ed incentrata sulla ricerca di una “comunicazione efficace”. Abbiamo così provato ad interrogare lo stesso concetto di efficacia, scoprendo che esso include una rinnovata attenzione proprio all’alterità dell’interlocutore. L’efficacia risemantizzata comporta non solo l’individuazione di strumenti e tecniche per comunicare. Essa, infatti, mentre cerca con ostinazione tali strumenti, ponendosi sempre più in relazione con l’altro, scopre la forza dell’ascolto attivo. Esso si dispiega in una retrocessione delle pretese dell’io. Questo movimento dell’io, equivalente ad una detronizzazione, è intimamente etico. Con ciò si realizza quanto avevamo auspicato all’inizio. Nell’ambito della filosofia della comunicazione, l’etica, infatti, non andrebbe concepita come prerequisito necessario di una comunicazione orientata ai valori, né intesa come un’aggiunta posticcia ad un percorso rivolto alla ricerca delle migliori tecniche comunicative. Essa scaturisce piuttosto all’interno dei percorsi di senso, proprio mentre gli attori del processo comunicativo sono impegnati nel perseguimento X


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dei propri interessi individuali. L’efficacia, non astrattamente intesa, ma realisticamente attenta all’interlocutore, scopre al suo interno una fondamentale venatura etica. Non etica o efficacia, dunque, ma etica e efficacia! Lecce, Marzo 2015 G.S.

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