Eclettica 4

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Indice INTRODUZIONE

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FEEL MUSIC

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2.

IL GABINETTO DEL DOTTOR LAMBERTI

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3.

L’ANGOLO DEGLI ESORDIENTI/EMERGENTI

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4.

MEMORIE DI VIAGGIO

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5.

AVVENTURE DA PALCOSCENICO

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6.

METTI UN… CLASSICO MODERNO A CENA

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7.

NEWS FROM THE ENGLISH LIBRARY

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8.

DISCOVER THE COVER 1

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9.

LE ALI DI ISIDE

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10.

LIBRI VINTAGE E

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11.

ECHOES

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12.

DISCOVER THE COVER 2

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13.

UN MARE DI LETTERATURA

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14.

PHIL & SOPHIA

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15.

SCORCI DAL MONDO INCANTATO

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16.

ARTEGGIAMENTI

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17.

THE HORROR! THE HORROR!

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18.

DALLA CARTA ALLA PELLICOLA

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19.

UN LIBRO… UN SORRISO

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20.

CHIACCHIERANDO CON

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21.

E AZIONE!

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CONTATTI

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INTRODUZIONE Lettori e lettrici, sono lieta di presentarvi il quarto numero di Eclettica! In questo nuovo numero c’è un piccolo cambiamento: Chiara, la nostra grafica, ci ha dovuto purtroppo lasciare per alcuni impegni… ma, a occupare il suo posto, ecco Giuliano! Diamo il benvenuto al nuovo grafico di Eclettica! Lo conoscete già perché si occupa della rubrica Il gabinetto del dottor Lamberti. Oltre ad essersi occupato dell’impaginazione, Giuliano recensirà per noi Battle Royale. Terzo appuntamento con la Londra low cost, con Fabiana che ci parlerà delle sue attrazioni e musei. Daniela, nella sua rubrica Dalla carta alla pellicola confronterà il libro e il film di Colazione da Tiffany. Si parlerà di film e libri anche nelle rubriche Scorci dal mondo incantato e Libri vintage: Fabiana, dopo essere andata a vedere il film di Divergent, ha deciso di leggere anche il libro; Laura invece si discosta dal solito genere trattato e stavolta ci presenta una storia di guerra, I cannoni di Navarone. Essendo da poco arrivata la stagione primaverile, Cristina ha ben pensato di parlarci della Primavera di Botticelli e dei suoi molteplici significati. Mirko, oltre a parlarci nelle sue rubriche di Love of lesbian e di Monuments men, sarà anche il protagonista di Chiacchierando con… e ci parlerà dei suoi due romanzi. Non dimentichiamoci del simpatico Phil, che scriverà una lettera alla cara Sophia, riflettendo sulla società. Francesca analizzerà la storia e la figura della Geisha, invece Valeria ci presenta teatrale ITIS Galileo. L’Eneide e l’importanza del mare durante il viaggio di Enea saranno al centro della rubrica di Claudia, Un mare di letteratura. Elisabetta esprimerà la sua opinione sulle cover dei libri The Signature of All Things, recensito da Loredana, e 999 L'Ultimo Custode, recensito da Roberto. Il sogno è il tema principale del libro trattato da Paola nella sua rubrica Metti un… classico moderno a cena. Loredana in The horror! The horror! ci parlerà di un libro che, più che un romanzo d’horror, lei stessa definisce un horror di romanzo. Noemi Gastaldi e i suoi “Spiriti”: ecco il titolo dell’articolo della rubrica curata da Lidia. Infine, non mancheranno le risate con Vanessa, che con la sua ironia darà anche un simpatico consiglio a una casa editrice. Pronti a scoprire i vari articoli? Buona lettura!

GIOVANNA SAMANDA RICCHIUTI

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Per chi segue la WWF (World Wrestling Federation), l’evento “Battle Royale” ha un significato preciso; è un combattimento in cui 20 o più lottatori combattono sul ring, uno contro l’altro e si conclude quando sul ring rimane un solo vincitore. Per eliminare gli avversari: vanno “schienati” (spalle e schiena a contatto del ring per 3 secondi), oppure gettati oltre le corde al di fuori del ring. E’ un combattimento in cui: nascono alleanze improbabili e si consumano tradimenti beceri. Nel mondo teatrale del Wrestling, dove la violenza è spettacolo e il combattimento è rappresentazione, la Battle Royale è un evento in cui “sparigliare le carte” sul tavolo, rimettendo tutti in gioco. Koushun Takami mostra, con questo romanzo, un’ipotesi verosimile su cosa succede se la Battle Royale viene calata nel mondo reale e i combattenti sono studenti di III media. Durante il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, ciascuno di noi ha vissuto: passioni, rancori, amicizie, rivalità assolute. Ritornate con la mente a quei momenti; riviveteli pensando cosa avreste fatto con la “licenza di uccidere” alla James Bond. Risparmiereste qualcuno dei vostri compagni di classe, posti nella condizione di continuare a vivere solo a patto di rimanere l’ultimo sopravvissuto?? Di chi vi fidereste: la fidanzatina, l’amico in classe con voi dall’asilo, il bullo che vi fa le prepotenze o la prima della classe che vi passa i compiti perché gli siete simpatici. Questo è il dilemma in cui si trovano i protagonisti di Battle Royale. Un romanzo corale in cui l’autore sviscera un momento estremo nella vita di ciascuno di noi, calando i personaggi in una situazione estrema. Un countdown di vittime, in cui realizza istantanee psicologiche. Il testo non ha la struttura classica di un romanzo, è composto da descrizioni. Quadri dove Takami alterna un linguaggio introspettivo, in cui i personaggi danno voce ai propri pensieri e ricordi, alla narrazione degli eventi generati dal confronto tra i personaggi in scena. C’è salvezza e redenzione all’ultima pagina del libro? Dopo una prima lettura non ne sono sicuro. A mio giudizio qui l’autore rivela la propria bravura di narratore. La storia, come la vita, non finisce alla parola FINE. Continua con nuove prove da superare per sopravvivere. Scontri che Takami lascia immaginare al lettore sullo sfondo della scena finale, con i protagonisti rimasti che continuano a correre per rimanere vivi. Contestato in patria sin

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dalla prima edizione, quasi messo all’indice per i temi trattati: il rito di passaggio dall’infanzia all’adolescenza, le dinamiche scolastiche ed adolescenziali e il totalitarismo espresso dalla figura del maestro. L’ambiguità generale che segna tutta la narrazione, dove la dicotomia classica “buoni contro cattivi” è soppiantata da un grigiore amorfo in cui tutti cercano di sopravvivere, crea nel benpensante medio un senso d’insicurezza. Un fastidio espresso dal contestare la narrazione d’un darvinismo sociale portato alle estreme conseguenze. Lo stesso darvinismo che la società esprime in programmi come The Apprentise o con la costante spinta ad una competizione sociale che non prevede seconde possibilità per gli sconfitti. Questo è l’unico biasimo possibile a Takami, il voler usare l’allegoria narrata in Battle Royale per sbatterci in faccia la realtà nuda. La nostra vita è un campo di battaglia, dove un errore può costarci la morte sociale. E’ la coscienza di prove senza possibilità d’appello che rende il libro indigesto. Ci costringe a mettere in discussione l’obiettivo a cui la società moderna aspira. L’aspirazione secondo cui il più debole va' sostenuto ed aiutato nel superare le difficoltà perché torni ad essere un componente attivo e rispettabile della società. Intanto, ad ogni nuova crisi mondiale i clochard e gli indigenti aumentano; chi è inutile viene espulso dal tessuto sociale e chi ha un momento di debolezza fatto fuori con ferocia. La realtà non è mai un bel posto in cui vivere, ma siamo nati per correre e parteciperemo fino alla vittoria. Sinossi: Oggi si parte per la gita scolastica. Sull’autobus per il mare due scolaresche di terza media fanno casino come tanti loro coetanei in situazioni simili. Le coppette si appartano nel loro mondo popolato di cuoricini rosa, il comico della classe racconta barzellette, si spettegola per passare il tempo del viaggio. Il tempo passa, la noia e il buio fuori dal finestrino fanno scivolare tutti in un sonno pesante che li fa risvegliare all’Inferno. Le due classi sono state selezionate per “Il Programma”. Un gioco sadico e crudele che viene usato nella Repubblica della Grande Asia dell’Est per distruggere la speranza del suo popolo. Ogni anno vengono selezionate due classi di terza media per ciascun distretto: divise in egual numero tra maschi e femmine, equipaggiati con cibo, acqua ed un’arma assegnata casualmente. Abbandonati in un luogo isolato e sconosciuto dovranno combattere tra loro finché l’ultimo rimasto vivo verrà dichiarato vincitore, riceverà l’autografo del Grande Dittatore in carica e una pensione. Chi è rimasto a casa e si oppone scompare in fosse comuni o ha un

Il libro: Battle Royale

destino peggiore. Chi non vuole combattere muore. Se nessuno muore per 24

Autore: Koushun Takami

ore il gioco termina e con esso le vite di tutti i giocatori. Un meccanismo perfetto

Editore: Mondadori

in cui i 46 protagonisti sono presi e progressivamente stritolati, o quasi. In natura

Prezzo: 12,00€

non esiste nulla di perfetto ne tutti i giocatori sono disposti a rispettare le regole dettate dal Grande Dittatore, soprattutto in un gioco senza regole.

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L’ANGOLO DEGLI ESORDIENTI-EMERGENTI Noemi Gastaldi e i suoi “Spiriti”.

“Nessuno può conoscere quello che è stato, quello che è, e quello che sarà. Guardati sempre da chi pretende di insegnartelo” Antico Spirito Alchimista. Cari lettori. Per questa nuova uscita è stata scelta un’autrice che ha partecipato, e ha anche vinto, a un’iniziativa del mio blog per un’antologia di Natale. Il comitato del gruppo Facebook ha votato i quindici racconti e il vincitore/vincitrice ha avuto l’opportunità di essere citato proprio qui, nella rubrica esordienti/ emergenti. Di chi sto parlando? Della bravissima Noemi Gastaldi e della sua saga Oltre i confini. Chi è Noemi? Noemi Gastaldi è nata e cresciuta in provincia di Torino, città in cui attualmente risiede. Ama scrivere fin da quando era piccola, ma la sua prima pubblicazione risale al 2009, quando collabora al romanzo erotico-sentimentale “22 fiori gialli”, attualmente edito da Eroscultura. Nel 2011, affascinata dal mondo sommerso dell’arte indipendente, riprende in mano una vecchia bozza ideata anni prima e mette le basi per la saga “Oltre i confini”. Il primo volume della stessa, “Il tocco degli Spiriti Antichi“, viene autopubblicato nel novembre 2012. Il secondo volume, "Il battito della Bestia", viene autopubblicato nel gennaio 2014. L'uscita del volume conclusivo, è prevista nel 2015.

Il tocco degli Spiriti Antichi (Oltre i confini - vol 1) Noemi Gastaldi (Autore), Nicolò Mulè (Illustratore) Acquistabile su Amazon

Sinossi “- Non sai chi sono? Allora non puoi liberarmi! - disse la bambina, pestando i piedi

sul pavimento con rabbia. - Cerca di sbrigarti a capire come funzionano le cose, o diventerai come me! E non è divertente! - aggiunse ancora, prima di sparire dalla vista di Lucilla.” Lucilla soffre di allucinazioni fin da quando era molto piccola, si è talmente abituata alla situazione da reputarla normale. Non ha idea del rischio che sta correndo. Ha ormai ventidue anni, quando l’ossessione per una ragazza misteriosa di cui è innamorata fin dai tempi dell’adolescenza, la spinge a confrontarsi con una realtà che ha sempre rifiutato: la realtà materiale e quella immateriale, sono separate da un velo sottile, e lei è una di quelle poche persone capaci di squarciare questo velo. Francesca è consapevole di questo già da molto tempo, ma non le basta: è alla continua ricerca di nuove conoscenze, determinata ad accrescere il suo potere; saranno proprio le sue ricerche a farle incontrare Lucilla, nei vasti territori oltre i confini. Nessuna delle due, però, immagina quello in cui saranno coinvolte: dopo una lunga era di equilibrio, i potenti Spiriti Antichi stanno per scatenarsi gli uni contro gli altri, coinvolgendo coloro che hanno subito il loro tocco…

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Appassionante: la prima parola che mi viene in mente è quella. Scorrevole e ben scritto, sono entrata subito nell'ottica narrativa. I personaggi sono ben scritti e messi al posto giusto. Mi ha entusiasmato sin da subito, è un racconto pieno di fantasia, raccontato benissimo con uno stile fresco e innovativo. Lucilla, la protagonista, è una ragazza disadattata che da piccola incontra Fantasy molto più grande di lei e se ne innamora al primo sguardo. Insieme viaggiano tra la realtà e un mondo parallelo fantastico fatto di animali, spiriti e molto altro. Nasce cosi una storia d'amore pura, bellissima, come le loro anime. È a tratti sognante e mi ha conquistato immediatamente. Uno stile perfetto che ho visto in pochi autori. Una sorta di avventura tra le pagine: ogni angolo di questo racconto ti fa volare tra le parole, le descrizioni e l'ottima lettura. Una storia d'amore tra la protagonista Lucilla e Fantasy, una Viator Lucis, che mi ha emozionata, trascinata in un luogo parallelo . Questo è un fantasy a dir poco affascinante, spirituale. In poche parole un libro che ti fa sognare a occhi aperti.


Il battito della Bestia (Oltre i confini - vol 2) Noemi Gastaldi (Autore), Nicolò Mulè (Illustratore) Acquistabile su Amazon Sinossi " - Possiamo parlarne?- le chiese la bimba nel cuore della notte.

Lucilla si svegliò e la vide: risplendeva nella stanza buia. - Parlarne?- rispose trafelata, senza realizzare del tutto che uno spettro fatto di freddo e di rabbia le stesse gentilmente rivolgendo la parola. - Ti ricordi di me?- Domandò ancora la Larius. - Anni fa ti chiesi di liberarmi. Ti chiesi di uccidermi. Ora non voglio più morire.- Tu sei già morta…- riuscì a dire la Viator." Lucilla si risveglia dopo la battaglia, incredula, incapace di accettare l'idea che il mondo oltre i confini sia stato dissolto. Ma le basterà trovare il coraggio di affrontare la situazione, per accorgersi che le due facce della realtà, simbionti e inscindibili, sono soltanto cambiate.

Ritornano con gran prepotenza le nostre protagonista Lucilla e Francesca. In questo secondo volume la storia si svolge nella realtà, in una Torino moderna, piena di misteri e di nuove avventure. Nuove lotte, nuovi e vecchi nemici circonderanno il nostro mondo con delle magie, riti potentissimi che non abbiamo letto nel primo capitolo. Un alone di paranormale, fantasy e realtà che sconvolgono ma che ti appassionano a ogni capitolo. Un libro che ti spiazza per gli innumerevoli colpi di scena. Un’emozionante saga che ti toglie il fiato per l’originalità e per l’ottima scrittura. Un fantasy particolare pieno di mistero, mai noioso, scorrevole e zeppo d’incredibili emozioni. Una saga con dei personaggi che ti entrano dentro con la semplicità della narrazione dell’autrice. Un romanzo scritto bene e parecchio avventuroso. I colpi di scena non mancano, come la suspense che ti lascia incollata al video. Bellissimo l'intreccio tra la realtà e la fantasia. Per i numerosi FANS di quest’autrice, annuncio che Noemi ha appena finito la scaletta definitiva del terzo volume della saga "Oltre i confini", dal titolo provvisorio "La stretta delle Forze Ancestrali". Spera sia tutto pronto tra un annetto. Si è divertita a scrivere il racconto per "Natale Fantasy Dark", organizzato dal mio blog Il Rumore dei Libri, e per questo sta prendendo in considerazione l'idea di dedicarsi seriamente alla stesura di altri racconti brevi di quel genere. Concludo con il nostro motto: “Aiutiamo gli emergenti, no all’editoria a pagamento”. Al prossimo articolo! Un affettuoso Bye-Bye dalla vostra Blogger Lidia Ottelli del Rumore dei Libri. A CURA DI LIDIA OTTELLI

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MEMORIE DI VIAGGIO Londra Low cost: attrazioni e musei parte 3 Quando anche un viaggio in una delle capitali più cool e costose d’Europa può costarci pochi spiccioli e offrirci un panorama culturale di tutto rispetto. Questo racconto su Londra si sta rivelando infinito ma l’obiettivo è quello di mostrarvi con mano che anche se la sterlina è cara per le nostre tasche possiamo sopravvivere e divertirci lo stesso. Anche dal punto di vista dei monumenti/cultura, Londra non si esime dal gratuito. Ovvio anche ammettere che quello che si paga non costa di certo poco, anzi… L’aspetto che ho apprezzato di questa città poliedrica e multietnica è che sa affascinare e stregare in ogni suo vicolo. Ci sono scorci fantastici lungo il Tamigi al tramonto, passeggiare in mezzo agli imponenti edifici trasuda il fascino antico della storia e della cultura. Insomma è un viaggio affascinante e spettacolare anche se non avrete abbastanza sterline per entrare all’interno dei monumenti. Cominciamo dai parchi, quelli che adoro sono St James’s Park e Hyde Park. Il primo si trova proprio davanti Buckingham Palace ed è caratterizzato da un’invasione di scoiattoli agguerritissimi che verranno a prendersi anche il cibo dalle vostre mani. Mentre ero in posa per una foto me ne sono ritrovata uno che si arrampicava su per la gamba. Non sono proprio bellissimi come Cip e Ciop della Disney perché lo smog li ha un po’ sbiaditi e ingrigiti. Sono rimasta affascinata quando all’improvviso è spuntato il sole e gli inglesi hanno aperto le sdraie per prendere quel briciolo di luce che era apparsa. Da noi in Italia le sdraie sarebbero sparite nell’arco di un secondo. Hyde Park è un immenso polmone verde. Molto più tranquillo dell’altro parco e, anche questo, pieno di scoiattoli. Questi sono meno avventurosi e difficilmente si avvicinano. Nel parco trovate la statua di Peter Pan, il Serpentine lake, la Serpentine Galleries e l’Albert memorial. I monumenti da visitare sono tanti a partire da Buckingham Palace che è visitabile solo d’estate in quanto è la residenza reale. Se non ricordo male il biglietto dovrebbe costare circa 20 euro ma potete risparmiarveli tranquillamente in quanto è molto più bella la reggia di Caserta ☺ Un salto al palazzo va fatto comunque perché alle 12 c’è il famoso cambio della guardia. Occhio che troverete sempre file chilometriche quindi si vede

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poco e nulla, se siete bassi come me. Nonostante sia stata 5 volte a Londra ancora non mi sono decisa a entrare in alcuni posti quindi non so consigliarvi se meritano o meno una visita. Di sicuro da fuori resterete affascinati e colpiti e c’è comunque il modo di vederli in parte gratuitamente. Westminster Abbey per esempio è aperta di domenica alle 17 perché fanno dei concerti gratuiti. Ovviamente non si può andare in giro a far foto ma dovete restarvene seduti ad ascoltare il concerto. La casa del parlamento è visitabile gratuitamente durante la seduta del parlamento. Vanno controllati di volta in volta gli orari sul sito. Io ogni volta mi lascio rapire dalla vita di tutti i giorni e mi ritrovo a non avere tempo per andare. Non dimenticate il Big ben, la Torre di Londra e il meraviglioso London Bridge. Tutto raggiungibile a piedi o con le comodissime fermate della metro che stanno proprio vicino ai rispettivi monumenti. Per gli amanti delle scarpinate consiglio i 300 scalini di The Monument. Con 3 sterline hai una vista mozzafiato su Londra e un attestato quando riscendi per la fatica compiuta. Per chi volesse fare un giro nella seconda cattedrale più bella del mondo, San Paul, e non volesse pagare 9 sterline ricordo che è possibile entrare gratuitamente durante la funzione domenicale. Come al solito non è possibile andare a far foto in giro ma potete avere un’idea di com’è. Da San Paul con un attimo si arriva nella City, il vecchio quartiere finanziario di Londra. Se ci andrete nel week end è pressoché deserto. Ma la strada più bella è quella che vi condurrà sul Millenium Brigde, un ponte sul Tamigi che vi porterà direttamente sull’altra sponda. Al tramonto si assiste a uno scorcio sul fiume, che è a dir poco mozzafiato e assolutamente imperdibile, con questi ampi grattacieli che si specchiano nelle acque. Da quest’altra sponda del Tamigi, per gli appassionati come me, potrete trovare il Globe Theatre dove vengono recitate le commedie e le tragedie di Shakespeare. Il teatro è tale e quale al progetto originale di quel periodo. Per tornare al tempo di Shakespeare e per chi sa un po’ d’inglese vale la pena ascoltare un’opera, i biglietti della seduta a terra non costano. Londra non finisce qui e per gli appassionati di storia e quadri regala addirittura alcuni dei migliori musei. È il caso del National Gallery che dà sull’imponente Trafalgar Square, una

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MEMORIE DI VIAGGIO pinacoteca immensa dove potrete scovare artisti famosi, come Van Gogh. Si pagano soltanto le mostre itineranti, per il resto del museo basta una piccola offerta. Stesso discorso vale per il Tate Modern, dove potrete imbattervi nelle più moderne istallazioni. Per gli egittologhi e in generale gli appassionati archeologi, il British Museum è quello che fa per voi. La struttura immensa che al centro somiglia a una conchiglia è già di per sé stupendo, poi vi perderete tra corridoi e sale in cui sono presenti reperti di civiltà antiche come egiziani, babilonesi, sumeri e molto altro ancora. Anche questo museo è totalmente gratuito. E, se ancora non ne avrete avuto abbastanza di musei, non potete perdere il Museo di Storia Naturale, sempre gratuito, sito in un edificio storico che toglie il fiato per la bellezza. All’interno della sala principale troverete un dinosauro a grandezza naturale che è quasi impossibile fotografare ☺ Quando vi sarete stufati, allora vi consiglio di gettarvi nella piccola Chinatown. Vi sembrerà di essere giunti in un angolo di Cina tra scritte e insegne cinesi, lampioni, decorazioni nel consueto stile cinese. Vengono distribuiti persino i giornali in lingua cinese. Inizia all’angolo di Gerrard Street. E che ne pensate di perdervi un po’ per Little Venice di Londra? Si trova a Camden Town, ci si imbarca su un battellino che naviga il canale passando accanto a imbarcazioni sul fiume, veri e propri locali e lo zoo. Vi ricordo che esistono i biglietti 2for1 - ne ho parlato nel primo articolo su Londra - per chi volesse fare un salto allo zoo senza essere lapidato dalla sterlina. Ma dovete mostrare sempre il biglietto del treno insieme al coupon preso dal sito. Se proprio volete divertirvi non vi aspetta che salire sul London Eyes, la ruota panoramica costituita da capsule. Salite solo in un giorno senza foschia se no il prezzo del biglietto è troppo eccessivo e non vedrete più in là del vostro naso. Solitamente si trovano dei biglietti combinati per questa attrazione e per il museo delle cere, da solo dovrebbero essere circa 16 sterline. Madame Tussaud’s è il museo delle cere che costa uno sproposito ma vi permetterà di salutare da vicino tutti i vostri beniamini. Vi consiglio di usare i biglietti 2for1 o combinato con altre attrazione. Se non ne avete ancora abbastanza potete fare un salto alla casa di Sherlock Holmes o al Dungeon. Per gli amanti del Thè non potete perdere Twinings Tea che non è semplicemente un negozio ma un vero e proprio museo di questa antica marca di thè. È l’unico punto dove vendono il thè Twinings oltre che nei grandi supermercati dove è in vendita quello più commerciale. Si trova nello strand 216 vicino alla metro temple. Se avete ancora tempo e non siete sazi di Londra e della sua vita pulsante, allora prendete la metro fino a Canary Wharf, la nuova city, dove i grattacieli si specchiano nel Tamigi. Sotto il sole d’agosto con la gente che passeggia mangiando un gelato ha un certo fascino. Da qui in un attimo potete raggiungere Greenwich e passeggiare in questo quartiere che sembra un paesino di altri tempi. Ci si arriva tranquillamente con l’abbonamento per le zone 1-2. A Londra si vive sotto il sole, e di notte non perdete la possibilità di ascoltare un concerto

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all’O2 di Brixton. Merita una visita solo la sala del concerto, è spettacolare con la sua cupola che sembra un cielo aperto e stellato. Vi ricordo che i concerti iniziano prestissimo, non come in Italia dopo le 21, quindi già dalle 18 è necessario mettersi in coda. Non si può andare via da Londra senza aver visto un musical, ce ne sono seimila ogni volta, i biglietti non sono proprio economicissimi ma si possono trovare delle occasioni comprandoli anche all’ultimo minuto al botteghino. Gli spettacoli se non ricordo male iniziano alle 17. Siamo giunti alla fine? Non ancora, Londra non è solo questo, ormai è anche la casa di Harry Potter e per chi come ha amato il maghetto della Rowling non può perdere l’occasione di farsi una foto al binario 9 e ¾ alla stazione di King’s Cross. Se volete fare il tour al set del film della Warner Bros vi consiglio di acquistare il biglietto online perché agli studios non ci sono casse. Ci si arriva prendendo un treno e un autobus… mi sono scervellata per capire orari, combinazioni e tutto il resto per cui vi consiglio vivamente di comprare un biglietto per il tour organizzato, si spende poco di più ma almeno si è sicuri di arrivare in tempo a destinazione e soprattutto di far ritorno a Londra. Vi lascio il link http://www.london-attraction-tickets.com/productinfo.aspx?id=19944. Si organizzano anche tour di Harry Potter per Londra (http://www.london-attractiontickets.com/harry-potter-walking-tour-of-london_14577). Uscendo dalle magiche atmosfere Potteriane, vi lascio con una delle immagini che mi è più a cuore di Londra, una statua scoperta per caso mentre cercavo il famoso binario 9 e ¾ di Harry Potter: la statua degli innamorati nella stazione di ST Pancras, è veramente bella, romantica e poetica. Per chi avesse ancora tempo, merita una foto. A CURA DI FABIANA ANDREOZZI

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AVVENTURE DA PALCOSCENICO ITIS Galileo «L'arte e la scienza dovrebbero sempre essere ribelli rispetto al pensiero dominante del loro tempo».

Un paio d’anni fa il cantastorie Marco Paolini portava nei teatri di tutta Italia lo spettacolo ‘ITIS Galileo’, ripercorrendo le tappe della vita dello scienziato e raccontando le sue rivoluzionarie scoperte. La tournée, che ha conseguito uno straordinario successo per ben due stagioni, è terminata, ma fortunatamente esistono delle registrazioni che permettono comunque di assistere allo show. Molti sostengono che guardare le opere teatrali in televisione sia noioso, ma non è il caso di ‘ITIS Galileo’ poiché è stata realizzata una messa in scena appositamente per registrare lo spettacolo e trasmetterlo su La7, rispettando le esigenze di un pubblico televisivo. Il video completo è disponibile su Youtube in Rewind TiVu – Primo Canale, oppure potete acquistare in libreria Paolini M., ITIS Galileo, Einaudi, Torino 2013, un libro contenente il canovaccio e il DVD dello spettacolo oltre a numerosi scritti degli autori Marco Paolini Francesco Niccolini e del filosofo della scienza Stefano Gattei. Come location per mettere in scena lo spettacolo sono stati scelti i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Alcuni spettatori assistevano alla proiezione dello spettacolo dall’Aula Fermi, i professori dell’istituto invece assistevano allo spettacolo di Paolini in un teatro improvvisato nelle profondità del Gran Sasso, con 1400 m di roccia sopra di loro e i caschi protettivi. E’ stata un’ottima scelta parlare di Galileo in una delle più importanti sedi dello studio della fisica delle particelle, vengono infatti sottolineati gli sforzi che sono stati compiuti in passato per rivoluzionare il modo di pensare delle persone e l’importanza della scienza nella storia dell’umanità. Nel titolo compare la parola “ITIS”, che è un inequivocabile omaggio agli istituti professionali. La vicenda di Galileo è un argomento trattato soprattutto nei licei classici e scientifici mentre gli ITIS sono soliti trascurarlo, nonostante Galileo non avrebbe potuto compiere alcuna scoperta

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senza le conoscenze tecniche apprese come autodidatta. Si tratterebbe inoltre di un espediente per invitare a teatro tutti quanti, non soltanto coloro che hanno scelto di studiare ma anche i “meccanici”, senza la cui tecnica non sarebbe stata possibile alcuna rivoluzione scientifica. Tale scelta deriva soprattutto dal fatto che Paolini abbia voluto andare nelle scuole per spiegare ai più giovani che essere geniali, in circostanze difficili, può essere un problema. Paolini è uno dei principali esponenti del Teatro Civile in Italia, un genere di spettacolo teatrale che tratta argomenti riguardanti temi di politica e società, al fine di focalizzare l’attenzione sull’argomento trattato per sensibilizzare l’opinione pubblica. Anche se il tema di Galileo non può certo essere considerato contemporaneo, Paolini è riuscito a realizzare numerosi parallelismi (alcuni anche comici) tra l’Italia del XVI-XVII secolo e quella dei nostri giorni, in modo tale da sfruttare appieno le capacità educative del teatro per insegnare al pubblico come essere rivoluzionari ai nostri giorni. Non è infatti un caso che lo spettacolo abbia inizio con l’invito a “fare un minuto di rivoluzione”… Il teatro civile si sviluppa dal Teatro di Narrazione, di cui Paolini è uno dei massimi esponenti, ed è proprio di questo genere teatrale che sarebbe meglio parlare nel caso di ‘ITIS Galileo’. Guccini racconta così il teatro di narrazione: “alcuni attori-autori iniziano a presentarsi sulla scena senza lo schermo del personaggio, ma con la propria identità per raccontare storie senza rappresentarle”. Si crea così un rapporto più diretto tra palcoscenico e spettatori, i quali spesso sono chiamati ad interagire con gli attori. Nel suo ultimo spettacolo Paolini non tradisce il proprio stile recitativo. L’opera è infatti un lungo monologo (che talvolta si trasforma in dialogo improvvisato con il pubblico) in cui spesso abbandona la lingua italiana in favore del dialetto veneto. L’attore-regista, calca il palcoscenico con un impiego minimo di costumi di scena e di scenografie e senza interpretare alcun personaggio. Come facevano anticamente i cantastorie e gli “Zanni” (le maschere cinquecentesche di Arlecchino, Pulcinella, Pantalone …), lo spettacolo consiste prevalentemente nell’improvvisazione dell’artista basata su un canovaccio. Una delle tante magie del teatro consiste proprio nella possibilità di annullare la distanza tra gli attori sul palcoscenico e gli spettatori in platea e Paolini ci riesce proprio grazie all’improvvisazione: per cercare qualcuno iscritto all’ITIS Paolini interroga gli spettatori sulle scuole superiori effettuate, fa un cenno al pubblico televisivo che lo “segue da casa” e invita

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la platea a togliere il caschetto protettivo per non patire troppo il caldo. Le scenografie sono minime (se escludiamo l’affascinante tunnel sotterraneo in cui viene realizzato lo spettacolo), infatti sono costituite da una copia ingigantita degli appunti di Galileo sullo sfondo, una campana (una possente, della Pontificia Fonderia Marinelli) e un sfera uncinata contenente una ricostruzione dell’universo sospese mediante delle catene con cui Paolini gioca nel corso dello spettacolo, una piccola cassa di legno sul quale sono appoggiati il Sidereus Nuncius e il Dialogo sopra i massimi sistemi. Per quanto riguarda i costumi, ad un certo punto dello spettacolo Paolini indossa un baschetto nero e un grembiule marrone utilizzato da chi compie attività umili, durante la lettura dell’abiura sostituisce invece il basco con un lungo cappello conico bianco “da somarello”. Anche i caschetti protettivi possono essere considerati dei costumi di scena per l’attore (che ad un certo punto decide di toglierselo) e gli spettatori. Non mancano inoltre le colonne sonore: Mario Brunello esegue al violoncello Suite n. 1, Giugue di Johann Sebastian Bach, Cantique de la promesse di Jacques Sevine, La Bandabardò esegue Circus composta per ‘ITIS Galileo’. Come spesso accade nel teatro civile, Paolini porta le prove di ciò che racconta: non solo cita accuratamente nomi e date, ma sfoglia sul palcoscenico i due più importanti libri scritti da Galileo, il ‘Sidereus Nuncius’ e il ‘Dialogo sopra i massimi sistemi’. Il primo è un trattato di astronomia pubblicato nel 1610, in cui Galileo espone tutto ciò che ha scoperto grazie al cannocchiale, il secondo invece è un’opera di trattatistica scientifica scritta sotto forma di dialogo e pubblicata nel 1632. Paolini espone con colloquialità e spesso anche comicità le due opere, rendendole accessibili anche profani. Per rendere commestibile il ‘Dialogo’ inscena persino un monologo nello stile degli Zanni, con tanto di mascherina. A CURA DI VALERIA VITE

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METTI UN… CLASSICO MODERNO A CENA

«Sogni di sogni» di Antonio Tabucchi

TITOLO: Sogni di sogni AUTORE: Antonio Tabucchi EDITORE: Sellerio editore Palermo PAGINE: 100 PREZZO: 10,00€ TRAMA I sogni di Dedalo, Ovidio, Apuleio, Cecco Angiolieri, Villon, Rabelais, Caravaggio, Goya, Coleridge, Leopardi, Collodi, Stevenson, Rimbaud, Cechov, Debussy, Toulouse-Lautrec, Pessoa, Majakovskij, García Lorca, Freud. Un libro che è un azzardo, una supposizione e un'ipotesi, e insieme un fervido omaggio a venti artisti amati da uno scrittore di oggi.

«Chi di notte, dormendo, sogna, conosce un genere di felicità ignota al mondo della veglia: una placida estasi e un riposo del cuore che sono come il miele sulla lingua. Sa anche che la vera bellezza dei sogni è la loro atmosfera di libertà infinita: non la libertà del dittatore che vuole imporre la sua volontà, ma la libertà dell'artista privo di volontà, libero dal volere. Il piacere del vero sognatore non dipende dalla sostanza del sogno, ma da questo: tutto quello che accade nel sogno, non accade solo senza il suo intervento, ma fuori del suo controllo. Si creano spontaneamente paesaggi, vedute splendide e infinite, colori ricchi e delicati, strade, case che non ha mai visto e di cui non ha mai sentito parlare. Compaiono degli sconosciuti che sono amici o nemici, benché chi sta sognando non abbia mai fatto nulla per loro né contro di loro. L'idea della fuga e l'idea dell'inseguimento tornano sempre, nei sogni, entrambe egualmente estasianti. Tutti dicono cose piene d'intelligenza e spiritose. È vero che, cercando di ricordarle durante il giorno, paiono sbiadite e senza senso perché appartengono a un'esistenza diversa; ma appena il sognatore si sdraia, la notte, il circuito si riallaccia e i sogni tornano a sembrargli stupendi» (Karen Blixen, La mia Africa). Non ricordare il sogno fatto la notte precedente, tenere per sé, quasi con gelosia, un sogno che è un desiderio, raccontarne uno sgradevole per evitare che

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METTI UN… CLASSICO MODERNO A CENA

«Sogni di sogni» di Antonio Tabucchi si realizzi... Attorno al tema dei sogni si è creato un alone di mistero e quasi un’aura di sacralità, soprattutto a partire dagli studi di Sigmund Freud. C’è anche lui qui, peraltro. Quanto svela di ciascuna persona il sogno? È solo fatto di distorsioni della mente o, al contrario, si fa portatore di voci che vengono messe a tacere durante il giorno? «Sotto il mandorlo della tua donna, quando la prima luna d’agosto sorge dietro la casa, potrai sognare, se gli dei sorridono, i sogni di un altro.» Con questa antica canzone cinese posta in epigrafe si apre Sogni di sogni di Antonio Tabucchi, una raccolta di racconti – o meglio, di sogni – il cui scopo è quello di appropriarsi dei sogni altrui: quante volte capita di chiedere alle persone vicine cosa hanno sognato, quasi a volersi appropriare del loro io più intimo? Tabucchi fa lo stesso con dei grandi nomi dell’arte ma, laddove la penuria di fonti non lo consente, subentra la finzione letteraria a sopperire tale mancanza. Ed ecco che ci troviamo ad essere partecipi dei sogni di Dedalo, Ovidio, Apuleio, Cecco Angiolieri, Villon, Rabelais, Caravaggio, Goya, Coleridge, Leopardi, Collodi, Stevenson, Rimbaud, Cechov, Debussy, Toulouse-Lautrec, Majakovskij, García Lorca, Freud e l’immancabile – almeno nell’opera tabucchiana – Pessoa. Ognuno di questi personaggi ha un proprio epiteto che gli viene attribuito da Tabucchi: ed ecco che Caravaggio diventa «pittore e uomo iracondo», Goya «pittore e visionario», Giacomo Leopardi «poeta e lunatico», Sigmund Freud «interprete dei sogni altrui». Come in ogni raccolta di racconti, alcuni risulteranno più o meno riusciti a seconda della sensibilità personale. Ci si sente ospiti in questo libro, bisognerebbe forse percorrerlo in punta di piedi (se è vero che i sogni rivelano molto dell’inconscio di chi li fa), anche se qui è la finzione letteraria a fare da filtro, a consentirci quest’invasione del privato. I sogni sono posti in ordine cronologico, dai personaggi più lontani nel tempo alla

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modernità a noi più prossima: il tema della morte costituisce un fil rouge in tutti i racconti, e pare di scorgere un climax dell’inquietudine mano a mano che ci si avvicina al presente. È un libro per sognatori, in cui il fugace sogno narrato da Tabucchi si presta a un’ulteriore elaborazione propria, in modo che lo stesso lettore diventi sognatore; ci sono autori, tra cui inserirei anche Julian Barnes e Philip Roth, che forse non sono adatti a chi tende ad avere un’idea precisa su tutto, in quanto il dubbio costituisce il metodo e la domanda vuole porsi come risposta ultima. Anche in questo caso ci si trova ad avere a che fare con una letteratura fatta di piccoli o grandi equivoci senza rimedio e, per quanto si possa cercare di comprendere, la fenomenologia ne risulta quasi impossibile, se non in negativo, distinguendolo dalla veglia. Qui si ha forse un passaggio in più: il sogno, tema tipico di Antonio Tabucchi (lo si può trovare, tra gli altri, in Requiem, Notturno indiano e nel più recente Per Isabel), assume qui un carattere metafisico o rivelatorio, dotato di una certa logica interna e quindi indagabile, ma resta sempre il dubbio che il sogno sia veramente un sogno, in un gioco del rovescio in cui vale tutto e il contrario di tutto... «Se un uomo attraversasse il paradiso in sogno, e gli dessero un fiore come prova d’esser stato lì; e se destandosi si trovasse in mano quel fiore … allora?» (Da una nota di Samuel Taylor Coleridge citata da Borges). A CURA DI PAOLA LORENZINI

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NEWS FROM THE ENGLISH LIBRARY « The Signature of All Things » di Elizabeth Gilbert

TITOLO: The Signature of All Things AUTORE: Elizabeth Gilbert EDITORE: Viking International Edition (ottobre 2013) PREZZO: 19,72€ PAGINE: 513 pagine TRAMA: Fin dal momento in cui Alma Whittaker viene al mondo, tutto quello che riguarda la vita la affascina. Impregnata da un inestinguibile senso della meraviglia, prodigiosamente istillato da suo padre, un esploratore botanico e l’uomo più ricco del Nuovo Mondo, Alma viene allevata in una casa di lussi e curiosità. Non passa molto tempo prima che diventi lei stessa una botanista dotata; tuttavia, mentre prospera e le sue ricerche la portano ad addentrarsi nei misteri dell’evoluzione, l’uomo che ama la trascina verso la direzione opposta, nel regno della spiritualità, del divino e della magia. The Signature of All Things spazia attraverso il mondo del XIX secolo, da Londra al Perù, a Philadelphia, Tahiti e oltre, popolato da personaggi straordinari e soprattutto un’eroina indimenticabile come Alma Whittaker.

Elizabeth Gilbert è molto nota per un romanzo di natura autobiografica, Eat Pray Love (Mangia, Prega, Ama) dove ricostruisce la sua vita apparentemente perfetta e realizzata, che si spezza alla ricerca di una sua qualità più autentica, attraverso un viaggio in tre paesi particolari. In The Signature of All Things, ritorna alla dimensione del romanzo vero e proprio, del racconto di una vita sensazionale e piena di meraviglie come quella della formidabile Alma Whittaker. Le prime pagine del libro raccontano della sua nascita in una delle case più ricche e frequentate del Nuovo Mondo, agli inizi del XIX secolo. Dopo avercela presentata, l’autrice decide che è il momento di fare un passo indietro e di raccontarci della vita dello straordinario padre di Alma, Henry Whittaker, nell’attesa che la bambina cresca e riveli qualcosa di più di sé. Henry Whittaker è il sorprendente figlio di un contadino di Richmond, già ricco di molti altri figli e poco altro. Invece di incanalarsi in un destino fatto di povertà, ma dignitoso come quella dei suoi genitori, Henry sente subito i morsi dell’umiliazione derivante dal confronto con la ricchezza e l’agio che prosperano poco lontano dalla sua casa, in un palazzo dotato di uno splendido giardino, chiamato The Kew. E’ di proprietà reale, e il monarca, indispettito dall’arretratezza botanica dell’Inghilterra in confronto all’Europa, profonde impegno per trasformarlo in un giardino di prima grandezza, senza ottenere risultati strabilianti. Uno degli agenti che lo affianca in questo progetto è Sir Joseph Banks, un ambizioso gentiluomo versato in botanica, che viaggia nel mondo alla ricerca di semi e piante rare da portare in Inghilterra e farle riprodurre. Il padre di Henry si occupa con bravura del frutteto del giardino, arrivando a guadagnarsi persino l’appellativo di Apple Magus da parte del sovrano, per aver guarito la pianta di mele preferita

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dal re. Mentre gli altri figli Whittaker passano il tempo tra risse e duro lavoro nei campi, Henry si affianca al padre nel suo lavoro nel frutteto, arrivando a imparare tutto il possibile su piante, semi e loro coltivazione. L’ambizione lo divora: affamato di conoscenza, è altrettanto desideroso di trasformarla in oro sonante e vita protetta, al contrario di quanto ha fatto suo padre, che si è accontentato del suo semplice ruolo e del titolo di Apple Magus, esempio di favore reale rimasto senza sostanza. Presto, Henry scopre come agganciare la propria vita a quella di Sir Joseph Banks, per poterla usare come trampolino di lancio per se stesso. Sorpreso a rubare semi preziosi e gelosamente custoditi nel giardino dell’eminente botanico, che avrebbe poi rivenduto ai suoi colleghi concorrenti con ottimi risultati di lucro, Henry riesce a ribaltare la situazione e a evitare la forca di Tyburn e a proporsi come agente per conto di Banks per i suoi viaggi di esplorazione botanica intorno al mondo. Inizia una vita sorprendentemente nuova, dura, affascinante, bellissima e brutale per l’ultimo figlio di un giardiniere: imbarcato con il coraggioso Capitano Cook, Henry gira il mondo e si trasforma, cambiando pelle. Aumenta le sue competenze, alimenta sogni di grandezza per sé e il suo paese, sviluppa capacità commerciali e imprenditoriali, sempre attento a cogliere ogni occasione e a non fare passi falsi. Sir Joseph Banks beneficia dall’inventiva e dal coraggio del suo giovane agente, prende tutto quello che gli può dare e infrange brutalmente i suoi sogni un po’ ingenui. Nonostante gli innegabili benefici procurati al botanico più importante del Regno, Henry Whittaker non può sperare di elevarsi al suo rango e diventare improvvisamente suo pari. Una sfrenata risata di derisione di Sir Joseph Banks raggela il cuore già parecchio indurito di Henry, che esce da quella ricca casa e dall’Inghilterra deciso a tenere per sé la promettente idea commerciale in germoglio nella sua testa, e a non rivedere mai più un gentiluomo in tutta la sua vita. Caparbio e divorato dall’ambizione, sostenuto dalle notevoli capacità raffinate negli anni, Henry crea il suo impero nel Nuovo Mondo, circondandosi di una favolosa ricchezza, e dalla frequentazione continua di uomini di scienza e di intelletto. E’ un uomo ricercato per il suo sapere, il suo potere, e temuto per il carattere collerico e incurante delle buone maniere o del rispetto per i sentimenti altrui. In questa atmosfera di ricchezza e competenza consolidate, di rigorosa e inesauribile ricerca del sapere, nasce l’unica figlia, Alma. E’ una piccola replica prodigiosa di Henry: curiosa del mondo, innamorata del mondo vegetale, all’età di soli cinque anni è in grado di sezionare un bulbo e identificarne esattamente le parti, e di esplorare il vasto giardino botanico della casa per studiarne gli esemplari. Crescendo, aggiunge altri primati alla sua fama: è una donna, oltre che ricca, estremamente colta e dotata di senso critico, appassionata conversatrice in grado di sostenere con argomentazioni solide le sue ragioni. Non bella come la misteriosa sorella adottiva Prudence, apparente statua di ghiaccio e ottime maniere che coprono un cuore generoso ed estremamente vivo, e poco incline ai rapporti umani, che intreccia compiendo molto spesso errori, trascinata da un carattere impetuoso e da alcune debolezze irrisolte. Alma è un personaggio complesso, che si ama o si odia, e che fa sentire la propria mancanza quando non è in scena, per quanto sia circondata da personaggi all’altezza e altrettanto ricchi, è lei la spezia segreta che amalgama tutto e che dona colore e sapore ad un affresco di vita sempre pieno di sorprese.

A CURA DI LOREDANA GASPARRI

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DISCOVER THE COVER «The Signature of All Things» di Elizabeth Gilbert

Non sono una foto perfetta o un’illustrazione mozzafiato a rendere accattivante la copertina di un libro. O almeno, non sempre. Eccone un esempio lampante. The Signature of all Things se la gioca tutta sulla disposizione e font del testo. Semplice, ordinato, d’impatto e disposto su uno sfondo neutro, come a richiamare lo sfondo di una vecchia carta di canapa. Non sembra un manoscritto d’altri tempi? Il punto è proprio questo: non vuole tanto sembrarlo, quanto esserlo, poiché gli episodi narrati in The Signature of all Things fanno parte di un passato che si spalma tra i secoli XVIII e XIX. E come gli steli di queste piante, apparentemente insipide e stilizzate, paiono allungarsi verso l’altro, anche Alma si troverà in qualche modo ad andare oltre le proprie convinzioni, protendersi verso il trascendente, l’aspetto mistico della natura. A CURA DI ELISABETTA BALDAN

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LE ALI DI ISIDE Il Mondo fluttuante della Geisha

“Non è per una geisha desiderare. Non è per una geisha provare sentimenti. La geisha è un’artista del mondo, che fluttua, danza, canta, vi intrattiene. Tutto quello che volete. Il resto è ombra. Il resto è segreto”. (“Memorie di una geisha”, 2005)

La sola presenza della geisha, quasi impalpabile, silenziosa eppure attenta al mondo che la circonda, ispira amore per l’arte e rispetto per la ferrea forza di volontà di chi ha plasmato la propria esistenza sull’ideale della bellezza e della conoscenza. Troppe volte la figura della geisha è stata confusa con quella della prostituta, oppure di una donna servizievole e docile, totalmente sottomessa all’uomo. Questo è ciò che si crede, la voce del “sentito dire”. La geisha, però, non è questo e la sua inafferrabile esistenza è stata deformata sulla base di modelli e categorie occidentali. La storia La geisha vive nel misterioso “mondo fluttuante”, nome che venne coniato dallo scrittore Ryoi Asai nel 1661 proprio per descrivere un universo inaccessibile ai più, fatto di arte e di una lunga preparazione che costava non pochi sacrifici. Il termine geisha è costituito da due kanji, “gei”, cioè arte e “sha”, ovvero persona. Il termine è, dunque, traducibile come “artista”. La figura della geisha che conosciamo oggi si è formata e stabilizzata in un periodo compreso tra il Settecento e l’Ottocento. Fu proprio in quest’ultimo secolo, infatti, che nacquero i primi “hanamachi” di Kyoto, cioè i quartieri in cui le geisha vivevano e mettevano in mostra la loro arte. Proprio negli hanamachi vennero costruite le “okiya” (case delle geisha) e le “ochaya” (case da tè). Per chi ha letto “Memorie di una Geisha” o anche solo visto il film, questi termini risulteranno, di sicuro, molto familiari. In quest’epoca la differenza tra geisha e prostituta era ormai molto chiara e regolata. Nel Seicento, però, quando le prime geisha donne (ricordiamo, infatti, che prima di quest’epoca la parola geisha si riferiva a uomini che intrattenevano il pubblico con danze e musica) avevano soppiantato le cortigiane “saburuko” e “juuyo”, il loro ruolo non era ancora ben definito e la prostituzione legale, le figure della geisha e della prostituta finirono per sovrapporsi ed essere confuse. Un equivoco che, in parte, è arrivato fino a noi. L’Ottocento, poi, è anche il secolo dei viaggi, delle relazioni diplomatiche e degli scambi culturali con Paesi lontani come il Giappone. Fu proprio grazie a questi contatti che la fantasia di scrittori e pittori prese vita, regalando al mondo opere come la “Madama Butterfly” di Puccini (la prima al Teatro alla Scala risale al 17 febbraio 1904); o i quadri di Van Gogh e Monet che, influenzati dal crescente interesse dell’Europa per il Giappone, il mondo fluttuante e le tecniche di raffigurazioni su stampe giapponesi, rappresentarono la geisha come una donna estremamente sensuale e misteriosa, in un interessante parallelo con le raffigurazioni di harem e odalische del mondo arabo-islamico dello stesso periodo. Durante la Seconda Guerra Mondiale l’equivoco tra geisha e prostituta divenne ancora più evidente, poiché gli stessi soldati americani in Giappone

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credevano di trovarsi di fronte a donne quasi “schiave” degli uomini sotto ogni punto di vista, una sorta di cortigiane di lusso (anche in questo caso il film di Marshall e il libro di Arthur Golden sono ben documentati). Niente di più sbagliato. Entrare nel mondo della geisha per comprenderlo è molto difficile, ma è possibile avvicinarsi alla vera essenza di queste artiste conoscendo i loro sacrifici e l’impegno per imparare a fluttuare con grazia, eleganza e consapevolezza tra il passato e il presente. Arte, educazione e raffinatezza Nei secoli precedenti al Novecento le giovani dovevano superare, per divenire delle geisha, un lungo apprendistato che iniziava in tenera età. Non sempre le bambine venivano vendute alle okiya. Molte, infatti, decidevano liberamente di intraprendere tale professione, oppure avevano una madre che era stata geisha in passato e poteva svelare loro i trucchi di questa antica arte. Le ragazze iniziavano come domestiche per poi imparare la danza, il canto, la musica (in particolar modo a suonare lo shamisen, strumento a corda dal suono soave) e a servire il tè. Solo successivamente l’apprendista (ormai una “minarai”) prendeva parte alle feste e ai ricevimenti, accompagnata dalla sua sorella maggiore e istruttrice (“onee-san”). Proprio in questa fase la futura geisha imparava a stare in società, a conversare e muoversi con disinvoltura tra estranei e persone di alto livello sociale. Nella terza e ultima fase dell’addestramento la giovane diveniva una “maiko” e perfezionava le sue conoscenze fino all’adozione di una sorte di nome d’arte e all’ultimo gradino di preparazione: essere una vera geisha. Da questo momento in poi la nuova geisha cominciava a ripagare le spese sostenute dall’okiya per il suo addestramento. Oggi, però le cose sono cambiate: le attività, il salario e la stessa esistenza di queste donne è regolata dallo Stato, non più dall’okiya e le ragazze iniziano il tirocinio spesso da adulte, una volta completati gli studi. D’altra parte è vero che le geisha stanno diminuendo di anno in anno. Le ragazze, infatti, non sono più attratte da uno stile di vita e di addestramento tanto rigido e l’emancipazione femminile ha portato questa figura, in passato simbolo di cultura e libertà delle donne (almeno in una certa misura, soprattutto se paragonata al ruolo di moglie, incatenato alla casa e alla cura della famiglia) a declinare inesorabilmente. Ai nostri giorni, inoltre, è molto raro per una geisha trovare un “danna”, cioè un uomo molto ricco che la aiuti a sostenere le spese della sua preparazione. A tal proposito c’è da chiarire un altro equivoco: la geisha non può sposarsi. Per contrarre matrimonio deve necessariamente abbandonare la professione. Può avere relazioni con uomini, anche con quelli conosciuti per lavoro, ma ciò riguarda la sua vita privata. Insomma, la geisha non viene pagata per avere rapporti sessuali, ma intrattiene attraverso la sua arte, danza, musica, canto o conversazione. Oggi per una geisha è abbastanza raro scegliere un danna. Può avere una

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relazione amorosa con questi, ma non è di certo un modo per ripagare l’uomo della sua “protezione” economica. La geisha fa parte di un mondo di tradizioni al tramonto, fluttua con eleganza in un mondo di antiche convenzioni che, spesso, mal si adattano ai nostri tempi. Eppure il suo fascino, c’è da scommetterci, non tramonterà mai. Bibliografia Arthur Golden, “Memorie di una geisha”, Longanesi 1998 (ma il libro è disponibile in varie edizioni). Liza Dalby, “La mia vita da geisha”, Sperling & Kupfer, 2008. Downer Leslie, “Geisha. Storia erotica del Giappone raccontata dalle maestre del piacere”, Piemme 2011. Iwasaki Mineko, Rande Brown, “Storia proibita di una geisha”, Newton Compton 2013. Nagai Kafu, “La luce della luna. Storia di una geisha”, Castelvecchi 2011. “I Segreti della Geisha”, Sonzogno 2001, raccolta di stampe e informazioni sul mondo della geisha. Miriam Bendia, “Diario di una maiko”, CasadeiLibri Editore 2008. Harumi Setouchi, “La virtù femminile”, Neri Pozza, 2006. A CURA DI FRANCESCA ROSSI

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LIBRI VINTAGE «I cannoni di Navarone» di Alistair MacLean Il libro è stato ristampato nel 2002 nella collana Grandi Tascabili della Bompiani, al prezzo di € 8 circa, ma purtroppo è fuori catalogo; il volume si può però recuperare, in questa o in precedenti edizioni, nel mercato dell'usato. TRAMA 1944: arcipelago delle Sporadi, Grecia. Dall'isola di Navarone la Wehrmacht, grazie a due cannoni di grosso calibro e a lunga gittata, piazzati in una caverna a prova di bombardamento aereo, impedisce l'evacuazione della guarnigione inglese dell'isola di Kheros. L'alto comando britannico organizza una missione disperata: cinque uomini dovranno infiltrarsi nell'isola e distruggere a ogni costo quelle armi micidiali, ma i componenti del commando non dovranno affrontare soltanto i tedeschi, ma rivalità intestine, rancori e odi mai sopiti, il tradimento e gli aspetti più crudeli della guerra.

Bentornati nella rubrica dei libri vintage; questo mese mi discosto dai romanzi di stampo ottocentesco per far conoscere una storia che appartiene al genere "di guerra". Si tratta di "I cannoni di Navarone", da cui nel 1961 venne tratto l'omonimo film diretto da J. Lee Thompson con un cast di tutto rispetto, con Gregory Peck, David Niven e Anthony Quinn nella parte dei protagonisti. Io ho visto prima il film, scoprendolo per caso tra i titoli disponibili in biblioteca, poi ho preso in prestito anche il libro appena ho saputo che il film era stato tratto da un romanzo: posso dire che, a parte qualche modifica fatta nella versione cinematografica per scopi commerciali (ad esempio l'aggiunta di personaggi femminili), il film è molto fedele al libro, sia nelle situazioni sia nei dialoghi, perciò se conoscevate il film potete leggere il libro per rivivere l'avventura, se al contrario conoscevate solo il libro sappiate che potete tranquillamente guardare il film senza rimanerne delusi. Il romanzo c'immerge nella Seconda Guerra Mondiale, nel Mediterraneo: il capitano neo-zelandese Mallory, valente alpinista, viene reclutato assieme ad altri uomini per una missione d'eccezionale urgenza e segretezza. Sull'isola greca di Navarone i tedeschi hanno posto due enormi cannoni che tengono sotto tiro tutto il mare circostante, impedendo così a qualunque nave nemica di transitare nei paraggi; sull'isola di Kheros vi è una guarnigione di più di mille uomini che dev'essere messa in salvo entro pochi giorni, passando per forza nei pressi di Navarone, e ogni tentativo degli Alleati per distruggere i cannoni si è rivelato un fallimento. Rimane un solo modo per accedere all'isola e togliere di mezzo le armi, e dev'essere fatto per l'unica strada non sorvegliata perché nessuno potrebbe mai arrivare da lì: una rupe a picco sul mare, una parete di roccia praticamente liscia... e qui entra in scena Mallory che, come alpinista, ha già portato a buon fine prima della guerra la conquista di molte vette. Il romanzo, così come avviene nel film, è suddiviso in capitoli titolati con il giorno e l'ora: ogni capitolo è un segmento di tempo ben preciso in cui i nostri eroi, stringendo i denti e pronti a qualunque avversità, avanzano faticosamente, ma tenacemente, verso la meta, verso quella grotta in cui i due cannoni puntano le loro bocche mostruose verso il mare aperto. La storia procede a ritmo serrato, tra barche sballottate dalle tempeste, scalate ai limiti della resistenza umana, fughe attraverso la landa, bombardamenti e azioni di guerriglia urbana. I dialoghi sono molti ma

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assai veloci, perché servono per portare avanti gli eventi; spesso ciò che pensano o provano i personaggi è invece narrato in terza persona. Il linguaggio non è mai crudo o volgare, né le descrizioni scivolano in particolari troppo truculenti, eppure riescono a rendere alla perfezione la ruvidezza di quei soldati, dell'ambiente che li circonda e dei tempi in cui vivono; inoltre è un linguaggio molto moderno, tenendo presente che il libro è del 1957. Nel film sono state aggiunte due figure femminili che, semplicemente, sostituiscono due secondari maschili che si trovano nel romanzo, ma non dirò altro per non fare spoiler: nel libro non compaiono donne e a mio giudizio non se ne sente la mancanza, perché magari si sarebbe potuti cadere in situazioni ambigue o zuccherose decisamente inadatte alla storia narrata. Così come avviene nel film, poi, nonostante anche i personaggi non principali siano sempre ben delineati con pochi ma precisi tratti, vi sono tre nomi che emergono con prepotenza: Mallory, Miller, Andrea. Mallory è l'alpinista e, in apparenza, il capo della spedizione: suo è il compito di portare quel manipolo di disperati sull'isola di Navarone, passando per la strada più impervia e più difficile, e suoi sono i conflitti interiori più violenti, in cui però il pensiero di mille uomini in pericolo è il più forte e determinante: per portare a termine questa missione da cui dipende il destino di tante persone lui e i suoi compagni non mollano mai, neppure quando sembra che sia morta ogni speranza. Miller, detto Dusty per via del suo aspetto trasandato, è un americano dal passato avventuroso e burrascoso: la qualità per cui è stato scelto è la grande conoscenza degli esplosivi, infatti il suo ruolo nella missione è quello di far saltare in aria i cannoni. Ha un'indole cinica ma è dotato di una sorta di indifferenza britannica, e la sua freddezza si rivela di enorme aiuto avanti nella storia. Andrea,infine,èilguerriglieroferoceespietatocheassassinanell'ombra:lungiperòdall'essereunuomo sanguinario che uccide per piacere, si rivela una figura positiva e affidabile, con cui è facile simpatizzare. Il suo fisico superbamente robusto e il carattere caparbio lo rendono un punto di riferimento, poiché come un pilastro egli riesce a non vacillare quando gli altri si lasciano prendere dallo sconforto. Poiché ho visto prima il film è stato giocoforza che io mi immaginassi i personaggi del libro col volto degli attori, e li ho trovati quasi tutti perfetti. Come ultimo elemento segnalo, nel romanzo, pagine assai toccanti su un giovane ufficiale chiamato Stevens: l'autore fa un'analisi lucida e disincantata della paura che assilla questo personaggio, e tale approfondimento psicologico manca nel film ma merita di essere letto per vedere come anche un personaggio secondario possa "uscire" dalle pagine e imprimersi nella memoria del lettore al pari dei protagonisti. In conclusione, sia che vi piaccia leggere di storie legate alla guerra, sia che cerchiate soltanto (per modo di dire, visto che è un'opera bellissima) un romanzo epico, avventuroso, pieno di colpi di scena e situazioni intense, questo libro farà per voi. INCIPIT

Il fiammifero, strofinato sul rugginoso metallo ondulato della baracca di lamiera, divampò friggendo in una sprizzante fiammella; stridio e bagliore quasi incredibili nella silenziosa notte del deserto. Meccanicamente gli occhi di Mallory seguirono il fiammifero acceso mentre saliva alla sigaretta incastrata sotto i baffi a spazzola del generale, lo videro fermarsi a metà, a un palmo dal mento, notarono anche l'improvviso irrigidirsi dei lineamenti, lo sguardo fisso, assente di chi sta in ascolto. Poi il fiammifero si spense, soffocato dal terreno sabbioso dell'aeroporto. A CURA DI LAURA C. BENEDETTI

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ECHOES 999 L'Ultimo Custode di Carlo A. Martigli TITOLO: 999 L'Ultimo Custode AUTORE: Carlo A. Martigli EDITORE: LIT PAGINE: 375 PREZZO: 9,90€ TRAMA Settembre 2009. Un misterioso plico viene recapitato a Guido de Mola da parte del nonno recentemente defunto e a lui pressoché ignoto. All'interno l'uomo trova una lettera e due manoscritti, uno moderno e uno molto antico, all'apparenza di fattura rinascimentale. Addentrandosi nella lettura dei due testi, de Mola scopre che la sua famiglia da secoli è depositaria di un segreto, straordinario e terribile, che riguarda il filosofo Giovanni Pico della Mirandola, le sue esoteriche e inusitate Tesi e l'origine delle tre grandi fedi monoteiste, la cristiana, l'ebraica e l'islamica. Dovrà essere proprio Guido, ora, a raccogliere il testimone che fu dei suoi avi, diventando così l'ultimo custode del mistero di Pico, un mistero legato alla morte del Conte di Mirandola, a quella del Poliziano, al Concilio di Efeso e alla persecuzione, da parte della Chiesa, di migliaia di donne accusate di stregoneria. Un segreto che, se rivelato, può mettere in discussione il mondo come lo conosciamo da duemila anni, da quando Paolo di Tarso, convertitosi all'allora minoritaria dottrina cristiana, con la propria opera contribuì a far sì che essa diventasse la religione maggiore dell'Occidente.

Un segreto sconvolgente... Prequel de L’Eretico di Carlo A. Martigli, questo volume è un capolavoro che vi rapirà dal primo istante e coinvolgerà le vostre menti in una storia dai molteplici risvolti. Il libro ci parla delle rivoluzionarie tesi di Giovanni Pico Della Mirandola, parole che potrebbero rovesciare in un solo colpo il mondo emerso conosciuto sino a quel momento. Martigli narrerà la vicenda utilizzando due binari paralleli che, forse, riusciranno a incontrarsi, sovvertendo le leggi matematiche che vogliono due rette parallele divise per sempre… La prima vicenda si svolge alla fine del quindicesimo secolo e vedrà protagonista il filosofo Giovanni Pico Della Mirandola. Grande studioso, dotato di una memoria prodigiosa, era infatti in grado di ripetere a memoria un libro intero, persino letto al contrario. Pico è un vorace lettore, anni di studio lo hanno portato a una conclusione sconcertante, un epilogo che potrebbe far tremare l’intero mondo religioso. Giovanni deve riuscire a raggiungere persone fidate e consegnar loro le 99 tesi che potrebbero rivoluzionare il mondo. Purtroppo il viaggio si rivelerà più complicato del previsto e una compagna silenziosa segue Giovanni da lontano, con l’intenzione di portare a termine la propria missione. E quando questa compagna si

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chiama morte, le possibilità di riuscire sono davvero misere… La seconda storia inizia nel 1938, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Le tesi di Giovanni Pico sono giunte sino a noi e fanno gola a molti, troppi… Il potere, si sa, è la tentazione estrema per molti uomini, molto più del sesso o dell’effimero denaro. Forse qualcuno vuole impadronirsi delle tesi per dominare, o per conservare ciò che la vita gli ha abbondantemente donato? Carlo A. Martigli non ha certo bisogno di presentazioni, ormai è un punto fisso del panorama letterario italiano e internazionale. Ho avuto l’onore di conoscerlo personalmente durante un festival letterario e sono rimasto affascinato dalle sue parole. Quelle su carta o quelle che ha accuratamente scelto per deliziare la platea che lo ascoltava in silenzio, curiosa di conoscere ogni suo pensiero? So soltanto che quell’ora di presentazione è letteralmente volata e mi sono fiondato ad acquistare il suo libro, in quel caso il seguito di “999 – L’ultimo custode”, ossia “L’eretico”. La maestria di Martigli vi prenderà sin dalle prime pagine, trasportandovi in uno scenario vecchio di secoli che vi narrerà una storia (vera?) affascinante e coinvolgente. Amori, passioni e tradimenti s’intrecceranno in un’Italia in cerca della propria identità. Un’Italia in cui qualcuno ha sete di verità e qualcuno ha paura che questa esca allo scoperto… Leggere delle gesta di Pico Della Mirandola, cittadina nella quale ho vissuto per i primi quindici anni della mia vita, mi ha fatto davvero effetto. Curiosità e sorpresa, un piacere e un privilegio poter conoscere così da vicino un illustre concittadino che conoscevo pochissimo, vale a dire soltanto di nome. Dietro ognuno di noi c’è sempre qualcosa di più e in questo caso la carne al fuoco sarà davvero parecchia, potete credermi sulla parola… Un ritmo serrato, scorci di pura dolcezza e qualche spargo di sensualità. Tutto ciò sapientemente miscelato senza risultare un inutile polpettone da serie televisiva, anzi! Parole che vi stregheranno e vi faranno dire “l’ultima pagina poi preparo la cena…” finché l’ultima pagina non sarà davvero l’ultima del libro e sarà così tardi che potrete ordinare soltanto una pizza a domicilio… Amate i romanzi storici? Questo libro fa per voi. Preferite i romanzi classici? Questo libro fa per voi. Non amate leggere? Dopo questo libro cambierete idea. Da aggiungere alla vostra biblioteca, senza riserve. A CURA DI ROBERTO BALDINI

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DISCOVER THE COVER «999 L'Ultimo Custode» di Carlo A. Martigli

Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace. Questa cover personalmente mi avrebbe colpita maggiormente se non le fosse stato affibbiato quell’effetto “acquerello” che la sminuisce un bel po’. Eppure ha il suo motivo di esserci. Mentre l’intera ambientazione non è ben definita, l’unico ad essere messo bene a fuoco è l’epitaffio inciso sulla pietra tombale di un grande uomo – qui giace Giovanni il Mirandola – Il resto lo sanno il Tago, il Gange e forse anche gli Antipodi. E bastano da sole queste parole nella lingua morta per eccellenza a dare il tocco perfetto di mistero che andrà permeando ogni singola pagina del libro. A CURA DI ELISABETTA BALDAN

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UN MARE DI LETTERATURA Canto l'armi e l'eroe... Eccoci giunti al quarto appuntamento di Eclettica. In questo numero parliamo di un viaggio iniziato secoli e secoli fa e terminato con la nascita di una nuova città. Parliamo del viaggio del pius Enea nel poema epico composto da Virgilio. "Canto l'armi e l'eroe, che primo dai lidi di Troia, profugo per fato, giunse in Italia alle spiagge di Lavinio, vessato alquanto attraverso terre e in aperto mare da ira divina, ... " (Proemio) Inizia così l'Eneide, il poema epico virgiliano che narra l'incredibile viaggio di Enea, eroe troiano figlio di Anchise, che lascia la sua città ormai decaduta per intraprendere un viaggio che lo porterà sulle coste laziali. Il viaggio verso l'Italia è cantato nei primi sei canti dell'Eneide. Dopo l'invocazione alla musa presente nel proemio (Musa, mihi causas memora... “O musa,ricordami le cause.."), Virgilio spiega le cause del conflitto tra Giunone e i troiani, filo conduttore del poema. Enea inizia così un viaggio lungo sette anni, durante i quali mille ostacoli si presentano al nostro eroe. Prima di giungere in Italia, Enea e i Penati si fermano in diversi luoghi. La prima tappa è la Tracia, dove Enea parla con l'ombra di Polidoro, figlio di Priamo, che era scappato da Troia su consiglio del padre, con una buona parte del tesoro. Rifiugiatosi dal re con il tesoro, Polidoro venne successivamente ucciso e il re si prese tutto. Enea e i suoi fuggono da questo luogo infelice e la seconda tappa del viaggio è Delo. Qui Enea consulta l'oracolo di Apollo il quale gli dice di cercare la sua antica patria. A questo punto Enea, pensando fosse Creta la terra alla quale si riferiva l'oracolo, giunge sull'isola. I Penati però appaiono in sogno ad Enea, dicendogli che la terra da cercare si trova più ad ovest. Enea naviga per il Mar Ionio ma qui si scatena una violenta tempesta che si abbatte sulle navi. Poi è la volta delle isole Strofadi, ma qui sono costretti dalle mostruose arpie, guidate da Celeno a ripartire. Riprendono il largo e si dirigono in Epiro, per poi arrivare in Sicilia, ad Erice, dove Enea perde il padre Anchise, indebolito dal viaggio. Ripreso il mare, c’è di nuovo una tempesta, scatenata da Giunone, che fa perdere loro la rotta, facendo approdare le navi sulle coste dell'Africa. Ricordiamo tutti la famosissima storia d'amore tra Enea e Didone, quest'ultima abbandonata dall'eroe che deve continuare il viaggio a cui è destinato e deve portare a termine il disegno divino . Il pio Enea giunge sulle rive del Tevere e qui le navi si trasformano magicamente in ninfe, segno

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che Enea è giunto nel posto giusto. Termina con l'approdo sulle coste laziali un viaggio durato 7 anni. Un viaggio verso una meta ignota all'eroe, ma ben nota agli dei. Si compie così il volere del fato, dopo numerosi avvenimenti che hanno ostacolato, seppur momentaneamente, il viaggio dell'eroe troiano. In questo caso il mare è il mezzo attraverso cui si compie il destino di Enea, ovvero arrivare sulle coste laziali, sposare Lavinia e dar vita a quella che sarà la gens Iulia . (Mosaico di Lullingstone: nasce l'amore tra Enea e Didone) Tanti i temi importanti trattati nell'Eneide come la pietas, il fato, il furor degli dei (Giunone) e la sottomissione dell'uomo al volere degli dei: infatti Enea deve fondare Roma, così come Augusto deve guidarla. Questi i destini, questi i piani voluti dagli dei. Gli dei che agiscono e attuano i propri piani attraverso l'uomo. Piano, nel caso di Enea, che si attua dopo ben 7 anni di navigazione per mare. Il mare che, ancora una volta, fa da sfondo alle avventure dei protagonisti. In questo caso, non ha avuto assolutamente un ruolo marginale ma, anzi, è stato una costante presente in ben sei canti dell'Eneide. A CURA DI CLAUDIA RISI

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Civiltà, che disagio! Cara Sophia, come stai? Io così così. Ti scrivo di una cosa che mi è appena capitata e che mi ha fatto riflettere e ripensare ad un discorso che facemmo qualche tempo fa. Ero appena uscito da casa ed ero per strada, diretto al lavoro. Mentre aspettavo che il traffico mi concedesse un minimo di pietà, mi è arrivato al naso un forte odore di caffè. Non so neanche da dove provenisse, ma era talmente penetrante e invitante da farmi salire l'acquolina in bocca. Nonostante ciò ero ancora indeciso se accostare al primo bar che avrei trovato per strada. Sai quando non sai se arriverai o meno in ritardo? Avevo il dubbio che se fossi passato a prendermi un caffè al bar, avrei finito per fare tardi, ma se non ci fossi andato sarei arrivato per certo con abbastanza anticipo da rimuginarci su, prima che aprissero l'ufficio. Così ho deciso di rischiarmela. Ho parcheggiato e sono entrato in tutta fretta nel primo bar, dirigendomi alla casa, per pagare e prendere lo scontrino. Ho visto una sola persona in fila alla cassa, per il resto completamente sgombra, neanche avessi davanti un'oasi in pieno deserto. Così arrivo lesto e aspetto il mio turno, fiducioso. Potevo farcela senza problemi. Nell'attesa mi sporgo verso la vetrina dove facevano capolino ciambelle, cornetti, bombe e via dicendo. Io ero ancora dubbioso, ma il mio stomaco era un continuo incitamento a farsi sotto, addosso a quel ben di dio. Restava solo da decidere quale scegliere. E mentre facevo mentalmente una sorta di conta, per poter scegliere, una figura mi ha raggiunto dalla destra. Io mi sono voltato, appena in tempo per vedere un tizio, il classico furbo che pensa che la fila sia un'antica usanza persa ormai nel tempo. Sono rimasto a fissarlo per qualche momento e potevo notare come mi controllasse, con la propria coda dell'occhio, tanto per poter essere sicuro che non avessi reazioni pericolose. Dalla mia posizione un bel colpo alla nuca e lo avrei steso. Beh, almeno credo. Come sai, non ho mai alzato le mani su nessuno. Ma ti giuro che la tentazione era sempre più forte, man mano che fissavo quel cretino che mi dava le spalle, che pagava, che si dirigeva verso il bancone a consumare il suo caffè, prima di me. La cassiera ha fatto spallucce, mentre si occupava di me, per l'ordinazione. Non avevo più neanche voglia di mangiare. «Ti sei dimostrato superiore, lasciandolo perdere.» mi ha assicurato la ragazza. E io ho fatto spallucce, a mia volta, come a dire che la faccenda non mi toccasse minimamente. Superiorità, una questione di civiltà, che oscurava del tutto la cafonaggine del tipo, che magari, dietro la sua apparente furbizia nascondeva soltanto un bassissimo livello culturale. Tutte balle, Sophia. Vuoi la verità? Mentre consumavo il caffè, sono rimasto a fissare lo sconosciuto che si allontanava, che salutava con un cenno la cassiera, sorridendo beato, e la tentazione,

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molto più forte di ogni pensiero civile, era quella di corrergli dietro e spaccargli sulla testa il mio bicchiere, e poi anche il suo, quello con cui mi aveva anticipato. Ora, io te ne parlo molto liberamente perché tu mi conosci e sai che sono probabilmente una delle persone più equilibrate che tu conosca. Quindi non rischio di passare per un tipo “esuberante”, né un serial killer latente che si fissa su questi eventi di poco conto. Ma è proprio questo il punto, capisci? Una cosa, di così poco conto è riuscita a farmi salire un nervosismo considerevole. Un vero disagio. Io, che sono nel giusto, almeno per quanto riguarda le regole o leggi della convivenza civile nella nostra società, sono quello che sta a disagio. Lui invece, che ha ceduto ai più bassi istinti di prevaricazione, stava, almeno in quella situazione, decisamente meglio del sottoscritto. La mia superiorità, il mio essere tanto civile mi è costato qualcosa, a livello personale. E so che è così. Già il solo aver avuto quei pensieri violenti sta ad indicare che una parte di me, quella che ognuno di noi si porta dietro da migliaia di anni, dai tempi delle caverne e delle clave, era ancora pronta a scattare e, per metterla a cuccia, ho dovuto faticare. Anche se non si è trattato di uno sforzo sovrumano, il fastidio c'è stato. Avevi ragione tu, quando discutemmo de “Il disagio della civiltà” di Freud: per certi versi, siamo ancora un gruppo di scimmiette che fatica a rispettarsi e a contenersi, a convivere. E il tutto nonostante le leggi, eh! Stupri, gente che uccide i propri vicini... facciamo fatica a contenerci e se smettiamo di farlo... il caos primordiale. Però ora non ricordo la posizione di Freud. A chi dava la colpa? A noi? Come possiamo farcene una colpa, se ancora non siamo abbastanza evoluti per una convivenza libera, senza dover aver paura delle ripercussioni legali? Dava la colpa alla nostra società? Sì, perché diciamolo, anche la società ci mette del suo, cavolo. Voglio dire: se io non fossi stato costretto a fare le corse, a non essere tanto agitato per dover rispettare delle regole, negli orari, non sarei mai stato in condizioni tali da reagire con quelle tentazioni mezze violente. E chi lo sa che quel tizio non si fosse trovato nella stessa situazione? Chi lo sa se doveva fare le corse, approfittare di un tipo distratto da una ciambella, per poter prendersi un misero caffè in tempo? In cambio della sicurezza, nella convivenza, abbiamo barattato la libertà “selvaggia” delle origini. Io sinceramente non protendo in nessuna delle due direzioni (o forse in entrambe). Vorrei soltanto una sorta di equilibrio che... che non esiste, già. Allora perché sono qui a scriverti? È molto semplice: mi hanno appena licenziato per essere arrivato in ritardo, cara Sophia. E se non mi sfogassi in qualche maniera, stavolta, potrei davvero uccidere. No, ok, non arriverei a tanto... ma...cavolo, adesso ho bisogno di una tisana, invece di un caffè. Ci sentiamo. E rispondi, ogni tanto! Con affetto, Phil A CURA DI MIRKO DE GASPERIS

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SCORCI DAL MONDO INCANTATO Divergent: libro e film a confronto per chi ama il post apocalittico distopico Dal libro al film, chi risulta vincente in questo caso? Caliamoci in questo nuovo scenario post-­‐apocalittico e distopico proposto dalla Roth. TITOLO: Divertgent Trilogy (1° libro) AUTORE: Veronica Roth EDITORE: DeA GENERE: Young Adult, Distopico, Urban Fantasy PREZZO:16,90€ PAGINE: 480 TRAMA: Dopo la firma della Grande Pace, Chicago è suddivisa in cinque fazioni consacrate ognuna a un valore: la sapienza per gli Eruditi, il coraggio per gli Intrepidi, l’amicizia per i Pacifici, l’altruismo per gli Abneganti e l’onestà per i Candidi. Beatrice deve scegliere a quale unirsi, con il rischio di rinunciare alla propria famiglia. Prendere una decisione non è facile e il test che dovrebbe indirizzarla verso l’unica strada a lei adatta, escludendo tutte le altre, si rivela inconcludente: in lei non c’è un unico tratto dominante ma addirittura tre! Beatrice è una Divergente, e il suo segreto – se reso pubblico – le costerebbe la vita. Non sopportando più le rigide regole degli Abneganti, la ragazza sceglie gli Intrepidi: l’addestramento però si rivela duro e violento, e i posti disponibili per entrare davvero a far parte della nuova fazione bastano solo per la metà dei candidati. Come se non bastasse, Quattro, il suo tenebroso e protettivo istruttore, inizia ad avere dei sospetti sulla sua Divergenza…

Questo mese non ho resistito e sono corsa a vedere il film Divergent prima ancora di leggere il libro di Veronica Roth. Adoro il genere distopico ambientato in futuri post apocalittici ma a essere sincera questa lettura mi era proprio sfuggita. E questa è forse una delle poche volte in cui riesco a vedere un film prima ancora di dedicarmi alla lettura del romanzo. Di solito è perfettamente il contrario, prima il libro e poi il film che puntualmente mi delude per un’approssimazione della trama, dei tagli assurdi e improponibili, per delle scelte forzate e senza senso. L’elenco di questi titoli poco brillanti sarebbe lungo, solo un caso si è rivelato l’esatto opposto: Stardust di Neil Gaiman, dove nel libro mancava tutta la poesia presente nel film. Ma ho scoperto che è proprio lo stile sintetico dell’autore che non mi piace nonostante apprezzo la sua genialità. Ebbene per Divergent mi trovo preda di un conflitto d’incapacità di scelta definitiva. Cominciamo dal film di Neil Burger che ho trovato adrenalinico al punto giusto tranne in qualche punto un po’ troppo drammatico in cui la protagonista si perdeva nel dolore a scapito della morte e del panico che la circondava. È comunque chiaro e lineare in tutta la sua trama. Sono uscita dalla sala con un desiderio di sapere cos’altro sarebbe successo e di comprare immediatamente il libro per scoprire quanto il film si discostava dalla trama reale. A tratti il film mi è piaciuto molto di più di Hunger Games, con cui in molti continuano

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a mettere a paragone, perché in parecchi punti mi risultava troppo lento. In Divergent c’è praticamente tutto, dall’avventura, all’amore romantico, alla distopia, all’urban fantasy, allo scenario post apocalittico, i valori familiari, l’amicizia. Ebbene, in preda alla febbre conoscitiva il mio ragazzo mi ha regalato Divergent, inutile stare a specificare che 8 ore dopo il libro era bello e finito Sono stata come al solito la versione femminile di flash, mi ha preso incredibilmente ma più che altro per capire quanto e dove fosse lontano dal film. Il libro si legge con facilità, lo stile della Roth è semplice, lineare, ti porta alla fine del romanzo senza troppe difficoltà. Eppure molte delle scelte del regista sono davvero migliori di quelle proposte nel libro, più sensate e logiche. Se non avessi visto il film, il libro della Roth mi avrebbe comunque colpito per le idee, per questi scenari post apocalittici descritti ma mi sarebbe rimasta una piccola nota dissonante in alcuni punti del libro che non avrei pienamente compreso. Lo so sono una persona pedante e noiosa, ma cerco la logica e la plausibilità anche in libri come questo altrimenti una lettura diventa poco credibile e quello che resta è un mondo senza senso, inutile anche da leggere. Il film invece è riuscito in due ore a rendere sensato e logico quello in cui pecca il libro, per cui a tratti scorre molto meglio, in maniera più adrenalinica e incalzante. Anche la storia d’amore che nasce all’improvviso mi è piaciuta molto di più nel film perché nel libro i tempi diversi e più diluiti fanno perdere proprio l’alchimia e l’elettricità di sguardi che i due protagonisti si sono lanciati fin da subito. Ma veniamo al dunque, sperando di non svelare troppo della trama, cos’è che proprio non mi sembra ben armonizzato nel libro che invece risulta vincente nel film? La storia è ambientata a Chicago in un futuro imprecisato dove la popolazione è riuscita a trovare la pace dividendosi in cinque fazioni, ognuna delle quali svolge un preciso ruolo nella società e ha precise qualità che la contraddistinguono. Vediamo da vicino quali sono: I Candidi sono sinceri e dicono sempre la verità. Si occupano della legislazione. I Pacifici sono gentili e rifiutano l'aggressività. Sono assistenti sociali e consulenti. Gli Eruditi seguono la via della conoscenza e dedicano la vita alla cultura. Lavorano come insegnanti o ricercatori. Gli Abneganti sono altruisti e caritatevoli e per questo ricoprono posizioni di potere governativo. Gli Intrepidi sono coraggiosi e forti e proteggono la popolazione. Gli Esclusi sono persone che vivono al di fuori della società mendicando, perché non sono riusciti a superare l'iniziazione a una fazione. Beatrice Prior, la protagonista, è una sedicenne che vive con i suoi genitori e suo fratello nella fazione degli Abneganti. Il libro e il film si aprono proprio nel momento culminante in cui a Beatrice viene chiesto di compiere una scelta: restare nella sua fazione oppure abbandonare tutto e trasferirsi in una fazione più consona alla sua personalità. Il test

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attitudinale invece di aiutarla manda a soqquadro il suo mondo routinario. Beatrice scopre di non avere le caratteristiche di nessuna fazione nello specifico ma di essere altruista come un abnegante, coraggiosa come un intrepido e intelligente come un erudito. Per cui scopre di essere in pericolo perché non è altro che una Divergente, persone che spaventano i capi-fazione perché il loro pensiero non è malleabile e controllabile. Sono più forti mentalmente quindi durante il suo addestramento come Intrepida di tanto in tanto viene fuori il suo lato Divergente. I giovani vengono posti all’interno di simulazioni per affrontare le loro paure più profonde. Ed è qui che il regista fa delle scelte migliori rispetto a quelle della Roth. Le simulazioni e le scelte effettuate dalla protagonista decise dalla Roth mi hanno annoiato, le ho trovate fumose e poco chiare per comprendere cosa differenziava veramente Tris dagli altri. Mi dava da pensare che neanche la scrittrice avesse idea di cosa stesse scrivendo, se non mettere a caso una serie di immagini paurose per la protagonista. Nel film invece assumono un peso non indifferente. Beatrice affronta le sue paure in ogni simulazioni uscendo a tempo di record da ognuna perché nel momento del pericolo ricorda che è solo una finzione. Ci sta, la sua mente è forte e poco malleabile rispetto ai compagni che si fanno prendere dal panico. I suoi test hanno tempi da record, lei stessa nella vita reale sembra avere ben poche paure rispetto agli altri. Quando Quattro scoprirà che è una divergente le insegnerà a controllare i tempi della simulazione comportandosi come un Intrepida. Qui è stato geniale l’intervento del regista perché a un certo punto le stesse simulazioni, che lei affrontava da divergente, le ha risolte con il coraggio di un intrepida mostrando un grande coraggio e uno sprezzo del pericolo. Tempi brevi ma non più azioni insensate per uscire dalla simulazione. Nel libro invece lei fa tempi record e per comportarsi da intrepida in realtà nell’ultima simulazione deve avere un pensiero quasi divergente calmando semplicemente il suo stato di respirazione e di accelerazione cardiaca in modo da passare in poco tempo alla paura successiva. Insomma, l’impalcatura del film mi pare più credibile e solida, a tratti quasi geniale perché supporta concretamente il modo di agire e pensare di queste fazioni che nel libro è piuttosto raccontato a parole. Non voglio rivelarvi altro, questo è l’unico punto veramente debole del libro ma credo sia dipeso dalla giovane età della scrittrice al momento di completare il romanzo. In compenso i personaggi mi sono piaciuti incredibilmente, soprattutto quello di Beatrice che si è sempre sentita fuori posto all’interno della sua fazione votata all’altruismo spinto ma poi vivendo nella fazione degli Intrepidi si accorgerà che molta della forza che riesce a tirar fuori nelle situazioni e molte scelte che compie saranno proprio frutto di un grande altruismo. Molto belli anche alcuni pezzi del libro, in cui si mette in evidenza come sia importante per l’essere umano non essere semplicemente intelligente, Coraggioso, Pacifista, Sincero o Altruista, ma è fondamentale avere tutte queste caratteristiche per essere una persona. Dal canto mio mi butto a leggere Insurgent e Allegiant, ormai sono troppo curiosa per aspettare i film, confidando che la Roth sia maturata maggiormente nello strutturare la trama dei successivi. Mi sento comunque di consigliare il libro per tutti gli amanti del genere distopico e young adult e per chi ama andare al cinema allora non può perdersi il film. Buona lettura e buona visione. A CURA DI FABIANA ANDREOZZI

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ARTEGGIAMENTI Gli infiniti sensi della‘Primavera’ Quanto è celebre, tanto è complesso nel suo significato il dipinto che rappresenta nell'immaginario collettivo la stagione che stiamo vivendo: La Primavera di Botticelli, infatti, ha originato una vastissima serie d’interpretazioni che si intrecciano e si avvolgono una nell'altra in virtù della rete di riferimenti e allegorie care all'ambiente filosofico e artistico della Firenze medicea.

Realizzato fra il 1478 e il 1482, il dipinto, oggi esposto alla Galleria degli Uffizi, ha dimensioni notevoli (203x314) e presenta il ricorso ad una tecnica di pittura chiamata 'tempera grassa', che comporta l'unione di olio al pigmento. Si tratta indubbiamente di una celebrazione delle glorie della signoria e della fioritura stessadiFirenzesottolaguidadeiMedici,ma,sebbenesipossaconbuonaprobabilitàsupporrechel'opera sia stata commissionata dal Magnifico, non è chiaro se l'occasione del dono sia la nascita del nipote Giulio (figlio del Giuliano ucciso nella Congiura dei Pazzi nel 1478) o il matrimonio del cugino Lorenzo di Pierfrancesco, che sicuramente lo conservava nella propria dimora nel 1498. Il motivo della committenza, tuttavia, non è l'unico problema nell'interpretazione dell'opera. La letteratura e l'arte dell'Umanesimo e del Rinascimento fiorentino hanno un carattere elitario, esclusivo: le opere d'arte e poesia che si producono alla corte medicea sono destinate alla fruizione da parte del Magnifico e dei suoi sodales. Tale chiusura fa sì che La Primavera sia soggetta agli stessi dilemmi: quale tipo di messaggio il Botticelli, per volere di Lorenzo, ha affidato al suo dipinto? Per rispondere dobbiamo affrontare una sorta di esegesi artistica che parte dal distinguere il significato letterale dell'opera da quello simbolico. Al primo livello, la scena si presenta abbastanza semplice: nel giardino delle Esperidi, in una natura

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rigogliosa e descritta con attenzione quasi scientifica per la sua varietà, si incontrano, da destra a sinistra, Mercurio (identificabile dai sandali alati e dal caduceo), le tre Grazie, Aglaia, Eufrosine e Talia, simboli della bellezza, della gioia e della fecondità, Venere, Cupido, Flora (la Primavera, ornata di fiori e ghirlande), la ninfa Clori e il suo amante Zefiro, che, rapendola, genera con lei proprio la Primavera. Il valore letterale del dipinto, insomma, non è altro che la storia della nascita stessa della Primavera da Clori e Borea sotto lo sguardo delle divinità della prosperità. Le allegorie individuate come possibili chiavi per illuminare il significato della Primavera sono ricche di riferimenti alla filosofia di Marsilio Ficino; fra di esse si distinguono quella di Ernst Gombrich e di Edgar Wind; il primo vede nell’opera l’associazione fra Venere e l’Humanitas, cioè la virtù intellettuale che eleva l'uomo dalla sensibilità (rappresentata da Zefiro) alla ragione, identificata con Mercurio, mentre il secondo sostiene che Botticelli abbia rappresentato il percorso dell'anima dall'amore carnale (rappresentato dall'unione e dalla generazione di Zefiro, Clori e Flora) a quello intellettuale (Venere e Cupido), per arrivare all'amore spirituale (le Grazie e Mercurio, che indica il cielo). Non si possono poi dimenticare le allegorie familiari, con il tentativo di Mirella Levi D'Ancona di identificare i diversi personaggi del quadro con gli stessi sposi cui era destinata l'opera, ma non manca chi vede nella Primavera la traduzione visiva di un passo delle Stanze per la Giostra di Poliziano, scritte fra il 1475 e il 1478 e interrotte per la morte prematura di Giuliano, che ne doveva essere il protagonista. Nelle ottave 71-78 del libro I si incontra una descrizione del giardino di Venere che presenta diverse affinità con quella botticelliana. La Primavera ha, dunque, sensi, forme, valori ed effetti infiniti, vari e molteplici come i colori e le fogge dei fiori ai piedi delle delicate figure, significati sfuggenti e allusivi come la trasparenza delle vesti di Clori e delle Grazie e una forza fresca e prorompente come il soffio di Zefiro. E noi, come la bella Clori, ci lasciamo rapire da tali suggestioni, godendoci uno dei più bei dipinti nati dal genio di un artista nostrano in uno dei momenti più luminosi della storia culturale italiana. A CURA DI CRISTINA MALVEZZI

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THE HORROR! THE HORROR! «La bugia di Natale» di Seth Grahamr-Smith La bugia di Natale – Seth Grahame-Smith TITOLO: La bugia di Natale AUTORE: Seth Grahame-Smith EDITORE: Multiplayer.it Edizioni PAGINE: 336 PREZZO: 14,90€ TRAMA Seth Grahame-Smith ci conduce nel primo secolo dopo

Cristo quando il mondo è dominato dall'imperatore Cesare Augusto ed Erode il Grande, un re fantoccio corrotto e assassino, spadroneggia in Galilea. Ma il loro potere è messo in pericolo dal cinico e feroce Balthazar, che ha giurato vendetta contro tutti i romani diventando il leggendario "Fantasma di Antiochia", flagello dell'impero. Sfuggito all'ennesima condanna a morte, si ritrova davanti a una povera mangiatoia alle porte di Betlemme insieme a due improbabili compagni di viaggio. L'incontro con una giovane ragazza chiamata Maria, il suo devoto compagno Giuseppe e il loro figlio appena nato, cambierà per sempre il destino di Balthazar. E anche se il tempo delle grandi inondazioni e delle creature magiche è finito, la lotta fra il bene e il male continua. È l'inizio di un'avventura che li vedrà combattere contro eserciti nemici, scontrarsi con forze occulte, fronteggiare morti che si risvegliano e assistere a incredibili miracoli; nel tentativo di salvare un bambino davvero speciale e nella disperata speranza di ritrovare un pendente misteriosamente scomparso.

La copertina, la collocazione nel reparto horror, il claim “Come fondere il Trono di Spade con il Vangelo secondo Luca” erano molto, molto promettenti. Oltre ad avere un debole per le storie horror, mi piacciono le reinterpretazioni dei miti o dei personaggi storico-letterari più importanti in una chiave totalmente diversa da quella in cui sono diventati famosi. Seth Grahame-Smith ha messo Jane Austen di fronte ad un’orda di zombie, e ha trasformato Abraham Lincoln, uno dei Presidenti degli Stati Uniti più fondamentali nell’evoluzione di quel paese, in un inaspettato cacciatore di vampiri. Ora, con questo romanzo, tinge di horror la Notte Santa per eccellenza, quando Gesù s’incarna in un neonato umano, facendola diventare “empia”. Il titolo originale, infatti, sottolinea con forza questa caratteristica: The Unholy Night, che nella traduzione italiana esce edulcorata al punto da risultare appiattita. Leggendo il romanzo, in effetti, non posso che essere d’accordo sull’empietà dello stesso, e non per motivi religiosi. La storia si apre poco prima della Notte più importante dell’anno, con Balthazar, famoso ladro inafferrabile e flagello per Erode e i padroni romani di Galilea. Sta fuggendo a rotta di collo, inseguito dai soldati del re, dopo aver messo a segno un colpo importante e sfrontato. Qualcosa non va, però, per il “Fantasma di

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Antiochia” (questo il suo lusinghiero soprannome), che riesce a sfuggire per essere poi riacciuffato subito e spedito in prigione, in attesa di concludere i suoi giorni sulla forca a seconda del piacere dell’orrendo Erode. Questo è il momento e il luogo in cui conosce Melchiorre e Gaspare, altri due ladri in attesa di giudizio... suonano familiari i tre nomi accostati insieme? L’autore ha composto la triade di Re Magi in tre figure lacere e bistrattate di ladri, pur se scaltri e intraprendenti. Fuggiti in modo rocambolesco, i tre inciampano letteralmente in una famigliola composta da un carpentiere zelante, una giovane moglie ombrosa e saccente al limite dell’antipatia, e uno straordinario neonato, in grado di mantenere la calma nelle situazioni più frenetiche e angoscianti. Stanno cercando riparo per la notte e salvezza dalle mani predatrici del farneticante Erode, delirante di paura al pensiero che uno dei neonati maschi del suo regno possa un giorno rovesciarlo come dice la profezia. Se Balthazar seguisse il suo istinto e la sua personale ossessione (la ricerca di un pendente appartenuto al fratellino morto, svanito nelle mani del suo uccisore tanti anni prima), lascerebbe quelle persone a risolvere i propri guai, per nulla convinto della natura divina del bambino e della necessità di proteggerlo. Dio e le sue vicende con gli esseri umani non sono argomento interessante per l’indurito ladro, insofferente di ogni legge, di ogni regola e di ogni rapporto sociale troppo stretto con i suoi simili. Tuttavia, qualcosa cambia nel suo cuore in un momento tragico della loro fuga per la vita. I loro inseguitori, supportati dai mortalmente efficienti soldati romani, capeggiati da un giovane Ponzio Pilato arrivista, li hanno stritolati in trappola, e trascinati in prigione. Balthazar, sul punto di dire addio sul serio alla vita, ritrova nuova forza di combattere quando si ritrova davanti il pendente perduto e la persona che glielo portò via, insieme alla vita amata del suo fratellino. Riesce a sfuggire e a mettere in salvo la famigliola e i suoi compagni, che non rivedrà mai più, dopo aver lottato persino contro un’orda di zombie, evocati da un potentissimo ma non ben identificato “magio”, di proprietà dello scaltro Augusto. Dove si trova l’empietà cui facevo riferimento poco prima? Nel definire che una trama poco robusta e poco argomentata come questa sia un incrocio tra Il Trono di Spade e il Vangelo secondo Luca. Nell’ascoltare personaggi vissuti 2014 anni fa esprimersi come in un film di Bruce Willis. Nell’attendere spasmodico, pagina dopo pagina, della tinta horror che giustifichi la collocazione nel suddetto reparto in libreria (e sono sempre più convinta che si tratti di un errore dei commessi), per trovarla nell’ultimo quarto del romanzo, con un’orda di zombie che striscia dalle tombe per essere spazzata via quasi subito. La lettura è, spesso, disturbata da una traduzione a tratti approssimativa e da qualche errore di grammatica evitabile, evitabilissimo. Forse l’originale inglese è più scorrevole da leggere, ma rimangono, in ogni caso, alcuni dubbi nella trama, per quanto lo spunto di trasformare, per esempio, i venerabili Re Magi in tre ladri e combattenti, sia piuttosto interessante, così come l’idea delle forze del Male che si risvegliano negli zombie per cercare di fermare l’avvento di Gesù. Gli spunti, però, sono rimasti tali, e si sono sviluppati poco, senza dare un contributo davvero significativo alla lettura. Più che un romanzo horror, lo considero un horror di romanzo... A CURA DI LOREDANA GASPARRI

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DALLA CARTA ALLA PELLICOLA Colazione da Tiffany Truman Capote pubblica il romanzo nel 1958, riscontrando un buon successo soprattutto nella critica. Il “Time” definisce la protagonista Holly, “la gattina più eccitante che la macchina da scrivere di Capote abbia mai creato”. In questi casi, quando si parla di libri che meritano, non passa molto tempo che qualche gigante di Hollywood voglia metterci le mani sopra per crearne ottimo materiale per un film. Ed è proprio quello che accade a “Colazione da Tiffany”, che la Paramount Pictures, nel novembre 1961, fa uscire nelle sale, rendendolo un film indimenticabile.

IL LIBRO TITOLO: Colazione da Tiffany AUTORE: Truman Capote EDITORE: Garzanti PAGINE: 121 PREZZO: 14,60€ TRAMA

Holiday Golightly è una cover-girl di New York, attrice cinematografica mancata, generosa di sé con tutti, consolatrice di carcerati, eterna bambina chiassosa e scanzonata. È un personaggio incantevole, dotato di una sorprendente grazia poetica. Intorno a lei ruotano tipi bizzarri come Sally Tomato, paterno gangster ospite del penitenziario di Sing Sing, O.J. Berman, il potente agente dei produttori di Hollywood, il "vecchio ragazzo" Rusty Trawler, e Joe Bell, proprietario di bar e timido innamorato. Probabilmente la fama del film ha surclassato negli anni quella del libro, ma per gli appassionati

questa è una piccola perla assolutamente da non perdere. Lo stile di Capote è secco, chiaro e fluido, si legge velocemente e con piacere. Egli stesso si definiva un “cultore dello stile”, e qui esprime appieno questa sua caratteristica, facendo della scrittura una vera e propria arte. Bravissimo nel descrivere tutti i personaggi, dai principali ai meno importanti, tutti restano incisi nella mente del lettore grazie alle parole chiare e suggestive dell’autore. Unico personaggio non delineato è il narratore: l’aspirante scrittore che abita nell’appartamento sopra Holly, affascinato e forse segretamente innamorato di lei, non è descritto in alcun modo da Capote; nemmeno il nome viene specificato, ma lo conosciamo solo attraverso il soprannome “Fred” datogli dalla stessa Holly. Questo crea la sovrapposizione, da parte del lettore, di narratore a scrittore, un po’ come accade anche nel romanzo di Fitzgerald, “Il grande Gatsby”. La protagonista incontrastata di questo romanzo breve è Holiday Golightly. Giovanissima donna spregiudicata, generosa e molto dolce (occasionalmente cleptomane), il punto focale attorno al quale ruotano tutti gli eccentrici personaggi del libro. È una ragazza che si è reinventata, perennemente in cerca di qualcuno, ma soprattutto in cerca di se stessa e del suo posto nel mondo; ella stessa si definisce “in transito” nei biglietti da visita che si è fatta stampare da Tiffany. A volte un po’ sopra le righe e ingenua, altre volte molto realistica e acuta, Holly è un personaggio estremamente reale e coinvolgente. Uno spirito libero che segue la corrente, senza radici, impossibile da ingabbiare o da addomesticare. Come la sua comparsa all’inizio del libro è improvvisa e quasi magica, allo stesso modo sparisce alla fine lasciando poche e vaghe tracce di sé. Paladina di una femminilità e di una libertà sessuale non proprio di quegli anni (il libro è ambientato nel 1943), diciamo che anticipa un po’ i tempi e probabilmente

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Capote, consapevole di questo, voleva scioccare, stuzzicare e incuriosire al tempo stesso i lettori. Altra protagonista di questo libro, da non sottovalutare, è la città di New York. Quasi offuscata dalla storia e dalla personalità di Holly, ma ancora ben riconoscibile in alcuni punti. Perché solo in una città come la “Grande Mela” poteva trovare spazio un personaggio così complesso, eccentrico e indimenticabile. IL FILM FILM: Colazione da Tiffany REGISTA: Blake Edwards ATTORI: Audrey Hepburn, George Peppard, Buddy Ebsen, Martin Balsam DURATA: 115 minuti

Per quanto riguarda la realizzazione del film la leggenda narra che Truman Capote volesse Marilyn Monroe come interprete della sua Holly, ma lei rifiutò. Quando la Paramount diede il ruolo a Audrey Hepburn, lo scrittore non ne fu per nulla contento, ma oramai i diritti erano stati venduti e lui non aveva più voce in capitolo. Altra cosa che non piacque a Capote fu il completo stravolgimento della storia compiuto dallo sceneggiatore George Axelrod. I cambiamenti adottati sono molto evidenti una volta letto il libro: alcuni personaggi vengono eliminati; la stessa Holly è un po’ diversa, più pacata e meno spregiudicata; l’attento e nascosto narratore nel romanzo diventa vero e proprio coprotagonista della Hepburn, assumendo il volto di George Pepperd e dotandolo anche di un nome: Paul Varjak; ma ciò che colpisce di più, lo stravolgimento più evidente, sta proprio nel finale del film, totalmente diverso e, a mio parere, in contrasto con quello del libro. Quest’ultimo non ha certo quello che si può chiamare lieto fine, ma è estremamente coerente con tutta la storia e soprattutto con il carattere e la personalità di Holly. Mentre nel film vediamo decisamente un lieto fine, svolto in modo romantico e soprattutto in un momento catartico della protagonista, in cui è coinvolta anche la perenne, ma pacata, figura del gatto senza nome. Questi cambiamenti sono stati voluti fortemente dalla produzione per adattarsi alle convenzioni cinematografiche della commedia, ma anche per adattare il film al pubblico dell’epoca. La sola immagine da brava ragazza della Hepburn rende la protagonista più “pulita” e anche più accettabile per gli standard di quegli anni. Una scelta non del tutto infelice, perché proprio questo ha creato una straordinaria pellicola che continua a incantare generazioni di spettatori da più di cinquant’anni. Nessuno di noi ormai si immagina Holly Golightly con un volto diverso da quello di Audrey Hepburn, con il suo portamento e la sua delicatezza nei gesti. Grazie a questo ruolo l’attrice divenne un’icona di stile internazionale, infatti il tubino nero e gli occhiali grandi e neri sono di moda ancora oggi. “Colazione da Tiffany” viene candidato a 5 premi Oscar e se ne aggiudica due: miglior colonna sonora a Henry Mancini e miglior canzone per “Moon River” sempre a Henry Mancini e Johnny Mercer. Una canzone a dir poco stupenda, magica e che sprigiona, con le sue dolci note, tutta la malinconia tipica di questo film e rispecchia bene anche la città di New York, oltre che lo stato d’animo della dolce Holly Golightly. A CURA DI DANIELA MIONETTO

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UN LIBRO… UN SORRISO «Ti amo ti odio mi manchi» di Niamh Greene Eccoci di nuovo qui con la rubrica “Un libro… un sorriso”. Oggi parliamo di un testo che si può trovare in edizione economica in un formato davvero interessante che io adoro. Piccolo ma ben curato. Il libro in questione è “Ti amo ti odio mi manchi” di Niamh Green. TITOLO: Ti amo ti odio mi manchi TITOLO ORIGINALE: Rules for a perfect life AUTORE: Niamh Greene EDITORE: Newton & Compoton COLLANA: Gli inseparabili PAGINE: 347 PREZZO: 5,90€ TRAMA Vivere una vita felice non è complicato. Basta seguire delle regole precise. Per esempio: mai mollare un uomo solo perché ha mangiato l'ultimo orsetto gommoso della confezione. Mai trasferirsi in un rudere fatiscente per "ritrovare se stessi": si rischia solo di diventare lo zimbello altrui e di coprirsi di ridicolo davanti a tutti. E soprattutto, non innamorarsi di un uomo che ha due figlie, un attaccamento morboso alla defunta moglie - una donna perfetta che nessuna compagna potrà mai rimpiazzare - e una madre che ti tratta come se fossi la domestica e pensa che la tua unica funzione sia quella di pulire e tenere in ordine la casa. Maggie passa da una disavventura all'altra, perde il lavoro a Dublino, rinuncia alle sue Jimmy Choo per calzare orribili stivali da lavoro e si rifugia nella sonnolenta cittadina di Glacken. Ma è una donna testarda, non si arrende ed è anzi pronta a tutto pur di conquistare la gioia e la serenità che merita. Una vita perfetta e un amore da sogno sono lì ad aspettarla.

Di questa collana, come già detto sopra, amo in primis la versione economica rilegata e curata in ogni dettaglio che, oltre a occupare poco spazio, è anche visibilmente piacevole. Avrei un consiglio da dare alla Newton, se mai leggeranno questo mio piccolo articolo su Eclettica. Ebbene, cambiate il nome della collana in "Gli inseparabili": piccoli, teneri, vanno in borsa e li porti sempre con te. Credo sia molto più appropriato come nome; infatti ero certa che si chiamasse così la collana, e scoprire che invece il nome è "Gli insuperabili" mi ha scioccato. Come si nota dai dati, il titolo dell’opera è stato cambiato da “Regole per una vita perfetta” a “Ti amo ti odio mi manchi”. Penso che il titolo originario sia molto più adatto di quello italiano. Infatti i capitoli in realtà sono delle regole numerate con tutto ciò che la protagonista avrebbe dovuto fare sin dall’inizio o che comunque impara nel corso della storia per avere una vita vera e sana, o forse perfetta. Difficile dirlo visto che la perfezione, volente o nolente, non esiste. Passiamo al contenuto di questo romanzo. I personaggi sono ben caratterizzati a livello psicologico e non ci sono bruschi cambi repentini se non da parte di Matilda. Infatti quest’ultima è un’adolescente difficile, porta sulle spalle un peso orribile e per tale ragione, ovviamente, è più che normale che ci si ritrova con una ragazzina complessa e carica di rancore. Maggie è un agente immobiliare ormai disoccupato, ha mollato il suo fidanzato decennale Robert e pur amando la città è costretta ad accettare la mano della sua amica Claire. Si

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trasferisce così in campagna per occupare Rose Cottage mentre la sua amica è in ritiro in India. Così Maggie, amante della vita caotica in città, si ritrova in campagna e costretta ad aiutare Edward, il suo padrone di casa, in cambio di una diminuzione dell’affitto. Ovviamente Maggie si ritrova in una spirale di eventi che la conducono a dire un mucchio di bugie che, in un piccolo paese come Glacken, si spargono a macchia d’olio facendola passare per un artista di fama internazionale che in realtà non è. Dire la verità ormai è fuori luogo e Maggie è sicura che presto lascerà il villaggio per tornare in città, nonostante la vita di campagna inizi a piacerle, per cui non pensa di rettificare le sue bugie, che Ted e Peg hanno contribuito a rendere di dominio pubblico ingigantendole. Il testo ovviamente è narrato in prima persona che, per il genere che ha deciso di scrivere l’autrice, penso sia il migliore: diretto e scorrevole, aiuta il lettore a immedesimarsi nelle vicende più facilmente. Nonostante ciò, pur essendo fluida la scrittura, il testo non rispecchia la fascetta che cita: vi farà ridere fino alle lacrime e piangere per la commozione. Parliamoci chiaro, io non ho né riso fino alle lacrime né tanto meno pianto dalla commozione. Questo non vuol dire che non sia un testo piacevole, è sicuramente una lettura tranquilla e senza troppe pretese, uno di quei libri da portare in spiaggia sotto l’ombrellone. Bisogna dire che sono stati coerenti quelli della Newton & Compton, hanno voluto mantenere lo stile bugiardino della protagonista anche sulla fascetta e sulla quarta di copertina a caratteri chiari. Santa sincerità dove sei finita? Alcune frasi mi hanno fatto sorridere, ma piangere dalle risate proprio no! Consiglio comunque la lettura a chi ama le storie d’amore con una piccola dose di equivoci che alla fine si sistemano bene. Il testo a volte risulta lento in alcuni punti: presumo sia una caratteristica dell’autrice, ma non rovina l’effetto finale della storia che mi ha lasciato un piacevole ricordo di Maggie, Edward e la sua famiglia. Per finire, se volete piangere dalle risate ebbene questo libro non fa per voi. Se volete un testo tranquillo, una storia d’amore senza troppi fronzoli ma con tante bugie nel mezzo e qualche equivoco, allora queste 5,90€ sono spese bene. Buona lettura e alla prossima recensione… e speriamo di ridere. Quasi dimenticavo Buna Pasqua a tutti. Estratti dal testo:

Alla fine fu quell’orsetto gommoso giallo a convincermi. Certo, le cose con Robert non andavano da parecchio ormai, da più tempo di quanto avessi osato ammettere con chiunque, ma alla fine fu un’innocua caramellina gommosa a rendere tutto più chiaro nella mia mente. Non sono a casa. Sono a Rose Cottage e quel rumore non è la tv o qualche strana suoneria: sono uccelli che cinguettano per davvero. Con la fortuna che ho, la voce che una persona di città è venuta a stare qui dev’essere arrivata a ogni maledetto uccello dei dintorni, e ora sono tutti alla mia finestra con la ferma intenzione di esasperarmi. P.S.: Ricordo che il testo costa 5,90€ nell’edizione economica della Newton & Compton Editori e si può trovare in qualsiasi centro commerciale con lo sconto del 15%, in pratica una lettura davvero per tutti in un periodo di crisi. A CURA DI VANESSA VESCERA

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CHIACCHIERANDO CON... Mirko De Gasperis

1. Ciao Mirko, grazie per aver accettato di essere intervistato! Iniziamo con una semplice domanda, chi è Mirko nella vita di tutti i giorni? Grazie a te per quest'opportunità. Beh, come prima domanda non è mica tanto semplice, eh! Anzi parlare di me mi resta difficile! Comunque diciamo che sono un ragazzo che si ritrova spesso a riflettere sugli eventi che gli capitano, senza limitarsi a vivere e basta. Non ho ancora capito se sia un bene o un male! 2. Quand’è nata la tua passione per la scrittura? L'aspetto buffo è che quando andavo alle elementari io odiavo scrivere. Per i classici pensierini che davano come compiti a casa alle elementari mi facevo aiutare da mia madre. Comunque alla fine delle medie, sentii il bisogno di mettermi a scrivere, al di fuori dei temi o dei compiti che mi assegnavano a scuola. Avevo 14 anni e scrissi appena un paragrafo, mezza pagina, però fu la prima “composizione” che sentii davvero come un'esigenza da scrivere. 3. Nel 2009 pubblichi il tuo primo romanzo, “Poker di cuori” per la Leone editore. Ti va di parlarcene brevemente? Com’è nata l’idea di questa storia? In breve è la storia di un playboy, un ragazzo donnaiolo che si ritroverà a mettere la testa a posto per una ragazza. C'è tutto questo suo passaggio, fino a metà libro, quando avviene un colpo di scena che ribalterà l'intera storia, con segreti dei quali non era a conoscenza neanche lui stesso. Il libro era nato per un mio bisogno di tradurre in storia una riflessione di quel periodo. Ragionavo, a seguito di un'esperienza personale, di come alcune volte i sentimenti umani possano effimeri, dei fuochi di paglia, intensi, che però alcune volte spariscono nel giro di un niente. L'intera storia ruota attorno a questa riflessione (il titolo in origine era “La fragilità dei sentimenti”). 4. Quest’anno hai pubblicato il tuo secondo romanzo, “Pappagalli, favole e altri guai”, con la Butterfly edizioni. Come lo presenteresti a chi ancora deve leggerlo? Quanto c’è di te in quest’opera? Beh, credo che la parola “bizzarro” sia la prima definizione che mi viene in mente, se penso alla storia e al gruppetto di personaggi che anima la trama. Il clima che si respira è totalmente diverso da “Poker di cuori”, più vivace e allegro, più

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“pazzo”. Stiamo parlando di una commedia, dopotutto, dove però si sorride più che ridere. Ma forse sono io che faccio fatica a ridere per cose scritte da me! Dentro c'è abbastanza. Basti pensare che ogni mio personaggio, di questo e altri romanzi, è una sfaccettatura di me. Se pensiamo che questo ha praticamente 7 personaggi principali, escluso il protagonista, viene da sé che finisce per esserci parecchio di me, ridistribuito su ognuno di loro. Poi alcuni li sento più vicini, altri più lontani, ma in generale qualcosina di mio lo hanno. 5. Vuoi trasmettere qualche messaggio particolare con questo libro? Sì, come in “poker di cuori” anche in questo c'è una mia personale riflessione su alcune tematiche. In particolare sulla scelta fra l'altruismo e l'egoismo. Sono andato oltre la semplice idea che ogni tipo di altruismo sia cosa buona e ogni tipo di egoismo sia per forza sbagliato. Mi sono concentrato sulle sfaccettature, su situazioni in cui il troppo altruismo può essere pericoloso, così come alcune volte si rende necessario un po' di egoismo. Insomma il protagonista si ritrova a dover navigare fra queste scelte, cercando un proprio equilibrio, che forse c'è, forse non esiste. Alla fine il mio messaggio c'è, ma non voglio rovinare il finale! 6. In entrambi i tuoi romanzi il protagonista è uno scrittore. Come mai hai scelto proprio questa figura? Diciamo che in questo caso mi tornava utile per il tipo di situazione che andavo ad affrontare, ma in generale credo che la scelta sia semplicemente poiché si tratta di un'occupazione che conosco, so che tipo di sensazioni, sia positive che negative trasmette, e se mi trovo a descriverla posso evitare di scrivere banalità, come magari mi capiterebbe se il mio protagonista facesse un lavoro che non ho mai affrontato, sul quale posso documentarmi, ma che non è mai stato effettivamente mio. 7. Quanto ti assomigliano i personaggi dei tuoi romanzi? Ognuno di loro deve avere almeno una piccolissima parte di me, semplicemente perché ogni volta che io debbo muoverli all'interno della storia, mi calo dentro di loro e ci “devo stare bene” nei loro panni. È molto divertente diventare qualcuno lontano da noi, far andare la fantasia, ma un appiglio personale deve rimanere o mi ritroverei a parlare di persone a me sconosciute. E se sono sconosciute a me, figuriamoci poi al lettore! Quindi una parte di loro la devo conoscere davvero bene, come se fossimo amici da anni. Così so di chi sto parlando. 8. C’è qualche autore a cui ti ispiri? In questo ultimo periodo mi ha influenzato molto Jonathan Coe, un autore britannico abbastanza conosciuto anche in Italia. Ma sono perlopiù influenzato da registi cinematografici, dato che mi reputo molto più cinefilo, di quanto sia poi in realtà appassionato di libri e letteratura. Quindi ti direi al volo Woody Allen e

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Alfred Hitchcock, come primi due registi che mi hanno ispirato anche per “Pappagalli, favole e tanti guai”. Il primo perché spesso affronta tematiche serie o pessimistiche con i toni della commedia, il secondo perché porta spesso come tematica quella dell'uomo comune che si ritrova coinvolto in trame che sfuggono al proprio controllo, con vicende più grandi di lui. Nel mio ultimo romanzo questi due aspetti si fanno sentire molto. 9. Ti occupi di ben 3 rubriche qui su Eclettica che riguardano musica, film e filosofia. Sei un ragazzo dai mille interessi! Coltivi qualche altra passione? Sì, diciamo che mi piace navigare fra le diverse forme di espressione. Quindi mi piacciono molto anche le serie televisive, se fatte ad un certo livello, come mi è capitato di notare da qualche anno a questa parte. Poi c'è la mia passione per i fumetti, giapponesi o americani, anche italiani in alcuni casi. Poi apprezzo molto anche delle mostre di pittura e fotografia, ma già in quel campo mi rendo conto di non essere meno ferrato. Tutte queste passioni comportano però che non sia un fanatico di sport e motori, il che è “gravissimo” per un ragazzo. O no?! 10. Qualche novità sui progetti futuri? Ti piacerebbe cimentarti in un genere diverso? Se sì, quale? Per ora sto lavorando su del materiale per poter affrontare un romanzo storico, ma diciamo che ancora sto valutando per bene la cosa. Quindi sì, sarebbe un cambio di genere. Mi piace molto spaziare e sarebbe un sogno per me scrivere, prima o poi, un romanzo di fantascienza, un genere che apprezzo particolarmente. 11. Grazie per essere stato qui con noi Mirko, in bocca al lupo per tutto! Crepi. E grazie a te per questa bella intervista! A CURA DI GIOVANNA S. RICCHIUTI

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...e

azione!

Monuments Men

TITOLO: Monuments Men ANNO: 2014 GENERE: Guerra; Drammatico; Azione; Biografico DURATA: 118 minuti REGIA: George Clooney SCENEGGIATURA: George Clooney, Grant Heslov INTERPRETI: George Clooney; Matt Damon; Cate Blanchett; Bill Murray; TRAMA: La seconda guerra mondiale volge ormai al termine,

ma la fine di Hitler non porta via con sé tutti i problemi. Il Führer ha ordinato che, alla sua fine corrisponderà la medesima sorte per tutte le opere d'arte confiscate nei paesi occupati dai nazisti. Così un gruppo di uomini, soprannominati “Monuments men” si mette in moto, con l'obiettivo di recuperare quei capolavori, dal valore inestimabile...

A distanza di tre anni da Le idi di marzo, George Clooney torna a mettersi dietro la macchina da presa, dirigendo se stesso e un pugno di stelle internazionali. Lo fa prendendo il soggetto da un romanzo che racconta una storia che sarebbe troppo assurda, se non fosse realmente accaduta. Seconda guerra mondiale, opere d'arte, storia bizzarra. Gli ingredienti per una storia col botto c'erano tutti, ma a conti fatti il film non riesce ad essere così convincente come ci si sarebbe potuto aspettare. Forse tratto in inganno dal materiale di partenza, Clooney, qui anche cosceneggiatore e co-produtore, non si preoccupa più di tanto né di presentare a dovere la vicenda, né tantomeno i personaggi che di lì a poco occuperanno la scena. I primi minuti passano via e tutto quello che ci resta per distinguere i personaggi, elencati sullo schermo, sono le facce degli attori che li interpretano. E, nonostante la loro bravura e carisma (su tutti un Bill Murray sempre straordinario), non ci basta per affezionarci e seguire con il giusto pathos le vicende di questi uomini, che straordinari lo sono stati davvero nella realtà. Anche l'intera vicenda ci viene proposta in maniera didascalica, nel loro procedere, come se fosse facile dividersi per l'Europa, passare da Bruges a Parigi, a Milano fino in Germania, e recuperare via via le diverse opere. È vero, l'evento da cui è tratto il film ha dell'incredibile, ma tutto ciò che ci rimane per giustificare ciò che vediamo è proprio questo: dobbiamo aggrapparci al fatto che sia successo davvero, per non restare increduli. E non è mai un buon segno per una pellicola. Il tono complessivo del film per fortuna non riesce a rovinare la potenza di alcune scene, come quella nella chiesa di Bruges, durante il tentativo di recupero della Madonna con bambino di Michelangelo, oppure quella che vede la cattura del nazista Viktor Stahl. E non basta la riuscita della scena della mina, in un divertente mix di comicità e tensione a risollevare il clima generale del film.

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Anche scorrendo le varie interviste, è facile capire di come Clooney tenesse particolarmente a questa storia, quindi è un peccato che quella che doveva essere una storia emozionante, si riduce ad un freddo e incolore susseguirsi di scene impalpabili. E anche il tema, quello pregnante, se valga o meno il sacrificio di una vita umana per l'eternità dell'arte, viene offuscato da una messa in scena sbrigativa, fredda, accurata soltanto nelle location e nelle scenografie, quelle sì, straordinarie. Ma non basta l'arte da sola a fare di un film... un'opera d'arte! Curiosità: Per interpretare Frank Stokes da anziano è stato scelto Nick Clooney, il vero padre di George Clooney, che nel film interpreta Stokes ai tempi della guerra. A CURA DI MIRKO DE GASPERIS

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