Eclettica 7

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INTRODUZIONE Buon Natale e felice anno nuovo a tutti voi! Eccoci con l'ultima uscita di questo 2014 che sta per volgere al termine. Approfittando del Natale, abbiamo deciso di regalarvi il numero proprio nella notte tra il 24 e il 25. E c'è una sorpresa in più... Eclettica si arrichisce di un inserto contenente quattro racconti natalizi! Alberto Pasturenzi, Ilaria Militello, Francesca Ghiribelli e Arianna Luciani vi terranno compagnia in questo giorno di festa con i loro racconti. Una delle autrici, Francesca Ghiribelli, è anche la curatrice della rubrica Scorci dal mondo incantato e ha recensito per voi Shades of life. Doppio appuntamento con le autrici esordienti: Lidia vi farà conoscere Linda Bertasi e Jenny Anastan. Per quanto riguarda i film, ce n'è per tutti i gusti. Mirko ha scelto per la sua rubrica Tremors, un mix tra scene horror e scene più distensive; Daniele, invece, ha optato per il libro e il film di Colpa delle stelle, che ha conquistato molti pareri positivi. Giuliano, il bravissimo grafico di Eclettica, parlerà di Radiomorte. In questo numero natalizio potrete scoprire qualcosa in più sulle splendide grafiche Rosie M. Stuart ed Elisabetta Baldan, e sulla loro collaborazione, la Lovelorn Corporation. Non mancheranno i preziosissimi consigli di Mary, che spiegherà l'importanza di un incipit e ci darà diversi esempi. Ma non dimentichiamo il teatro! Ogni vero amante del teatro non può perdersi Aspettando Godot, la tragicommedia di cui ci parlerà Valeria. Cristina in Arteggiamenti ci mostrerà alcuni quadri rappresentanti il treno, simbolo del progresso. Laura recensirà Corinna, un libro che mescola tre diversi generi: il romanzo, il diario di viaggio e il trattato sugli usi e costumi. Vi saluto augurandovi buone feste da parte di tutto lo staff di Eclettica!

Giovanna Samanda Ricchiuti

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ARTEGGIAMENTI

Il treno ha fischiato: la modernità entra nell’arte A cura di Cristina Malvezzi Inventato all'inizio del XIX secolo, il treno diventa immediatamente il simbolo del progresso, la rappresentazione del grado più alto raggiunto dalla tecnologia occidentale. In realtà la storia di questo mezzo di locomozione è iniziata molti anni prima: nel 1769 Nicolas Cugnot, facendo tesoro dell'innovazione di James Watt, aveva realizzato il primo esemplare di macchina a vapore e, progetto dopo progetto, si è arrivati nel 1801 al primo modello di locomotiva, la Coalbrookdale, impiegata per trainare i carrelli nelle miniere. La ferrovia diviene in brevissimo tempo il mezzo di comunicazione più efficace e i governi di Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania e Italia (in questo caso con notevole ritardo) concentrano su di essa enormi capitali, ma il treno ha nutrito anche un ricco immaginario, conquistandosi un ruolo di primo piano nella letteratura e affascinando gli artisti, che non tardano a registrare la presenza di questo nuovo ritrovato tecnologico. È William Turner, nel 1844, ad immortalare per la prima volta nel suo celebre dipinto Pioggia, vapore e velocità, un treno in corsa. Sceglie, forse sulla base di una suggestione personale colta durante un viaggio, di riprendere il mezzo frontalmente, mentre percorre il ponte sul Tamigi fra Taplow e Maidenhead, allontanandosi da Londra. I particolarissimi effetti della ricerca luministica e coloristica dell'artista romantico, che arriva a confondere, come spesso accade nelle sue opere, il cielo, l'acqua e la terra, viene qui piegato alla resa dell'effetto della velocità, a cogliere il turbinio di vento e calore smosso dal passaggio del treno, attorno al quale tutto si dissolve.

J.M.W. Turner, Pioggia, vapore e velocità (1844), Londra, National Gallery

Non molti anni dopo il testimone del ritratto del treno passa nelle mani di Claude Monet, che realizza diversi quadri con questo soggetto, soprattutto negli anni 1875-1877. A questo periodo risalgono sia Il treno nella neve, dipinto nell'inverno del 1875 trascorso ad Argenteuil con la ripresa del taglio diagonale della ferrovia già scelto da Turner e una fusione di colore fra il cielo e il fumo della locomotiva e, soprattutto, negli esemplari dedicati alla Gare Saint-Lazare.

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L'artista francese conduce la sua ricerca di luce non solo sugli ambienti naturali o sulle strutture architettoniche, ma si dedica anche alla rappresentazione di una realtà modernissima, fatta di velocità e forse proprio per questa adatta all'impressione. È questo, d'altronde, l'orizzonte reale dell'uomo del XIX secolo e, ammirando le rappresentazioni di Monet della Gare Saint-Lazare lo scrittore e giornalista Emile Zola dichiara che «vi si sente lo sferragliare dei treni che arrivano veloci, si vedono le zaffate di fumo che roteano sotto i vasti hangar. Oggi la pittura è là, in quegli ambienti moderni con la loro bella grandezza. I nostri artisti devono scoprire la poesia delle stazioni come i loro padri scoprirono quella delle foreste e dei fiumi».

C. Monet, Gare Saint-Lazare - L'arrivo del treno (1877), Massachussets, Fogg Art Museum

Sognante e fantasioso è, qualche anno dopo, il treno di Evard Munch: nel 1900 conferisce a Il fumo della locomotiva un'impostazione orizzontale, in cui il treno è in posizione ribassata rispetto al centro della tela e nascosto da una fila di alberi sopra i quali si leva il vapore. La nuvola bianca non è svirgolettata come nei dipinti di Monet, ma densa, corposa e con sfumature dorate che danno al quadro una connotazione più da mondo fiabesco che da società industriale, accentuata dalla presenza del lago e del cielo che, con i loro riflessi multicolori, delicati e rilassanti, sembrano come adagiarsi morbidamente sul fumo.

E. Munch, Il fumo della locomotiva (1900), Oslo, Munch Museum

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Ad impossessarsi con maggiore foga dell'iconografia del treno sono però i Futuristi, che in esso vedono una manifestazione di quell'irruenza, di quella potenza, di quel rumore e di quella velocità che invocavano a gran voce fin dal manifesto del 1909. Nel 1916 Renato Marcello Baldessari dipinge Velocità+treno+folla, descrivendo una locomotiva dai piani scomposti per rendere quell'effetto di velocità e simultaneità di visione che recupera alcuni esiti del cubismo e che produce una nuova fusione fra il treno, la stazione, il cielo e la folla attraverso la sovrapposizione delle sagome e delle masse: i corpi dei viaggiatori si intravedono, ma sono dissolti nell'atmosfera che dividono col treno, come se vi fossero già saliti e la loro presenza sulla banchina appartenesse al passato.

R.M. Baldessari, Velocità+treno+folla (1916)

Simili nell'idea ma molto differenti nella visualizzazione risultano i treni di Pippo Rizzo, futurista siciliano che si dedica in più di un'occasione al tema delle ferrovia: nelle sue scomposizioni dominano i colori azzurri e blu e una scansione geometrica dello spazio circostante il treno che mira a rendere il piegarsi del fumo verso la coda (nella visione frontale del 1929) o la rapidità del passaggio nel Treno notturno in corsa (1920). Con questa sua resa variopinta, Rizzo sembra incorniciare la versione fiabesco-pubblicitaria di Fortunato Depero (1924), che recupera una visione diagonale del treno, avvolgendo però i binari in una coda a semicerchio, ed elimina ogni traccia di verosimiglianza: locomotiva è ridotta ad un insieme di volumi geometrici e il fumo ad un rampollare di curve grigie che salgono dal sole o, meglio, nel rispetto del titolo Treno partorito dal sole, discendono da esso come un elemento naturale quanto le piante e l'uccello azzurro posti a corona dei binari. Tante visioni diverse, segno di una società che è cambiata nel tempo e di un'arte che ha cercato, di volta in volta, di adeguarvisi o di sfuggirvi ricercando la strada della fantasia. Ancora oggi il treno alimenta un ricchissimo immaginario e c'è da scommettere che, con la sua capacità di unire terre lontane come nessun altro mezzo grazie alla fissità delle strade ferrate lungo le quali si muove, questo mezzo continuerà ad attirare su di sé gli sguardi delle future generazioni di artisti.

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AVVENTURE DA PALCOSCENICO Aspettando Godot

Aspettando Godot è una tragicommedia in due atti di Samuel Beckett a cui ogni appassionato di teatro dovrebbe assistere almeno una volta nella vita, perché si tratta di uno dei pilastri dell’arte contemporanea ed è doveroso avere un’opinione al riguardo. Personalmente ho avuto l’occasione di assistere ad una messa in scena dell’opera del Piccolo Teatro di Milano quando frequentavo il liceo e, sebbene non rientri tra le mie opere preferite, Aspettando Godot mi ha fatto riflettere. En attendant Godot (è questo il titolo originale dell’opera) è un rivoluzionario capolavoro in francese del teatro dell’assurdo composto tra il 1948 e il 1949, pubblicato nel 1952 ed andato in scena per la prima volta al Théatre de Babylone di Parigi nel 1953. L’azione si svolge in un desolato paesaggio di campagna, ai piedi di un albero privo di foglie. Estragon e Vladimir sono due vagabondi che attendono l’arrivo di un misterioso Godot che ha dato loro appuntamento; non sanno chi sia né se il luogo e l’ora dell’appuntamento siano esatti, ma sperano che incontrandolo migliorerà la loro condizione. Durante l’attesa incontrano due singolari individui: il proprietario terriero Pozzo e il suo servo Lucky, tenuto al guinzaglio. Vladimir ed Estragon sono ora incuriositi dall’atteggiamento di Pozzo ora spaventati dalla miseria del servo, che sorprende i presenti con un delirante monologo erudito che termina in una zuffa tra i personaggi. Dopo che Pozzo e Lucky ebbero ripreso il cammino cala la sera e di Godot nessuna traccia, al suo posto tuttavia giunge un ragazzo, il quale afferma che quel giorno Godot non era potuto venire ma sicuramente si sarebbe presentato l’indomani. I due prendono in considerazione l’idea di suicidarsi ma rinunciano, ipotizzano di andarsene ma non si muovono di un passo. Con il calar della notte termina il primo atto. Nel secondo atto la vicenda si ripete, seppure con qualche futile cambiamento: sull’albero sotto il quale si svolge l’attesa di Vladimir e Estragon sono spuntate due o tre foglie, Pozzo è diventato cieco e Vladimir muto. A fine giornata giunge nuovamente il messaggero che annuncia l’impossibilità di Godot di presentarsi all’appuntamento, con la promessa che sarebbe giunto l’indomani. Estragon e Vladimir decidono di andarsene, ma ben presto abbandonano il proposito. Al termine della giornata la commedia si conclude. L’atmosfera dell’intera rappresentazione, pur essendo tragica, è rallegrata da gags comiche tratte dal varietà e dal cinema muto; in molte rappresentazioni tale sfumatura comica è evidente anche nell’abbigliamento dei personaggi. Nel corso della rappresentazione, costruita sull’attesa di un evento che non si verificherà mai, non accade nulla; uno dei primi critici, Vivian Mercier, dirà infatti che "Aspettando Godot è una commedia in cui non accade nulla per due volte". L’azione ruota intorno all’attesa del protagonista, Godot, che è assente dalla scena per la prima volta nella storia del teatro. Un altro elemento rivoluzionario è l’assenza di una trama e il fatto che il fulcro dell’azione consiste nei dialoghi tra i personaggi. L’idea dell’attesa è quella intorno a cui ruota anche l’analisi compiuta da

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Annamaria Cascetta nel suo studio sulla drammaturgia di Beckett: “Quel che si deve fare è ‘passer le temps': l’espressione, ripetuta più volte, assume il rilievo di una chiave: passare il tempo, ma anche protendersi oltre il tempo“. E a sostegno elenca una circostanziata serie di riferimenti biblici per poi concludere: “La domanda, forse l’unica domanda che veramente interessa [Beckett], è la possibilità o meno che il Fondamento di senso si manifesti […], che si riveli e incontri gli uomini nella storia: è una domanda alimentata dalla suggestione biblica del Dio che incontra appunto l’uomo nella storia […] Beckett ama nascondere nei giochi di parole […] i sensi più profondi: la Bibbia aiuta a passare il tempo, ma anche ad andare oltre il Tempo“. Dalle conversazioni vuote di Vladimir ed Estragon si evincono due temi fondamentali: l’incomunicabilità e la solitudine dell’uomo moderno. Altri temi fondamentali sono che vivere è un dolore costante e immutabile, solitudine, noia, ripetizione incessante degli stessi gesti; l’uomo non sa nulla della vita

e non ha punti di riferimento o un dio in cui credere. Aspettando Godot viene da molti interpretata come una metafora della condizione esistenziale poiché ogni uomo si interroga e sta aspettando un Godot, una risposta che gli riveli il senso dell’esistenza che purtroppo non si presenterà mai. Ma è proprio questo il senso che si cela dietro il signor Godot? Dopo aver assistito allo spettacolo viene spontaneo domandarsi quale sia il significato dell’opera, che spesso viene identificato in un significato esistenziale, che riguarda l’essere umano indipendentemente dalla sua condizione sociale, politica e culturale. Dio è il simbolo più frequentemente attribuito al signor Godot, ma anche la fortuna, il destino o la morte. Beckett, probabilmente ridendo sotto i baffi, si è sempre rifiutato di fornire spiegazioni al riguardo e ha dichiarato: “se avessi saputo chi è Godot lo avrei scritto nel copione”. Secondo molti Godot significherebbe God, parola inglese per dio, oppure Godo, che in irlandese familiare ha il medesimo significato. Per altri invece Godot deriverebbe dalla fusione di God e Charlot, in quanto Beckett era appassionato delle comiche di Charlie Cahaplin. Godot è in ogni caso un cognome francese (ci furono un ciclista e una via di Parigi frequentata da prostitute con questo nome). Una volta Beckett salì su un

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aereo pilotato da un certo Godot e dichiarò: “Non mi fido di un aereo pilotato da un qualunque Godot”. Beckett rivelò al regista Roger Blin (probabilmente per confondergli le idee) che Godot deriva da godillot, che significa stivale in francese gergale; tale significato deriverebbe dal fatto che i piedi avrebbero molta importanza in quest’opera.

Pozzo e Lucky sono stati interpretati come il capitalista che sfrutta l’intellettuale, ma vi sono opinioni discordanti al riguardo. Vladimir e Estragon sono invece due barboni, delle figure che hanno sempre affascinato Beckett e che compaiono in molti suoi romanzi. In Aspettando Godot rappresentano la condizione umana in tutte le sue sfaccettature e che è fondamentalmente sempre uguale, infatti i due personaggi non subiscono alcuna evoluzione nel corso della vicenda. Beckett rivoluziona completamente il linguaggio teatrale. Come abbiamo già detto la trama è inesistente, il significato è ambiguo e il protagonista dell’opera non compare in scena, inoltre è presente una commistione di generi alti e bassi, che vanno dalle citazioni teologiche al turpiloquio, e di generi, che spaziano dalla tragedia alla commedia e al cabaret. Beckett iniziò a scrivere Aspettando Godot per riposarsi durante una pausa dalla stesura della Triologia, senza essere informato sulle tendenze teatrali del momento e appoggiato dalla futura moglie Suzanne. I primi impresari cui propose l’opera la rifiutarono sino a quando, nel 1950, il regista Roger Blin si sentì sfidato da quel testo così anticonvenzionale e decise di metterlo in scena. La morte della madre di Beckett e la difficoltà nel reperire i finanziamenti fecero slittare la prima di tre anni, sino al 1953. Il Théatre de Babylone di Parigi era un vecchio bazar ristrutturato, con una platea di circa 200 sedie.“L’albero era un lungo appendiabiti coperto con carta crespata […] La base dell’albero era nascosta da un pezzo di gommapiuma trovato per strada. Con tre grandi bidoni contenenti lampadine elettriche furono costruiti i proiettori” (Bair). L’aspettativa era tale che si registrò il tutto esaurito e, sebbene non tutti i commenti furono positivi, l’opera divenne un fatto sociale e tutti volevano andare a teatro a vederla. Fu l’inizio di una vertiginosa ascesa al successo.

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CHIACCHIERANDO CON... Elisabetta Baldan e Rosie M. Stuart

A cura di Giovanna Samanda Ricchiuti

1.Ciao Elisabetta e Rosie, grazie per essere qui con noi! Iniziamo con una presentazione, chi sono Elisabetta e Rosie?

Rosie M. Stuart

R: Chi è Rosie? Oh, è strano (soprattutto difficile) raccontarmi. Una domanda di riserva? Comunque… Sono una studentessa, una blogger, una scribacchina della domenica, una lettrice accanita, e una ragazza timida. Ah, anche una fangirl compulsiva. Quando ho tempo (o piuttosto SE ho tempo), adoro passeggiare da sola, lontana dal pc e dai libri. Non mi dispiace allontanarmi dal caos della quotidianità, abbandonarmi alla sensazione piacevole che la solitudine può donare. Ecco, sono una viandante silenziosa (tanto pazza, e irrimediabilmente ironica).

Elisabetta Baldan

E: Rosie, ti invidio. Ma come fai a trovare tutte queste cose da raccontare di te? Quando mi chiedono di parlare della mia vita, io faccio scena muta. Elisabetta comunque è una comune ragazza di campagna, con un’immensa passione per i gatti e la grafica. Se dovessi definirmi con un solo aggettivo credo opterei per il “misantropa”. Oh, sì: sono un’inguaribile misantropa. 2. Quando è iniziata la passione per la grafica? R: Mmm, poco più di un anno fa. Lei ha bussato alla porta, e si è intrufolata nella mia vita. Abbiamo un rapporto un po’ conflittuale, un po’ “a targhe alterne” (come dico sempre). Ci accapigliamo, ma Ms Passione rimane lì e non vuole andar via. Diciamo che seguo molto l’ispirazione e i suoi momenti altalenanti. E: Non so esattamente quando sia scoppiata questa passione per la grafica. Come Rosie, il mio rapporto con Lei è sempre stato di odio/amore. Ho passato anni interi senza cliccare sull’iconcina di Photoshop (che conosco da circa 8 anni, a occhio e croce). Altri periodi invece in cui non potevo farne a meno: era la mia valvola di sfogo, l’unico canale attraverso cui esternavo le mie emozioni. 3. Come nasce una copertina? Da dove traete l'ispirazione per le vostre immagini? R: Personalmente deve essere il soggetto principale a “parlarmi”, sennò non riesco a creare nulla. Perciò, credo, che l’ispirazione parta dalla foto scelta. Lo stock di base è simile a una sirena tentatrice, ci ammalia e ci fa sue vittime. Siamo noi che seguiamo le immagini, e non al contrario!

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E: A volte nasce quasi per caso, altre volte è un parto travagliato. Quando un autore mi da carta bianca esulto come se non ci fosse un domani. In quel caso è molto più semplice seguire la propria fantasia e ricreare l’immagine che ho in mente. Nel caso in cui mi vengano date indicazioni più precise, non è mai una passeggiata trovare l’immagine adatta. Purtroppo i


miei gusti personali non coincidono sempre con quelli dell’autore e devo mettere da parte le mie preferenze per andare incontro alla volontà di chi mi commissiona la copertina. È chiaro che nell’esecuzione della stessa ci infilo qualcosa di “mio”. 4.Qual è il genere letterario a cui preferite dare un volto? R: Amo il gotico e il fantasy. Mi diverte lavorarci, poiché posso sbizzarrirmi. Nuance, abbellimenti, minuzie si mescolano all’immaginazione senza limiti. Non c’è solo la realtà, ai nostri occhi si aprono nuove dimensioni e nuovi sentimenti. Una semplice ragazza può diventare un angelo, una fata, o una strega; così il cielo può essere paradiso o inferno: bastano una manciata di click e i colori per cambiare la sostanza, avvicinandoci al sogno. E: Idem come Rosie. Ma non mi dispiacerebbe tornare alle origini, quando al gothic aggiungevo un pizzico di macabro. Purtroppo non mi vengono mai commissionate cover di questo genere. 5. È da poco nata una collaborazione tra voi due, Lovelorn Corporation - Digital Art. Vi va di parlarci di questa esperienza? Come vi dividete il lavoro? R : La “Lovelorn Corporation” è nata a ottobre, in uno schiocco improvviso. Era da molto tempo che desideravamo realizzare una manipolazione in collaborazione, poi… un sabato pomeriggio accadde la magia. “Autumn memories” prese vita, senza difficoltà, mentre il nostro sapere si mescolava. Penso che il nostro non sia un dividersi il lavoro, ma un perderci l’una nello stile dell’altra, una fusione di idee e conoscenze. Per me non è lavorare, ma plasmare, carezzare l’immaginazione e solleticare la Musa. Elisabetta è una maestra, una guida, soprattutto un’Amica. E: Ora, non vorrei fare la parte di quella che vuol fare sempre scena muta... ma credo che Rosie abbia già detto quello che di più importante c’era da dire. Io aggiungo solo un “sia lodato google drive!”. Un po’ meno sia lodata la mia connessione stralenta: quando dobbiamo passarci i file – che modifichiamo “a turni” – devo attendere quasi un’ora per il download! Scherzi a parte, sono veramente entusiasta di questa collaborazione che va a gonfie vele perché non è venuto a crearsi soltanto un rapporto lavorativo con Rosie, ma si è fortificata quell’Amicizia che dura già da un anno! -Un elemento essenziale che non può mancare nelle vostre immagini... R: Le ali. Sì, credo che possano essere le ali. Entrambe abbiamo una spasmodica fissazione. Io le adoro, principalmente quelle da fatina dispettosa. Trasparenti, setose, scintillanti. E: Vero, le ali! Io ci aggiungo il cielo nuvoloso. È una costante presente anche nelle manipolazioni “in solitaria” , una costante di cui non posso mai fare a meno. Niente come un cielo burrascoso rappresenterebbe meglio la mia esistenza. E i punti luce, minuscoli squarci di luce di qualsiasi colore... Anche loro parlano di me, di come in fondo –nonostante la mia insopportabile misantropia – uno stralcio di speranza e ottimismo li riesca a provare anche io. Parlano anche di Rosie comunque, di come i suoi modi di fare pacati e gentili siano in grado di ravvivare le persone nei momenti tristi o bui così come è successo a me.

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-Parliamo della prima cover che avete realizzato. Qual è stata? E che emozioni avete provato? R: La prima cover è stata la sopracitata “Autumn memories”. E non dimenticherò mai la sensazione di profonda gioia che si irradiò nel cuore, quando la finimmo. Era una percezione di completezza, di sorpresa, di pace. Ho pensato immediatamente: “Accipicchia, dobbiamo rifarlo!” E: “Autumn Memories”. Quando Rosie mi passò la sua prima bozza, mormorai Eureka! Quando la vidi compiuta, esclamai... Eureka! Avevo capito fin dall’inizio che ne sarebbe uscita una bellissima manipolazione. Conoscendo le capacità di Rosie non ho mai nutrito nessun dubbio. Ad ogni modo, non è esattamente Eureka che esclamai. Ma credo sarebbe poco opportuno riportare qui il termine esatto. -C'è una cover che ha un significato speciale per voi? R : Bella domanda. Forse “Rose of Sharyn”. Abbiamo raffigurato un angelo ad ali spiegate, che cammina nel deserto con in mano una rosa rossa. Quell’immagine mi dà speranza, come se il divino possa essere asperso laddove non vi è più vita. Insomma… anche nella desolazione, un fiore può nascere. E: Sono d’accordo con Rosie. Molto significativa per me anche “Falling”. Una ragazza ai limiti di uno strapiombo, quasi indecisa se lasciarsi cadere nel vuoto o meno. Il braccio teso, magari verso qualcuno che la trattenga. Chissà se questo qualcuno c’è... -Quanto è importante la cover per la scelta del libro? R: Tanto, forse troppo. Io ne tengo conto, e spesso mi faccio influenzare dalle cover. È qualcosa di sbagliato, ma sono attratta da esse come le falene dalla lanterna lucente. Infatti, a volte rimango delusa e fregata. Ci sono libri che hanno la bellezza grafica, però non contengono spessore intellettuale. Che bell’imbroglio! E: Decisamente molto! Credo sia quasi inevitabile essere attratti prima dalla cover piuttosto che dalla sinossi, che comunque verrà letta subito dopo (o almeno spero! Insomma, quale lettore comprerebbe alla cieca un libro solo per la sua cop ertina?!). -Oltre a essere bravissime grafiche, siete anche delle lettrici. Genere preferito? E quale libro, secondo voi, deve essere assolutamente letto? R: Io sono onnivora. Chi segue il mio lit-blog, ovvero il Dragonfly Wings, oramai è abituato alle carambole letterarie della sottoscritta. Leggo e leggerò di tutto, perché non bisogna limitarsi a un solo genere: i libri, quelli che possiedono la forza del messaggero e la prontezza del cantastorie, hanno qualcosa da dire e trasmettere. Sì, i libri sono voci nell’universo di altre voci. Oh… Quale libro deve essere assolutamente letto? “Cuore nero”, di Amabile Giusti, è il

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mio romanzo preferito. E ne avrei altri da nominare, ma tappatemi la bocca, sennò non la finisco più! E: Un tempo leggevo molto, ma molto di più. Se i giorni fossero composti da 48 ore... Rosie ha ragione: mai limitarsi ad un solo genere. La lettura serve proprio per aprire i propri orizzonti, perché avere pregiudizi o imporsi paletti? Peccato però, che io sia la tipica persona che predica bene e razzola male, perché il mio genere preferito è il thriller psicologico meglio se con qualche sfumatura paranormal.. e leggo fondamentalmente solo questo! Non disdegno gli altri generi, ma non riesco a cimentarmici con entusiasmo. Un libro da leggere assolutamente? Solo uno? Accidenti, scelta difficile. Ok, dico il primo che mi viene in mente: “Mucchio d’ossa” di Stephen King. -Vi piacerebbe, un giorno, poter essere voi le autrici di una vostra cover? R: No, assolutamente no. Ho provato in passato, ma è stato un fiasco totale. Se un giorno dovesse capitare, mi affiderò alle mani di Elisabetta: io non son capace di lavorare per me stessa! Ogniqualvolta ci provo, il risultato non è mai come quello ideato. Insomma, sono una schiappa… E: Ok, lo ammetto: è uno dei miei sogni più grandi. Ho una storia in mente da così tanto tempo... Non ho mai trovato il coraggio di scriverla. So quanto sia spietata la gente al giorno d’oggi con gli autori self (perché è chiaro che mi autopubblicherei...), per questo ho sempre temporeggiato. Eppure adoro scribacchiare, questa è una cosa che pochissime persone sanno di me. Ma lo dico sempre sottovoce, perché, appunto, sogno è e sogno resterà. A meno che Alessandra Paoloni (con cui ho almeno 3 progetti “scrittevoli” in corso) non riesca a farmi cambiare idea...! La cover la creerei io molto volentieri, perché soltanto io sarei in grado di soddisfarmi e forse nemmeno appieno. -Progetti per il futuro? R: Una vacanza? Vale come risposta? Dài, sto scherzando (no, non è vero). Non so se ho progetti per il futuro, son convinta che bisogna sempre esser pronti all’imprevisto. La vita è fatte di variabili che son difficili da calcolare, quindi? Lavoro per migliorarmi (nella grafica, nella scrittura, nel carattere), senza perdere di vista la cosa più bella che esista: vivere! E: progetti? Non sono persona da progetti, io. Vivo giorno dopo giorno. Quel che viene, in linea di massima lo accetto. -L'intervista è finita. Vi ringrazio ancora per aver accettato di rispondere alle mie domande. R: Grazie a te, è stato piacevole e divertente. Spero che le mie risposte non abbiano annoiato i tuoi lettori. Un abbraccio e un sorriso. E: Grazie infinite a te per aver sopportato le mie risposte e alla mia collega e amica Rosie, che invece mi sopporta ogni giorno. È stato un piacere. Un abbraccio!

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DALLA CARTA ALLA PELLICOLA Colpa delle stelle

A cura di Daniela Mionetto

Probabilmente è stato uno dei film più attesi del 2014, almeno dai fan di John Green che, fin dalla pubblicazione del romanzo nel 2012, non aspettavano altro che una trasposizione cinematografica. È stato talmente acclamato e pubblicizzato prima dell’uscita nelle sale (qui in Italia il 4 settembre), che ho avuto tutto il tempo di leggere il libro prima di vedere il film, e di questo sono felice perché è stata una delle poche volte che sono riuscita a farlo.

LIBRO: Colpa delle stelle AUTORE:John Green EDITORE: Rizzoli PAGINE: 356

Hazel ha sedici anni, ma ha già alle spalle un vero miracolo: grazie a un farmaco sperimentale, la malattia che anni prima le hanno diagnosticato è ora in regressione. Ha però anche imparato che i miracoli si pagano: mentre lei rimbalzava tra corse in ospedale e lunghe degenze, il mondo correva veloce, lasciandola indietro, sola e fuori sincrono rispetto alle sue coetanee, con una vita in frantumi in cui i pezzi non si incastrano più. Un giorno però il destino le fa incontrare Augustus, affascinante compagno di sventure che la travolge con la sua fame di vita, di passioni, di risate, e le dimostra che il mondo non si è fermato, insieme possono riacciuffarlo. Ma come un peccato originale, come una colpa scritta nelle stelle avverse sotto cui Hazel e Augustus sono nati, il tempo che hanno a disposizione è un miracolo, e in quanto tale andrà pagato. Lo stile di John Green è fresco e semplice. Le pagine scorrono veloci tra le dita, una dopo l’altra, raccontando la storia di Hazel e Augustus e secondo me è molto adatta ad un pubblico adolescente, non solo per la semplicità con cui è scritta, ma anche per l’argomento che tratta: così reale e in cui molti ragazzi possono rispecchiarsi. No, non sto parlando della malattia, non mi riferisco al cancro, che nel libro diventa quasi terzo protagonista insieme ai due ragazzi; ma all’amore. Al primo, emozionante, sconvolgente amore che si incontra a quell’età e ti fa capire quanta voglia di vivere ci sia dentro di te. Green parla della malattia in termini comprensibili a tutti, con metafore molto espressive e chiare, come quando Hazel si considera una “granata” a causa del suo tumore e vuole far soffrire meno persone possibili quando “esploderà”. È sicuramente una storia con molta tristezza e sofferenza all’intero, ma anche piena di vita, sorrisi, amore e ottimismo, perché la vita di tutti è fatta di alti e bassi (chi più e chi meno) e anche il dolore esige di essere sentito e vissuto fino in fondo. Questo romanzo mi è piaciuto soprattutto per il realismo che traspare dalle sue righe. Hazel e Augustus non sono lo stereotipo dei malati di cancro: quelli che si possono trovare in innumerevoli libri e film sull’argomento, quelli che vedono la

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vita in modo diverso, ai quali la malattia ha aperto gli occhi come alle persone normali non potrà mai accadere perché troppo impegnate con la routine di tutti i giorni, e che arrivati alla fine della loro vita hanno rivelazioni strappa lacrime sul senso della vita, dell’universo e di tutto il resto. Insomma quelle cose che dopo un po’ che le leggi perdono di significato e suonano più come la scoperta dell’acqua calda, o che hanno la consistenza dell’aria fritta. Nel romanzo di Green non c’è nulla di tutto questo, ma c’è la vita di due persone che si amano, che vivono un’intensa storia d’amore per il tempo a loro concesso, e quando sta arrivando la fine non ci sono lunghi discorsi e grandi rivelazioni, ma piuttosto si da spazio al dolore e alla rabbia, la rabbia di una persona che non vuole morire e che non vuole essere vittima dell’oblio. Mi aspettavo di piangere, in molti mi avevano detto che era straziante leggere questo libro, e invece non ho versato una lacrima. Mi è sicuramente piaciuto, ma forse la semplicità della scrittura ha smorzato l’impatto della storia su di me.

FILM: Colpa delle stelle REGISTA: Josh Boone ATTORI: Shailene Woodley, Ansel Elgort, Laura Dern, Nat Wolff, Willem Dafoe DURATA: 125 minuti (133 minuti versione estesa) Proprio mentre cominciavo a pensare di avere un cuore di pietra, ho visto il film e questo mi ha emozionato di più del romanzo. Non so perché, forse io sono più sensibile a una narrazione filmica, a una serie di immagini realizzate da bravi attori che sanno trasmettermi le emozioni meglio della pagina di un libro. La spiegazione può essere solo questa, perché il regista Josh Boone ha preso il romanzo di Green e lo ha portato sul grande schermo senza cambiare nulla. Non ha mutato niente dei personaggi, non si è preso alcuna libertà e non ha alterato i fatti, è stato estremamente fedele al libro anche nei dialoghi tra Hazel a Augustus, che riportati sullo schermo possono sembrare un po’ artificiosi, ma restano comunque intelligenti e d’impatto. Gran parte del merito va anche agli attori, perfettamente calati nei loro personaggi da soddisfare appieno i fan del libro. Shailene Woodley è una Hazel intelligente, dolce e sensibile, ma anche disincantata e ironica senza mai essere cattiva. Ansel Elgort incarna perfettamente il ruolo di Augustus, impacciato e romantico, con quel sorriso sbilenco che ha fatto innamorare Hazel. Mi hanno sorpreso in modo positivo, sono stati molto bravi e pensare che sono ancora attori semi- sconosciuti, perché hanno al loro attivo poche comparse sul grande schermo (Ansel Elgort, oltre che in “Colpa delle stelle”, per ora è comparso in soli due film; mentre Shailene Woodley la ricordo principalmente in “Paradiso amaro” con George Clooney). Ottime anche le interpretazioni della madre, dell’amico Isaac e di Willem Dafoe, che in poche battute riesce a esprimere molto bene il carattere dello scrittore Peter Van Houten. Sono stati eliminati solo alcuni personaggi per velocizzare la narrazione, come la

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migliore amica di Hazel e la ex fidanzata di Augustus, ma non se ne sente la mancanza nemmeno per un momento. Abbiamo un film drammatico travestito da commedia romantica, con un ritmo ben scandito e che non perde mai di tono; che riesce ad alternare bene battute intelligenti, umorismo e leggerezza con momenti tristi, ricchi di dolore e significativi. La colonna sonora è passata un po’ in sordina, non ci ho fatto molto caso mentre guardavo il film, è stata un buon accompagnamento, per nulla fastidiosa, ma a mio parere poco incisiva. Probabilmente è una musica che mi appartiene poco e che forse piacerà di più alle generazioni più giovani. Un bel film, fedele al romanzo dal quale è tratto, che parla di un amore nato sotto l’avversione delle stelle, così realistico che insegna che tutti noi conviviamo con il dolore e che si può, e si deve, continuare a vivere nonostante tutto. Nelle scene finali strapperà qualche lacrima anche ai più cinici e duri di cuore, quindi preparate i fazzoletti.

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...E AZIONE! Tremors A cura di Mirko De Gasperis

A Perfection, una valle nel Nevada, vermi giganti escono dalla terra e divorano capi di bestiame e persone. Val e Earl, che sognavano di lasciare la cittadina, stufi delle loro umili mansioni, sono costretti a restare e fronteggiare quei mostri, con l’aiuto di Rhonda, una sismologa che stava facendo delle rilevazioni nella zona… Come ogni pellicola di serie B che si rispetti, anche questo “Tremors” si contraddistingue per il solito mix di scene horror e di momenti più distensivi e volutamente comici o grotteschi. Ma se ciò è assolutamente negli standard per un film del genere, ciò che colpisce fin dal primo momento è l’originalità dell’ambientazione: Perfection è un pugno di case in legno o roulotte, che ricordano uno dei qualsiasi accampamenti che si potevano trovare nel Far West. Non è quindi un’assurdità definire il contesto come una sorta di western moderno (Val gira sempre col cappello da cowboy e, in una scena, sarà anche costretto a spostarsi a cavallo, assieme all’amico Earl). Quest’aspetto bizzarro, ma credibile, unito all’immediata simpatia che si prova per i personaggi, fanno di Tremors un film leggero e godibile che, senza strafare, raggiunge l’obiettivo di intrattenere, con una sceneggiatura snella e veloce (dopo appena dieci minuti ci vengono presentati un po’ tutti i personaggi principali) e con delle trovate tutto sommato originali, legate soprattutto ai movimenti dei “vermoni” assassini (il martello pneumatico “trasportato” via dal mostro, le assi di legno che si sollevano, gli sbuffi di polvere). Tutti accorgimenti che ci ricordano che i mostri sono lì, sotto terra, pronti a colpire, senza che il regista sia costretto a mostrare ogni volta le creature, che comunque risultano credibili, anche senza la presenza di effetti speciali computerizzati (il film è datato 1990!). Il reparto attoriale fa il suo dovere, con i protagonisti interpretati da attori del calibro di Fred Ward (I protagonisti), ma soprattutto da un Kevin Bacon (Mystic River, Fooloose, Alcatraz) convinto e convincente nel ruolo di Val. Fra i comprimari spiccano Michael Gross (l’unico attore principale a tornare anche nei due dimenticabili sequel, nel prequel e nella serie tv) nel ruolo del guerrafondaio Burt e Victor Wong (Il signore del male, Grosso guaio a Chinatown) in quello di Walter, l’astuto padrone dell’emporio. Curiosità: lungo tutto il film, non ci viene detto il nome dei temibili “vermoni” (“Graboid” sarà il nome che verrà affibbiato loro nei sequel), con i personaggi che si limitano a nominarli con insulti, nonostante il suggerimento di Walter («Niente nome, eh! Se li abbiamo scoperti, dobbiamo dargli anche un nome!») e le sue proposte strampalate: «Succhiasauri? Mi piace… Rettilosauri? Ho trovato! Agguantatori? Ce ne pentiremo, se non gli diamo un nome!»

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L’ANGOLO DEGLI ESORDIENTI-EMERGENTI Linda Bertasi

A cura di Lidia Ottelli

Parlerò di un’autrice bravissima: Linda Bertasi. I libri sono stati momentaneamente ritirati, ma vale la pena parlarne. Linda ha pubblicato nel 2013, il romance storico “Il profumo del sud” e nel 2014 un paranormal-fantasy “L’erede di Tahira”. Questi saranno i libri di cui parlerò. Linda Bertasi nasce nel 1978. Appassionata di storia inglese, sviluppa sin dall’infanzia una predisposizione per le materie umanistiche. Gestisce personalmente il suo blog LINDA BERTASI BLOG dove dà spazio agli emergenti ogni settimana con un’intervista, recensisce romanzi su richiesta e collabora con le case editrici “Agenzia Letteraria Jo March” e con “Faust Edizioni”. Collabora con il blog letterario “Destinazione libri”. Ha curato personalmente la rubrica “Il romanzo classico” sul webmagazine “Io come Autore” e scrive sotto pseudonimo su un portale dedicato alla poesia . Nel 2010 una sua poesia “Un bel paio di scarpe” viene utilizzata da un noto coreografo in una sua rappresentazione. Nel gennaio 2010, pubblica il romance contemporaneo “Destino di un amore”, cui fa seguito nel 2011 il paranormal-romance “Il rifugio – Un amore senza tempo” che le vale il secondo posto al XXIII premio letterario ‘Valle Senio’ 2012. Nel 2013, cura diverse prefazioni e pubblica il romance storico “Il profumo del sud” che le è valso la nomina di AUTORE COMMENDEVOLE al VII Premio Letterario Europeo ‘Massa città fiabesca di mare e marmo’ 2013. Nel 2014 pubblica il paranormal-fantasy “L’erede di Tahira”. GENERE: Romance PAGINE: 233

Il profumo del Sud

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Luglio 1858. Un piroscafo prende il largo dal porto di Genova verso il Nuovo Mondo. Sul ponte, Anita vede la terraferma allontanarsi e, con essa, tutto il suo passato: una famiglia alla quale credeva di appartenere, i suoi affetti, una scomoda verità. A condividere il viaggio con lei, la matura Margherita e il suo protetto, il seducente Justin Henderson. Giunti in America, Margherita convince Anita ad essere sua ospite per qualche tempo, nella sua dimora a Montgomery. La ragazza accetta, sicura di dover ripartire al più presto. A farle cambiare idea saranno le bianche colline del Sud e un tormentato amore più forte delle sue paure. All’orizzonte, l’ombra oscura della guerra civile.


In questo romanzo Linda Bertasi, ci narra una bellissima storia d'amore tra Anita Dalmasso e un seducente americano Justin Henderson. Nel 1858, Anita Dalmasso si imbarca per il Nuovo Mondo, l'America, dopo aver scoperto di non essere una contessa ma ben si, la figlia illegittima di una cameriera. Fugge così da questo enorme scandalo, cercando di dimenticare tutto e di ricominciare una nuova vita iniziando dal suo nome che verrà cambiato in Isabella Giordano. La nostra protagonista non immagina che proprio su quella nave incontrerà l'uomo dei suoi sogni, un uomo seducente che le farà scoprire l'amore vero. Un amore che la travolgerà in una passione intrigante. In questa avventura conoscerà Margaret che le donerà la sua amicizia, avrà a che fare con lo schiavismo ritratto della guerra di secessione americana, combatterà contro la piaga della segregazione razziale e aiuterà molte persone. Devo dire subito che questo romanzo mi ha coinvolto, è scritto con particolare cura, con un'emozione che ti scorre parola dopo parola. Le vicende si susseguono tra colpi di scena, passione e commozione, in un ritmo piacevole e mai scontato. Ammetto che prima di questo libro non avevo mai letto niente dell'autrice, sono piacevolmente sorpresa e appagata. I dialoghi perfetti e ricercati per l’epoca, le ambientazioni e i personaggi ben descritti. Faccio un elogio per i temi toccati e purtroppo alcuni ancora molto presenti in questa epoca. Sono affascinata dai libri storici soprattutto quelli riguardanti e ambientati nella seconda metà dell'Ottocento. Amo le storie d’amore che vengono descritte in tempo di guerra perché mi ricordano quelle che mi raccontava la mia bis nonna. GENERE: Fantasy PAGINE: 278

L’erede di Tahira

Viserbella, Emilia Romagna, 21 settembre 1561. Una donna sta per essere condotta sul rogo con l’accusa di stregoneria. Sua figlia conserverà per sempre il ricordo di quel giorno terribile e un’importante eredità: un misterioso ciondolo a forma di stella con sette punte. Molti anni dopo, 21 settembre 2013. Arianna non ricorda più nulla del suo passato, non sa più chi è né dove affondino le sue radici. Giorno dopo giorno, Arianna capirà che dietro la sua amnesia si nasconde un passato di magia e poteri e che il segreto della sua esistenza è celato in un misterioso libro che nessuno può aprire al di fuori di lei, l’erede.

Arianna, la protagonista di questo nuovo fantasy. Una donna con il passato turbolento di cui non ricorda niente. Un mistero che riaffiora grazie alla lettura di un antico libro. Donna caparbia, scoprirà cose dure, potenti, che le strapperanno emozioni forti e immaginabili.

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Questo fantasy ha catturato la mia attenzione da subito per la fluidità e la scorrevolezza. Un’'ambientazione insolita, una storia originale pur trattando temi letti e riletti. La trama ruota tutto intorno a Arianna e l’eterna lotta tra il bene e il male, una storia sconvolgente e intriso di legami forti come la famiglia. Tutto il libro è focalizzato a creare aspettative a noi lettori che secondo me sono del tutto soddisfatte. Un finale da batti cuore, adrenalinico che rimane inciso nella mente come un marchio ben visibile. Decisamente uno tra i libri preferiti sul genere fantasy, che parlano di streghe. Linda Bertasi racconta una storia magia, incantevole, bellissima. Sfumature piacevoli per un romanzo da leggere tutto in un fiato. Concludo, nel dire che anche questa volta Linda a colpito nel segno. Per i numerosi FANS di quest’autrice, aspettiamo al più presto altri bellissimi romanzi, sperando che ci allieti presto con altri emozionanti libri. Concludo con il nostro motto: “Aiutiamo gli emergenti, no all’editoria a pagamento”. Al prossimo articolo! Un affettuoso Bye-Bye dalla vostra Blogger Lidia Ottelli del Rumore dei Libri

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L’ANGOLO DEGLI ESORDIENTI-EMERGENTI Jenny Anastan

A cura di Lidia Ottelli

Ciao Lettori! Le vacanze di Natele sono quasi in arrivo e quale miglior occasione per comprare o farsi regalare un libro? Per questa nuova uscita parlerò di un’autrice bravissima: Jenny Ananstan. Jenny ha pubblicato nel 2014, il romance “Resta con me” che ha scalato in poco tempo le classifiche di Amazon facendosi notare per la sua bravura. Jenny Anastan autrice di Romance che ha sbaragliato la concorrenza. Con il suo nome d’arte scrive da molti anni su siti di Fan Fiction. Dopo diversi incitamenti, approda ad Agosto del 2014 approda su Amazon con il romanzo rosa con spicchi erotici, “Resta con te” . Di lei si sa che è moglie, madre e che ha sempre coltivato la passione della scrittura e che è un’amante della lettura. ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2014 GENERE: Romance PAGINE: 186 PREZZO: 0,99€ (formato ebook)

Resta con me Sono passati quattro anni... Zoe li ha contati, un giorno dopo l'altro, ha visto le settimane trasformarsi in mesi e quei numeri aumentare mentre la sua speranza spariva lentamente. Andrew l'ha lasciata da sola, ha interrotto la loro relazione e anche se Zoe sapeva che non sarebbe durata, il colpo da attutire è stato terribile, specie perché lui le ha lasciato qualcosa che glielo ricorda in continuazione e non gli permette di andare avanti. Ma proprio quando pare abbia ritrovato un po' di serenità, ancora una volta Andrew irrompe prepotentemente nella sua vita, con la sua bellezza, con la sua cattiveria e quei modi di fare che la spiazzano e la indispettiscono, ma cosa ancora più grave, annullano le sue difese. Tra presente e passato Zoe vivrà e rivivrà la loro storia, ritrovandosi infine davanti a un bivio, a dover scegliere qual è la strada giusta da imboccare per smettere di soffrire per *******************************

Un esordio con il botto! Un romance che ha sbaragliato la concorrenza in pochi giorni. L'autrice ha convinto con semplicità e la capacità di rendere la lettura leggera, avvincente, passionale, e sensuale.

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Una trama avvincente con protagonista una donna fragile, ma allo stesso modo caparbia. Zoe ama, e ama con tutta se stessa, nonostante siano passato quattro anni dalle notti di fuoco passate con il suo Andrew, il suo ricordo è vivo dentro di lei. Per lui era solo sesso, un anno di solo, bellissimo sesso... almeno è quello che voleva far credere. Per lei è amore, quell'amore che non ti fa respirare, che non ti fa dormire, quel sentimento che ti prende nella morsa della gioia e ti stringe così forte da farti svenire. La passione non si dimentica e quando lui ritorna prepotente e improvvisamente nella sua vita, tutto cambia. Lei ha un segreto che sconvolgerà la vita del bastardo, quanto affascinante Andrew. Scopriranno che non possono vivere l'uno lontana dall'altro. Ma non è tutto così semplice e le insidie sono dietro l'angolo. Riuscirà Zoe a dimenticare il passato e perdonare l'uomo che l'ha abbandonata? Riuscirà Andrew a affrontare il segreto che Zoe gli ha nascosto? Ben scritto. Veloce, semplice e fluido. Un romanzo che si legge in pochi giorni, per non dire ore. Come sempre il personaggio maschile è adorabile. La sua finta "cattiveria" lo fa più affascinante. La protagonista femminile non è la classica "sfigata" ma ben si, una donna caparbia nonostante il suo passato e i suoi problemi, non si piange addosso anzi, continua a vivere la sua vita con un velo di malinconia senza farlo pesare. Forse può sembrare il solito libro scontato, ma non è così. Autrice dimostra una marcia in più. Dimostra di saper scrivere nonostante sia alla prima pubblicazione. Sapete che amo i self e per questo motivo metto anche Jenny Anastan tra i miei preferiti. Cosa dire ancora se non che consiglio vivamente a tutti questo bellissimo romanzo. Sono certa che come me, amerete ogni singolo personaggio perché ognuno dà alla trama qualcosa di importante e di emozionante. Per i numerosi FANS di quest’autrice, da qualche mese Jenny è entrata a far parte della scuderia di Vicki Satlow l’agenzia letteraria di molti autori noti tra cui Susanna Tamaro, Francesco Falconi e Bea Buozzi. Vi dico in anteprima di seguire quest’autrice perché ci saranno presto molte novità che riguarderanno altri scritti che stanno prendendo forma. Concludo con il nostro motto: “Aiutiamo gli emergenti, no all’editoria a pagamento”. Al prossimo articolo! Un affettuoso Bye-Bye dalla vostra Blogger Lidia Ottelli del Rumore dei Libri.

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CHI BEN COMINCIA… A cura di Mary Chioatto …è a metà dell’opera! Recita così un vecchio, ma sempre attuale, proverbio tratto dalla tradizione popolare. Perché è proprio di questo che tratteremo oggi: la genesi delle nostre parole. L’inizio. L’Incipit. Quante volte in libreria non avete sbirciato tra le prime pagine di un romanzo prima di ricorrere al portafogli? Per assaggiare l’inchiostro che ci promettiamo di divorare? Personalmente l’ho fatto anche fin troppe volte. Lasciarsi scivolare nelle pagine, prima di convincersi a dare un tetto alla lettura che si regge tra le mani. Una trappola ben congegnata, per accendere la curiosità del lettore ed intrappolarlo fin da subito nelle proprie pagine. Perché la copertina accende, ti ruba lo sguardo, anche l’occhio vuole la sua parte. Ma non è sufficiente per far pendere l’ago della bilancia, non è altro che un interruttore di colori impresso nelle proprie iridi, che si spegne immediatamente se il primo boccone si rivela amaro e indigeribile. Serve un buon Incipit. Un palpito di parole pungenti, lacrime di emozioni da lasciar scivolare subito nell’anima. Ma quali? Vi darò qualche spunto, prima di tutto ponendo sotto i riflettori quanto già propongono i testi scolastici. Sfortunatamente non è tratto dai miei, di testi scolastici, che per inciso ho riposto in un cantuccio diversi anni addietro (ma dove li avrò ficcati?) ma una buona base da cui partire non guasta mai. Possiamo classificare l’Incipit dal punto di vista del contenuto, distinguendolo tra: - L’incipit descrittivo, che inaugura il romanzo ponendo sotto i riflettori un dato personaggio, piuttosto che l’ambientazione prescelta, con tutte le sfaccettature del caso, proponendosi quindi con una descrizione tale da lasciare l’incanto negl’occhi; - L’incipit riflessivo o argomentativo, in cui l’autore sfoglia tra i pensieri del narratore o di un personaggio, proponendo quindi le sue riflessioni o argomentazioni (Riflessivo. Esattamente come l’Incipit del mio racconto “Riscrivimi l’anima”, a dicembre 2014 nell’antologia “10 motivi per cui essere bassi è più sexy (o forse no)” edita dalla Butterfly edizioni, che colgo l’occasione di segnalarvi. Perdonatemi, ma vista l’imminente uscita, non posso - mi è impossibile - abbandonarne il pensiero anche per un solo momento.); - L’incipit espositivo o informativo, che sfoglia a ritroso le pagine per raggiungere gli albori delle vicende, narrando appunto l’origine del romanzo; - L’incipit narrativo, che propone immediatamente la narrazione dei fatti; - L’incipit “In medias res”, traduzione dell’italiano “in mezzo ai fatti”, che spalanca un varco nel romanzo catapultando il lettore nel vivo delle vicende ed assorbendolo immediatamente nei fatti narrati;

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- L’incipit con anticipazione dei fatti, che scartabella in fretta le pagine del romanzo estrapolando una briciola di quanto sarà la conclusione, un’anticipazione che troverà poi spiegazione nel corso del romanzo. Una scelta piuttosto variegata, che accenderà nei vostri pensieri subito un’altra doverosa domanda: quale Incipit usare? Ed anche in questo caso non posso portarvi una risposta, una soluzione adattabile a ciascun contesto, perché la verità è che ciascun contesto è una realtà a sé stante, che merita di esser analizzata per valutare poi quale Incipit più si adatta, più esalta, il proprio componimento. Ma posso mostravi cos’hanno fatto loro. Loro, gli autori famosi. Ed a tal proposito, vi propongo la lettura di un altro articolo interessantissimo che tratta proprio quest’argomento, mi riferisco all’articolo “Loro iniziano così” della scrittrice Grazia Gironella, pubblicato nel proprio blog “Scrivere è vivere” lo scorso 11/11/2014 (blog di cui vi lascio il link http:// scriverevivere.blogspot.it/ , perché ogni giorno sa rivelarsi un concentrato di suggerimenti stuzzicanti di cui non posso più fare a meno), di cui vi riporto un estratto, anzi, qualche Incipit da lei proposto con relative considerazioni. ___________________________________________________________________

“Sono diventato la persona che sono oggi all’età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975." (Da “Il cacciatore”, di Khaled Hosseini) Chiaro riferimento a un evento fondamentale per il protagonista, che immaginiamo drammatico. Non possiamo non domandarci quale sia. "Che cos’è il tempo? Salivamo cinque piani verso la luce e ci distribuivamo in tredici file rivolti verso il dio che apre le porte del mattino." (Da “I quasi adatti”, di Peter Høeg) Suggestione pura, basata sull’uso del linguaggio e sul fatto che non capiamo cosa stia accadendo. Chi sono queste persone, e perché sono disposti in file? Perché la domanda sul tempo? "In sogno ho di nuovo cinque anni, una sera d’estate a Spring Creek." (Da “L’indomabile tribù delle Ya-Ya Sisters”, di Rebecca Wells) Entriamo subito in un ricordo, che supponiamo speciale, visto che dà il via alla storia. Il fatto stesso di ricordare contiene un senso di magia. La sera d’estate e l’ambientazione americana già ci tratteggia, seppure in modo vago, la situazione che seguirà. "Il bambino era inchiodato alla porta come un uccello del malaugurio. I suoi occhi plenilunio erano quelli di una civetta." (Da “Signor Malaussène”, di Daniel Pennac) Inquietante questo bambino, no? Inchiodato. È una scena da brividi, oppure…? ___________________________________________________________________ E gli esempi continuano, nel suo articolo che vi invito a leggere per intero al seguente link: http://scriverevivere.blogspot.it/2014/11/incipit-dautore.html Scommetto che, come la sottoscritta, vi starete lambiccando il cervello per abbinare i vari esempi proposti da Grazia alle categorie elencate prima… giusto? E fate bene: penso non ci sia esercizio migliore della pratica da autodidatta per apprendere qualcosa. Per questo motivo non vi svelerò alcuna risposta alla mia domanda ☺. Voglio spronarvi ad apprendere, ad esplorare i libri, a ficcare le dita nell’inchiostro che ha già raggiunto

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gli scaffali delle librerie prima di metterci il vostro. Non mi rimane che augurarvi… buona scrittura! Anzi, buon Incipit! E viste le imminenti festività, non posso che augurarvi un lieto Natale ed un prospero anno nuovo. Che i vostri sogni incontrino la realtà nel prossimo 2015 ♥

Mary Chioatto

di “La pagina dello Scrittore”

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LIBRI VINTAGE «Corinna o L' I talia» di Madame de Staël A cura di Laura C. Benedetti Bentornati nella rubrica dedicata ai libri vintage. Questo mese farò la presentazione di un titolo importante scritto da una mano altrettanto importante, quella della scrittrice francese vissuta tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo; vorrei sottolineare, però, la parola "presentazione", differente da "recensione". Come negli articoli precedenti, lo scopo della rubrica non è recensire, cioè criticare o lodare i vari libri secondo le mie opinioni, bensì soltanto presentarli, farli conoscere nel caso in cui il lettore dell'articolo non li abbia mai sentiti nominare o non li abbia mai presi in considerazione. Io ho scoperto per caso la maggior parte dei titoli che presento, e condivido le mie scoperte se la lettura risponde ai seguenti requisiti: mi ha soddisfatto e, come data, rientra nel vintage.

Titolo: Corinna o l'Italia Autore: Madame de Staël Editore: Mondadori Collana: Oscar Classici Formato: Brossura Prezzo: € 11 Prezzo: 1,99€ (formato ebook)

Di stampo fortemente autobiografico, Corinna o L'Italia narra la vicenda della bella poetessa italo - inglese Corinna che, durante un viaggio in Italia sul finire del Settecento, si innamora dell'inglese Lord Nelvil, dando così il via a un amore tormentato. Le peripezie sentimentali dei due protagonisti sono in realtà l'occasione per intessere una trama in cui la vera protagonista è l'Italia, che Madame de Staël descrive con sguardo incantato nei suoi paesaggi, le sue glorie artistiche e i suoi costumi. Pubblicato nel 1807, Corinna è stato per tutto l'Ottocento un romanzo discusso (per i contenuti politici e culturali, per il ruolo anticonformista che vi gioca la donna) e amatissimo, tradotto e ristampato in tutta Europa, da cui sono state tratte edizioni illustrate, libretti d'opera, musiche, balletti, vere e proprie mode. Narrazione dell'ideale romantico di amore, fulgido esempio di una sensibilità totalmente nuova, già contemporanea, destinata a cambiare per sempre il modo di concepire l'arte e la figura dell'artista, Corinna rimane ancora oggi un'opera di notevole grazia e di estrema intelligenza critica, che sa fondere il meglio dell'Illuminismo e del Romanticismo, scoprendo per la prima volta il fondamentale nesso tra letteratura e identità nazionale.

"Corinna" è stato pubblicato nel 1807 e mescola in sé, in più di 500 pagine, tre generi molto diversi: il romanzo, il diario di viaggio e il trattato sugli usi e costumi. La trama ci presenta Corinna, un'artista a tutto tondo (improvvisa poesie, suona, recita, conosce alla perfezione le arti, la storia, la letteratura in generale) che si innamora di Lord Oswald Nelvil, uno scozzese venuto in Italia per curare, con l'aria dolce del Sud, la salute devastata da un lutto: togliendo gli spoiler, la vicenda tra i due si snoda come un classico romanzo d'appendice, con innamoramenti, promesse

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d'amore, colpi di scena riguardanti l'identità di uno dei protagonisti, separazioni, lacrime e così via. Di solito i cosiddetti "classici" sono conosciuti da tutti ed è facilissimo fare spoiler; a mio avviso, però, i classici sono romanzi come gli altri, con una trama da scoprire se uno vuole leggerli per suo piacere e non li conosce bene, e io avrei preferito non sapere come andava a finire "Corinna" soltanto leggendo il retro di copertina, perciò a mia volta non dico nulla di più. La storia d'amore è strettamente legata agli altri due generi suddetti: saggio e resoconto di viaggio. Il secondo, il diario di viaggio, s'intuisce attraverso le descrizioni di luoghi e itinerari, all'incirca gli stessi che l'autrice ha seguito durante il suo viaggio in Italia, viaggio visto come periodo di formazione e crescita culturale. Oltre alla mera presentazione di luoghi e monumenti, colpisce l'ampio approfondimento di usi e costumi delle diverse città italiane, modi di vivere, di pensare, di parlare. È analizzata con dovizia di particolari la situazione sociale e politica del nostro Paese, ancora suddiviso in regni e privo di un'identità e di una letteratura nazionale, e alcuni personaggi (Oswald britannico, Corinna italiana e un conte francese amico di Oswald) diventano le voci attraverso cui si confrontano le varie identità europee e le loro arti, contrapponendo le diverse opinioni. Corinna e Oswald diventano dunque simboli di due culture e tipi di pensiero contrapposti Con il pretesto della storia d'amore, possiamo seguire Corinna che conduce Oswald a Roma, a Napoli, tra le rovine, nelle chiese e nei musei, e qui tanti capitoli ci aprono un mondo enorme di citazioni storiche e letterarie. A seconda di ciò che ci si aspetta o si desidera leggere, la lettura potrebbe risultare pesante: per seguire la trama bisogna attraversare la parte colta, per trovare quest'ultima bisogna saltare la storia d'amore. I pareri che ho trovato su internet riguardo all'opera risultano contrastanti a causa della mescolanza di generi: se è un trattato che bisogno c'era di metterci dentro il romanzo d'amore? E viceversa. Da parte mia, ho trovato la lettura interessante e avvincente, sia nel seguire lo sviluppo della passione sia nell'apprendere una miriade di elementi storici e letterari, e poiché ho scoperto il libro per caso non sapevo cosa aspettarmi né in un senso né nell'altro. Secondo me, una chiave di lettura semplice è quella che ho adottato io, cioè in primo luogo la lettura di un romanzo, quindi il godere una storia che, attraverso le digressioni, presenta una trama e diventa anche fonte di cultura e di riflessioni che nobilitano l'anima e conducono a una ricerca del Bello; una seconda chiave di lettura, adatta a chi possieda una cultura solidissima, è quella di scorgere in primo luogo il trattato, pur sotto le sembianze del romanzo, e quindi aggirarsi nel labirinto di nomi, autori, opere, e immergersi prima di tutto non tanto nell'amore tra i due protagonisti quanto nelle riflessioni di Madame de Staël sull'Italia. Degni di nota sono comunque i dialoghi in cui si riflette sull'amore e sulle passioni umane, e sarebbe riduttivo liquidare il tutto come feuilleton. "Corinna" è un libro da guardare, ascoltare, assaporare e godere nel suo insieme, e la lettura rivelerà tratti molto moderni soprattutto riguardo alla donna, alla sua posizione nella società, al suo rapporto con il sentimento e il talento e a come questi due aspetti possano entrare in conflitto tra loro. Lo consiglio? Sì, se non vi spaventa una storia più di pensiero che d'azione, un libro che arricchisce sotto tanti punti di vista, una lettura lunga e impegnativa ma gratificante; no, se questa mescolanza di generi a cui ho accennato vi annoia o vi stanca.

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INCIPIT Lord Oswald Nelvil, pari di Scozia, parte da Edimburgo per recarsi in Italia nell'inverno tra il 1794 e il 1795. Aveva un aspetto nobile e bello, era brillante, con un nome importante e un patrimonio considerevole, ma la sua salute era alterata da un profondo senso di sofferenza, tanto che i medici, temendo che ne venissero colpiti i polmoni, gli avevano ordinato l'aria del Sud. Pur non preoccupandosi molto di conservare la propria vita, egli seguĂŹ i loro consigli. Sperava almeno di trovare qualche distrazione nella varietĂ delle cose che avrebbe visto.

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SCORCI DAL MONDO INCANTATO «Shades of Life» di Glinda Izabel A cura di Francesca Ghiribelli Vi propongo la recensione di questa splendida favola gotica che mi ha affascinato tantissimo. Non pensavo che l'autrice Glinda Izabel, già blogger apprezzata, potesse essere una bravissima e sorprendente scrittrice e spero che in futuro ci regalerà ancora molti suoi scritti! La copertina di questo romanzo e la sua trama sono davvero dei gioiellini! “Shades of Life” è stato pubblicato in eBook dalla Fazi Editore nella collana Lain e ha scalato le classifiche delle vendite online. Quindi, per chi non l’ha ancora letto, non lasciatevelo scappare per niente al mondo!!! Titolo: Shades of life Autore: Glinda Izabel Editore: Fazi Pagine: 164 Prezzo: 1,99€ (formato ebook)

Una fiaba romantica e spettrale scritta da una blogger molto seguita. Juniper Lee potrebbe concedersi ogni lusso. Potrebbe viaggiare senza preoccuparsi di avere una destinazione, abbandonarsi a ogni sorta di eccesso senza temere ripercussioni. Ma non c’è nessun bene materiale che possa distrarla dalla solitudine che la divora, perché Juniper è un spettro intrappolato in una dimensione dai contorni indefiniti. Il suo cuore non batte realmente e tutto in lei è solo l’eco di una vita lontana. Quando alla sua porta si presenta Logan, attraente ragazzo dallo sguardo scintillante, Juniper deve affrontare la verità sul proprio passato e tenere a bada il suo cuore che sembra non poter fare a meno di battere per quel misterioso ragazzo che è piombato sul suo cammino e non sembra volerla lasciare andare. CITAZIONE Il suo sorriso mi abbagliò come una supernova, poi le mie labbra incontrarono le sue. Sapeva di mare e fragole mature, di felicità e desideri sopiti, di promesse e speranza. Sapeva di vita e io ero perdutamente sua. (Juniper Lee) Sono sempre stata un’amante delle storie sentimentali e romantiche, di quelle prose intrise quasi di quel sapore classico che fa parte del passato. Forse per molti sicuramente appariranno sdolcinate, come potrebbe esserlo Shades of Life, ma io l’ho trovato straordinariamente fantastico. Una trama semplice all’apparenza, ma che dentro nasconde quelle preziose ‘ombre di vita’ che regalano una magnifica luce a questo magico legame fra due fantasmi. Una valida ambientazione quella della cittadina americana di Savannah ed una libreria non poteva essere luogo più adatto per le vicende di Juniper Lee. Questa protagonista ragazzina dagli abiti vittoriani (epoca che anche io adoro!), che ama leggere e riempire il suo cuore e la sua anima di fantasma delle storie d’amore più indimenticabili per sentirsi meno sola, visto che

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ha perso ogni ricordo della sua vita passata da umana. Perfetta descrizione dei luoghi che rievocano il vero sapore gotico e malinconico che adoro, denso di quell’amore senza tempo e senza pretese. Due anime perdute nell’universo che magicamente, forse sotto il fortuito destino di una stella, si rincontrano da perfetti sconosciuti, ma l’uno inizia subito a provare un profondo sentimento verso l’altra legati da una vibrante attrazione quasi elettrica, perché ogni delicato tocco fra di loro è vivida emozione. Lei, una docile e sensibile donna dal visino quasi di porcellana, damigella di spose spettrali, mentre lui si dichiara come un cavaliere part-time a suo servizio, si accorgeranno l’uno a fianco dell’altra che la morte non è un definitivo addio alla vita terrena, ma un curioso e sorprendente lasciapassare per vivere forse in un’altra dimensione la felicità che la realtà in precedenza improvvisamente ci ha tolto. Un personaggio delizioso che in punta di piedi ci fa riflettere e che diventa fondamentale nella storia è Adelaide, piccola vocina interiore di Juniper, che proseguendo nella trama si scoprirà avere un’importante identità. Da questo romanzo, che ha veramente meritato la vittoria al concorso ‘Fazi 2012’, si evince la dolce interiorità dell’autrice e l’amore con cui ha dedicato tutta se stessa a questa magica creazione fantastica, ma che andando avanti nella narrazione ci insegna sempre di più a capire quanto la consistenza dei nostri sogni o della nostra fantasia possa essere la semplice proiezione della realtà, della nostra vita vissuta e che possa regalarci la speranza di una via d’uscita oltre la morte. Anche questa storia ci insegna ancora una volta come l’amore vero possa esistere e scavalcare ogni tipo di barriera reale o immaginaria. Preziose le citazioni che l’autrice ci regala dei Beatles e di uno dei suoi film preferiti ‘Across the Universe’, ma esse non fanno altro che danzare a tempo con un stile di scrittura scorrevole, pieno di prosa pervasa da splendida poesia. Un modo di scrivere che io amo molto e che finalmente viene di nuovo riproposto da un’autrice emergente che ha tutte le carte per diventare una scrittrice di successo! Un romanzo che mi ha fatto amare il ‘paranormal romance’. Aspetto un’altra elegante perla di Glinda Izabel!

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Il Gabinetto del Dottor Lamberti «RadioMorte» di Gianluca Morozzi A cura di Giuliano Latini

Io faccio parte della generazione Mulino Bianco. Ammetto la mia colpa; sono parte di quegli italiani cresciuti guardando Bim Bum Bam mentre mangiavano un tegolino. Sono cresciuto credendo che, da qualche parte, esistesse una famiglia perennemente felice e sorridente. Una famiglia che fa colazione e merenda con le leccornie fatte grazie alla farina di un mulino, macchia bianca in un mare di grano dorato. Oggi non trasmettono più Bim Bum Bam, io non mangio da tanto tempo un tegolino e non credo più che esista un Mulino Bianco o una famiglia eternamente felice. Gianluca Morozzi ha quasi la mia età. E’ probabile che anche lui, come me, mangiasse tegolini guardando Bim Bum Bam e credesse nell’esistenza di una famiglia felice e sorridente. Poi si cresce, cambiano: gli orari, i programmi, i gusti e la vita ti fa rendere conto che la felicità non è eterna e non si sorride tutti i giorni. Inizi a comprendere la differenza tra il mondo reale e quello che succede dentro lo schermo del televisore. Capisci che la famiglia perfetta alla Mulino Bianco non può esistere nella realtà. Gianluca Morozzi prende spunto dalla bi-dimensionalità della famiglia perfetta e ne sviluppa la terza dimensione così da mostrarci cosa nasconde l’immagine patinata della famiglia Colla. Gianluca inizia il racconto descrivendo, con l’ausilio di un narratore, i componenti della famiglia, durante il viaggio verso l’ennesima scontata intervista in una piccola radio locale. Leggendo si ha l’impressione che l’autore vuole descrivere una macchina ben oliate ed efficiente, non un ritratto familiare. Un’auto lucida e scattante che viaggia lungo un’autostrada liscia, verso un cielo limpido e un sole scintillante, c’è un’unica nuvola nascosta dall’orizzonte e l’orizzonte è più vicino di quanto la famiglia Colla pensi. Arrivati alla radio tutto si svolge come da copione: una villetta modesta come sede, locali scialbi ma funzionali, una deejay brillante ma fricchettona. Poi all’improvviso tutto cambia e la radio si rivela, mostrando la sua natura di trappola per topi. Una trappola in cui entrano quattro ratti, ma ne potranno uscire solo tre, decidendo tra loro chi dovrà rimanere a morire. L’incubo inizia e terminerà la mattina dopo, alle 7.00. Arrivano le 7.00 e il carnefice, in un gioco sadico, propone più tempo in cambio di segreti. I topo in trappola, scambiano segreti per altro tempo. L’immagine di famiglia perfetta va in frantumi, microscopiche schegge di vetro spezzano l’immagine patinata e mostrano melma e putrefazione. Una mattina livida vedrà tre corpi marciare a fianco d’un’autostrada. Tre viandanti nella bruma mattutina che si son strappati l’anima a morsi, lasciando il quarto a morire. Il quarto rimasto a morire possiede ancora segreti e dubbi da sciogliere prima di morire. C’è ancora un pezzo di strada da percorrere e verità da rivelare per arrivare fino al cuore del male e scoprire il marpione che tira le fila d’un gioco al massacro. RadioMorte è la narrazione di una vendetta che si consuma al termine della notte, durante un’alba livida che sembra non finire mai. Gianluca Morozzi descrive, sfruttando la famiglia come allegoria,

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quanto l’immagine patinata del successo possa nascondere l’origine putrida di quel successo. Non esiste la famiglia del Mulino Bianco. Gianluca Morozzi ci fa sperare che non esista mai, perché il prezzo di quel successo è la somma di una colonna di nefandezze e brutalità che trascinano chi le commette in un abisso sterile. L’apparenza è tutto per la famiglia Colla ed oggi imparerà, ricordando un vecchio thriller di Carlo Vanzina, che “sotto il vestito, niente”, è ciò che nasconde il vestito il loro vero problema. Il libro: RadioMorte Autore: Gianluca Morozzi Anno di Pubblicazione: 2014 Editore: Guanda Prezzo: 15,00€

Una macchina corre lungo l’autostrada. Il lusso e il successo sprizzano come vapore sottopressione dal veicolo. Al suo interno la famiglia Colla, una macchina votata al successo. Fabio Colla, dopo gli studi e un inizio modesto trova la via del successo, spiegare agli altri come averne. Dalla pubblicazione del suo primo bestseller «La famiglia felice al tempo della Crisi», lui e la sua famiglia diventano emblema del suo libro e mercanti di felicità per le masse depresse d’un paese infelice. Oggi, come altri giorni, Fabio il condottiero, guida la sua famiglia verso una sperduta radio di provincia per parlare della propria ricetta infallibile. E’ un pomeriggio di lavoro per procacciarsi nuovi lettori/ acquirenti del libro. Una volta arrivati in radio, la solita routine: presentazioni, consegna dei cellulari (per non interferireconlevecchieapparecchiatureditrasmissione),scalettadelledomande,ingressoinsaladiregistrazione e via alla trasmissione. Iniziano le domande e l’aria inizia a scaldarsi. Kristel, la giovane dj, dopo alcune domande non concordate rivela il vero motivo che ha portato i Colla nella usa radio. All’alba uno dei quattro componenti della famiglia morirà e saranno i Colla a dover decidere chi. Sequestrati in sala registrazione, senza possibilità di contatto con l’esterno e con il cadavere del proprio agente come monito visibile oltre il vetro della sala regia, i Colla trascorrono la notte cercando di decidere chi sarà l’agnello sacrificale. Giunge l’alba ma non la terribile decisione, mentreKristelproponeunoscambio;piùtempopagatoconl’oscurosegretodiciascuncomponentedeiColla.Ora, per i Colla, inizia il vero inferno; l’armonia familiare si dissolve mentre la storia narrata si colora del nero presente nelle anime dei Colla.

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i d e e i l r a o t t S a N

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A Cinnaman's Story Arianna Luciani

Non sono mai stato il tipo di persona da festa. Che si trattasse di compleanni, serate in discoteca o le ricorrenze del calendario; preferivo starmene a casa, farmi un giro, concedermi qualche ora immerso nelle note delle canzoni che più amavo. In particolare, non mi piaceva il Natale. Intanto veniva a dicembre, un periodo freddissimo, e io il freddo lo tollero poco. Ma poi cos'è questa cosa che bastano una decina di giorni di calma per far stare bene con la coscienza gente che si comporta male e famiglie che si scannano per tutto il resto dell'anno? Lo trovo molto irritante ed incoerente. Come se si dovesse essere buoni, bravi, generosi e via dicendo solo a Natale. Così, nei primi giorni di novembre, passeggiavo per le strade della mia città che già si era preparata alla venuta della festa: lucine vicino ai lampioni, alberelli sui lati dei marciapiedi, negozi che avevano ghirlande e spruzzi di neve finta sulle vetrate, coretti che si formavano nelle piazze a cantare canzoni natalizie con allegria. Passavo così fra le strade, sbuffando e con uno sguardo di disapprovazione, facendo un po' lo Scrooge del momento. Stavo bene così, con quel po' di cinismo verso le festività, quell'isolamento che mi concedevo per qualche giorno, allontanandomi dai festaioli esagitati che se ne andavano in giro con cappelli alla babbo Natale con stelline che brillavano ad intermittenza. Però una cosa che mi stupiva della gente era la capacità che a volte avevano certi individui di entrare nella trama della tua esistenza, piano come quando ci si mette una coperta quando si ha freddo, fino a che non senti il tepore provocato da tessuto e infine il calore immenso che ti dà. Entravano così, lentamente, e non tutti erano capaci di scaldarti, ma quelli che ci riuscivano erano in grado di cambiare quasi sempre in modo importante il tuo essere. E per quanto mi affascini questa cosa, è anche ciò che temo di più. Normalmente sarei rimasto a casa a finire di lavorare, ma quel giorno avevo finito i miei biscotti alla cannella così mi stavo dirigendo alla mia pasticceria preferita, mani in tasca, stringendomi nel cappotto a causa del freddo pomeridiano. Arrivai al negozio e in pochi secondi avevo fatto, conoscevo bene il reparto dei miei biscotti, e mi stavo dirigendo alla cassa quando qualcosa mi fermò. Qualcuno mi fermò. In tanti anni che venivo a rifornirmi da Mad Batter non l'avevo mai vista, quindi o c'era un universo alterativo in qualche stanza del locale o aveva usato il mantello dell'invisibilità fino ad allora oppure l'avevano appena assunta. Una faccia nuova, e anche molto carina. Aveva dei lisci capelli biondi che le arrivavano poco sotto alle spalle; incorniciavano un viso dalla carnagione molto chiara, con due occhi color ambra caldissimi, un naso arrotondato in punta e un labbro inferiore pieno, al contrario del superiore, più sottile. Mi sorrise mentre passava il pacco sotto lo scanner. Era bellissima. Io non avevo mai avuto problemi a parlare con le donne, ero una persona spigliata e molto sicura di sé, ma quel giorno non riuscii a dirle niente a parte "Ho i dieci, se vai meglio". Tornando a casa ci ripensai mille volte. Perché cavolo non avevo parlato? Non era solo perché era bella, ne avevo viste tante e fisicamente c'era chi la superava, ma quando mi ero avvicinato avevo avvertito un'atmosfera frizzante e gioiosa attorno a lei e ciò mi aveva dato una scarica interna, una scintilla calda. Forse avevo trovato una coperta. Nelle settimane seguenti tornai spesso al Mad Batter per vederla, almeno due volte a settimana, ogni volta con una carica di coraggio che si dissolveva non appena mi trovavo davanti a lei. Così finii per accumulare pacchi su pacchi di biscotti alla cannella e, per quanti provassi a mangiarne, si triplicavano automaticamente non appena avevo finito, tanto che temevo sarei morto sotto la valanga di biscotti che sarebbe straripata dalla mia credenza fino

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a invadere cucina e salotto. Che cavolo mi prendeva proprio non lo sapevo. Questo timore non capivo da dove veniva, anche se avevo una mezza idea di ciò che stava succedendo. L'aura che quella ragazza aveva intorno non l'avevo mai percepita e se avessi iniziato un discorso ne sarei probabilmente uscito con qualche cretinata e forse mi avrebbe etichettato come uno di quelli che fanno battute squallide per rimorchiare, persona che ero stato comunque, ma ora le cose erano cambiate. Poi venne un martedì e le mie ipotesi vennero confermate. Avevo lavorato un sacco il giorno prima, non mi ero rasato, avevo le occhiaie da sonno ma mi diressi ugualmente in pasticceria. Presi il solito pacco di biscotti, che ormai mi davano la nausea, e quando mi trovai davanti a lei feci per dire qualcosa, ma lei mi anticipò. Stai bene con la barba», mi disse con il più caldo dei sorrisi. Ero così teso per quell’inizio di conversazione che d'istinto risposi «Anche tu». Cretino! Seguirono dei secondi, i secondi più terribili di sempre, dove mi aspettavo di ricevere una sberla o uno sguardo truce. Invece, inaspettatamente la ragazza sollevò un sopracciglio biondo e ben definito per poi scoppiare a ridere. «Oddio, scusa. Io... ehm, non volevo», farfugliai. Ripigliati, cazzo! Tranquillo. «È che ho dormito poco e le funzioni cognitive di risposta si devono ancora svegliare», ridacchiai nervoso. Scemo. Smettila. «Non so se questo basta. Che ne dici se più tardi ci troviamo per bere un caffè nel bar qui vicino? Così ti fai perdonare...», si fermò per mettermi il pacco in una busta. «E mi parli del tuo amore per i biscotti alla cannella» Non so come riuscii a risponderle di sì e poi mi ritrovai fuori, con la fredda aria mattutina che mi punzecchiava le guance, ma non m'importava del freddo perché avevo una calda e soffice sensazione nel cuore. Mi girai, trovando il mio riflesso nella vetrina: faccia distrutta, barba abbastanza folta e un sorriso da orecchio a orecchio. Ero un barbone felice. Seduto al tavolino di un bar con Allyson davanti, non credevo di essere davvero lì. Sì, nel frattempo ci eravamo pure presentati, che bravi, eh? Stavamo conversando da un sacco e io non mi stancavo ancora di ascoltarla. Mi aveva detto che studiava da apprendista pasticcera da Mad Batter ma che faceva anche dei turni in cassa perché lì erano a corto di personale. Scoprii inoltre che, a parte fare dolci e distribuire diabete conquistando il mondo a colpi di valori glicemici fuori dalla norma, disegnava e faceva un corso di origami. Nel poco tempo libero che le rimaneva si arrampicava sugli alberi, salvava i conigli dai gatti randagi, inventava nomi per cagnolini e aveva anche un certo talento per rovesciare le cose, prediligendo i tappeti bianchi come vittime. Quando mi chiese di me non diedi molti dettagli per non annoiarla con la mia esistenza monotona: svegliarmi, fare il bagno nel caffè per svegliare anche i neuroni, mettermi a lavorare fino a che non perdevo almeno quattro diottrie, cenare, eclissarmi sotto le coperte fino al giorno dopo. Avevo omesso la parte "passare in pasticceria a comprare i biscotti rischiando una morte per overdose di pasta frolla alla cannella solo per vederti e farmi regalare un sorriso" perché non faceva per niente macho. Le avevo anche detto della mia pochissima passione per il Natale e le feste in generale. «Avanti, come si può non amare il Natale?», mi aveva detto dopo aver sorseggiato il suo secondo thè. «Io amo il periodo Natalizio. La neve, i regali, gli addobbi, la gente che sbatte la faccia sulle piste di pattinaggio...». Scoppiai a ridere e lei sorrise, rivelando un'adorabile fossetta sulla guancia sinistra. «Seriamente, è un bel periodo. Non è solo riunione di parenti più o meno graditi, scambi di regali insulsi e pranzi che ti mettono in coma da cibo. Natale è anche lasciarsi ammaliare dall'incanto delle città ricamate dagli addobbi, incantarsi a guardare le vetrine adornate di oggetti natalizi. Passeggiare tra le vie di della città e scoprire come ognuno, a modo suo, si

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prepara all'attesa natalizia». Lo disse in maniera molto pacata, estremamente dolce, e quasi me ne convinsi anch'io. Quasi. Ma ero ancora dell'idea che il Natale non era per me. Sfortunatamente o fortunatamente per me, non conoscevo ancora Allyson Snow. Dopo la nostra prima uscita, mi portò in uscite più o meno giornaliere nel centro della città. Visitavamo i negozi che, essendo ormai metà novembre, avevano già iniziato ad esporre oggettini natalizi vari. Passavamo fra i vicoletti con gli alberelli ai lati, verdi e piccini, che a me mettevano un po' tristezza, ad essere sincero. Tutto questo non mi metteva ancora nell'idea che il Natale potesse piacermi, ma era bello vedere Allyson che mi stringeva il braccio indicando delle decorazioni che le piacevano, che teneva fra le mani un bicchiere di cioccolata fumante. Avevo scoperto che andare in giro con lei era come stare con una bambina: si eccitava facilmente, fermava le persone coi cani per strada, per accarezzarli e chiedere il loro nome, coccolava i gatti randagi che trovavamo di tanto in tanto durante le nostre passeggiate, mi prendeva per mano per trascinarmi a vedere una cosa che l'aveva colpita. E io non potevo fare a meno di ridere e non penso di essere mai stato così felice; quelli erano i giorni migliori di sempre. Il nostro rapporto andava rafforzandosi, i contatti fisici erano sempre più frequenti e cavolo, quanto mi piaceva quando mi prendeva sottobraccio ed era abbastanza vicina a me da consentirmi di annusare quel profumo fruttato che aveva sempre. Inoltre il suo entusiasmo e la sua gioia erano talmente forti che era inevitabile non venirne contagiati standole vicino. Anche io avevo cominciato ad esaltarmi per le piccole cose e tutto sommato non era nemmeno così male. L'apice dello sconvolgimento emotivo ed esistenziale venne raggiunto il primo dicembre. Quel sabato mattina venni svegliato alle sette dal campanello che suonava. Una versione zombie di me andò ad aprire e, per quanto le mie palpebre calassero insistentemente sugli occhi, riuscii a scorgere la figura di Allyson. Era bellissima come sempre, con un giubbotto bianco, un cappellino rosso calato in testa e una sciarpona che le avvolgeva il collo come un pitone. «Ma che cavolo ci fai qui a quest'ora?», le chiesi fra uno sbadiglio e l'altro, con la voce di Barry White. «Buongiorno anche a te, Kevin. Vestiti e prepara il tuo cuoricino, perché oggi ti farò sentire il Natale», squittì sorridente. «Uhm. Preferirei di no» «Oh, avanti! Mi serve un albero e non ho la macchina abbastanza grande. Per favore, mi accompagni?», e sfoderò subito la sua migliore faccia da cucciolo. Potevo rispondere di no. Potevo grugnire e accasciarmi a terra, mettendomi a dormire lì. Potevo chiudere la porta senza dire una parola e tornare fra le coperte a dormire riversando fiumi di saliva sui cuscini per quanto si stava bene. Invece andai ad imbacuccarmi per bene, mi preparai una tanica di caffè, mi armai di pazienza e presi le chiavi della macchina. Ora, non so se avete mai visto quei posti dove vendono gli alberi di Natale, ma è una cosa enorme. C'è questa distesa immensa di alberi e tutti questi tipi di pini e canzoni natalizie che risuonano ovunque e tutto questo mi metteva molta ansia, molto a disagio. Avevo appena messo un piede dentro e già volevo scappare a gambe levate. Ma Allyson mi prese per un braccio, rassicurandomi, e mi portò in mezzo a quella foresta dal suolo di marmo, zigzagando contenta fra gli alberi come una scoiattolina impazzita. Si mise a saltellare e indicò con un gesto ampio tutto il posto. «Guarda!», disse in un urlo «Se questo non ti fa salire lo spirito natalizio a mille sei... Voldemort o qualcosa del genere. Sei morto dentro. Dai, è stupendo!» Guardai di nuovo quella distesa di punte verdi e poi la ragazza che era al mio fianco, che sorrideva in un modo dolcissimo ed era entusiasta e aveva quelle rughine sottili che le si formavano attorno agli occhi quando i suoi sorrisi erano della felicità più pura e grande. E non potei fare a meno di essere d'accordo: se la vista di quella creatura così gioiosa e appassionata non ti metteva nello spirito natalizio o, più semplicemente, se non ti scaldava

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il cuore come una buona sorsata di cioccolata calda allora eri morto dentro. Dopo un po' ci separammo per andare a cercare l'albero perfetto e passarono pochi minuti prima che la sentissi urlare e la vidi correre fra gli alberi. All'inizio pensai la stessero assassinando, poi scoprii che aveva trovato l'Albero. Comunicammo la nostra scelta ad uno dei ragazzi addetti e lui lo portò via dopo averlo incartato con un grande preservativo per alberi da qualche parte. Allyson mi abbracciò contenta. «È lui! Perfetto!», disse mentre mi circondava il collo con le braccia dalla felicità. «Già. L'albero di Natale Kevin Hunt: alto, magro e senza troppi arbusti». La sentii ridere e percepii la vibrazione della sua risata anche attraverso maglie e giubbini. Poi si staccò, ma io non riuscii a fare a meno di trattenerla ancora, spostando le mie mani dalla sua schiena ai suoi fianchi, tenendola vicino a me in modo da lasciare pochi centimetri fra i nostri visi. Rimanemmo a guardarci per un po', il suo fiato creava piccole nuvolette di vapore e io mi persi nei suoi occhi dal colore del caramello caldo. M'invitò a pranzare da lei e non ci pensai due volte. Qualche minuto e l'albero era già caricato sul retro della mia auto e non ci volle molto prima di arrivare a casa sua. Era un appartamentino semplice: i mobili erano di legno, le stanze tutte sullo stesso piano e soggiorno e cucina erano comunicanti; sparsi qua e là c'erano quadri sulle pareti indaco. Portai l'albero dentro, aiutai Allyson a sistemarlo vicino alla porta che portava al balcone e poi preparammo da mangiare: bocconcini di pollo e riso. A fine pasto mi fece assaggiare un dolce che stava brevettando, una tortina al cioccolato con un fiocchetto di pasta di zucchero sopra. Lo guardai un po' sorpreso. «Questo è di zucchero?», le domandai studiandolo. «Sì», rispose cercando di capire se ero sorpreso dal dolce o se lo studiassi perché mi faceva schifo. «Sembra lo stemma araldico dei Cavalieri del Diabete», dissi facendola ridere tantissimo. La parte più bella, però, fu quando ci mettemmo ad addobbare l'albero. Okay, quando me lo chiese non ne ero entusiasta, però si rivelò divertente. La vidi arrivare con tre scatoloni che la sovrastavano e tanti sacchettini in mano. Svuotammo il contenuto delle scatole e iniziammo a sistemare ghirlande, palline, fiocchi rossi e piccoli angioletti argentati un po' ovunque; non seguivamo un ordine preciso e tutto risultò più bello. Ad un certo punto accendemmo lo stereo e Allyson fece partire una playlist natalizia, con cover dei cantanti più improbabili e canzoni che non avevo neanche mai sentito, molte delle quali vecchissime; allora mi misi una ghirlanda attorno stile boa e Allyson rise di gusto, per poi usare un paio di palline come orecchini. Poi mi passò una bomboletta spray di neve finta e ne spruzzammo un po' sulla punta di alcuni rami, ma inavvertitamente me ne sfuggì pochina sulla manica del suo maglione e lei si vendicò con un serpentino sui miei pantaloni e, nel tentativo di proteggermi scappando, riuscì perfino ad imbrattarmi i capelli. Si scusò subito, ma stava ridacchiando. La guardai con aria truce. «È divertente secondo te?», le chiesi cercando di togliermi quella roba dai capelli. «No», rispose con un sorrisino. «E perché sorridi?» Scrollò le spalle. «Perché sono una persona felice». La guardai con un sopracciglio alzato, ma lei non ci fece caso e mi porse una matassa enorme ed ingarbugliata di filo: quelle avrebbero dovuto essere le luci. Una volta sciolti i nodi vari che si erano formati, girai attorno all'albero come gli indiani attorno a un palo, distribuendo il cavetto cosparso di lampadine a spirale sui rami. Facemmo più casino che altro, ma ridemmo fino alle lacrime. Volle mettere la stella sulla punta e io la presi per la vita, alzandola per aiutarla ad arrivarci. Infine accese le luci e ci sedemmo sul divano a contemplare la nostra opera, dopo aver bevuto un po' di cioccolata che avevamo preparato in una delle pause che ci eravamo presi. Era ormai pomeriggio, ma il tempo non era dei migliori e il cielo era scuro tanto che

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sembrava tarda sera. Il nostro albero brillava ad intermittenza, gettando fasci di luce multicolore sulle pareti attorno e in quel momento, seduto sul divano di Allyson con lei vicino che sorrideva guardando l'albero, pensai che era giusto. Tutto era giusto e tutto era come doveva essere. La vidi come una cosa naturale, un rito che potevo benissimo fare ogni anno: uscire nelle fredde mattinate con lei di fianco che mi prendeva sottobraccio, andare a prendere un albero, cucinare assieme, addobbare casa, sporcarci di neve finta e poi ridere, abbracciarla, stringerci, baciarla fino a non avere più fiato. L'avevo trovata, era una coperta, una di quelle permanenti però. Mi faceva stare bene, mi faceva provare un tepore mai sentito prima, mi scaldava cuore e anima. Allyson poggiò la sua testa sulla mia spalla e io la strinsi con un braccio, facendo scorrere il pollice su e giù sul suo maglione. Rimanemmo così per un po', a guardare l'albero senza realmente vederlo, fino a quando lei non sollevò di poco la testa, guardandomi. Aprì la bocca per dire qualcosa ma non ci riuscì e invece ci guardammo ed era bellissima e, in un impulso irrefrenabile, la baciai. Fu una scarica d'eccitazione; provai un brivido lungo la schiena cavolo, la stavo baciando sul serio!- e poi una calda sensazione che si propagava nel petto. Le sue labbra erano morbidissime, il suo profumo inebriante e la sua bocca sapeva di cioccolato. Mi passò una mano fra i capelli, le passai una mano sulla guancia, scendendo poi sul suo collo. Quando ci staccammo avevamo un po' di fiatone e dopo poco Allyson mi disse «Grazie per avermi aiutato con gli addobbi» in un sussurro, non trovando altro da dire. Ridacchiai e appoggiai la fronte alla sua. «Quando vuoi.» Rimasi a guardarla, così bella con le labbra rosse, le guance di un rosa tenue e gli occhi che non smettevano di perdersi nei miei. Mi sentivo pieno di energia, avrei potuto saltare e prendere il volo come un razzo e mi dissi che dovevo fare qualcosa. Poi mi si accese una lampadina. «Hai da fare stasera?», chiesi sorridendole e accarezzandole i capelli. Scosse la testa. Sorrisi ancora di più. «Bene. Ti va di uscire per vedere una cosa stupendamente stratosferica? È in centro, nella piazza. E ci sarà la musica, si potrebbe ballare...», buttai lì. Allyson corrugò le sopracciglia in un'espressione dolcissima. «Chi va a ballare all'aperto a dicembre?» In effetti... «Gli eschimesi». Rise, ma mi disse di sì. In quattro e quattr'otto eravamo pronti e la stavo trascinando per le strade quasi di corsa, mirando al centro mentre lei mi seguiva tenendomi per mano, ridendo e chiedendo se si poteva rallentare. No. Erano le sette e rischiavamo di perdercelo. Arrivammo in piazza alle sette e mezza precise, con il fiatone di chi ha corso una maratona e sudati come caproni per via dei vestiti pesanti. Però ce l'avevamo fatta. La presi per le spalle, conducendola fra le persone fino ad un punto con buona visibilità. E, nel buio della sera, le luci vennero accese e sentii un suo singhiozzo sorpreso. Allyson era arrivata da poco e non sapeva che il primo dicembre veniva addobbato un albero gigante in piazza e, alle sette e mezza, si accendevano le luci con stella luminosa sulla punta compresa. Si portò le mani alla bocca e il suo viso era tutto occhi. Studiava i dettagli, le decorazioni complicate, indicava un po' ovunque a bocca aperta; una banda poco distante iniziò a suonare una canzone natalizia e allora lei prese a saltellare dalla gioia. Poi quella creatura meravigliosa si girò verso di me con il sorriso più grande e sincero che le avessi mai visto e gli occhi lucidi. «È stupendo. Io... non so che dire», sussurrò prendendomi sottobraccio. «Sai, ho pensato potesse piacerti vedere l'albero che veniva acceso dato che hai uno spirito natalizio superiore alla media», spiegai. «E poi è una bella serata e potrebbe essere bello passeggiare sotto le decorazioni al led appese sopra le stradine del centro». Sorrise. «Ehi, ma allora sono davvero riuscita a farti passare un po' di quell'aura da Grinch». Detto questo mi baciò, sussurrandomi poi un "grazie" davvero sentito.

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E lei aveva ragione. Non ero più così Scrooge come prima. Certo, non ero mica diventato un fan del Natale, non mi sarei messo un berretto con le luci ad intermittenza in testa e non avrei cantato Silent Night. Quella festa ancora non mi era entrata nel sangue e forse l'unica cosa che avrei fatto sarebbe stata prendere a palle di neve chi si avvicinava con troppo entusiasmo a casa mia il 24 dicembre. Non mi piaceva il Natale, ma mi piaceva Allyson. Mi piaceva da impazzire e lei adorava questa festa perciò me la facevo piacere anch'io. Ma non era una costrizione, non era un farselo piacere sopportato di malavoglia. Lei, con quella vivacità fuori dal comune, quella tenerezza, la sua semplicità e il talento per i dolci, addolciva il pacchetto della festa. Aveva ragione: Natale era molto più che cene, regali e parenti. Natale era passare dei giorni in armonia e amore con le persone alle quali tenevi di più, non importava in che modo; che fosse andando a messa e poi a mangiare dai suoi scartando i regali o svegliarsi alle undici e pranzare con ciò che c’è in credenza perché probabilmente si è finito tutto ciò che c’è in frigo e rimangono solo biscotti e cereali, ma non importa. E si sta sul divano tutto il giorno a coccolarsi, guardare un film o anche non far niente, e mangiare e ubriacarsi di cioccolata calda. E ci si scalda con la reciproca compagnia, perché ognuno è coperta dell’altro e allora non te ne frega niente del freddo che fa fuori perché potrebbero pure esserci i pinguini fuori, ma il freddo tu non lo senti. Perché c’è lei con quegli occhi color miele che ti sorride e allora anche il Grinch che c’è in te si scioglie e vai a prendere l'albero anche in Siberia per farla felice.

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Buon compleanno, vita! Francesca Ghiribelli

Apro gli occhi e mi ritrovo a pancia in giù nella coltre bianca. La neve sembra vestirmi con la sua delicata anima. Ricopre anche il libro che avevo acquistato come regalo per mia madre. Lo raccolgo e lo infilo nella mia borsa. Mi sento viva, ma non del tutto. Mi ricordo soltanto tanti passi sulla linea confusa del ghiaccio sulla strada, poi un grandissimo rumore. Un forte tonfo. Al momento della grande botta, ho sentito la testa andarsene da un’altra parte. Si è quasi volatilizzata. Pensavo di averci rimesso la pelle, invece sono ancora qui tutta intera. Domani, sarà Natale, ma anche il mio compleanno e compirò i miei fantastici diciassette anni. Potrò aprire i miei doppi regali e godermi la giornata, sentendomi più grande e felice. Dicono, che chi è nato per le feste, ci rimette sempre, perché riceve meno doni all’anno, ma io mi sento ancora più al settimo cielo, e nessuno mi ha mai fatto mancare niente! Già, mi sono avventurata fin qui, per vedere l’addobbo più spettacolare: l’abete in fondo alla grande curva. Un altissimo esemplare pieno di tante palline di molteplici colori, soffici fiocchetti rossi, dorate stelle di cartapesta, minuscoli bastoncini bianchi, simpatiche renne dal morbido manto di peluche e infine un goliardico puntale a forma di Babbo Natale, che sembra salutare l’arrivo dei turisti e inaugurare l’anno che verrà. Mi alzo, quando un leggero fruscio di ali bagnate sembra venire verso di me. Una piccola pallina di piume grigie si scrolla qualche goccia di neve dal corpo, poi mi guarda in silenzio, quasi avesse visto un fantasma. Mi accorgo che è un dolce pettirosso, perché sul petto ha venature color scarlatto. E’ strano che un piccolo volatile, che ha vissuto da sempre allo stato selvatico, si faccia avvicinare così tanto da un essere umano. Preoccupata, guardo se ha un’ala rotta o una zampetta ferita, ma sta bene. E’ soltanto infreddolito dalla neve. Punta i suoi occhietti sul mio viso come due bottoni neri e lucenti. Io sorrido di fronte a quel tenero musetto indifeso. ‘Ti sei perso? O sei caduto dal tuo nido?’ L’animale gira il piccolo capo fissandomi. ‘No, sono venuto in tuo aiuto…’ Io spalanco gli occhi stupita. Mi ritengo, ma vorrei tanto ridere in quel momento. Non potevo credere che gli animali sapessero parlare. ‘Ma non ho bisogno di aiuto, sono soltanto caduta nella neve.’ Il volatile emette uno strano e breve cinguettio,quasi una sonora risatina. ‘Allora non ti sei accorta di niente. Tu sei un fantasma.’ ‘Cosa?’ ‘Sì, un fantasma. Sei morta. Non fai più parte del mondo umano.’ ‘Ma che dici? E poi come fai a saperlo?’ ‘Beh, dal fatto che tu possa parlare con me. Soltanto gli angeli possono parlare e capire gli animali.’ Disperata, incomincio a sfiorare il corpo alla ricerca della mia consistenza. Sento qualcosa, ma sembra che il mio tocco sfiori l’aria. Allora e’ vero! Quella specie di botta assordante era soltanto l’attimo, che aveva segnato la mia fine. Non avrei mai compiuto gli anni e non avrei più aperto i miei stupendi regali….Ora potevo vedere quel mitico albero addobbato, ma ero morta per sempre. Un attimo prima ero felice di poter vedere quel silenzioso tratto di bosco animato da quel dicembre così festoso, ma adesso non ero altro che un’anima vagante e destinata alla solitudine in eterno. Non avrei più rivisto i miei genitori, per non pensare ai miei amici, alla scuola, ai sogni che un giorno forse avrei potuto avverare. Ma la persona più importante, colui che non avrei mai potuto abbandonare così. Il mio ragazzo,Giacomo. Ma avrei dovuto fidarmi così tanto di un semplice pettirosso? Mi accorgo

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in tempo della presenza di un’auto, che attraversa la strada nella semioscurità. E’ la vettura di un tassista dal volto molto magro. L’unica prova inconfutabile, è vedere se riesce a sentirmi. ‘Signore, mi scusi. Signore? Riesce a vedermi o a sentirmi?’ Urlo a squarciagola, gesticolando come una forsennata. Non c’è altro da fare. Devo accettare di essere un fantasma. Mi volto e vedo ancora il piccolo pettirosso che mi guarda. ‘Non puoi fare niente. Soltanto accettare di essere un angelo. Ma ricorda, che anche se sarai invisibile, potrai sempre mandare qualche segno o addirittura qualche messaggio sulla terra.’ I miei occhi spenti dalla delusione, improvvisamente si illuminano. ‘Dici sul serio? Ma anche se loro non potranno mai più vedermi, io posso vedere loro…o sbaglio?’ ‘Certo. Se può farti felice, io posso farti da spalla. Ogni volta che vorrai mandare un segno della tua presenza ai tuoi cari, sarò al tuo servizio.’ Prendo il piccolo uccellino nel palmo della mano e gli lascio un dolce bacio sul capo. ‘Portami in città. Voglio rivedere la mia casa per un’ultima volta e poi ho un altro breve compito da svolgere. Accompagnami.’ ‘Volentieri. Tu, non hai più bisogno di loro, ma loro avranno sempre bisogno di te... Del tuo ricordo.’ Chiudo gli occhi e sento la mia mente più leggera. Riapro gli occhi sul mondo e vedo volare di fianco a me il piccolo pettirosso che sorride, quasi orgoglioso. All’improvviso, vedo dall’alto una sagoma familiare. Il mio caro cottage. Voglio tornare, vorrei nuovamente riessere io, ma non posso. Faccio segno al mio amico pennuto che quella è la mia casa. ‘Andiamo. Vedi, è bastato poco per arrivarci…’ Mi affaccio alla finestra accesa. Il salotto è addolcito dalla luce di candele agghindate per le feste, l’albero proietta la sua ritmata luce nella stanza e il camino acceso riscalda il cuore di quei visi spaventati. Sì, li vedo non sanno ancora niente, ma sono preoccupati per la mia prolungata assenza. Come faccio a dire loro che sono morta, ma che sono ancora qui? I loro volti lividi di ansia e angoscia. E io che avevo pensato non mi amassero abbastanza! L’unica cosa che decido di lasciare davanti alla porta è quel piccolo pupazzetto a forma di angioletto, che entrambi mi avevano regalato quando ero piccola. L’unico modo per farmi credere che la cara nonna, a quell’epoca da poco scomparsa, sarebbe stata sempre vicino a me. Ora avrei potuto rivedere chi era già scomparso dalla vita terrena, e adesso sono loro ad aver bisogno di quel piccolo gesto per tollerare la mia assenza. Io, che ora sono davvero un angelo, sarei stata vicina alla mia famiglia per sempre con la speranza di poterla riabbracciare un giorno. Tiro fuori dalla tasca quel caro ricordo d’infanzia, che mi ha accompagnato fino alla morte. ‘Tieni, ti affido questo. Lascialo sul davanzale della finestra.’ Il piccolo pettirosso prende nel becco con delicatezza quel docile ciondolo bianco e inizia a svolazzare, sbattendo con forza le sue ali contro il vetro, in modo da attirare la loro attenzione. Io me ne sto lì incantata a guardare senza poter fare niente, mentre vorrei correre da loro. La mamma apre la finestra e il mio piccolo nuovo amico fa cadere il portafortuna all’interno della stanza, poi se ne vola via. Poi, papà sorpreso, lo raccoglie sorridendo, mentre entrambi si osservano quasi sollevati, stringendosi al cuore fra le lacrime quel minuscolo segno della mia presenza. Ma non è tutto oro ciò che luccica, e presto si renderanno conto che non esisto più e dovranno accontentarsi soltanto del mio breve ricordo. Domani e ogni anno per Natale, sarà ancora più dura ricordare le festività e la mia nascita che ricorre tristemente. Fra poco la polizia avrebbe trovato il mio corpo abbandonato e senza vita sulla strada che porta al bosco. Invisibili lacrime mi solcano il volto. Non le sento più arrivare in gola ed affacciarsi agli occhi, ma è ciò a cui mi devo abituare nel mio nuovo stato di ectoplasma. Mi allontano senza voltarmi indietro, mentre il pettirosso mi affianca in comprensivo silenzio. Poi mi decido a fare l’ultimo e doloroso passo, prima di passare del tutto a miglior vita.

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‘Seguimi fino a quella tavola calda in fondo alla strada. Lì c’è un’altra persona che voglio vedere per l’ultima volta.’ L’animale mi guarda con aria incoraggiante e sferza il nevischio con la sua piccola figura. Io affretto il passo per ritrovarmi senza fiato davanti alla vetrata del locale illuminato a festa. Rivedo il suo caro profilo incorniciato da una ghirlanda di finto abete ornata di rosso. Lui, il mio Giacomo. I suoi indimenticabili occhi verdi e ridenti, mentre serve un caffè ad un cliente al suo bancone. I suoi morbidi capelli color miele che incorniciano la sua dolce faccia. Quanto vorrei correre lì ad abbracciarlo e baciarlo per un’ultima indimenticabile volta. Ma lui non lo sa ancora che non ci potremo mai più amare. Per questo devo scrivergli un biglietto d’addio. Voglio che quando saprà la verità lo conservi per sempre. ‘Da come guardi quel ragazzo, deve esser stato molto speciale per te .’ ‘Sì, è il mio fidanzato. Ci conosciamo fin dall’infanzia. E’….molto dura sapere che non potrò più averlo al mio fianco.’ ‘Lascia qualcosa che gli ricordi il vostro amore. Tu resterai per sempre in un angolo del suo cuore.’ Ci penso su e poi cerco nella cara borsa, che mi è rimasta a tracolla dal momento dell’incidente. Sì, trovo il mio previdente taccuino e una biro blu. Ripenso ai nostri momenti insieme, alle nostre letterine d’amore per San Valentino, ad ogni piccolo gesto che ci ha fatto diventare grandi e maturi l’uno al fianco dell’altra. Sono sicura che lo amerò per sempre, ma lui un giorno troverà un’altra e mi sostituirà, come è giusto che sia. Improvvisamente scrivo di getto e mi innamoro di quei versi, che non riesco a credere vengano proprio dal mio cuore. Con un dolce e armonioso corsivo gli regalo quella frase: ‘Mi senti? Sono qui fra la neve, per dirti che non me ne andrò mai, ma sono soltanto sparita nel bianco bacio di un angelo. L’inverno sarà il nostro segreto. La tua Lara.’ Ripiego il biglietto e lo affido al becco del mio piccolo messaggero dal rosso petto. Non credo ai miei occhi, quando un cliente apre la porta del negozio per uscire ed il mio coraggioso amico sfiora la sua testa per farsi spazio ed entrare nella tavola calda. Come una saetta evita gli sguardi stupiti della gente e lascia con curiosa fretta il mio messaggio dietro al bancone sotto agli occhi meravigliati di Giacomo. Poi scappa via, più veloce della luce, dal piccolo spiraglio di una finestra aperta. Il mio ragazzo afferra quel dolce ricordo di carta e con aria attenta legge quelle brevi righe parecchie volte. Alla fine una breve lacrima sgorga dai suoi occhi per l’emozione, forse anche per il desiderio di vedermi subito e ringraziarmi di quel poetico pensiero, poi gira le spalle al bancone. Lui non sa ancora niente, ma un giorno capirà il senso di quelle parole. Sono sicura che quando vedrà anche un semplice passerotto volare penserà a me e al nostro amore. Saprà che il Natale ci ha diviso per sempre, ma che la neve conserverà per sempre il nostro amore. Il misterioso e bianco bacio di un angelo che lo amerà oltre la vita. E mentre me ne vado sorridendo fra le lacrime, penso, ‘Non me ne sono mai andata, prima o poi, mi sentirai, sono qui fra la neve, perché l’inverno sarà il nostro segreto.’ Poi catturo un fiocco caduto dal cielo e scompaio fra il nevischio. Forse domani, anche se non sono più viva, in qualche modo i miei diciassette anni mi troveranno. Buon compleanno,vita!

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Il regalo più bello Ilaria Militello

Dora si svegliò e si accorse subito di non essere più in ospedale. Si trovava in una stanza minuscola, con le pareti di un bianco ingiallito. Segno che era da tempo che non davano un’imbiancata. Nella stanza, oltre al letto dove lei era sdraiata, c’era un armadio di legno dal colore chiaro e un tavolo. Accanto ad esso c’era una sedia con sopra uno scatolone, con scritto “oggetti di Dorotea Callis”. E poi il suo trolley. Cercò di tirarsi su, ma si accorse che aveva i polsi e le caviglie legate. Sospirò avvilita e si chiese come ci fosse finita in quel posto. Chiuse gli occhi e cercò di ricordare. Dopo il suo tentato suicidio si era ritrovata in un letto d’ospedale. Aveva sentito, in un momento di dormiveglia, parlarle suo padre con alcuni dottori. «E’ il posto ideale. Vedrà li si troverà bene. Sarà seguita e le daranno una mano», disse uno dei dottori. Suo padre rispose con un grugnito triste, ma non si oppose e quindi eccola lì. Senza capire come ci fosse finita e chi l’avesse portata, ma soprattutto chiedendosi dove fosse. persa nei pensieri udì dei passi avvicinarsi alla sua porta e quando questa si aprì, due individui entrarono. Una era una donna. Alta all’incirca un metro e sessanta, capelli mossi, lunghi e color cioccolato. L’altro era un uomo. Aveva capelli corti, neri brizzolati. Perfettamente sbarbato e con la mascella accentuata. Entrambe indossavano un lungo camice da dottori e Dora non si sentì sollevata dalla cosa. Negli ultimi mesi ne aveva visti tanti, troppi. Prima per sua mamma, la sua devastante malattia che l’aveva portata a lasciarla e poi per la sua depressione, che l’aveva portata alla tragica decisione di uccidersi. I due le sorridevano ed entrarono carichi d’entusiasmo nella stanza, quasi da dare il volta stomaco. Dora sapeva che era solo un sorriso formale. E poi il fatto che fosse legata come un pericoloso criminale di sicuro non la rendeva felice e a suo agio per poter ricambiare il loro sorriso. «Vedo che ti sei svegliata Dora. È così che ti fai chiamare vero?!», le disse la voce melodiosa della donna. «Dove mi trovo e perché mi avete legata come se fossi pazza o una criminale?», chiese Dora con voce fredda. «E’ solo una precauzione che adottiamo con i nuovi arrivati. Ora ti liberiamo», le rispose l’uomo avvicinandosi a lei. Iniziò così a slacciarle le cinghie. Libera si sentì subito meglio e si mise a sedere, massaggiandosi i polsi. Si guardò attorno e poi il suo sguardo tornò a posarsi sui due tipi che la fissavano. «Che posto è questo?», chiese sperando di avere una risposta a quella domanda. Ma i due non parlarono. Dora si alzò dal letto e si affacciò alla minuscola finestra con le sbarre. Fuori vide un cortile con panchine e tavolini sparsi ovunque, con ragazzi che passeggiavano e leggevano. L’edificio era delimitato da un alto muro e oltre, un fitto bosco nascondeva il tutto. Il cielo era bianco, di lì a poco avrebbe nevicato. «Vedrai che qui ti troverai a tuo agio. Incontrerai persone che ti capiranno», disse la voce della donna alle sue spalle. Dora si voltò a guardarla. Aveva ancora quel sorriso da circostanza. «Sì, ma qui dove siamo?», chiese nuovamente spazientita. «La dottoressa Alice ti mostrerà dove ti hanno portata», disse l’uomo indicando la donna. «Io sono il dottor Andrew e ci incontreremo due volte a settimana. Ora vi lascio, buona passeggiata», concluse l’uomo avviandosi verso la porta e poi si voltò verso Dora e disse: «Benvenuta al centro LostSouls». Dora e la donna rimasero sole e per alcuni secondi ci fu il silenzio. Il sorriso di Alice era sparito. Era seria e fissava Dora. In lontananza si sentì il borbottio di alcuni ragazzi e Dora si voltò verso

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la porta. «Li conoscerai presto», disse Alice. «Cos’è questo posto?» «Dal nome pensavo lo avessi capito». Dora non parlò. Non sapeva come definire quel luogo. Non aveva ancora visto nulla e non poteva arrivare a una conclusione. Non giudicava mai al primo sguardo. «Vieni, andiamo a fare un giro così ti farai un’idea e ti ambienterai», le disse Alice porgendole il gomito in modo che potesse infilarci sotto il suo braccio. Dora le andò vicino, ma non ebbe nessun contatto con lei. Alice lasciò cadere il braccio lungo il suo fianco e assieme si incamminarono lungo il corridoio pieno di porte. Ogni porta aveva affisso un numero. Il colore era bianco e sbiadito, proprio come quello dei muri. Scesero lungo una scalinata a chiocciola e si trovarono in un grande salone. C'erano numerose poltrone e un due divani. Un mega schermo, la PlayStation e in un angolo un grosso albero di Natale. Già, era quasi Natale e a Dora prese lo sconforto, era la festa preferita di sua madre, fissò quell'albero colorato e addobbato con malinconica e nella mente tornarono i ricordi di quando lei e sua madre passavano la giornata ad addobbare tutta la casa. Ne usavano così tante da fare concorrenza ai centri commerciali, ogni anno la loro casa vinceva il premio di casa più natalizia di tutto il quartiere. Dora si chiese chi avrebbe addobbato la casa quest'anno. Suo padre? No, non era bravo in queste cose. Forse, quell'anno non avrebbero vinto loro. «Vieni», le disse Alice distogliendola dai suoi pensieri. Dora abbassò lo sguardo da quell'albero e la seguì, come se fosse un cagnolino. Il ricordo di sua madre era sempre dentro di lei. Quando era morta le era mancato tutto e ora, a pochi giorni dal Natale, le mancava anche lo spirito per quella festa che da sempre aveva amato. «Qui è dove mangerete», disse Alice con quella voce squillante che Dora iniziava ad odiare. Le mostrò una stanza bianca con enormi finestroni. Tutta quella luce e quel bianco iniziavano a darle la nausea. Proseguirono in lungo corridoio e giunsero fuori, oltre una vetrata si ritrovò nel cortile che aveva visto poco fa dalla finestra della sua stanza. Si strinse nella giacca. «Qui troverai gli altri tuoi compagni», le disse Alice e poi la lasciò lì, sola e in mezzo a quel cortile. Aveva gli occhi di tutti puntati addosso. Che ci faceva lì? Lei non era una matta si disse. Non era da curare. Rimase immobile, impaurita e con la voglia di piangere. Che cosa avrebbe detto sua madre se l’avesse vista lì? Si sarebbe infuriata e l’avrebbe portata via all’istante. L’avrebbe salvata, ma sua madre non c’era più, era sola, in un posto orribile. Persa nei suoi pensieri non si accorse della palla che le piombò addosso con violenza. «Ahi!», urlò già pronta ad accanirsi sulla figura che le stava andando incontro, ma si bloccò non appena l’immagine fu più nitida. «Ti sei fatta male?», le chiese un ragazzo guardandola. Dora non rispose, era rapita da lui. Di rimando lui la guardò. Rimasero immobili a guardarsi, attorno a loro tutto svanì. I loro sguardi si incrociarono, si unirono. Erik venne rapito dal verde dei suoi occhi. Non aveva mai visto una bellezza simile. Nemmeno le voci dei suoi amici riuscirono a distoglierlo. «Sei nuova?», le domandò dolcemente e Dora annuì. L’azzurro degli occhi di Erik l’aveva catturata e quel biondo scuro, quei capelli spettinati e ribelli. Sembrava un angelo dannato. «Ti sei fatta male?», le domandò nuovamente. «No, non credo», disse anche se la guancia era rossa. L’aveva presa in pieno viso. Ma al momento non sentiva e non vedeva altro che lui. «Come ti chiami?», le chiese avvicinandosi di alcuni passi e Dora trattenne il respiro. «M-mi chiamo Dorotea, ma chiamami Dora», disse arrossendo leggermente. Erik sorrise. «Va bene Dora, io sono Erik», disse allungandole la mano. Il cuore di lei sussultò e poi gli

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strinse la mano. Quel contatto li fece sorride, assieme, in automatico. Rimasero così, con la mani unite, sospese a mezz’aria guardandosi nuovamente e sorridendosi a vicenda. In fondo il soggiorno in quell’“albergo a cinque stalle”, così come lo chiamava Erik non era più così deprimente. Dora iniziò a frequentare Erik, divennero inseparabili. Con lui si divertiva, con lui aveva ritrovato la voglia di ridere, di sognare, di sperare. Il dolore della morte della madre c’era ancora, ma era meno opprimente, ora Dora aveva di nuovo qualcuno per cui far battere il suo cuore. Anche il Natale tornò ad essere magico come sempre. Non sarebbe tornata a casa, non avrebbe pranzato con la famiglia e non avrebbe aperto i regali a mezzanotte, ma ora non le importava più. Il suo regalo più grande lo aveva ricevuto quando le era arrivata quella pallonata in faccia, il suo regalo migliore era Erik, era l’amore. La mattina di Natale al centro era una mattina un po’ come tutte a parte per il pandoro che servivano come dolce a fine pranzo. Molti dei ragazzi erano tornati a casa per le feste. Erik e Dora erano rimasti lì. Nessuno sarebbe venuto a prenderli con la macchina piena di regali ma a loro non importava, erano assieme e quello era l’unico regalo che desideravano. «Dai ancora una volta», disse Erik steso sul letto di Dora. «Basta, te l’ho già letta due volte», gli disse Dora sorridendo. «Ma a me piace», protestò Erik fingendosi imbronciato. «Bambino», disse lei punzecchiandolo e scoppiarono a ridere abbracciandosi. Erik la strinse a sé e le baciò i capelli intrecciando le sue dita fra di essi. Adorava i suoi capelli. Il libro del Principe Schiaccianoci cadde a terra. Quella era la favola che la madre di Dora le raccontava sempre a Natale, adorava quella storia e Erik adorava sentirgliela raccontare. «Sai, pochi giorni fa mi hai detto che il tuo regalo più grande era poter riavere tua madre», le disse Erik dolcemente, mentre la fissava. «Ora qual è?», le chiese. Dora alzò la testa dal suo petto e sorrise, poi la sua attenzione si rivolse verso la finestra. «Nevica!», esclamò felice. Da giorni l’aspettava. Erik si alzò leggermente e guardò fuori. Grossi fiocchi venivano giù dal cielo come se danzassero. «Un classico!», disse ridendo. Dora saltò giù dal letto e si infilò gli stivali, prese il giaccone e poi costrinse Erik ad imitarla. Lui avrebbe preferito rimanere nella stanza, soli, ma acconsentì. Si infilò le scarpe e riuscì appena ad afferrare il cappotto che si sentì trascinare da Dora. Fremeva impaziente, come una bambina. Voleva raggiungere il cortile. «Dora calma non scappa mica la neve», le disse Erik, ma lei non sentiva più nulla. Percorsero il corridoio correndo, anzi volarono quasi e si ritrovarono fuori. La neve iniziava già a fermarsi. Gli occhi di Dora brillarono e fece ciò che faceva sempre con sua madre quando nevicava, iniziò a volteggiare e ballare, divertita e felice. Erik rimase a guardarla sorridendo. L’amava più di qualunque cosa al mondo e la sua felicità era anche la sua. Quello era il suo regalo, vederla felice, perché sapeva ciò che aveva passato, sapeva la sua storia. Dora rideva e per un secondo le sembrò di ritornare bambina. Vide sua madre accanto a lei che volteggiava e le sorrideva. «Mamma!», esclamò sorpresa. «Bambina mia», disse lei con amore. A Dora mancò il fiato. Era lì, davanti a lei, sorridendo e con il suo solito sguardo pieno d’amore. «Mamma, sei qui, non è possibile! Mio Dio quanto mi sei mancata!», disse buttandosi fra le sue braccia. Lei la strinse a sé. «Buon Natale amore mio», le sussurrò lei e poi svanì. Dora si guardò attorno. Era stata una visione? Era forse impazzita? Poi capì, non era impazzita e non era stata una visione, sua madre era lì, con lei, sempre. Si voltò verso Erik e gli andò incontro con gli occhi pieni di lacrime, lui si spaventò nel vederla così e le mise le mani sulle guance. «Ehi, piccola che ti succede?», domandò preoccupato. Perché i suoi occhi erano pieni di tristezza ora? Non se lo spiegava.

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«Fammi di nuovo la domanda del regalo più bello», gli disse lei. Erik rimase perplesso. Non capiva il senso di quella richiesta, poi annuì. «Dora, quale sarebbe il regalo più bello per te?», le chiese dolcemente. Lei gli mise le braccia attorno al collo e lo tirò a sé, posando la sua fronte contro la sua. «Sei tu», disse e questa volta furono gli occhi di Erik a riempirsi di lacrime, poi le loro labbra si unirono in un dolce bacio e rimasero stretti, l’uno all’altra, fissando la neve che scendeva giù. Dora vide ancora sua madre, la salutava e sorrideva. Sarebbe rimasta con lei, per sempre, Dora sorrise e si strinse ad Erik, il regalo che più bello che avesse mai ricevuto.

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Le prime ore di natale Alberto Drago

Tutti mi dicevano che ero un bambino molto sveglio e io sapevo d’esserlo. Quando mi è capitato il fatto avevo tra i 6 e gli 8 anni. La storia di Babbo Natale non mi ha mai convinto. Un vecchio panzone che in una fredda notte esce come un ladro, girando tutto il mondo fermandosi nelle case dei bambini bravi; mi sembrava una bella burla. La notte della vigilia decisi di rimanere sveglio nel letto per smascherare l’individuo rosso e barbuto. Alle 23 circa sentì dei rumori nella stanza a fianco, mi diressi verso la stanza dei miei genitori. Lì a porta semichiusa vidi sul letto mia madre dire a Babbo Natale “Facciamo in fretta intanto che mio marito non c’è” il babbo si tolse i calzoni, salì sul letto e si mise a saltare su mia madre, intanto che lei gridava. Terrorizzato corsi in camera mia e mi rifugiai sotto le coperte cercando di dimenticare e addormentarmi al più presto. Lentamente rannicchiato sotto le coperte col suono di quei mugolii m’addormentai. Quando mi risvegliai ed usci da camera mia, andai verso il salotto dove c’era l’albero di natale e sotto ad esso i doni. Capì che era prima mattina dal silenzio spettrale rotto solamente dal ticchettio dell’orologio. Arrivato nel soggiorno speravo di vedere l’unica cosa che più mi piaceva dell’inverno: la neve. Invece dall’ampia finestra intravidi una nebbia fittissima. Sotto l’albero i doni, poco più in là Babbo Natale che li prendeva per metterli nel suo sacco. Lo vidi e mi nascosi dietro la porta. Decisi d’avvertire mamma e papà, iniziai a correre, ma subito inciampai nel tappeto. Lui udì il tonfo, mi raggiunse di corsa mentre io continuavo a correre verso la loro stanza. Subito dopo essere entrato vidi il letto vuoto, l’oscuro signore dall’orrendo costume mi diede una pacca sulla testa dicendomi: “Bravo bambino, ora prenderò i vari oggetti di valore.” Cosi lo vidi che cercava nell’armadio e nei cassetti. Sottraeva gioielli a più non posso, mentre io rimanevo pietrificato. Presi forza e coraggio mentre era chino su uno dei cassetti in basso. Gli saltai al collo e cercai di fermarlo, con un brusco movimento mi lanciò lontano e mi fece sbattere la testa. Mi risvegliai intontito nel mio letto, le mie gambe e le mie braccia bloccate da robuste corde. Babbo ladro di fronte a me sogghignava felice brandendo un coltello dalla grossa e luccicante lama. Con essa m’accarezzo il volto dicendomi “Sai perché non ci sono i tuoi genitori. Li ho uccisi io” “No, non può essere” subito pensai “Adesso ucciderò anche te” Nel dirlo mi passò il duro e freddo taglio della lama sulla faccia. L’acciaio veniva accarezzato dalle mie gocce di sudore. Sapevo dai suoi occhi che di li a poco l’avrebbe fatto. Il suo braccio si protese verso l’alto e il coltello impugnato sembrava una bandiera sventolante. Mentre veloce e decisa l’arma scendeva verso il mio petto urlai a pieni polmoni “Noooooooo!” D’improvviso mi ritrovai nella stanza con nessun altro, sentì dei passi poi la porta s’aprì. Entrarono mamma e papà. S’avvicinarono, mi strinsero forte e mi dissero “Tranquillo, hai solo avuto un incubo. Ora è tutto passato.” Dopo avermi rimboccato le coperte e tranquillizzato se ne andarono via. Mio padre chiuse la porta mentre teneva ancora indosso quei pantaloni rossi.

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Biografia ALBERTO PASTURENZI Alberto Pasturenzi s’inizia ad appassionare alla letteratura fin da piccolo. Agli inizi della sua vita come lettore, solo dopo molti anni scopre anche la visione dall’altra parta cosi inizia a scrivere. Nato ad inizio tramonto dell’anno 1989. Scrive già da diversi anni col pseudonimo Alberto Drago, con discreti risultati. Ha pubblicato: –Lui e lei- in un antologia chiamata Impronte d’amore sotto le Butterfly edizioni, -Bruno- nel volume di racconti intitolato Halloween’s novels distribuito gratuitamente sul portale Amazon.

ARIANNA LUCIANI Nata a Vicenza il 2 gennaio 1998. Fin da piccola ha coltivato l'amore e la passione per lettura e scrittura, sviluppando quest'ultima da quando ha imparato a tenere in mano una penna, tentando di imitare gli scrittori che l'hanno sempre molto appassionata. Nota svaligiatrice di librerie, ha da poco pubblicato il racconto "Sud-ovest scarlatto" nell'antologia "De rosa Rubra".

FRANCESCA GHIRIBELLI Francesca Ghiribelli è ragioniera programmatrice. Fin da sei anni ha coltivato la passione per la poesia e la scrittura. Ha ricevuto il primo premio nel concorso nazionale “Maribruna Toni 2009” per il racconto 'inedito' e la menzione per la silloge e per il presente libro di poesia ora pubblicato, e molti altri riconoscimenti nel suo percorso letterario. Per lei non esiste migliore strumento di un foglio bianco dove poter riversare le sue ispirazioni, pensieri e speranze dell'anima da condividere con i lettori, fedele al suo principio “che l'unico segreto che anima la vita è l'emozione di saperla vivere completamente.” L’autrice gestisce un blog letterario dove espone i suoi scritti e le sue video poesie , pubblicizza anteprime libresche e ama recensire i libri letti, dando spazio anche ad autori emergenti italiani.

ILARIA MILITELLO Ilaria nasce il 13 maggio 1986, ad Asti in Piemonte. Fin da piccola ha sempre avuto la passione per le storie sui folletti e le fate, crescendo ha iniziato ad apprezzare anche quelle sui vampiri e le streghe. Il fantasy è la sua vita e la scrittura il suo sogno. Nel gennaio 2013 fa il suo esordio con il primo capitolo della saga Love Vampire, nello stesso anno esce la sua prima raccolta di poesie Pensieri, pubblicata dalla David and Matthaus. Nel maggio 2014 esce il secondo capitolo della saga Love Vampire, Love Vampire – Verità, al quale ne seguiranno altri due. Un desiderio inaspettato è il suo terzo romanzo, uscito a settembre del 2014 Nel 2014 entra a far parte dell’European Writing Women Association (EWWA) Molti dei suoi racconti e delle sue poesie compaiono in antologie letterarie. Pagina facebook https://www.facebook.com/pages/Ilaria-Militello-Scrittrice/429054020550439

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Racconti e poesie pubblicate: *Lo spettro del vecchio cimitero - blog di Connie (Ottobre 2012) *Incubo di Halloween - Scrivolare - antologia "Racconti per Halloween”(Ottobre 2012) *Appunti di un viaggio nel passato - Edizioni Il Violino - antologia "Melodia Letteraria" (Dicembre 2012) *Il Natale perfetto - Edizioni Montecovello - antologia "Racconti per il Natale" (Dicembre 2012) *L'ultima battaglia di Leily - antologia "I Colori dell'anima" (Dicembre 2012) *Vero Amore - Edizioni Butterfly - antologia "Impronte d'amore" (Gennaio 2013) *Un solo unico amore - Delos Books - antologia "365 storie d'amore" (Febbraio 2013) *Amami sono tua - Edizioni WebMaster60 - antologia "100 poeti per l'amore" (poesia) (Febbraio 2013) *L'amore vince e Una vera donna - EdizioniWebMaster60 - antologia "Aspettando che mi gridi una poesia" (poesie) (Marzo 2013) *Una disastrosa giornata al McDonald – Edizioni Butterfly – antologia “Ops, che figura!” (Maggio 2013) *La battaglia di Elros – antologia “Scrivere per leggere” (Maggio 2013) *Piccolo Angelo – Edizioni David and Matthaus- antologia “Qui dove camminano gli angeli (Settembre 2013) *Paura nel bosco – Edizioni David and Matthaus – antologia “Stralci di sogno” (Aprile 2014) *Prigioniera – concorso Il Tiburtino (poesia) (Giugno 2014) *Sarò il tuo angelo – Edizioni David and Matthaus – antologia “Qui dove camminano gli Angeli” (Giugno 2014) *Una tragica giornata di mezza estate – Edizioni Delos Book – antologia “365 racconti d’estate” (Luglio 2014)

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