Eclettica 8

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Indice INTRODUZIONE

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AVVENTURE DA PALCOSCENICO

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2.

ARTEGGIAMENTI

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3.

DALLA CARTA ALLA PELLICOLA

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4.

LIBRI VINTAGE

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5.

MILLE SFUMATURE DI ROSA CONTEMPORANEO

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6.

SCORCI DAL MONDO INCANTATO

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7.

THE HORROR! THE HORROR!

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8.

CHIACCHIERANDO CON…

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9.

L’ANGOLO DEGLI ESORDIENTI-EMERGENTI

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10.

LA BACHECA DELLO SCHIBACCHINO

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11.

IL GABINETTO DEL DOTTOR LAMBERTI

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CONTATTI

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INTRODUZIONE Ed eccoci con un nuovo numero! Ospite della rubrica Chiacchierando con sarà Mauro Saracino, direttore editoriale della Dunwich Edizioni, casa editrice nata nel 2013. Ci parlerà della sua esperienza, della linea editoriale che segue e anche della sua carriera da autore. Protagonista della rubrica curata da Lidia sarà Giulia Borgato, autrice di “Accanto a un Angelo”. Mary, nella sua rubrica, ci parlerà delle parole prendendo spunto da uno scatto visto su un social network dell'autrice Bianca Cataldi. Francesca Ghiribelli recensirà per voi Per tutto il tempo che ci resta, un romanzo molto romantico. Per quanto riguarda film tratti da libri, Daniela in Dalla carta alla pellicola parlerà di Perdersi/Still Alice, che tratta un tema delicato come l'Alzheimer. Dal cinema al teatro: Valeria ci racconterà la storia delle marionette. L'argomento trattato da Cristina in Arteggiamenti saranno le muse in stile liberty, un movimento artistico nato in risposta al senso di soffocamento provocato dalla società industriale. Cercate un romanzo da brividi? Loredana vi accontenta parlandovi di La casa delle anime morte, ambientato in Scozia. Giuliano ha optato per Pessime scuse per un massacro, un noir dal finale amaro. In Libri vintage Laura parlerà di un romanzo cinese antichissimo, I briganti. Non mi piaci ma ti amo di Cecile Bertod: Fabiana ha scelto questo romanzo, pubblicato prima in self e poi dalla casa editrice Newton Compton Editori.

Buona lettura a tutti voi! Giovanna Samanda Ricchiuti i


AVVENTURE DA PALCOSCENICO C'erano una volta le marionette

A cura di Valeria Vite Gli spettacoli di marionette e burattini vengono spesso considerati opere rivolte ai bambini, invece pochi sanno che il teatro d’animazione è un’arte nobile e antichissima, che recentemente è approdata anche nei teatri più prestigiosi d’Italia (non dimentichiamo che al Piccolo Teatro di Milano dal 27 dicembre al 8 gennaio è andato in scena il Pifferaio magico della compagnia Carlo Colla & Figli). La lingua italiana è una delle poche al mondo ad adottare più termini per indicare i pupazzi del teatro d’animazione: marionetta, burattino e pupo sono termini propri dell’italiano standard relativi ai tre tipi di teatro d’animazione nati in Italia, ma esistono anche numerosi sostantivi regionali. Tale ricchezza lessicale ha tuttavia generato una certa confusione tra i termini, come nel caso di Le avventure di Pinocchio. In Toscana il termine utilizzato per gli attori del teatro di figura è burattino ed è con tale termine che Collodi definisce Pinocchio anche se quest’ultimo, dotato di gambe e di un corpo interamente di legno, è in realtà una marionetta. Lo stesso vale per le marionette di Mangiafuoco, realizzate in legno e animate mediante dei fili. Il romanzo fu un vero e proprio bestseller dell’epoca e ciò contribuì a far sì che marionetta e burattino diventassero sinonimi ma marionette, burattini e pupi sono invece tre fantocci completamente differenti. Le marionette sono pupazzi di legno di cirmolo a figura intera con braccia di stoffa imbottite di segatura e mani di legno; sono mossi dall’alto tramite fili collegati a una croce di legno chiamata bilancino. La scultura della testa è molto importante per attribuire “carattere” alla marionetta. Gli occhi sono di cristallo o vetro affinché siano più “vivi”, il volto è dipinto con colori ad olio senza fissatori, affinché le carnagioni siano caratterizzate dall’”unto” della pelle vera. Sotto ai piedi viene aggiunto un contrappeso per rendere facilmente manovrabile la marionetta. Una marionetta è alta circa 80 cm e pesa 8 kg, 25 kg con l’armatura. I burattini (dal panno buratto o burattino col quale erano vestiti) sono invece fantocci dal corpo costituito da un guanto di stoffa, in cui il burattinaio infila una mano per manovrarlo, oppure da bacchette, come spesso avviene nel caso dei burattini femminili; le mani e la testa sono di legno scolpito. La testa non è proporzionata con il resto del corpo nel Nord Italia ed è invece quasi proporzionata al sud; essa racchiude in sé il “carattere” del burattino e deve essere molto robusta per prendere le consuete legnate, immancabili in una rappresentazione che si rispetti. I pupi possono essere siciliani (suddivisi in palermitani e catanesi) o napoletani. La testa è scolpita, mentre il resto del corpo è solamente abbozzato poiché viene ricoperto dall’armatura. Vengono manovrati dall’alto o di lato mediante bacchette di ferro e corde. Essendo un’arte minore abbiamo poche informazioni sull’arte del teatro di figura, così è molto difficile scrivere la storia dell’arte delle marionette. Le origini delle marionette risalgono alla Preistoria e alle statue idolo che l’uomo ha animato per scopi religiosi. Il primo fantoccio a fili nacque circa venti secoli fa come trasformazione delle maschere articolate usate dagli sciamani durante i rituali. Secondo una leggenda, la prima rudimentale marionetta fu un teschio di mucca dalla bocca articolata utilizzato dagli stregoni durante le cerimonie primitive. Successivamente le marionette furono animate da un bastone, poi dai fili. Le prime marionette a filo furono utilizzate dagli indiani del Nord America durante le rappresentazioni nella “casa grande”, la residenza dei clan: i fili attraversavano il tetto su cui si trovavano i marionettisti, che animavano i fantocci a ritmo di canti.

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Nella Grecia classica Ateneo di Naucrati cita nei Deipnosophistai l’esistenza di un marionettista chiamato Potino, mentre Diodoro Siculo descrive il principe Antioco di Cizico come un collezionista di marionette riccamente decorate. Nel teatro latino venivano invece impiegate lignolae figurae, marionette danzanti utilizzate a scopi comici realizzate in legno, terracotta, osso e avorio. Non sempre erano dotati di arti mobili, ma avevano alla sommità del capo una fune che consentiva il movimento della marionetta. Quinto Flacco Orazio nelle Satire chiama le marionette “mobile lignum”, le quali inoltre vengono citate nella Cena di Trimalchione di Petronio. Con l’ascesa del Cristianesimo, sebbene i padri della Chiesa non la disapprovassero come il teatro di attori in carne e ossa, l’arte delle marionette subì un triste declino dovuto alla lotta contro l’iconoclastia pagana, ma certamente sopravvisse all’interno delle mura domestiche per il divertimento di adulti e bambini. Ci sono stati pervenuti delle miniature di marionette con intento moralistico e impiegate in presepi meccanici o in drammi sacri. Nel Medioevo la Chiesa mise in scena spettacoli sacri di marionette durante i Misteri, in seguito invece l’arte di animazione venne considerata profana e oscena e sopravvisse nelle piazze, nelle taverne e nelle fiere. Nel 944 alcune giovani spose veneziane rapite dai Saraceni vennero portate in salvo e, per festeggiare l’avvenimento, ogni anno da quel giorno vennero portate in processione alcune fanciulle, cui veniva donata una dote. Presto le giovani in carne ed ossa vennero sostituite con delle statue in legno per questioni economiche chiamate “Marie di legno”. Si diffuse l’usanza di vendere delle piccole riproduzioni delle Marie, i primi fantocci della storia ad essere chiamati col nome di marionette. Più probabilmente il sostantivo marionetta deriva dal francese Mariotte, il nome del fantoccio medioevale che rappresentava la Vergine in processione. Alla fine del Medioevo in tutta Europa era presente l’arte marionettistica, i cui repertori attingevano alle storie bibliche e ai cicli cavallereschi di re Artù; la letteratura tedesca e francese influenzarono maggiormente la produzione marionettistica. Intorno al XVI secolo nacque il vero e proprio teatro delle marionette con un repertorio stabile, affidato ai marionettisti ambulanti. In questo periodo il teatro d’animazione, apprezzato maggiormente dai ceti più umili, porta in scena il repertorio della Commedia dell’Arte, approda nel repertorio musicale del teatro d’opera ed ha uno sviluppo parallelo al teatro d’ombre. Nel XVII secolo sappiamo che venivano allestiti spettacoli in case di nobili a scopo di intrattenimento. A Parigi la famiglia Nicolet possedeva un teatro in boulevard du Temple, dove gli spettacoli erano ingegnosamente arricchiti grazie ai prodigi della tecnica coeva. Nel XVIII Goldoni si appassionò al teatro scrivendo piccole commedie per marionette e burattini, mentre Haydn e Gluck scrissero operine appositamente per i fantocci. Probabilmente il Flauto Magico di Mozart venne inizialmente pensato per le marionette.

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Nel 1870 il marionettista inglese Holden preferì le marionette a fili a quelle governate da bacchette, affermando di ottenere i suoi stupefacenti risultati con l’aiuto della meccanica e dell’elettricità. In questo periodo molti marionettisti attraversarono l’oceano e conquistarono il pubblico americano. Nel XIX secolo raggiunse il suo massimo sviluppo grazie a personalità illustri come il marionettista inglese Thomas Golden, la famiglia Colla a Milano e i Lupi a Torino; il Romanticismo consentì di arricchire i repertori. In questo periodo le marionette riuscirono a conquistare il pubblico borghese e nacquero dei teatri stabili di marionette, anche se le occasioni privilegiate in cui inscenare gli spettacoli erano e saranno sempre le fiere e le festività.

Nel Novecento il teatro d’animazione influenzò le Avanguardie Artistiche, come nel caso delle marionette futuriste di Trampolini e Depero e gli artisti del Bauhaus. Verso la metà del Novecento la televisione sostituì il teatro, così il pubblico cessò di affluire agli spettacoli di marionette e molte compagnie furono costrette a chiudere o a mettere in scena solamente copioni per bambini. Il teatro di figura tuttavia non scomparve: il Teatro dei piccoli di Vittorio Podrecca per esempio divenne celebre in tutto il mondo e arrivò a contare fino a mille marionette. Oggi il teatro delle marionette sta vivendo in Italia un periodo di declino e viene considerato una sorta di arte minore, forse proprio a causa del fatto che viene rivolto solamente ad un pubblico di bambini. All’estero invece è considerato al pari di un qualsiasi spettacolo di prosa. Speriamo che la marionettistica fiorisca di nuovo e le antiche storie siano apprezzate nuovamente.

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ARTEGGIAMENTI Muse in stile Liberty

A cura di Cristina Malvezzi

Ai periodi di più intensa industrializzazione e modernizzazione si è sempre accompagnato il bisogno di rifugiarsi nella natura e nelle costruzioni fantasiose: è accaduto durante l'Ottocento con il rifiuto delle città affollate e fumose e l'apertura a paesaggi incontaminati e di nuovo all'inizio del Novecento. In questo secondo caso, in forme molto diverse e pienamente armonizzate con le esigenze della nuova società di massa. L'Art Nouveau, Stile Liberty o Floreale o Jugendstil è stato, infatti, un movimento artistico che ha posto al centro il bisogno di recuperare una raffinatezza espressiva che la società industriale, con la sua serialità, aveva finito per soffocare. La sua larghissima diffusione, di cui sono sintomo anche le numerose definizioni del fenomeno, si deve però al fatto che esso non ha respinto le innovazioni tecniche e i linguaggi contemporanei in un atteggiamento di orgogliosa rivendicazione di purezza, ma, al contrario, li ha fatte propri, incontrando proprio i bisogni della società industrializzata. Lo ha fatto nel modo più genuino possibile, con una scelta che dovrebbe farci riflettere ancora oggi: puntando sulla qualità e l'eleganza. Ecco, dunque, che vediamo i materiali tipici delle nuove produzioni adattati a prodotti esteticamente più curati, con un percorso tecnico che ha recuperato il messaggio delle Arts and Crafts e che ha dato una nuova direzione

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alle architetture di esterni e interni, rimarcando l'importanza del design: i prodotti Liberty si sono imposti nelle case, nell'oggettistica, nell'architettura e nell'urbanistica, conquistando tutti i campi in cui si è spinta l'innovazione negli ultimi decenni e portando una ventata di originalità e un estro espressivo da tempo mancanti. Come molti movimenti artistici, anche il Liberty ha avuto le sue muse e le sue poetiche, magistralmente riassunte nell'opera di Alfons Mucha, artista ceco vissuto fra il 1860 e il 1936. Nella sua produzione troviamo infatti un concentrato delle forme care a pittori, scultori, designer e artigiani d'inizio XX secolo: l'amore per le linee essenziali e sinuose che si ampliano e ristringono rapidamente (il cosiddetto «tratto a colpo di frusta»), l'uso sfumato e tenue dei colori, l'abbondanza di elementi floreali, il recupero di figure che sembrano elaborazioni delle fanciulle preraffaellite, pallide, bionde ed esili eppure affascinanti. Queste donne hanno acconciature e vesti che rimandano al passato e che talvolta assumono pose tipiche della statuaria classica (come l'allegoria della danza, che ricorda le menadi in torsione), eppure sono modernissime e si adattano perfettamente all'uso pubblicitario: lo stesso Mucha realizza cartelloni di spettacoli teatrali e le sue figure compaiono sulle etichette di bevande, sui manifesti promozionali e sui libri, cosicché parlare di una fuga dalla modernità è del tutto improprio: semmai potremmo definirla una «fuga con la modernità».

Alfons Mucha, Pietre preziose - Rubino, Ametista, Smeraldo, Topazio

Particolarmente affascinanti sono le serie di figure allegoriche, sempre raggruppate in quartetto, fra cui spiccano i cicli dedicati alle arti, alle stagioni, ai momenti della giornata

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e alle pietre preziose. In ognuna di esse i soggetti sono ripresi in pose sensuali ma per nulla volgari grazie all'astrazione realizzata attraverso il tratto pulito e la colorazione delicata, con soluzioni eteree che ricordano il disegno terso dell'arte giapponese Edo, cui i modernisti guardavano con grande ammirazione. Le immagini sono quasi sempre inquadrate in cornici essenziali e colorate che sembrano quasi necessarie a contenere le esplosioni di fiori e panneggi e, al contempo, suggeriscono la magia dei tarocchi e dei significati nascosti negli sfondi. Osservando le opere di Mucha, di cui queste serie sono solo una piccolissima parte, sembra di essere in bilico fra la modernitĂ e il passato, fra un linguaggio fatto per l'uomo del Novecento, una freschezza che stimola l'occhio dell'osservatore degli anni Duemila e un fascino che riporta alle radici stesse delle arti, ai panneggi delle dee e delle muse.

Alfons Mucha, Le stagioni

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DALLA CARTA ALLA PELLICOLA Perdersi A cura di Daniela Mionetto Se non fosse stato per Karen che, mentre chiacchieravamo su Twitter, mi ha consigliato di leggere “Perdersi” di Lisa Genova, mi sarei persa questo splendido e commovente romanzo. Quindi la ringrazio pubblicamente, perché non avrebbe potuto darmi consiglio migliore. In più, il 22 febbraio si è svolta l’87 edizione della cerimonia degli Oscar, in cui Julianne Moore ha vinto come miglior attrice protagonista, proprio grazie al ruolo di Alice nel film, tratto da questo libro, “Still Alice”.

LIBRO: Perdersi AUTORE: Lisa Genova EDITORE: Piemme PAGINE: 293 C’è una cosa su cui Alice Howland ha sempre contato: la propria mente. E infatti oggi, a quasi cinquant’anni, è una scienziata di successo, invitata a convegni in tutto il mondo, che ha studiato per anni il cervello umano in tutto il suo mistero. Per questo, quando a una importantissima conferenza, mentre parla davanti a un pubblico internazionale di studiosi come lei, Alice perde una parola (una parola semplice, di cui conosce benissimo il significato) e non riesce più a ritrovarla nel magazzino apparentemente infinito della sua memoria, sa che qualcosa non va e che nella sua testa sta succedendo qualcosa che nemmeno lei può capire, o fermare. La diagnosi, inimmaginabile, è di Alzheimer precoce. Da allora, Alice, perderà molte altre parole. Perderà pian piano i nomi delle persone che ama, i ricordi, ciò che ha studiato, ciò che ha fatto di lei la persona che è. In questo viaggio terribile la accompagnerà la sua famiglia: il cui compito straziante sarà di starle vicino, di gioire con lei dei rari momenti, luminosi e fugaci, in cui Alice torna ad essere Alice. Lisa Genova, neuropsichiatra, ha dedicato la sua vita allo studio del cervello e delle sue malattie più misteriose, come l’Alzheimer. Per questo è molto brava a spiegare questa patologia. In modo semplice e chiaro elenca i sintomi e le sensazioni che l’Alzheimer provoca in Alice, senza cadere mai in discorsi complicati, o termini medici che sarebbero incomprensibili ai più. La bravura della Genova sta anche nel riuscire a far capire al lettore il momento esatto in cui la protagonista dimentica una cosa, senza scriverlo direttamente, ma facendolo intuire attraverso i suoi pensieri e comportamenti. Ogni volta è sconvolgente. Alice Howland è una donna estremamente intelligente, forte, di successo, sicura di se e amata da molti, ma rimane del tutto spiazzata e senza difese davanti alla diagnosi di Alzheimer precoce, non riesce ad accettare questa terribile malattia che le porta via ogni giorno un pezzo di vita, un pezzo della sua mente, un pezzo di lei, ma che alla fine non la uccide. Perché anche questo è il brutto di questa patologia: fa cadere la tua mente nell’oblio, tenendo però il tuo corpo in vita per anni. Oltre alla storia di Alice, c’è anche quella di suo marito e dei suoi figli. Si percepisce chiaramente la preoccupazione di Anna, la figlia maggiore, e la tenerezza e l’amore di Lydia, la terzogenita. Quest’ultima è la figlia con cui Alice si scontra più di frequente, la ribelle se così vogliamo definirla, ma la malattia le renderà entrambe più pazienti, le avvicinerà di più e le aiuterà a recuperare,

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almeno in parte, un rapporto che sembrava perduto. Per suo marito John è più difficile. Uomo intelligente e molto concentrato sul lavoro, non vuole rinunciare alla sua carriera ora che finalmente comincia a dargli i frutti tanto attesi. All’inizio potrebbe apparire egoista e superficiale, ma, proseguendo nella lettura, si capisce che è solo spaventato, vorrebbe scappare, e non riesce ad accettare fino in fondo la situazione, perché non sopporta l’idea di perdere, giorno dopo giorno, la donna che ama. Pagina dopo pagina, la malattia di Alice peggiora e diventa una spirale che trascina in basso non solo i personaggi di questa storia, ma anche il lettore stesso che, partecipe delle sofferenze della protagonista, capirà quanto sia terribile vivere una vita senza ricordi.

FILM: Still Alice REGISTA: Richard Glatzer e Wash Westmoreland ATTORI: Julianne Moore, Alec Baldwin, Kristen Stewart, Kate Bosworth, Hunter Parrish DURATA: 99 minuti Per quanto adori Julianne Moore in tutto ciò che fa, e sono convinta che si sia meritata sia il Golden Globe che l’Oscar come miglior attrice protagonista per questa interpretazione, io i personaggi del libro me li immaginavo diversi. Ad esempio Alec Boldwin non riuscivo proprio a vederlo nel ruolo di John, per non parlare di Kristen Stewart nei panni di Lydia. È opinione di molti che la Stewart non sia proprio brava a recitare, la critica che le viene mossa più spesso, sin dai tempi di Twilight, è la mancanza di espressività facciale. In questo film si impegna, ma non porta a casa grandi risultati, purtroppo la maggior parte delle volte sembra poco partecipe e non riesce ad esprimere appieno la vastità di emozioni che Lydia prova e trasmette a sua madre. Il grande merito di questo film va, senza ombra di dubbio, a Julianne Moore. Sempre impeccabile e calata interamente nel personaggio, riesce a trasmettere grandi emozioni anche senza parlare, perché il morbo di Alzheimer viene vissuto e compreso dallo spettatore attraverso gli occhi della Moore, più che dalle sue parole. Ci sono dei piccoli cambiamenti rispetto al libro, e sono stati cancellati alcuni personaggi (come ad esempio gli amici di Alice del gruppo di sostegno), questo non toglie nulla alla storia, che rimane chiara e scorrevole, ma forse si sono concentrati solo su alcuni aspetti della vita di Alice, tralasciando il quadro completo e più ampio che invece è spiegato magistralmente nel romanzo. Negli ultimi anni sembra che nessuno riesca a fare un film che duri meno di due ore, i due registi di “Still Alice” ce la fanno: condensando in poco più di un’ora e mezza due anni di vita della protagonista. Apparentemente un film tranquillo, senza scene spettacolari o momenti di patos, ma intriso di emozioni e sentimenti: felicità, rabbia, paura e amore, solo per citarne alcuni, che sono talmente forti da oltrepassare lo schermo e colpire allo stomaco lo spettatore. È un film ma soprattutto un libro, per quanto mi riguarda, che rimane nel cuore per lungo tempo. Secondo me, però, è meglio aver letto il romanzo prima per poter comprendere appieno la pellicola. Entrambi richiamano l’attenzione sul morbo di Alzheimer, ma soprattutto sulle persone affette da questa malattia degenerativa. Il messaggio è semplice, ma efficace: non bisogna lasciare sole queste persone, ignorarle o (come accade nel libro) parlare di loro come se non ci fossero, perché loro invece sono proprio lì, accanto a noi e ci sentono, lottano e provano sentimenti. Per il breve tempo che ci viene concesso bisogna aiutarli, confortarli, ascoltarli e imparare ad amarli in un modo un po’ diverso da prima.

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LIBRI VINTAGE «I Briganti», Antico Romanzo Cinese A cura di Laura C. Benedetti Bentornati nella rubrica dedicata ai libri vintage... e quello che vi propongo stavolta è più che vintage, è antichissimo, come recita il titolo stesso! Ecco i dati fondamentali: l'autore è Shih Nai-An e l'epoca di composizione è tra il XIII e il XIV secolo. Nella sua prefazione, Shih ci spiega come lui e diversi amici si riuniscano spesso nel suo podere: mangiano, bevono, parlano di politica e conversano in armonia, e gli studiosi di oggi ritengono che sia stato proprio l'incontro tra molte menti a dar vita a questo monumentale romanzo, che a sua volta si ricollega ad eventi avvenuti nel XII secolo.

INFO Editore: Einaudi collana "I millenni" Anno 1 ed: 1956 (fuori commercio)

"I Briganti" è uno dei quattro grandi romanzi classici dell’antica Cina. Quella che ci viene narrata è l’avventurosa epopea di cui è protagonista una specialissima, festosa banda. Invincibili in campo aperto, diabolicamente astuti nella guerriglia, temerari nel pericolo, spietati nella vendetta questi 108 masnadieri non sono soltanto uomini d’arme e di rapina. Cavalieri d’un semplice e generoso ideale essi accorrono fulminei là dove l’ingiustizia opprime i deboli e gli inermi, o ovunque ci sia da far roteare la spada contro la corruzione che avvelena la vita pubblica; sempre disposti, d’altra parte, tra una battaglia e l’altra (e alcune, come quelle nella palude, sono capolavori di furberia militare) a concedersi solennissime sbronze in compagnia di spiritosi bricconi. Ai funzionari del Celeste Impero sorpresi a leggere questo libro le autorità del tempo sospendevano lo stipendio per molti mesi; e questo accanimento della censura indica meglio di ogni lungo discorso critico la straordinaria vitalità polemica dell’opera. Fiumana tumultuosa e colorita di forze elementari: le armi, l’amicizia, la libertà, la sfida baldanzosa ai colpi del destino. "I Briganti" sono l’esempio più famoso di un genere di romanzo cinese che, tra l’eroico e il picaresco, si può avvicinare alla poesia di gesta fiorita nell’occidente feudale. Il volume è illustrato con stampe popolari cinesi che ben rispecchiano, nella loro pirotecnica allegria, l’anima eroica e gradassa dei briganti della palude di Liang-shan. Io affronterò il libro semplicemente come un romanzo, nei panni di un semplice lettore, ma riporterò comunque qualche notizia tratta dalla prefazione per introdurlo a chi, invece, voglia poi affrontarlo dal punto di vista dello studioso. Nei primi anni del 1100 si trovano, nelle cronache e nelle storie cinesi, cenni a un ribelle chiamato Sung, che insieme ad altri capi aveva sottomesso alcuni territori e usciva sempre vittorioso dagli scontri con l'esercito del Trono; alla fine egli ottenne la grazia e mise le sue doti al servizio dell'Imperatore. Le imprese di quest'uomo vennero tramandate e rielaborate, furono materia di canto per bardi e novellieri ambulanti, e la Storia e la leggenda confluirono infine nel romanzo. Franz Kuhn, traduttore dal cinese al tedesco e autore della prefazione che cito, afferma di aver scelto un tipo di traduzione non "completa e rigorosamente filologica" bensì "libera", per ottenere ciò che è l'originale per la Cina: "un divertente romanzo popolare". Come lettrice del testo italiano mi sono spesso trovata a dire "ancora un capitolo e poi basta" ed a continuare, segno che l'intento di Kuhn è stato abbracciato e stupendamente ottenuto anche dalla traduttrice italiana Clara Bovero. A prima vista questo libro mi ha subito riportato alla mente un romanzo di cappa e spada: già nei primi capitoli

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ci si trova davanti a un capitano delle guardie un po' spaccone e forte bevitore, ma dall'indole onesta e che non esita ad aiutare una donzella in pericolo a costo di mettersi contro le autorità. Fin dalle prime righe, poi, emerge il concetto della corruzione serpeggiante tra i funzionari civili e militari: questo è il nocciolo della storia, proprio perché i briganti del titolo sono tutti, chi più chi meno, vittime di ingiustizie, intrighi e torti orditi contro di loro da superiori avidi, lussuriosi o violenti. Il romanzo, diviso in libri a loro volta suddivisi in brevi capitoli dai titoli italiani molto accattivanti, segue mano a mano le vicende individuali dei vari "campioni" e futuri ribelli: alcuni sono vagabondi, ladruncoli, contrabbandieri od osti disonesti che derubano i ricchi mercanti con la scusa che queste ricchezze sono state accumulate a spese dei poveri, altri sono invece scrivani, capitani delle guarnigioni o funzionari governativi che si trovano, loro malgrado, invischiati ed incastrati dalle invidie dei superiori. Nonostante questa apparenza da Robin Hood dell'antica Cina, però, ci sono aspetti del romanzo che mi hanno lasciato interdetta: probabilmente bisogna "entrare" completamente nell'atmosfera di un altro paese e di un'altra epoca, ma è piuttosto difficile considerare questi banditi come amici del popolo quando, per punire uno dei cattivi, massacrano anche tutta la sua famiglia, i servitori e le persone del suo seguito, donne e bambini compresi. Vi sono poi alcuni capitoli in cui i capi dei banditi, per attirare al loro fianco uomini forti e valorosi che ci starebbero proprio bene come alleati, commettono azioni crudeli e barbare come se nulla fosse, chiamandole "astuzie". Compaiono anche atti di cannibalismo puro e crudo, intesi non solo come vendetta, e questi aspetti potrebbero forse disturbare alcuni lettori. In generale, però, il romanzo mantiene le sue promesse di "opera popolare": ci sono fughe, inseguimenti, battaglie campali, duelli, tradimenti, colpi di scena, avventure e disavventure di vario genere, tragiche o divertenti, e personaggi di ogni sorta, anche se spesso ricorrono alcuni stereotipi. I briganti sono più o meno tutti uomini forti, coraggiosi, espertissimi nell'uso di un certo tipo di arma o dotati di un talento particolare (il fabbro, il sarto, il falsificatore di sigilli), vittime di perfidie e soverchierie altrui, e non mancano gli elementi sovrannaturali. Alcuni capi dispongono di incantesimi offensivi o difensivi, oppure a scopo pratico come la possibilità di percorrere lunghissime distanze in un solo giorno, e anche queste magie hanno la loro importanza nello svolgersi degli eventi. Potrebbe essere difficile raccapezzarsi coi nomi, tra Lu, Li, Shu, Tai, Tsung, Wu e così via, singoli o combinati insieme, ma la maggior parte delle volte i personaggi sono introdotti uno per volta e dotati di un soprannome ben riconoscibile come Cranio di Pantera o Monaco di Ferro: io ho perso per strada qualche personaggio solo nel finale, quando ne venivano citati trenta in poche righe, ma nel complesso ho sempre avuto chiaro chi era l'attore della scena che leggevo. La storia, che all'inizio può parere composta da episodi slegati l'uno dall'altro, ha un filo logico che si riannoda verso la fine: naturalmente bisogna aver la pazienza di leggere 700 pagine per saperlo! Protagonista secondario è anche il paesaggio: la vasta palude del Liang-shan è lo scenario in cui i banditi hanno il loro covo inespugnabile, ma la scena si sposta spesso tra città, villaggi, poderi, creste montuose, boschi e templi, e le descrizioni mi hanno fatto immergere con facilità in un'atmosfera resa con maestria e tinte vivaci. Ultima curiosità, che cito perché sono appassionata di videogiochi: vi è una serie chiamata "Suikoden" in cui in tutti i titoli, che rientrano nel genere del gioco di ruolo, il protagonista riunisce intorno a sé 108 personaggi denominati "stelle del destino", spesso per contrastare forze politiche o magiche malvagie; non solo, ma nel corso del gioco si ottiene un quartier generale che man mano diventa sempre più grande per accogliere tutti, e questi personaggi non sono solo guerrieri con cui combattere ma diventano anche gestori dei vari negozi di armi, oggetti, cibi e così via. Appunto da questo libro trae ispirazione l'idea di fondo di "Suikoden", poiché anche nel romanzo ci sono, al comando dei briganti, 108 capi, 108 campioni radunatisi da ogni angolo della Cina sotto una causa comune, ognuno con una propria attitudine e particolarità.

INCIPIT (prime righe del cap. I) In una sala da tè sulla via principale della città di Wei-chou nella provincia dello Shansi entrò un viandante e ordinò una tazza di tè con spuma di mandorle. - Dov'è il comando del vostro presidio? - domandò al padrone. - Pochi passi più su, nella via principale. - Sapete se per caso un certo Wang Tsin, già maestro d'armi nella Guardia del corpo dell'imperatore a K'ai-feng fu, presti ora servizio qui da voi? - È meglio che lo domandiate a quello là. E il padrone indicò un uomo grande e grosso, che stava appunto varcando la soglia: indossava

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una cotta d'arme verde pappagallo e in testa portava un berretto ricamato a croci uncinate; sul dorso gli ciondolava una nappa intrecciata con due anelli d'oro, a forma del nome del capoluogo di provincia, T'ai-yuan; gli cingeva i fianchi una sciarpa azzurra e nera con due cocche ricadenti sulle cosce; ai piedi aveva un paio di stivali giallognoli, di zampa d'aquila, con quadruplice cucitura. Viso pieno, orecchie grandi, naso diritto, barba intera, rossa e vellosa, come la portano i barbari del Nord. Di statura poteva misurare otto piedi, di vita circa dieci spanne. - Ăˆ il capitano Lu Ta, della nostra guarnigione, - mormorò il padrone all'orecchio del forestiero.

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MILLE SFUMATURE DI ROSA CONTEMPORANEO «Non mi piaci ma ti amo» di Cecile Bertod, dal self alla casa editrice Newton Compton A cura di Fabiana Andreozzi

Carissime lettrici romantiche e sognatrici oggi voglio spendere qualche parola per una nuova autrice che con i suoi libri fa ridere, disperare e sognare: Cecile Bertod. Titolo: Non mi piaci ma ti amo Autore: Cecile Bertod Editore: Newton Compton Genere: Chick lit, New Adult, Rosa Data: 19 febbraio 2015 (ebook) / 26 febbraio 2015 (cartaceo) Pagine: 288 Prezzo: 9,90€ (formato cartaceo) / 4,90€ (formato ebook)

Cosa faresti se per ottenere un'eredità ti chiedessero di sposarti? Thomas e Sandy: lui nobile, ricchissimo, lei di una comune famiglia londinese. I genitori di Sandy sono molto amici del nonno di Thomas, per questo trascorrono sempre le vacanze estive a Canterbury, in una favolosa residenza, ma Sandy odia andarci, perché detesta Thomas. I due si perdono di vista finché… un giorno il nonno di Thomas muore, il suo testamento viene aperto, così il ragazzo si trova di fronte a un annuncio sconvolgente: il nonno gli lascia tutto, ma a patto che lui metta la testa a posto e si sposi. E con chi? Con la ragazza che secondo il nonno fa per lui, proprio quella Sandy Price che non vede da almeno dieci anni. Nel testamento il ricco signore ha previsto tutto nei minimi dettagli. Chi dei due rifiuterà, perderà l’eredità. E se nessuno dei due accetterà, l’intero patrimonio andrà in beneficenza. Sandy si trova in una strana situazione: è disoccupata e sta per comprare un bistrot da ristrutturare con le sue amiche. Ma la banca all’ultimo momento non le concede il finanziamento. Perciò, di fronte all’ipotesi di avere i soldi necessari al suo progetto, accetta la proposta di Thomas. Viene celebrato un finto fidanzamento per aggirare le rigide regole fissate dal nonno, finché qualcosa di inatteso sembra accadere tra i due. Ma l’happy ending è lontano, perché quando il sogno del nonno sta per essere coronato, ecco che sul più bello, proprio in una chiesa, scoppia il putiferio. E non sarà facile, per Thomas, riacciuffare il perduto amore… Qualcuno di voi forse sa di chi sto parlando perché ha avuto già modo di leggere qualche suo romanzo pubblicato in Self publishing su Amazon nel 2014. I titoli sono tanti e sono uno più spassoso dell’altro: Wife with Benefit, L’assistente ideale, Il gangster dei miei sogni, Tutto ma non il mio tailleur!, Solo con te (questo non fa ridere perché è un erotico). Purtroppo al momento non sono disponibili

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in quanto l’autrice ha compiuto un salto di qualità passando dalla pubblicazione self a quella con una casa editrice, la Newton Compton. Ora potrete gustarvi in edizione ebook e cartacea il suo primo successo sulla rete, Wife with Benefit, in una nuova versione che risalta per alcuni cambiamenti soprattutto a livello stilistico, che hanno reso la lettura ancora più scorrevole e fluida. Mi sono letteralmente innamorata di questo libro in versione Self che a partire dal titolo e dalla copertina catturavano l’attenzione con un forte impatto visivo. Non nascondo che all’inizio, guardandola di sfuggita, pensavo fosse un libro della mia amata Kinsella e invece era di una perfetta sconosciuta. Mi ci sono fiondata senza ripensamenti sperando di aver scoperto un nuovo fenomeno del genere chick-lit, che apprezzo scritto solo dalle mani sapienti della Kinsella ebbene dopo averlo letto su un cellulare, litigando Vignetta disegnata dall'autrice con l’applicazione per l’acquisto dell’ebook, con tutto il mio trentotto Cecile Bertod di febbre, posso dire che mi sento proprio di aver scoperto un’autrice italiana veramente talentuosa. Non ho avuto una conferma ma addirittura cinque. I suoi libri si divorano in poco tempo perché ti prendono in un modo che non riesci a resistere dall’andare avanti. Inoltre la bravura che le riconosco è proprio quella di saper passare da generi diversi senza aver tentennamenti e scivoloni di stile. Questo piccolo fenomeno Italiano, sì care lettrici è proprio italianissima nonostante il suo nome e cognome possano trarci in inganno, alla fine è stata notata dalla Newton Compton che oggi ci ripropone Wife with benefit con un nuovo titolo e una nuova veste grafica. Non mi piaci ma ti amo che seppur somiglia a tanti altri titoli che la casa editrice ci propina, nel suo controsenso racchiude perfe ttamente il tema del libro: l’odio/amore dei due protagonisti Sandy e Thomas. La copertina ci tengo a dirlo è una delle più riuscite della casa editrice che di solito mette lucciole per lanterne. Stavolta la villa sullo sfondo e la donna di cui si vede solo il vestito e le gambe lunghe mi fanno pensare proprio a quello che c’è scritto nel romanzo. Ci rivedo la tenuta di famiglia in cui scorrono tutte le vicissitudini e le acredini tra i personaggi; ci rivedo Sandy in questa posa un po’ impacciata e buffa. Insomma nonostante l’accanimento e l’affezione che avevo per la vecchia grafica e per il vecchio titolo ormai mi sono innamorata anche di questa. Il romanzo racconta le vicissitudini di Sandy e Thomas che si odiano dalla notte dei tempi ma sono costretti a fingere un matrimonio a causa di un testamento che li lega per dieci anni.

Estratti «Potresti almeno smetterla di chiamarmi in quel modo? Lo trovo inutilmente irritante». Come è lecito supporre, decido di ignorarlo. «Come vuoi, tesoro. Ecco, come stavo cercando di dirti…». «Non voglio che mi chiami neanche tesoro. Sandy, cosa accidenti ti prende?» «Lo so che sei arrabbiato, pasticcino, ma non ti sembra di esagerare?» «Pasticcino? Dimmi che non è vero. Mi hai chiamato pasticcino? Sandy, il mio nome è Thomas!».

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«Fermi un attimo!», esplodo con espressione spiritata. «Non so cosa abbiate in mente, ma posso garantirvi di non volerne prendere parte. Thomas, so che ti risulterà difficile crederlo, ma non ho alcuna intenzione di sposarti. Perdona la franchezza, ma sappi che ti odiavo da bambino, ti detestavo da adolescente e devo ammettere che, adesso che sei adulto, arrivi addirittura a inquietarmi». «Sposarmi?», e scoppia a ridere. «Ma no, che hai capito?». Scegliere qualche estratto da condividervi è un’impresa titanica perché non c’è un passo del libro che non mi sia piaciuto o in cui non mi sia ritrovata a ridere da sola di gusto. Adoro Sandy e Thomas e i loro continui diverbi. Sono in lotta tra loro da una vita e quasi non si ricordano più i m otivi. Ebbene di questo libro ho amato tutto, la storia avvincente, i dialoghi sempre serrati e spassosi che tenevano il ritmo giusto con la narrazione... Cos’è cambiato in Non mi piaci ma ti amo oltre al titolo e alla cover? Ho avuto il piacere di rileggere il libro in anteprima rispetto alla sua uscita e anche se ricordo benissimo la storia, i suoi personaggi principali, le disavventure in cui rimangono invischiati, devo dire che sono rimasta sorpresa, piacevolmente. Lo stile è più fluido, più pulito, tanto che alcuni passaggi scorrono molto più di impatto e con una freschezza maggiore. Vi sembrerà assurdo ma a tratti ho avuto come l'impressione che, nonostante conoscessi il libro, lo stessi leggendo ora per la prima volta perché ogni tanto qualche dettaglio mi appariva diverso. Ammetto che non ho resistito a confrontare di tanto in tanto le due versioni del romanzo tanto per rendermi conto di non soffrire di vuoti di memoria. Avendo stalkerizzato in ogni modo possibile l'autrice leggendo praticamente tutti i suoi testi, posso dire che in questa nuova versione del romanzo, il suo stile è cresciuto ed è più maturo, come si poteva già evincere dal suo ultimo lavoro self "Tutto, ma non il mio Tailleur". Vediamo se riesco a trovare le parole giuste per riuscire a spiegare come mai amo questo libro (oltre che tutti gli altri della stessa autrici) ma ogni frase mi sembra troppo vuota e non esaustiva. Mi piace perché a conti fatti è un romanzo rosa che però semplicemente rosa non lo è... quindi può essere apprezzato anche da chi non ama in toto questo genere troppo sentimentale. Il romanzo è incentrato sulla guerra all'ultimo sangue che si faranno Thomas e Sandy, guerra di parole, di intenzioni ampiamente dimostrate. Un duello verbale che non perde colpi, non perde ritmo, va avanti per molte pagine del libro e ci si domanda quando e come i due protagonisti cederanno al sentimento... nonostante ciò non stanca assolutamente, anzi è proprio questa guerra all'ultimo colpo a rendere la storia viva, palpitante, mai monotona e scontata come accade in tanti rosa che ho letto, dove tutto finisce troppo precipitosamente negli sbaciucchiamenti e nelle dichiarazioni da bacio Perugina. Insomma si è capito che sono per le storie in cui i due non cadono come allocchi nell’amore eterno fin dalle prime pagine. E poi dopo tanti scontri compare la parte più romantica, quella che ci fa sognare, ben sperare per i nostri cari protagonisti. Sì perché nel frattempo, abbiamo imparato ad amare Thomas e a non poter fare a meno di lui, non ci appare più come il viziato nipote del conte ma viene investito di nuova luce (Non vi aggiungo altro perché non voglio spoilerare il testo che va assolutamente letto). Comunque ormai sono totalmente e svisceratamente innamorata di lui. Anche Sandy che all’inizio appare un po’ pazza, svampita e combina guai prende contorni più romantici e teneri e ci appare molto ma molto umana e reale. I personaggi sono caratterizzati a tutto tondo e hanno una loro graduale crescita. È talmente piacevole trascorrere del tempo con loro che ti viene voglia di leggerli all’infinito.

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A sorpresa la nostra autrice ha aggiunto un epilogo per tutte le lettrici dal cuore tenero e romantico. A me non dispiaceva neppure la versione senza che era comunque perfetta! Ma se devo essere sincera fino in fondo qualche pagina in più di un libro che si è amato non dispiace affatto, anzi obbligherei Cecile Bertod a raccontarci ancora qualcos'altro di loro, non perché non l'abbia saputo fare già in maniera egregia ma solo perché di Sandy e Thomas e dei loro battibecchi non si può più fare a meno. Ebbene ve lo dico, lo rileggerò una terza volta in cartaceo perché questo romanzo merita veramente e non annoia mai... Al contrario crea grave dipendenza e assuefazione! E ve lo dice una lettrice compulsiva, che non legge mai un libro più volte e le uniche eccezioni finora sono stati "Orgoglio e Pregiudizio" e "La casa degli spiriti". Chiudo con un altro piccolo estratto dal libro e un’altra immagine realizzata dalla nostra poliedrica autrice che si diletta anche a realizzare vignette dei suoi libri.

«Non sarai geloso?», lo stuzzico. «Ovviamente no! Ma vorrei evitare di diventare lo zimbello del paese solo perché la mia presunta futura moglie se la intende con il personale di servizio», bofonchia, aprendo una porticina accanto alla credenza. «Da qui si scende in cantina. Sta’ attenta ai gradini», ordina brusco. «Agli ordini!», sbotto, stizzita da quel tono autoritario. «E poi ti stupisce che la tua fidanzata abbia una tresca con il giardiniere?» «Non ho mai detto che mi stupisce, tutt’altro. Lo trovo perfettamente in linea con il tuo profilo psicologico». «Una cosa è certa: Joe ne ha parecchie di cose da insegnarti su come si tratta una donna». «Splendido! Adesso dovrei farmi spiegare dal giardiniere come portare avanti un rapporto di coppia», scuote il capo incredulo. «Rapporto di coppia? Fossi in te inizierei con qualcosa di più semplice, come assimilare le comuni norme di buon vicinato. Sai, cose tipo “non investire le vecchiette quando attraversano la strada”. Si impara prima a camminare, poi a correre…». Non mi risponde. Affretta il passo e raggiunge l’angolo lavanderia. «Dovrebbe essere quella». Mi indica con la torcia uno scaffale di legno in cima alla parete, poi si allontana e prende a gironzolare nella stanza. Vignetta disegnata dall'autrice «Dove hai messo la scaletta?» Cecile Bertod

Viva il Made in Italy che ci sta regalando una sorpresa dietro l’altro, sempre più azzeccata ed emozionante.

Un grande in bocca al lupo alla nostra Cecile Bertod e al suo Non mi piaci ma ti amo che ci stanno regalando calde risate. 15


SCORCI DAL MONDO INCANTATO «Per tutto il tempo che ci resta» di Valentina Bazzani

A cura di Francesca Ghiribelli Titolo: Per tutto il tempo che ci resta Autore: Valentina Bazzani Pagine: 151 Prezzo: 2,97€ (formato ebook) Hamelin, capelli biondo ramati e occhi azzurri, vive con il padre e i due fratelli in un mondo dove la brulla terra e le svettanti rovine di antichi grattacieli sono oppresse da un onnipresente cielo infuocato. È un mondo parallelo al nostro, un pianeta morente le cui risorse sono ormai da tempo esaurite. Un giorno, dinanzi alla tomba della madre morta molti anni prima, il ragazzo viene avvolto all'improvviso da un'intensa luce. Sam è una ragazza di Los Angeles, che condivide l'appartamento con la sua migliore amica, Ellen, e lavora in una biblioteca. Una sera d'autunno, mentre attende l'autobus, ode un forte tuono e viene abbagliata da un lampo. Come per magia un ragazzo è comparso in mezzo alla strada, confuso e spaesato. Chi sarà mai questo ragazzo, e come ha fatto ad arrivare li? Una storia d'amore che vi farà riflettere sul vero significato dell'espressione colpo di fulmine. Per tutto il tempo che ci resta è la storia di due persone che non si sarebbero mai dovute incontrare ma le cui vite si intrecciano per uno strano scherzo del destino, e se quest'ultimo decidesse di rimediare al proprio errore?

ESTRATTO Prendo i vestiti che Sam mi ha lasciato sul divano e vado in bagno a farmi una doccia e cambiarmi. Ho ancora la maglia sudata, incrostata di sangue e fango addosso e puzzo. Appena entro in bagno, apro l’acqua e mentre si riscalda mi guardo allo specchio. Ho un aspetto orribile. I capelli sporchi, le occhiaie profonde come se non dormissi da giorni, qualche livido che sta affiorando. Ma non è quello a impressionarmi. Al centro del mio petto un simbolo, tre semicerchi che si intersecano a tre punte, spicca sulla pelle chiara come se fosse impresso a fuoco. Non posso crederci, non so come quel tatuaggio, che sfioro con i polpastrelli notandone la regolarità dei contorni, sia lì dove lo vedo. Non ne conosco il significato, sembra un simbolo antico e di certo ha una storia che mi riguarda in qualche modo, ma quale? Decido di non pensarci per ora e di buttarmi sotto il getto bollente. Sentire il calore dell’acqua sulla mia pelle è un sollievo e mi fa tornare in mente un altro calore, accompagnato da una luce abbagliante, ma sono confuso… non ricordo. Non so cosa sia successo, come mi sia ritrovato in quella strada e non so da dove venissi

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prima, di sicuro non da questa città. Nulla mi è famigliare. I volti delle persone, così indifferenti e schive, mi sembrano estranei, quasi alieni... tutto, tranne il suo volto quando mi ha guardato preoccupata mentre mi chiedeva come mi sentivo, e il suo sorriso sollevato e gentile quando ha capito che stavo bene. Quando l’ho vista, non so se fossero stati i suoi lunghi capelli castani mossi dal vento, che bagnati mi sfioravano la faccia, i lineamenti puliti e freschi, gli occhi vivaci di un intenso nocciola incorniciati da folte ciglia o il sorriso che cercava di essere rassicurante, ma un fremito mi ha scosso il cuore. So che dovrei essere spaventato, forse arrabbiato, ma una parte di me è felice di averla incontrata e di esserle vicino. Era molto che non leggevo un romanzo così dolce e romantico. La trama può assomigliare all’apparenza al solito new adult ma, se ci si sofferma ad analizzarlo per intero, posso soltanto affermare che l’autrice ha molto talento nel personalizzare con la sua vena artistica la trama del suo libro accendendo di potenziale fascino i suoi personaggi. Tutto nasce da un evento soprannaturale: da una parte un ragazzo dal fisico accattivante proveniente da un mondo parallelo che viene colpito da un fulmine davanti alla tomba di sua madre, dall’altra Sam, una ragazza dolce e riservata, restia ad aprire i suoi sentimenti agli altri. Due universi davvero diversi di due protagonisti che danno una spiccata sfumatura di fantasy e di paranormal a questo romanzo. Ho trovato anche delle venature un po’ hot che stuzzicano la storia d’amore principale donandole quel fascino seducente, con cui noi appassionate di romance e d’amore ci affezioniamo veramente. Una trama scorrevole e un’alchimia fra i due personaggi davvero tangibile fin dalle prime pagine. Una storia che nella sua semplicità ci accompagna in punta di piedi a conoscere le tante sfaccettature di un amore da favola e altrettanto impossibile da vivere. Io ho amato questa storia perché, anche se adoro il lieto fine, mi ha fatto molto più emozionare di altre più scontate. Per questo regalo quattro stelle al lavoro dell’autrice, non ne do cinque per il semplice fatto che avrei voluto che la storia legata al tatuaggio e al passato di Hamelin, il protagonista, fosse sviluppata meglio e magari allargata attraverso tutta la trama. Un piccolo input per far crescere sempre di più una scrittrice esordiente, che sicuramente ha ancora molto da regalarci. Un libro da consigliare per gli amanti di new adult, paranormal e fantasy o anche soltanto semplicemente di romance!

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THE HORROR! THE HORROR! «La casa delle anime morte» di Stuart McBride

A cura di Loredana Gasparri Titolo: La casa delle anime morte Autore: Stuart McBride Editore: Newton Compton Pagine: 466 Sono passati molti anni dalla cattura di un efferato criminale che torturava sadicamente le sue vittime, ma le tracce dei suoi metodi riappaiono in una serie di nuovi aberranti crimini. Nella città scozzese di Aberdeen il sergente Logan McRae viene chiamato in piena notte per recarsi in un magazzino di alimentari. La scoperta è raccapricciante: in un freezer sono state ritrovate membra umane avvolte in carta da alimenti ed è probabile che alcuni pezzi siano già finiti sulle tavole di ignari consumatori. Tra giornalisti e fotografi accorsi sul posto, l'ispettore Insch, solitamente flemmatico, stavolta ha perso davvero le staffe. Tutti gli indizi sembrano far pensare a Ken Wiseman, tornato da poco in libertà dopo vent'anni di carcere. Ma non c'è traccia di lui e nonostante gli sforzi la polizia non riesce a scovarlo. La narrazione incalza seguendo le prospettive dei diversi personaggi: i giornalisti a caccia di notizie, gli agenti di polizia e una donna, Heather, rapita assieme al marito Duncan e torturata da un mostro che lei nei suoi deliri chiama "il macellaio". Ma all'improvviso Wiseman si fa vivo con un nuovo colpo di scena: ha catturato l'ispettore Insch. Questo romanzo è arrivato in un momento in cui avevo particolarmente bisogno di horror. E devo dire che ne ho avuto in abbondanza...Siamo in Scozia, nel freddo e nello squallore di alcune zone più depresse di Aberdeen. La scoperta di resti umani in un Cash and Carry, fornitore abituale di mense e ditte di catering, è la scintilla che provoca una tensione molto forte in città, e per tutto il romanzo. La struttura è quella classica del thriller: resti umani rinvenuti per caso, prime indagini quasi sotto shock dovute alla natura particolarmente orrenda della scoperta, che si ripete varie volte fino all'indicazione della presenza di un serial killer, polizia sotto tensione estrema nel tentativo di evitare altre morti e l'aumento di una tensione fuori controllo, lieto fine sofferto. Gli elementi che lo caratterizzano a suo modo sono di diversa natura. Per esempio, l'ambientazione. Niente metropoli americane, con il loro contorno di violenza sbrigliata, ma la fredda e granitica Scozia. Una città storica e

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asciutta come Aberdeen, meta turistico-culturale molto famosa, che qui rivela un suo lato bianco-squallido, quasi al limite del patologico. Gli edifici in cui i personaggi si trovano a muoversi, soprattutto agenti di polizia più o meno sotto shock, ed un giornalista eccitato dal sangue e dalla prospettiva di costruirsene una gloria attraverso, sono quasi tutti invasi dalla rovina, dal degrado, dall'abbandono, se non addirittura dalla putrefazione di cadaveri di animali lasciati marcire all'aperto. I rapporti stessi tra i poliziotti, tra Logan McRae, un investigatore brillante suo malgrado, che nasconde il proprio cervello sotto cicatrici e paure, e i suoi colleghi e superiori, sono piuttosto squallidi, all'insegna di un cameratismo un po' pesante, che maschera un'indifferenza di fondo verso i sentimenti altrui. Ciascuno di loro sembra chiuso in un suo personale guscio di egoismo che gli mostra solo i propri bisogni e obiettivi, spingendolo a pretendere che gli altri li aiutino a perseguirli, piegandosi senza discutere alle loro esigenze. Il superiore diretto, l'ispettore Insch, è una versione degradata dell'ispettore Callaghan vestito da Clint Eastwood; i modi spicci e violenti verso i criminali sono gli stessi, ma privi di una certa patina da eroe vendicatore che Hollywood stende molto generosa su questi personaggi. L'ispettore nasconde un animo piccolo, che lo spinge a usare la violenza verso i malfattori, convinto di agire per il bene, ma essenzialmente desideroso di dare uno sfogo legittimato al proprio lato oscuro. Il serial killer, ribattezzato il Macellaio per la sua morbosa attività di uccidere esseri umani e trattarli come bestie di allevamento per darne da mangiare le carni, è mortale, silenzioso, brutalmente efficiente. Una delle sue vittime viene risparmiata, per un bizzarro sussulto del suo cuore assassino, e rapita e nutrita quasi amorevolmente con carni cucinate alla perfezione, di cui non si è mai sicuri se sono davvero umane, nonostante le apparenze. Il Macellaio andrà incontro al suo confronto finale con le forze di polizia, e la vittima, una donna inaspettatamente forte e coraggiosa di nome Heather, tornerà alla sua vita quasi normale, dopo il periodo di prigionia passato con il suo strano aguzzino, caratterizzato da angosce e allucinazioni. Tuttavia...qualcosa stona nella normalità di Heather. Non tutti i suoi modi di fare sono da sopravvissuta ad un trauma. Al contrario. Qualcosa del suo carnefice sembra essere entrato in lei, attraverso quelle bistecche e quegli spezzatini preparati con tanta maestria. Naturalmente, l'autore non si sbilancia troppo, e con il suo stile asciutto e umoristico da scozzese lucido, vira lontano dalla vita della traumatizzata inquietante e si stempera in un articolo di giornale che riepiloga l'intera vicenda del Macellaio fino al suo (presunto) lieto fine.

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CHIACCHIERANDO CON... Mauro Saracino

A cura di Giovanna Samanda Ricchiuti 1. Sono lieta di ospitare su Eclettica Mauro Saracino, direttore editoriale della Dunwich Edizioni! Come e quando nasce la tua casa editrice? E come mai proprio il nome Dunwich? Le origini della Dunwich risalgono a gennaio del 2013. Sono solo due anni ma a me sembrano venti. Ne sono cambiate di cose dall’inizio! Per quanto riguarda il nome, volevamo qualcosa che richiamasse un concetto preciso e un omaggio a Lovecraft ci sembrava perfetto. Credo che pochi autori abbiano influenzato la narrativa fantastica quanto il Solitario di Providence. 2. Hai incontrato delle difficoltà entrando nel mondo editoriale? Il mondo editoriale è pieno di difficoltà ma è normale. Ce ne sono quando scrivi, quando fai l’editore e a volte anche quando sei un semplice lettore (hai mai provato a entrare in libreria con la voglia di leggere un vero horror che non sia scritto da Stephen King?). Ma se non ci fossero difficoltà dove sarebbe la sfida? 3. La più grande soddisfazione che hai avuto da quando ti sei lanciato in questa avventura. Ce ne sono moltissime ed è difficile sceglierne solo una. La prima che mi viene in mente è in realtà un fenomeno in fieri, vale a dire vedere la casa editrice continuare a crescere, giorno dopo giorno, con nuovi autori che entrano a far parte della scuderia, nuove librerie che espongono i nostri titoli e librai entusiasti di far presentare i nostri scrittori. Davvero non c’è soddisfazione più grande. 4. Come mai hai deciso di puntare maggiormente sui generi horror, thriller e mistery? Perché sono sempre stato a favore degli outsider. A parte gli scherzi, come lettore sono i generi che prediligo ed è stata naturale voler cominciare a lavorare con qualcosa con cui avessi familiarità. 5. Tre caratteristiche che non possono mancare in un horror e tre che non possono mancare in un thriller. Vediamo, questa è difficile. Anche perché sarebbero caratteristiche soggettive e non mi sono mai soffermato sulla differenza di generi (potrei risponderti con una controdomanda cattiva: Saw è un thriller o un horror?). In ogni caso direi che un horror debba essere sanguigno, disturbante e senza censura. Un thriller deve avere una grossa carica di suspense, un cattivo ben strutturato e una storia il p iù possibile povera di cliché.

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6. Da poco, è nata anche una collana dedicata a romanzi paranormal romance,“Rosa Gotica”. A cosa è dovuta questa scelta? Volevamo dare spazio sin dall’inizio anche al lato meno violento e più sognante del sovrannaturale. Quando un nostro collaboratore è entrato in contatto con Jennifer Sage abbiamo dato il via alla nuova collana. 7. Come avviene la scelta e la pubblicazione di un testo? Cosa deve avere un testo per essere scelto pubblicato da voi? Adesso come adesso è molto difficile anche perché abbiamo un piano editoriale molto fitto e per forza di cose i pochi spazi liberi vengono assegnati con parsimonia. In genere comunque ci affidiamo al fiuto. Quella che cerchiamo è l’idea vincente, poco conta il lavoro che bisogna fare in fase di editing per rendere l’opera fruibile. 8. Parliamo della promozione. Come promuovete un libro del vostro catalogo? E quanto sono importanti i social network per farsi conoscere? La promozione è fondamentale, nel web e fuori. Innanzitutto abbiamo stretto collaborazioni con molti blog e portali. Con alcuni si è sviluppato un rapporto di fiducia reciproco e posso dire senza remore che è anche grazie al loro impegno che siamo cresciuti tanto. I social network sono importanti per diversi motivi, prima di tutto per mantenere i contatti con i lettori, ricevere feedback e poterli aggiornare sulle varie novità in tempo reale o quasi, soprattutto per il settore degli ebook. D’altro canto è bene non dimenticare i libri di carta che godono ancora di ottima salute. Per questo cerchiamo di essere presenti il più possibile sul territorio e di organizzare un buon numero di eventi, oltre che partecipare alle manifestazioni più importanti come il Salone del Libro di Torino. 9. Sei anche uno scrittore, con alle spalle molte pubblicazioni. È più difficile essere scrittore o editore? E a quale tua pubblicazione sei più legato? Ti dirò, mi trovo meglio nel ruolo di editore e infatti sto trascurando senza pietà la mia attività di scribacchino. Ma è giusto così, nel corso degli anni si cambia e quello che mi sembrava fondamentale anni fa ora ha perso in qualche modo la sua attrattiva. Vediamo, la pubblicazione a cui sono più legato è di sicuro La Casa del Demone. Anche se non ho più riletto quel romanzo – e credo che mai lo farò – è stato comunque il mio battesimo nel mondo editoriale ed è stata un’esperienza che mi ha insegnato moltissimo. 10. L'intervista è finita. Un caro saluto a te e alla Dunwich Edizioni, e un grande in bocca al lupo per le vostre future pubblicazioni! Grazie per l’intervista Giovanna e per lo spazio che ci dedichi sempre!

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L’ANGOLO DEGLI ESORDIENTI-EMERGENTI Giulia Borgato e il suo Angelo

A cura di Lidia Ottelli

Ciao Lettori! Per questa nuova uscita parlerò non solo di un’autrice bravissima, ma anche di un’amica. Giulia Borgato. Giulia ha pubblicato nel 2014, con molti consensi, il romanzo “Accanto a un Angelo” di cui parlerò oggi. Una storia d’amore tra un Angelo e una ragazza comune.

Giulia Borgato è nata a Padova 1980. Felicemente sposata e amante dei gatti, esordisce nel 2013 partecipando all'antologia urban fantasy-paranormal romance Elements Tales con il racconto “Promesse mantenute”. Nel novembre dello stesso anno pubblica un altro racconto, il poema di “Antenore”, ispirato al mitico fondatore della sua città. “Accanto a un angelo” è il suo primo romanzo.

Titolo: Accanto a un angelo Autrice: Giulia Borgato Prezzo: 0,99€: (formato ebook) Ci sono angeli che vivono nascosti tra noi. Perché sono sulla Terra? E cosa cercano tra le terzine della Divina Commedia? Giulia è una ragazza appena diplomata, innamorata di Daniel da anni. Lui ricambia i suoi sentimenti, ma per proteggerla non glielo ha mai rivelato, perché Daniel, in realtà, è proprio uno di questi angeli. Quando si trovano a vivere l’uno accanto all’altra, Daniel non può più trattenere l’amore che prova per lei e le confessa di contraccambiarla. Il pericolo però è in agguato; gli angeli caduti lo vogliono dalla loro parte e devono impedirgli di imporre il marchio alla ragazza. L’amore di Daniel e Giulia è abbastanza forte da essere la chiave della salvezza dell’angelo, e forse, anche dell'umanità?

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E gli angeli arrivano a Padova. Un urban fantasy che ha come protagonista un affascinante angelo di nome Daniel e una studentessa di nome Giulia. Daniel è un angelo caduto e costretto a vagare nel nostro mondo per cercare di redimersi. Giulia è una giovane semplice, carina e tranquilla. Un amore che nasce tra sguardi, sorrisi, pensieri dolci e affinità al primo sguardo. Angeli caduti, angeli che vagano sulla terra cacciati dal paradiso in cerca di un’arma, un pugnale che uccida l’angelo dannato. Una storia d’amore travolgente, sofferente che sfocia in un turbinio di emozioni. La lotta tra il bene e il male, la lotta tra apparire ed essere, tra la magia e la realtà. Finalmente, e dico finalmente, il mio genere. Un romanzo bellissimo, intenso, scorrevole e piacevole alla lettura. Come ho detto poc'anzi questo è il mio genere. Adoro gli angeli e le storie che girano attorno a loro. Ho letto “Accanto a un Angelo” tutto in un fiato, mi ha completamente avvolto. I personaggi e le ambientazioni sono degne di nota. Una città come Padova descritta alla perfezione. Ottima scrittura e come sempre bellissimo lo stile inconfondibile della Borgato. I temi che sono stati trattati sono affascinanti. Devo dire che mi ha conquistato, mi è piaciuto il misto tra storia, amore e paranormale, un racconto magico e affascinante. Ammetto che forse è un racconto più per giovani, però gli angeli affascinano sempre e tutti. Consiglio questo libro a tutti e soprattutto a giovani cui piace il fantasy romantico e alle sognatrici che aspettano il loro ANGELO NERO. Per i numerosi FANS di quest’autrice, annuncio che Giulia sta scrivendo il suo primo romance di prossima uscita.

Concludo con il nostro motto “Aiutiamo gli emergenti no all’editoria a pagamento”. Al prossimo articolo! Un affettuoso Bye-Bye dalla vostra Blogger Lidia Ottelli del Rumore dei Libri.

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Le parole

A cura di Mary Chioatto

Sbirciavo, stamattina, tra i vari social network dell’autrice Bianca Rita Cataldi – e quando mai non lo faccio, mi domando, la stimo, come amica e scrittrice, al punto di non poterne più fare a meno. Uno di quelli con tanti spaccati fotografici, uno dopo l’altro senza troppe parole… forse tumblr? Perché oggi mi sento esattamente allo stesso modo: mi mancano le parole, pensavo stamane mentre la vettura mi portava a lavoro mischiandosi al via vai furibondo di veicoli sbadati ma febbricitati che invadono l’asfalto. - Che poi dove corrono sempre tutti? Mah! - Mi mancano le parole, non le sento premermi nella testa. Mi rimane il vuoto. Il silenzio. “The silence after the storm”, come il brano di Silvio Pfiffner. Oggi mi sento solo spaccati fotografici, senza troppe parole. Lo sguardo mi scivola dabbasso, su di uno scatto tricromatico: l’avorio consunto delle pagine, l’onice liquido dell’inchiostro evidenziato da un abbagliante rosa shocking. Solo Bianca poteva giocare così con in colori, penso, mentre gli occhi iniziano a leggere.

“le parole non chiedono di meglio che l’imbroglio dei tasti nell’Olivetti portatile”

Suggestione pura, penso immediatamente. Perfette per riempire il silenzio che ho dentro. Scorro in basso la didascalia: “Parole”, di Eugenio Montale. La cerco, la poesia. Voglio sentirmela addosso. Perché le parole hanno bisogno di ritrovarsi, di fuggire, non possono rimaner incellophanate nella mente, nei dizionari destinati ai ripiani più polverosi e dimenticati della libreria di casa. Le parole vogliono essere usate, consumate. E lo dice pure più avanti, il nostro Montale.

“le parole preferiscono il sonno nella bottiglia al ludibrio di essere lette, vendute, imbalsamate, ibernate;”

Le parole vogliono vivere, essere eterni viandanti che raggiungono ogni cuore. Tutte le parole: quelle di ogni giorno, così come quelle dei tempi andati perduti. Quelle che nessuno usa più, quelle che il thesaurus nemmeno conosce e che i dizionari faticano

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a proporre. Quelle che merlettano le poesie di musicalità e che sono note placide nei pentagrammi della scrittura. Quelle che non conosco, ma che mi ritrovo a sottolineare tra le pagine dei romanzi per conquistarle e farle mie. Non voglio lasciarle morire. Perché le parole

“dopo un’eterna attesa rinunziano alla speranza di essere pronunziate una volta per tutte e poi morire con chi le ha possedute”

Carissimi, non potevo inaugurare questo articolo in modo diverso, se non con questo pensiero di qualche settimana addietro ma che torna sovente a formicolare tra i garbugli celebrali che mi ritrovo in testa. La verità è che mi mancano parole. La penna non sa alzarsi dal torpore sonnolento in cui è scivolata, nemmeno un passo, solo qualche graffio da cancellar via. Scarabocchi nella testa. Poi penso a questo treno di parole, a Bianca, a Montale. A tutti gli autori che mi hanno lasciato una parte di sè. Mi lascio scivolare tra le pagine consunte dei libri, che ho già imbrattato con mille sottolineature, scarabocchi storti sotto le emozioni. Ma chi se ne importa se sono tratti di grafite altalenanti: penso alle parole che voglio sentire dentro, quelle che non so usare e che non voglio lasciar andare. Non voglio lasciarle morire. E loro rivivono in me, in questa penna che nel frattempo ha preso a danzare e in questo blocco negli occhi che ormai non esiste nemmeno più. Abbiate sempre bisogno di parole, nei vostri scritti. Abbiatene fame, sgraffignatele dai libri, appuntatele nel vostro piccolo dizionario personale – non perdo mai di vista il mio blocchetto inaugurato qualche anno addietro, con le sole parole che non conosco, i relativi sinonimi o vocaboli che, seppur conosciuti, sono lontana dall’usarli. - Sentitele sulla pelle, le parole. Fatele rivivere, e sono certa che non ve Immagine trovata nel web, proprietario sconosciuto. ne pentirete. Note se siete curiosi di leggere per intero la poesia di Eugenio Montale, potete trovarla al seguente link: http://www.poesieracconti.it/poesie/a/eugenio-montale/le-parole

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Il gabinetto del Dottor Lamberti Pessime scuse per un massacro

A cura di Giuliano Latini «Italiani, popolo di santi poeti e navigatori». Non conosco personalmente Enrico Pandiani ma dai suoi romanzi me lo immagino un po’ poeta e un po’ navigatore. Nato cinquant’anni fa nella Torino in cui Emilio Salgari concluse la sua vita, sin da giovanissimo è navigatore di fantasia e nella realtà (nel 2013 veleggia per alcuni mesi a bordo dell’Amerigo Vespucci, la nave scuola della Marina Militare Italiana). Sin da quando è in grado di usare una matita o un pennarello con destrezza, disegna; arrivando a pubblicare fumetti su Mago della Mondadori e l’Orient Express. Collabora con La Stampa e dopo tante prove e incipit, nel 2009, pubblica la prima avventura de Les Italiens e del commissario Jean-Pierre Mordenti. Come il Commissario Maigret di Georges Simenon, anche il commissario Jean-Pierre Mordenti e la squadra Les Italiens appartengono alla Crim la Brigata Criminale. Con le avventure di Mordenti scopro il Pandiani poeta, in special modo durante la narrazione in Pessime scuse per un massacro, una storia che segnerà profondamente Mordenti e la sua squadra. In una mattina assolata lungo una strada delle campagne francesi, al cancello di una magione principesca una Citroën, con tre persone a bordo, viene crivellata di colpi con una mitragliatrice Browning calibro 50, residuato della II Guerra Mondiale. Una guardia del corpo, una vittima eccellente e la figlia, maciullati in una carcassa d’auto; il “martello pneumatico” responsabile del massacro, rimasto a raffreddare con una statuina di Babar, lasciata come testimone del macello. L’eco dei colpi calibro 50 non s’è ancora esaurito che: Mordenti, con Alain Servandoni al seguito e il tenente Roussel dell’antiterrorismo sono già in volo; il cadavere è troppo eccellente! Il Governo vuole risposte! Quello che il commissario Jean-Pierre Mordenti non immagina è che il caso lo porterà indietro nel tempo, ai mesi precedenti la caduta della Repubblica di Vichy e il riconoscimento del governo repubblicano nel ottobre del ’44. Un momento oscuro e nebbioso in cui ingenti fortune ebraiche passarono di mano e barbari omicidi vengono commessi nel nome di egoistici interessi. Un momento in cui cuori coraggiosi venivano spezzati dai colpi delle Maschinenpistole craute e Babar era il più inafferrabile tra i capitani della resistenza francese della regione. Mordenti e la sua squadra procedono con le indagini, seguendo una scia di morti legati dall’uso di armi anagraficamente pensionabili ma pur sempre efficaci, fino a scoprire le radici della furia nel desiderio di vendetta d’un cuore spezzato, malato, giunto al termine della sua strada. Un cuore che otterrà

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soddisfazione e pace postume, con la morte degli ultimi responsabili della sua frattura. Morte che costerà al commissario Mordenti un nuovo collega e la corvée di spiegare il perché di una morte sporca a chi è rimasto a casa. Trovando un focolare freddo e un divano dove dormire per dimenticare le pessime scuse per un massacro. Pandiani in questo libro, più che nei precedenti, disegna con il personaggio di Mordenti un uomo che, per lavoro, è costretto a confrontarsi col buio che alberga nell’animo umano. Un’uomo segnato ma non domo, che continua ad andare avanti conscio delle sue debolezze, dei suoi errori, delle lacrime amare versate su vittime e compagni che non si risveglieranno più. La serie Les Italiens, si conclude (solo per il momento, spero) con questo noir dal finale amaro in cui non esistono vincitori o vinti, solo speranze uccise ed una vendetta da compiere prima dell’arrivo della morte. Il libro: Pessime scuse per un massacro Autore: Enrico Pandiani Anno di Pubblicazione: 2012 Editore: Rizzoli Prezzo: 16,00€

Un’auto arriva lungo una strada della campagna francese e si ferma, aspettando che il cancello elettrico si apra per proseguire il tragitto e raggiungere la sua destinazione. In un istante viene investita da una pioggia di fuoco. A bordo dell'auto, l'anziano senatore Vigoureaux, eroe della Resistenza, con sua figlia e una guardia del corpo non hanno scampo. Il Governo è preoccupato, da quello che sembra un’attentato ad una figura storica della IV Repubblica di Francia e vuole risposte. Mordenti, Servandoni e il nuovo acquisto Roussel dovranno indagare e trovare queste risposte, partendo dalla sorgente della pioggia di fuoco. Nel boschetto che sovrasta l’ingresso della tenuta appartenuta a Vigoureaux, trovano una Browning 50 e un pupazzetto di Babar, lasciato sull’impugnatura della mitragliatrice. Partendo da queste incongruenze, Mordenti dipanerà una matassa aggrovigliata durante la II Guerra Mondiale. Scoprirà i non molto onorevoli inizi della fortuna del Senatore e di alcuni notabili della regione. Troverà il cuore infranto di Babar e il suo amore, seppellito sotto un cumulo d’oro ebreo, col piombo delle Maschinenpistole d’un esercito in fuga per la disfatta. Babar ha conservato fino ad oggi i ricordi dei suoi giorni di gloria per vendicarsi. Alla fine Babar avrà la sua vendetta, ma un’innocente pagherà per colpe non sue e Mordenti dovrà informare un’altra famiglia che qualcuno non tornerà più a casa.

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