Il Sommelier n. 4/2018

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Periodico Trimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/03 conv. Legge n. 46 del 27/2/04 art. 1, comma 1, Aut. MBPA/CN/P/0006/2016

Anno XXXVI - Numero 4 - 2018 - Dir. Resp. Roberto Rabachino - Reg. Trib. Pisa n. 21 del 15.11.1983 - Lg. 47/1948

Carlo Petrini

Cattura l’emozione, valorizza l’essenza e interpreta nuovi desideri RASTAL specialisti del beverage dal 1919 RASTAL propone una serie di calici da vino professionali, dedicati alla degustazione e alla ristorazione. Calici studiati per sprigionare gli aromi, valorizzare il gusto, ed evidenziare il colore in tutte le sue sfumature. Personalizza il tuo bicchiere per rendere ancor più esclusivo il tuo calice da vino.

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Rivista di enologia, gastronomia e turismo - Anno XXXVI n. 4 - 2018

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Marco Barbetti

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è il Miglior Sommelier FISAR 2018 – Trofeo RASTAL


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non è mai stato così facile!

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Le modalità modalità per aderire Le al tesseramento tesseramento al

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La quota sociale La quota sociale per l’anno 2019 perèl’anno 2019 di € 70,00 di € 70,00 e di €è 40,00 fino a 25 anni

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sono indicate indicate sul sul sito sito sono

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2019

TESSER A SOCIO

Ricevere la rivista di enogastronomia e turismo

Partecipare a condizioni vantaggiose alle cene, alle degustazioni, agli eventi.

“il Sommelier”.

Usufruire di sconti e omaggi nelle maggiori manifestazioni enogastronomiche nazionali (Vinitaly, Salone del Gusto, Slow Cheese, Slow Fish, ecc.). Usufruire di sconti in locali convenzionati in tutta Italia (Ristoranti, Enoteche, Cantine, Agriturismi, ecc.).

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Con il tesseramento 2019 in OMAGGIO la prestigiosa

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edita da Slow Food Editore in collaborazione con F.I.S.A.R.

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FISAR Nazionale

@FisarNazionale

segreteriafisar

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Anno XXXVI - Numero 4 - 2018

Fisar è l’esigenza di interpretare un prodotto di eccellenza e diffonderne la cultura di Graziella Cescon, Presidente Nazionale F.I.S.A.R.

Infortuni, il maggior calo è in agricoltura a cura del Direttore Responsabile Roberto Rabachino La Segreteria Nazionale comunica di Laura Maggi, Segretario Nazionale Intervista esclusiva al Ministro Gian Marco Centinaio di Alice Lupi La classificazione dei vini italiani alla luce delle nuove norme comunitarie di Giuseppe Martelli Degustando

selezionati, richiesti e provati dalla Redazione Centrale

parola all’esperto Mamoiada, grand cru di Sardegna di Davide Amadei La FISAR sul tetto d’Europa di Patrizia Bongiovanni L’Orto Botanico di Roma, custode della biodiversità vinicola italiana di Stefano Borelli Il Grignolino: un nobile simbolo del Piemonte di Augusto Gentilli Domenico D’Agostino, un cuoco cittadino del mondo di Lara Loreti Quell’angolo di Bordeaux nel cuore della costa toscana: i 20 anni di Campo alla Sughera di Lara Loreti Tutti i dati sulle abitudini d’acquisto di prodotti bio di Roberto Rabachino Regina Vanderlinde eletta presidente dell’OIV di Roberto Rabachino Ancora in aumento la spesa alimentare domestica nei primi 6 mesi del 2018, stabili i volumi a cura della Redazione centrale

Biblioteca a cura di Gladys Torres Urday

turismo nel mondo

Nuova Zelanda: tra Oceano Pacifico e vulcani di Jimmy Pessina Uzbekistan, paese affascinante e sconosciuto di Jimmy Pessina

il piatto

Babà,il dolce di Napoli che viene dal Nord di Enza Bettelli con l’abbinamento di Nicola Masiello

2 3 5 6 8 11 14 20 23 27 30 33 36 39 40 43 44 52 58

I N R OSA

A “InTavola” le produttrici di zone vitivinicole delle colline veneto-friulane si raccontano di Patrizia Loiola Carlo Petrini è Sommelier Onorario FISAR a cura della Redazione Centrale Salone del Gusto Terra Madre 2018 a cura della Redazione Centrale È Marco Barbetti il Miglior Sommelier FISAR 2018 – Trofeo Rastal a cura della Redazione Centrale Progetta la Tessera FISAR e Vinci il Congresso Nazionale a cura dell’Ufficio Stampa FISAR Finalmente slow wine 2019! a cura della Redazione Centrale e Ufficio Stampa Slow Food Cortona DOC, un’antica e storica prelibatezza di Alessandro Maurilli In FAMIGLIA - Le notizie dalle Delegazioni

60 63 66 71 73 74 78 80


di Graziella Cescon, Presidente Nazionale - Photo S. Fasano

Fisar è

l’esigenza di interpretare un prodotto di eccellenza e diffonderne la cultura Ho accettato la candidatura e vissuto il mio mandato di Presidente Nazionale con lo stesso obiettivo: rendere FISAR il riferimento della Sommellerie italiana.

P

er esserlo, a mio avviso, FISAR doveva raccogliere le esigenze del settore enoico ed intercettare il linguaggio degli appassionati di vino, confermando la sua autorevolezza e rendendosi attuale al tempo stesso. Non era un ruolo semplice, ma io ho sempre avuto due importanti certezze: la forza della nostra storia e il valore dei Soci.

Ho sostenuto il restyling del nostro logo e di FISAR sotto il profilo mediatico per rendere più fruibile l’alfabeto del vino e, grazie all’impegno di tutti, abbiamo creato un evento senza precedenti che alla terza edizione, si è confermato un successo e un tributo al mondo enoico unico nel suo genere: Vinoè!

Fin dalle sue origini FISAR si è distinta per l’attenzione dedicata al vino, che è stato e resta l’unico reale protagonista. In questi anni mi sono impegnata al massimo per esprimere tutto il nostro potenziale di suoi ambasciatori.

Un’identità più definita non è un valore solo per chi ci osserva da fuori: ho fortemente voluto un rinnovamento interno perché sono convinta che ogni voce sia una risorsa e per me è stato uno stimolo, un piacere e un privilegio ascoltare il vostro pensiero.

La realtà vitivinicola del nostro Paese è un patrimonio unico. FISAR aveva già in sé le competenze per raccontarla. Come Presidente ho fatto il massimo perché ogni Delegazione avesse l’opportunità di far conoscere il suo territorio, mettendosi al servizio dei tanti produttori che ci offrono la loro fiducia e del largo pubblico d’interessati che in noi, sono certa, ha trovato un interlocutore preparato e adeguato al proprio sentire.

FISAR è la mia seconda famiglia ed esserne alla guida è stata un’esperienza indimenticabile che mi ha arricchito come sommelier e come persona. Ogni mia decisione è stata dettata dal rispetto e dall’amore che nutro nei confronti della nostra Federazione e del vino. Non spetta a me valutare il mio operato, ma se come spero, vi è arrivata anche solo l’intenzione, il mio impegno è ripagato.

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il Sommelier | n. 4 - 2018

Prima di salutarvi per l’ultima volta come Presidente Nazionale, voglio ringraziarvi di cuore per avermi accompagnato e sostenuto in questo percorso. Grazie alla vostra preziosa collaborazione, al termine di questo lungo ed intenso capitolo, affido a chi mi succede una FISAR più consapevole e pronta per raggiungere ogni traguardo desiderato. Personalmente continuerò a dedicarmi a FISAR con la stessa passione di sempre. Fisar non è una carica, è l’esigenza di interpretare un prodotto di eccellenza e diffonderne la cultura: questo ci unisce e rende indispensabile ognuno di noi.


a cura di Roberto Rabachino – Fonte dati Inail

Infortuni, il maggior calo è in agricoltura L’agricoltura è il settore che fa registrare il maggior calo negli infortuni sul lavoro (-2,8%) secondo un trend positivo in atto da oltre un decennio.

È

quanto si evince sulla base dei dati Inail che registrano nel primi dieci mesi del 2018 una riduzione nelle campagne a 18.760 casi rispetto ai 19.294 dello stesso periodo del 2017. Un trend positivo per il settore agricolo che riguarda anche i casi mortali che sono stati 20 in meno (da 76 a 56). L’andamento registrato conferma il prezioso lavoro di ammodernamento delle imprese agricole fatto in questi anni per

rendere il lavoro in agricoltura tecnologicamente più avanzato, ma anche più sicuro. Molto resta tuttavia ancora da fare e per questo è necessario continuare con decisione sulla strada intrapresa con interventi per la semplificazione, la trasparenza, l’innovazione tecnologica e la formazione, che sappiano accompagnare le imprese nello sforzo di prevenzione in atto. Questo anche grazie alle risorse dei Bandi INAIL che hanno messo

a disposizione delle imprese agricole risorse a fondo perduto per rinnovare ed ammodernare il parco macchine attualmente in circolazione. Un risultato che è frutto dell’impegno degli imprenditori e dei lavoratori per lo sviluppo di un’agricoltura al servizio della sicurezza della salute, dell’ambiente e dell’alimentazione, che vuole conciliare gli interessi delle imprese, degli occupati e dei consumatori.

il Sommelier | n. 4 - 2018

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Registr. Tribunale di Pisa n° 21 del 15.11.1983

Rivista Ufficiale della F.I.S.A.R.

Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori Ric. di Pers. Giuridica PI. n.° 1070/01 Sett. 1 del 9.5.01

Direttore Responsabile: Roberto Rabachino

C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 direttore@ilsommelier.com Redazione Centrale: Gladys Torres Urday

C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 redazione@ilsommelier.com Editore: Pacini Editore S.r.l.

Via A. Gherardesca, 1 - 56121 Ospedaletto (PI) Tel. +39 050 313011 - Fax +39 050 3130300 info@pacinieditore.it Proprietà: F.I.S.A.R.

Via dei Condotti, 16 - 56017 Asciano (PI) Amministrazione: Sede Nazionale F.I.S.A.R.

Via dei Condotti, 16 - 56017 Asciano (PI) Tel. +39 050 857105 - Fax +39 050 856700 segreteria.nazionale@fisar.com Grafica e Stampa: Industrie Grafiche Pacini Editore S.r.l.

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SEDE NAZIONALE F.I.S.A.R. Via dei Condotti, 16 - 56017 Asciano (PI) Tel. +39 050 857105 Fax +39 050 856700

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Pacini Editore Comitato di Redazione e Controllo

Graziella Cescon, Filippo Franchini, Laura Maggi, Valerio Sisti, Luigi Terzago redazione@ilsommelier.com Hanno collaborato a questo numero

Giuseppe Martelli, Gladys Torres Urday, Lara Loreti, Jimmy Pessina, Enza Bettelli, Nicola Masiello, Davide Amadei, Alice Lupi, Augusto Gentilli, Alessandro Maurilli, Patrizia Loiola, Stefano Borelli, Patrizia Bongiovanni, Slow Food, Consorzio Vini Cortona e le Delegazioni della FISAR Per la fotografia

Jimmy Pessina, Davide Amadei, Lara Loreti, Massimo Marchi, Slow Food, Consorzio Vini Cortona, Roberto Rabachino, Gladys Torres Urday, Enza Bettelli e immagini di Redazione Immagine di copertina

Redazione Centrale

Finito di stampare nel mese di Dicembre 2018 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore Srl Via A. Gherardesca • 56121 Ospedaletto • Pisa Telefono 050 313011 • Telefax 050 3130300 www.pacinieditore.it

Distribuzione della rivista La rivista viene inviata in abbonamento postale a tutti i Soci (abbonati) F.I.S.A.R., a tutti gli organi di informazione, a tutti i giornalisti dei gruppi di specializzazione di settore, a tutte le Istituzioni, a tutte le Associazioni di settore e a tutti gli IPSSAR che ne facciano richiesta. La rivista è associata al USPI Unione Stampa Periodica Italiana

Abbonamento alla Rivista € 25,00 per 4 numeri Segreteria di Redazione Il Sommelier: Via dei Condotti, 16 - 56017 Asciano (PI) - Tel. +39 050 857105 - Fax +39 050 856700 - segreteria.nazionale@fisar.com


di Laura Maggi, Segretario Nazionale F.I.S.A.R., segretario.nazionale@fisar.com

LA SEGRETERIA NAZIONALE COMUNICA La Segreteria Nazionale, conclusi i lavori per il Congresso Nazionale e l’Assemblea elettiva, sta lavorando all’organizzazione degli esami e dei corsi di formazione superiore per il primo semestre 2019, le cui date saranno comunicate ai Soci con una circolare dedicata, ed ai nuovi tesseramenti e ai rinnovi della tessera associativa per il 2019.

L

a tessera FISAR 2019, che sarà spedita a tutti i Soci a partire da gennaio insieme alla prestigiosa guida Slow Wine 2019, avrà la veste grafica realizzata da Alessia Bernardeschi, della Delegazione di Livorno, vincitrice della quarta edizione del concorso Progetta la Tessera FISAR. Gli uffici della Segreteria Nazionale resteranno aperti anche durante le festività natalizie e di inizio anno, ad eccezione dei giorni 24 e 31 dicembre 2018, per lavorare alle numerose attività che saranno comunicate ai Soci con le circolari e con la Fis@r News. A conclusione del triennio che mi ha visto ricoprire la carica di Segretario Nazionale, desidero rivolgere un ringraziamento particolare ai dipendenti della Segreteria Nazionale, Carlo, Patrizia e Giovanni, e ai dipendenti di FISAR Servizi, Paolo e Alessandro, per aver collaborato in modo professionale ed efficace ai nuovi progetti

del Consiglio Nazionale e per avermi supportato durante il mio mandato.

A tutti i Soci auguro un Buon Natale e un Nuovo Anno sereno e ricco di soddisfazioni.

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di Alice Lupi

Intervista esclusiva al Ministro Gian Marco Centinaio Il settore vino è uno dei settori trainanti dell’economia italiana. Tuttavia bisogna lavorare di più sulla promozione all’estero.

C

on poco più di 12 milioni di ettari di superficie utilizzata, l’agricoltura

italiana realizza oltre il 12% del fatturato del settore nell’UE. In questo modo si conferma terza economia agricola del continente dopo Francia (17%

Gian Marco Centinaio, Dirigente di Azienda, nato a Pavia il 31 ottobre 1971, nel 1999 si laurea in Scienze Politiche con indirizzo Economico Territoriale presso l’Università di Pavia. La sua carriera istituzionale inizia nel 1993 come Presidente del Comitato di quartiere Città Giardino e in seguito come Consigliere Comunale del Comune di Pavia fino al 2009. Nelle Elezioni comunali del 2009 ottiene l’incarico di Vicesindaco e Assessore alla Cultura e Marketing Territoriale per il Comune di Pavia. Alle elezioni politiche del 2013 viene eletto Senatore per la Lega Nord e nominato Capogruppo. Nel corso della XVII Legislatura ha ricoperto diversi incarichi in seno alle seguenti Commissioni: Affari Costituzionali, Finanze e Tesoro, Istruzione. Il 4 marzo 2018 viene rieletto Senatore per la Lega, e nominato capogruppo al Senato. Il 1° giugno 2018 ha giurato come Ministro per le Politiche agricole alimentari e forestali. 6

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con 28 mln di ettari) e Germania (13% con 15 mln di ettari). Indiscutibilmente la nostra agricoltura è motore trainante dell’economia del nostro Paese e non solo. Per questo motivo, e per conoscere meglio il titolare di questo importante dicastero,

abbiamo chiesto e ottenuto un’intervista esclusiva al Ministro Gian Marco Centinaio. Buongiorno Ministro Centinaio. Dopo aver nominato il “Comitato Nazionale Vini DOP e IGP”, e aver sbloccato il provvedimento “OCM Vino”,


quali sono le priorità del comparto nella sua agenda che intende realizzare? Il settore vino è uno dei settori trainanti dell’economia italiana. Tuttavia bisogna lavorare di più sulla promozione all’estero. Siamo i produttori più importanti d’Europa ma la reputazione del nostro prodotto in giro per il mondo non è all’altezza di quello che produciamo. Il mio obiettivo in questo momento è quello di aiutare i produttori ad andare all’estero e vendere sempre di più. Dopo di che se si vuole andare avanti e si vuole essere competitivi a livello mondiale bisogna investire nella ricerca. Abbiamo un progetto come ministero per coinvolgere le università italiane anche perché io credo che il Ministero dell’Agricoltura non possa prescindere dall’università e dal mondo accademico italiano. Nelle linee programmatiche del suo Dicastero – presentate alle Commissioni Agricoltura di Camera e Senato lo scorso 5 luglio – lei ha affermato che: «La bellezza dei nostri paesaggi rurali, unita alla qualità del nostro cibo e del nostro vino – oggetto anche di numerosi riconoscimenti UNESCO – rappresentano una fortissima attrattiva per i cittadini di tutto il mondo». Dei cardini importanti su cui lavorare, come pensa di realizzare ciò? Dobbiamo lanciare nel migliore di modi questo prodotto che ci fa grandi in giro per il mondo e ne dobbiamo essere orgogliosi. Accosteremo il vino alla promozione del nostro territorio, del nostro paese. Sono convinto che la ricchezza del nostro patrimonio alimentare e agricolo

costituiscano dei fortissimi atout non solo in termini di produzione ed export, ma anche in termini promozione turistica. Stiamo lavorando sul decreto attuativo sull’enoturismo con le Regioni per le ultime limature. Finalmente, anche per i nostri imprenditori vinicoli valgono gli incentivi che hanno gli agriturismi. Parliamo di 4 milioni di turisti accolti, che possono diventare molti di più. «Vedere e assaggiare», dunque esperienze emozionali, sono oggi ragioni di viaggio; crede che questo progetto si possa sposare in cantina con il “Turismo accessibile”? Tutti i turisti, anche con disabilità, hanno diritto all’inclusione e alla partecipazione Promuovere il turismo accessibile significa rendere il nostro Paese più dignitoso. È un diritto di tutti poter godere le bellezze del nostro patrimonio paesaggistico e culturale. Visitare le cantine dove prendono vita i nostri meravigliosi vini, assaporarne i sapori. Vorrei che gli interventi economici e finanziari per la fiscalità agevolata, gli incentivi alle imprese, l’ampliamento del fondo di garanzia, venissero utilizzati anche e soprattutto in questa direzione. Lavorerò a fianco del Ministro Lorenzo Fontana per iniziative comuni nell’ambito sia della formazione che dell’occupazione legata alla disabilità e proporrò la realizzazione di campagne di comunicazione coordinate nell’ambito del turismo accessibile. Da poco lei ha firmato un decreto chiamato “Prodotto montagna” che riguarda la valorizzazione sia delle materie prime che dei trasformati

nelle zone montane. Questo mi ha fatto venire in mente la viticoltura eroica, un esempio: il vitigno a piede franco Prié Blanc dal quale si produce la Valle d’Aosta DOC Blanc de Morgex et de la Salle. Crede che le aziende vitivinicole montane possano beneficiare di tale marchio identificativo? Tutelare i prodotti di montagna vuol dire premiare il lavoro di migliaia di piccole e medie imprese che contribuiscono a tenere viva l’economia del nostro Paese. Questo vuol dire anche riconoscere il valore sociale, ambientale e turistico di queste aree. Promuovere un prodotto, un territorio, preservarlo, rendere la qualità e la montagna riconoscibili. Nelle zone di montagna vengono coltivati importanti e pregiati vitigni. Parlare di vino di montagna oggi significa essere in linea con le più attuali richieste dei consumatori, in termini di qualità, storia e legame con il territorio. Il vino può essere il volano di una nuova economia di montagna. Veniamo al punto che riguarda la sommellerie. Nel settore si parla spesso di creazione di un “Albo dei Sommelier” è secondo lei un progetto fattibile? Cosa ne pensa? Ogni progetto che possa essere utile ad apportare dei miglioramenti va tenuto in considerazione. Ho intenzione di dare il mio contributo a tutto ciò che possa far crescere e migliorare il settore. Occorre diminuire la burocrazia e investire ancora di più sulla differenziazione dell’offerta e sulla qualità, due elementi che rendono uniche e non solo le nostre realtà vitivinicole. il Sommelier | n. 4 - 2018

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di Giuseppe Martelli

La classificazione dei vini italiani alla luce delle nuove norme comunitarie

Sono quasi dieci anni che la nuova classificazione dei vini è in essere, ma spesso sulle diciture che si riscontrano in etichetta c’è ancora confusione. Sono diversi coloro che non hanno chiaro il significato delle sigle e le differenze che le caratterizzano. Cerchiamo di fare chiarezza. Per completezza di documentazione in manchette ho sintetizzato le principali tappe che hanno portato all’attuale assetto normativo.

C

on il nuovo millennio l’Unione Europea iniziò a ripensare la classificazione dei vini (entrata in vigore negli anni Sessanta) con lo scopo di uniformarla nei diversi Paesi ed armonizzarla con quella delle altre produzioni agroalimentari comunitarie, riunendo sotto un nuovo “unico ombrello” le sigle che nel tempo erano proliferate negli Stati membri come ad esempio: Denominazione di origine controllata, Denominazione di origine controllata e garantita, Indicazione geografica tipica in Italia; Appelation d’origine controlèe, Vin de pays per la Francia; Denominacion de origen, Vino de la tierra per la Spagna e via dicendo.

Dai Vqprd alle Dop Ne 2008, con la seconda riforma dell’Organizzazione comune di mercato per il settore vitivinicolo, 8

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l’Ue ha modificato in modo sostanziale la classificazione dei vini, ridisegnandone il quadro normativo entrato in vigore il 1° agosto 2009. I Vini di qualità prodotti in regioni determinate (Vqprd), ossia i nostri vini Doc e Docg, sono transitati nella più ampia categoria delle Dop (Denominazioni di origine protette) ed i nostri vini a Igt (Indicazione geografica tipica) in quella delle Igp (Indicazione geografica protetta). Il tutto mantenendo l’uso degli acronomi tradizionali: Docg, Doc e Igt, che in etichetta possono essere utilizzati congiuntamente o disgiuntamente da quelli comunitari (Dop e Igp).

Il nuovo assetto Il nuovo assetto, come dicevo in vigore dal 1° agosto 2009, ricalca il precedente prevedendo anch’esso uno schema piramidale caratterizzato da norme sempre più restrittive e maggiormente legate al territorio man mano che dalla base si procede verso il vertice. In sintesi, alla base della piramide sono posizionati i “vini generici” per i quali è possibile indicare solo il colore di base o un nome di fantasia. Sul gradino superiore troviamo i “vini varietali” che, a determinate condizioni, possono fregiarsi dell’annata di produzione e del nome di uno o più vitigni. Salendo incontriamo i vini ad “Indicazione geografica tipica” (Igt), per l’Unione europea “Indicazione geografica protetta” (Igp), che devono necessariamente specificare il luogo geografico di provenienza e possono riportare annata e vitigno. Prima del vertice della piramide abbiamo i vini a “Denominazione di origine controllata” (Doc), quindi al vertice quelli a “Denominazione

di origine controllata e garantita” (Docg), entrambi riuniti dall’Ue sotto l’acronimo “Denominazione di origine protetta” (Dop), in armonia con gli altri prodotti agroalimentari (olio, formaggi, insaccati, ecc.) e con gli stessi pari grado degli altri Paesi europei. Igp e Dop devono obbligatoriamente essere prodotti in una zona geografica delimitata, ossia ad uno specifico territorio secondo quanta sancito dai rispettivi disciplinari di produzione.

Per questo vengono identificati anche come “vini territoriali”.

Le principali differenze Ma quali sono in pratica le differenze tra le varie categorie di vini? Vediamo di sintetizzare le principali. I vini “generici” cioè non legati al territorio, collocati come detto alla base della piramide, possono rivendicare solo il colore di base (bianco, rosso, rosato) o un nome commerciale di fantasia che

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Come sono nati in Italia i vini a denominazione La storia e le principali norme che li hanno fatti crescere

In Italia la necessità di regolamentare il settore vitivinicolo ed in particolare quello della produzione dei vini di qualità, nasce nel 1921, con la presentazione alla Camera del provvedimento sulla produzione dei vini tipici, approvato dopo tre anni e convertito nella legge il 18 marzo 1926. Quattro anni dopo, il sistema normativo fu integrato e codificato nella DPR 24 dicembre n. 1164. Fu un primo approccio normativo che tuttavia fece emergere diverse criticità applicative, che resero necessaria l’emanazione di un’altra legge, più ampia e finalizzata, approvata nella primavera del 1937 ma che tuttavia non trovò applicazione in quanto mancante dei regolamenti attuativi. Un vuoto legislativo durato ventisette anni nell’ambito dei quali si fece strada la convinzione che non era più il caso di parlare di vini tipici, anche per non correre il pericolo di annoverare fra questi gli Ibridi produttori diretti, con particolare riferimento al Clinton che, in diverse zone, era considerato il più tipico dei vini prodotti. Molti dubbi furono avanzati anche sulla dicitura vino di pregio, ritenuta troppo generica. Dopo innumerevoli convegni, critiche e discussioni prese sempre più forma il concetto di privilegiare l’indicazione dell’origine, ossia il legame del vino con il territorio, le sua cultura e le sue tradizioni. Arriviamo così al Trattato di Roma del 1957. Fu in quel contesto che si accennò ad una regolamentazione europea del settore vitivinicolo, concetto esaltato nella norma comunitaria 4 aprile 1962, che sia pure riguardando solo marginalmente il vino, ebbe un forte impatto per il rinnovamento del comparto. In essa infatti, per la prima volta, si parlò di vini a denominazione di origine, divenuti poi Vini di qualità prodotti in regioni determinate, ossia Vqprd, che dal 1° agosto 2009 sono diventati Dop (Denominazione di origine protetta). In Italia il primo provvedimento sui vini a denominazione di origine venne promulgato con il Dpr 12 luglio 1963 n. 930, che fu poi rivisto con la legge 10 febbraio 1992 n. 164. Nel 2008, dopo l’entrata in vigore della nuova Organizzazione comune di mercato (Ocm), la normativa venne ridisegnata dal decreto legislativo 8 aprile 2010 n. 61, oggi confluito nel “Testo Unico del vino”, ossia nella legge 12 dicembre 2016 n. 238, entrata in vigore il 12 gennaio 2017.

comunque non può evocare o richiamare quello di una località o di una zona geografica. Essi infatti possono essere prodotti con uve coltivate su tutto il territorio nazionale. Non sono obbligatoriamente sottoposti a controlli quantitativi o qualitativi. I vini “varietali” si differenziano da quelli “generici” poiché, a determinate condizioni, possono riportare in etichetta l’annata di produzione e uno o più dei seguenti vitigni internazionali: Cabernet, Cabernet Sauvignon, Cabernet franc, Merlot, Syrah, Chardonnay e Sauvignon. 10

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I vini a “Indicazione geografica tipica” (Igt), per l’Ue Indicazione geografica protetta (Igp), devono specificare la zona di provenienza e possono riportare annata e vitigno. Le uve da cui sono ottenuti devono provenire per almeno l’85% dalla zona geografica indicata, così come nella zona deve avvenire la produzione e la vinificazione. Essi sono controllati quantitativamente ma non qualitativamente, nonché regolamentati da un disciplinare di produzione piuttosto blando. Ad esempio, quando in etichetta leggiamo “Merlot del Veneto” significa che l’uva è pervenuta

per almeno l’85% dalla zona menzionata (Veneto) ed il vino ottenuto per almeno l’85% dal vitigno menzionato (Merlot). I vini a “Denominazione di origine controllata” (Doc), per l’Ue Denominazione di origine protetta (Dop) devono avere indicato il nome geografico di una zona particolarmente vocata e possedere requisiti qualitativi e territoriali specificati. Essi sono regolamentati da un disciplinare di produzione assai rigoroso. I vini a Doc sono controllati quantitativamente e qualitativamente. Fatta eccezione per quelli frizzanti e spumanti, tutti i vini Doc devono riportare in etichetta l’annata di produzione delle uve. I vini a “Denominazione di origine controllata e garantita” (Docg), per l’Ue Denominazione di origine protetta (Dop), oltre a soddisfare a quanto previsto per quelli a DOC devono essere riconosciuti di particolare pregio e aver maturato almeno 7 anni come DOC. Oltre alla idoneità enochimica devono aver superato due esami organolettici, inoltre non possono essere immessi al consumo sfusi ma solo in bottiglia o in altri recipienti di capacità non superiore a sei litri; ogni bottiglia deve essere munita di contrassegno di stato.

Il confronto A fine anni Settanta quasi il 90% del vino italiano era “da tavola”, ossia generico. I vini ad Indicazione geografica tipica non esistevano e quelli a Denominazione di origine erano poco più del 10%. Oggi i vini Dop e Igp sono vicini al 70% della nostra intera produzione enologica e trainano le vendite all’estero che continuano a crescere.


Cantina Dorgali Soc. Coop. Dorgali (NU) - www.cantinadorgali.com Nel lontano 1953, nella costa orientale della Sardegna, un gruppo di agricoltori dorgalesi fonda Cantina Dorgali; grazie ad una costante crescita, è da oltre mezzo secolo una tra le realtà più importanti del mondo vitivinicolo sardo. Oggi la Cantina Dorgali affronta una nuova sfida: la realizzazione di un nuovo progetto che riqualifichi le produzioni passando per la valorizzazione della cultura, della storia e delle tradizioni del territorio. Protagonista assoluto è il Cannonau, vitigno principe della vitivinicoltura regionale che in questa area.

Vigna di Isalle 2015 - Cannonau di Sardegna DOC 100% Cannonau. Le vigne sono in località Isalle a 300-400 mt s.l.m. Lavorazione in acciaio e contenitori troncoconici in legno. Riposa almeno 4 mesi in bottiglia. Colore rubino con leggera tendenza al violaceo, brillante. In bocca è pieno e morbido, con tannini vellutati e morbidi. Buona acidità, lunga persistenza. Bottiglie prodotte: 50.000

Prezzo consigliato in enoteca: 7 euro

Cantine Paolo Leo San Donaci (BR) - www.paololeo.it La nuova sede, nata nel 1989, occupa una superficie complessiva di circa 15.000 mq, è dotata di un modernissimo impianto di vinificazione e affinamento dei vini e di una barricaia di circa 400 mq contenente 500 barriques da 225 litri di rovere francese; ma queste nuove tecnologie di vinificazione si sono inserite nel solco dell’antica tradizione che la famiglia Leo ha sempre rispettato e assecondato. La missione è rimasta immutata nel tempo: offrire ai consumatori vini che rispecchino nel loro corpo gli odori, i sapori ed il carattere della terra di Puglia da cui traggono origine

Passo del Cardinale 2016 - Primitivo di Manduria DOP 100% Primitivo. La vendemmia viene effettuata alle prime ore dell’alba. Fermentazione a temperatura controllata a 25° C per 8/10 giorni e un affinamento di 3 mesi in barriques di rovere americano e 6 mesi in acciaio. Colore rosso intenso. Al naso profumi di frutta rossa matura e spezie. Tannicità equilibrata in presenza di una buona acidità. Finale persistente e piacevole. Bottiglie prodotte: 40.000

Prezzo consigliato in enoteca: 13 euro

Fattoria dei Barbi

Montalcino (SI) - www.fattoriadeibarbi.it La cantina dei Barbi con le sue 300 botti in legno e le migliaia di bottiglie di Brunello in affinamento, è aperta al pubblico da oltre 50 anni. In questo periodo oltre un milione e mezzo di amanti del vino hanno visitato le sue sale, ammirando tra l’altro la collezione di bottiglie che va dal 1870 ai giorni nostri, testimonianza di una continuità che la rende unica in Italia. I Brunello della Fattoria dei Barbi hanno ricevuto premi in tutta Europa dalla fine dell’800, e ancora oggi ne vincono in tutto il mondo.

Brunello di Montalcino 2012 - Brunello di Montancino Riserva DOCG 100% Sangiovese. Alla svinatura è seguita la fermentazione malolattica e successivamente il vino è stato riposto in legni di media-piccola capacità (2.25 hl - 15 hl) a cui è seguito il passaggio in botti a capacità superiore Il Brunello Riserva viene elevato in legno per almeno tre anni ed affinato in bottiglia per un minimo di 6 mesi. Colore rosso rubino intenso. Profumo al naso di frutta rossa, amarena, frutta candita, liquirizia e note balsamiche. Gusto pieno, speziato, struttura ampia, calda e persistente con un tannino austero. Bottiglie prodotte: non dichiarate

Prezzo consigliato in enoteca: 60 euro il Sommelier | n. 4 - 2018

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Az. Agr. Villa Simone di Costantini Pietro srl

Monte Porzio Catone (RM) - www.villasimone.it La cantina è stata realizzata nel 1986 usando le migliori tecnologie che per l’epoca erano futuristiche. Interrata sul fianco di una collina, è dotata di attrezzature che permettono di lavorare e conservare le uve usando principalmente mezzi fisici come temperatura e gas inerti. I serbatoi sono di acciaio inossidabile con controllo di temperatura ed atmosfera. La cantina è inoltre dotata di una bottaia, interamente scavata nella collina, di oltre 100 barrique di rovere francese.

Vigneto Filonardi Riserva 2016 - Frascati Superiore Riserva DOCG 40% Malvasia del Lazio, 40% Malvasia di Candia, 10% Trebbiano e 10% Grechetto coltivati tutti a guyot. Le uve intere vengono sottoposte ad una pressatura soffice, la fermentazione avviene a temperatura controllata (18°-20°). Affina su fecce nobili per 3 mesi. Colore giallo paglierino. I profumi sono fini e intensi di frutta matura e spezie. Al palato è sapido di ottima struttura con un ritorno di forte mineralità. Bottiglie prodotte: 3.300

Prezzo consigliato in enoteca: 12 euro

Casa Vinicola Sartori Negrar (VE) - www.sartorinet.com Era il 1898 quando Pietro Sartori acquistava il primo vigneto a Negrar, nel cuore della Valpolicella. Nel 2018, questa scelta di vita e di vite compie 120 anni. Ci racconta una storia fatta di sacrifici, di tradizione e cambiamento, ma soprattutto di amore inesauribile per Verona e per la sua terra generosa, che da più di un secolo ripaga le nostre cure con un vino straordinario, portavoce della cultura italiana nel mondo. Una storia ormai matura, certo, ma che si rinnova anno dopo anno, come una pianta che dà buoni frutti.

Montegradella 2014 - Valpolicella Classico Superiore DOC 45% Corvina Veronese, 30% Corvinone, 20% Rondinella e 5% Croatina. Dopo la svinatura e la successiva fermentazione malolattica, ha inizio l’affinamento che si protrae per circa 18-24 mesi sia in cemento che in grandi botti di rovere. Il vino riposa quindi per altri 4 mesi in bottiglia. Vino dal colore rosso intenso, sapore persistente e armonico, profumo fruttato con lievi note speziate e con sentori particolari che ricordano la mandorla amara. Bottiglie prodotte: 49.000

Prezzo consigliato in enoteca: 13 euro

Az. Vitivinicola Josef Brigl S.Michele-Appiano (BZ) -www.brigl.com La Tenuta Haselhof è situato a Colterenzio sopra Cornaiano a 500 metri d’altitudine. Settecento anni di tradizione vitivinicola hanno dato un’impronta al loro nome e, oggi come un tempo, investire nel futuro è un principio che perseguono con grande tenacia. Valori tradizionali, un’accurata vinificazione delle uve e tecniche cantiniere all’avanguardia sono i criteri sui quali si fonda il loro operato.

Pinot Nero Riserva Haselhof 2015 - Alto Adide DOP 100% Pinot Nero. Il suolo sabbioso e argilloso contribuisce notevolmente alla sua struttura elegante. Fermentazione per 8-10 giorni a temperatura controllata (22-25°C) in acciaio e fermentazione malolattica. Maturazione in grandi botti di rovere e in bottiglia. Colore rosso rubino intenso con profumi intensi ed eterei di frutti di bosco ed un sapore pieno e persistente. Tannicità presente e equilibrata e una buona acidità. Bottiglie prodotte: 5.000 12

il Sommelier | n. 4 - 2018

Prezzo consigliato in enoteca: 10 euro


CVA Canicattì Soc. Coop. Agricola Canicattì (AG) - www.cvacanicatti.it CVA Canicattì, nasce nel 1969 sulla scia del movimento contadino siciliano che aveva segnato anche queste terre. Sin dagli esordi, il progetto produttivo è sostenuto dall’adesione convinta di numerosi contadini che condividono un patrimonio valoriale e culturale legato alla civiltà della vite e del vino. A metà degli anni 2000 matura un nuovo percorso produttivo orientato all’eccellenza enologica: un piano di investimenti in campo tecnologico e organizzativo che ha toccato tutti i settori della produzione e ha consentito di definire un nuovo e più alto concetto di qualità vitivinicola.

Aquilea Bio 2017 - Sicilia DOC 100% Grillo. Fermentazione a settembre in assenza di fermentazione malottica. Affinamento tre mesi in vasca e successivi due mesi in bottiglia prima della commercializzazione. Colore giallo paglierino con riflessi verdi. Olfatto con profumi netti e armoniosi di fieno, mimosa e camomilla. Al palato è deciso, di spiccata personalità con una buona componente acida. Bottiglie prodotte: 30.000

Prezzo consigliato in enoteca: 9 euro

Az. Agricola Perillo Castelfranci (AV) - www.cantinaperillo.it La storia dell’azienda Perillo è quella di una famiglia di lunga tradizione viticola in Castelfranci, piccolo centro della Valle del Calore e della zona di produzione del Taurasi DOCG. Per molti anni la famiglia Perillo ha prodotto uve aglianico trasformandone solo una parte, poi nel 1999 hanno deciso di imbottigliare e commercializzare con un proprio marchio, puntando sulla qualità e la riconoscibilità dei propri vini.

Taurasi Riserva 2007 - Taurasi DOCG 100% Aglianico. Uve leggermente surmature da vecchie viti a raggiera radicate su terreno di natura sabbiosa, argillosa e calcarea, a oltre 600 metri di altitudine. Affinamento 24 mesi in legno grande e molti mesi in bottiglia prima della commercializzazione. Colore rosso rubino intenso. Profumo complesso con note di frutta rossa matura, pellame, terra e pepe. Gusto ampio e secco, sapido, tannini equilibrati e buona acidità. Bottiglie prodotte: 6.600

Prezzo consigliato in enoteca: 51 euro

Az. Agricola Luigi Tecce

Paternop0li (AV) La cantina di Luigi Tecce si trova in contrada Trinità a Paternopoli, nella zona DOCG del Taurasi. Luigi rappresenta la quarta generazione di una famiglia di viticoltori, ma non segue subito la tradizione familiare ed inizia la carriera di fantino. La morte del padre, avvenuta nel 1997, obbliga Luigi a lasciare i cavalli e a ritornare alla sua terra per coltivare poco più di un ettaro di vigna impiantato con ceppi molto vecchi, che risalgono al 1930. Oggi i vecchi vigneti di famiglia sono frazionati in piccoli appezzamenti a Paternopoli, uno dei territori del Taurasi più espressivi.

Poliphemo 2013 - Taurasi DOCG 100% Aglianico. Fermentazione spontanea e macerazione per 40 giorni in tini di castagno e botti di rovere aperte. Affinamento in tonneaux (500 l) per 12 mesi e in botti di rovere per altri 12 mesi. Assemblaggio in acciaio e affinamento in bottiglia per più di 12 mesi. Nessuna chiarifica e filtrazione. Colore rosso con riflessi granati. Al naso note di ciliegia, pepe, giuggiole e mirto. In bocca è potente e bilanciato, elegante e di pregiata persistenza minerale. Bottiglie prodotte: 6.500

Prezzo consigliato in enoteca: 43 euro il Sommelier | n. 4 - 2018

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di Davide Amadei

Mamoiada, grand cru di Sardegna L’area di Mamoiada può oggi considerarsi un vero e proprio grand cru per la produzione di Cannonau.

I

n Sardegna il vino si fa da sempre: nel 2002 si sono scoperti a Borore, nel sito

che siano stati i Fenici a portare

dal 1392 fino al 1800, ha regolato

la vite nel VII sec. a.C.); poi, in

la viticoltura per incentivare e

epoca romana, si produceva

sviluppare la produzione di vino

archeologico di Duos Nuraghes,

senz’altro vino, come testimoniato

di qualità. Ed oggi il fermento

centinaia di vinaccioli d’uva,

dai resti di un vero e proprio

è crescente, con tante cantine

risalenti al 1200 avanti Cristo, a

“laboratorio enologico” del IV sec.

private e cooperative di qualità, con

dimostrare che le popolazioni

a.C. scoperto nel 1984 nei pressi

grande valorizzazione dei vitigni

nuragiche già coltivavano la vite e

del Nuraghe Arrubiu in Provincia

autoctoni, con un netto sviluppo

producevano vino (contrariamente

di Nuoro; ma soprattutto la Carta

della conoscenza fuori dall’isola e

a quello che si è sempre pensato,

De Logu di Eleonora d’Arborea,

dall’Italia dei prodotti sardi.

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il Sommelier | n. 4 - 2018


In questo contesto l’area di Mamoiada può oggi considerarsi un vero e proprio grand cru per la produzione di Cannonau. È un paese di circa 2500 abitanti vicino a Nuoro, nel cuore della Barbagia, verso la Costa Est, circondato da ulivi, querce e vigneti. È famoso per le tradizionali maschere e i rituali sacri, ancestrali, tramandati dalle antiche popolazioni. In particolare, nel carnevale mamoiadico sfilano i Mamuthones, con incedere affaticato, in silenzio, insieme agli Issohadores, colorati e movimentati, in un corteo più solenne e composto che allegro e vivace. L’elemento maggiormente caratterizzante del territorio è l’altitudine. Il paese si trova a 650 m. s.l.m., le vigne sono in media a 750 m., fino ai 900 m. di un vigneto di cui la cantina Sedilesu segue la vendemmia ed acquista le uve. In proposito un dato è particolarmente significativo: a Mamoiada si raccoglie il Cannonau quasi un mese dopo le altre zone, come ad esempio Oliena (300 m. più in basso) e Dorgali. Sono così garantite notevoli escursioni termiche tra giorno e notte nel periodo di maturazione dell’uva, da cui conseguono freschezza acida, per bilanciare la spinta alcolica del Cannonau, ma soprattutto complessità olfattiva. Si pensi che in agosto si può avere una temperatura di 38°C alle 13 di giorno e poi solo 18°C di notte. Non manca la ventilazione, sempre proficua per la sanità del frutto da portare in cantina (normalmente si fa un solo trattamento in vigna ogni anno). Il terreno è costituito da disfacimenti granitici ed è piuttosto acido; i vigneti hanno esposizione

varia e diversificata. In zona quasi tutti coltivano e potano ad alberello, con qualche eccezione di vigne a doppio cordone, comunque basso. Qui, da sempre, ha trovato la sua dimora il Cannonau, l’uva più rappresentativa di Sardegna. Peraltro, la consapevolezza di questo vero e proprio terroir è piuttosto recente. Nel passato, a Mamoiada quasi ogni famiglia aveva il suo piccolo vigneto per produrre vino per consumo personale, vendendo la poca eccedenza, sfusa, nei paesi vicini (Gavoi, Nuoro). Dopo la metà degli anni ’50 del Secolo scorso nasce la cantina sociale, che doveva essere una vera e propria “rivoluzione” per creare economia, sviluppo e reddito nel territorio di Mamoiada; ed in effetti, almeno inizialmente, i viticoltori investono in vigneti, per conferire le uve alla cantina cooperativa per la vinificazione e l’imbottigliamento; gli ettari crescono molto e in poco tempo raddoppiano fino a 400. Ma l’esperienza dura solo una ventina d’anni e è deludente: nella cooperativa ci sono dissidi e diversità di vedute, sui prezzi dell’uva e del vino; i prodotti non sono un granché, anche per scelte enologiche sbagliate, e comunque le famiglie spesso tengono per sé le uve migliori. Ecco che la vera svolta avviene nel 2000 ed inizia la storia di qualità del vino di Mamoiada, grazie all’intraprendenza ed agli investimenti di alcune cantine private, prima fra tutte quella di Giuseppe Sedilesu, subito seguito da Giampietro Puggioni, che acquisterà la cantina sociale, Giovanni Montisci, e poi Gaviddu e Paddeu.

Aumenta la qualità dei vini, che si fanno conoscere ed apprezzare anche fuori dalla Sardegna, con premi e riconoscimenti che fanno da traino allo sviluppo dell’intero territorio, anche perché molti piccoli viticoltori iniziano a vendere le uve ai privati, invece che alla cantina sociale, elevandone maturità e qualità. Nel 2015 si verifica un’ulteriore svolta: molti viticoltori, che vendevano le uve alle quattro o cinque aziende private più forti, scelgono di produrre ed imbottigliare in proprio; se tra il 2000 ed 2015 erano solo cinque le cantine imbottigliatrici, tra il 2015 e il 2018 diventano 18. E proprio nel 2015 nasce l’Associazione Mamojà: alcuni produttori prendono atto dell’omogeneità delle tradizioni, delle caratteristiche del territorio per suolo e clima, dell’uva utilizzata, delle tecniche colturali (da sempre naturali, biologiche, per tutti), delle vinificazioni, con un vero e proprio terroir già vivente, e si riuniscono per meglio farsi conoscere e spendersi sul mercato del vino. Soprattutto, si dotano di un disciplinare interno molto più severo e rigoroso di quello della generica DOC Cannonau di Sardegna. In particolare, si può utilizzare soltanto Cannonau il Sommelier | n. 4 - 2018

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in purezza, al 100%, senza la possibilità, data nella DOC, del 15% di vitigni diversi; tutte le uve devono provenire da vigneti di proprietà o comunque acquistate dall’areale di Mamoiada; per la vinificazione possono essere usati solo lieviti autoctoni e propri delle uve (pied de cuve con l’uva, da selezione in vigna) oppure comunque deve avvenire una fermentazione spontanea. Il marchio dell’associazione racchiude i simboli di Mamoiada: il Mamuthone, la Perda Pintà (antica pietra incisa) e il calice a forma di campanaccio (che nel carnevale il Mamuthone porta al collo). Si vuole far uscire da tutti i produttori un Cannonau di Mamoiada, che possa essere percepito come tale, pur con le diversità degli stili e delle scelte produttive dei singoli associati. Ecco che, dagli assaggi, 16

il Sommelier | n. 4 - 2018

emergono alcuni elementi comuni nei vini: il frutto rosso e gli arbusti mediterranei, aromatici, all’olfatto; l’equilibrio in bocca, con l’importante grado alcolico ben contrastato dalla netta sapidità minerale; ma è soprattutto la freschezza acida a stupire nei vini di Mamoiada, invitanti, succosi e gastronomici.

GIUSEPPE SEDILESU La famiglia Sedilesu è stata la prima ad intuire le potenzialità del territorio e ad imbottigliare il proprio vino: nel 2000, grazie a Francesco, figlio di Giuseppe, ed al suo cognato, esce il Mamuthone (dal nome della famosa maschera che sfila solenne nel carnevale di Mamoiada), con 1000 bottiglie quasi per gioco, per vedere se il prodotto poteva essere apprezzato anche fuori da Mamoiada. Un

vino ottenuto da una vinificazione tradizionale del Cannonau, in grandi tini di legno, e affinamento in botte grande (oggi anche in vasche di cemento). I commenti sono subito entusiastici per cui nel 2001 nasce il Carnevale, una riserva di Cannonau prodotta con le uve dei vigneti più vecchi (80-110 anni), sperimentando per l’affinamento l’uso delle barriques, alcune nuove ma molte di secondo e terzo passaggio, affinché il legno valorizzi il vino che deve comunque essere percepito come “di Mamoiada”. Ma la ricerca in azienda è continua: nel 2002 si vinificano le uve di “Granazza”, un vitigno a bacca bianca autoctono solo sardo che si trova da sempre in mezzo alle piante di Cannonau, a grappolo compatto e buccia spessa. Ecco il Perda Pintà (la pietra antica incisa rappresentativa di Mamoiada), da


uve vendemmiate contestualmente al Cannonau, ma spesso un po’ prima per mantenere un elevato livello di acidità; è vinificato e maturato in barriques esauste per un anno. Nel 2009 ci si spinge a produrre il Perda Pintà “Sulle Bucce”, con macerazione di 15 giorni (un vino lento a maturare ed aprirsi, da attendere almeno 8 anni). Nel 2015 con la Granazza delle vigne più giovani si propone un bianco più fresco, 13,5% di alcol (contro i 16/17 di Perda Pintà). E non finisce qui: oggi si lavora a vini frizzanti con metodo ancestrale, da uve Granazza per il bianco e Cannonau per il rosato. In azienda si assaggiano il Bullizza, con scarsa frizzantezza ma belle note di fieno e susina bianca, fresco e piacevole, ed il rosato frizzante (ancora senza nome) un po’ crudo, ma decisamente invitante, con mousse presente ed una netta susina rossa. L’azienda può contare oggi su 20 ha di vigneti, tutti dedicati quasi esclusivamente al Cannonau, impiantato con selezioni massali in vigna, anche se nei filari si rinvengono anche ceppi di Bovale, ma pressoché irrilevanti (1%), e di Granazza, per i vini bianchi. Nel 2017 è stato piantato un nuovo vigneto di 8 ha, tra i più grandi di Mamoiada, sulla strada vecchia di Orani. Le vigne, allevate ad alberello, producono circa 50 q per ettaro, ma solo 30 q per ettaro quelle più vecchie (tra 80 e 110 anni). A tal fine, vengono lasciate solo due gemme sul capo a frutto, con 2 o 3 grappoli per tralcio, per un totale di 12 piccoli grappoli per una pianta giovane e solo 6 per una pianta vecchia, con due soli tralci a frutto. La vinificazione è tradizionale, per i rossi (escluso il Sartiu) si utilizzano

tini troncoconici di legno, in ogni caso sempre con fermentazioni spontanee senza lieviti aggiunti, da uve sane. L’affinamento è in legno e/o in vasche di cemento vetrificato. Oggi l’azienda produce circa 100.000 bottiglie ad anno. Oltre ai vini assaggiati, si producono i bianchi Perda Pintà e Perda Pintà Sulle Bucce, di cui sopra, e il Grassia, dedicato alla nonna, che è uscito nelle annate più secche (2009, 2011) dalle uve dei vigneti più antichi, più alcolico e rotondo degli altri. I nomi dei vini richiamano la cultura popolare di Mamoiada famosa per le maschere dei Mamuthones e per i balli tradizionali delle feste e celebrazioni di paese. E non sono casuali: ad esempio il Sartiu ed il Ballu Tundu sono balli molto diversi, il primo allegro, vivace, adatto al vino più immediato e semplice; il secondo è più serio, lento, e si confà al vino più austero. Granazza 2016 – Dall’uva autoctona “Granazza”, è questo il bianco “di base”, rispetto al Perda

Pintà, vinificato in acciaio, con sosta in vache di cemento; ha naso marino, salmastro, con nocciola fresca ad arricchire; la bocca è agile, con tanta salivazione acida, centro quasi salato, alcol integratissimo, finale agrumato. Eressia 2016 (13,5%) – Il rosato ha un nome che significa “dinastia, discendenza”, a mostrare il rispetto della tradizione; il colore è netto, quasi cerasuolo, grazie all’annata; al naso presenta piccoli frutti rossi freschi, rosa e altri fiori; in bocca colpisce per la struttura saporita e l’equilibrio gustativo, con finale di ciliegia fresca. Un rosato di corpo, che richiama cibi anche consistenti. Sartiu 2017 – È il Cannonau “di entrata”, il rosso giovane, prodotto dal 2009, in parallelo con il S’Annada fino al 2011 per poi sostituirlo nella “gerarchia” produttiva aziendale; è prodotto dalle vigne più recenti, fa solo acciaio e cemento per mantenere tutta la fragranza del frutto di cui è capace il Cannonau d’altitudine; si offre infatti al naso con susina il Sommelier | n. 4 - 2018

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Il CANNONAU è il vitigno più rappresentativo della Sardegna, dove è strettamente legato alla storia ed alla tradizione; è ormai certa la sua identità con la spagnola Garnacha, probabilmente originaria dell’Aragona, diffusasi in tutto il Sud della Francia come Grenache. Nel XIII sec. Pietro IV di Aragona conquistò Alghero, togliendola ai Genovesi e nei successivi due secoli il principale vitigno d’Aragona fu senz’altro introdotto in Sardegna e diffuso, vista anche l’attenzione che il re dedicava alla viticoltura. Peraltro, in forza delle recenti scoperte di Duos Nuraghes, il vitigno sarebbe presente in Sardegna fin dal 1200 a.C. e si ipotizza addirittura che dall’isola sia stato introdotto in Spagna (e non viceversa) e diffuso in tutto il Mediterraneo, di cui sarebbe così l’uva più antica. In Sardegna è coltivato su circa 8000 ha, di cui circa 5500 in Provincia di Nuoro; si utilizza nella denominazione Cannonau di Sardegna DOC, con le sottozone Nepente di Oliena, Capo Ferrato e Jerzu; è anche presente in assemblaggio nella Mandrolisai DOC. Il grappolo è di media grandezza, serrato o semi-serrato; l’acino è medio, rotondo, con buccia sottile ma consistente, molto pruinosa, nero-violacea. La maturazione è medio-tardiva, con raccolta nella seconda metà di settembre. Si adatta molto bene ai climi caldi, predilige terreni granitici o calcarei, dà vini alcolici e morbidi, non ricchi di colore e tannini, ma questi ultimi sono ben presenti, delicati e fini; nei territori più vocati acidità e sapidità garantiscono grande equilibrio ed eleganza

matura e ciliegia fresca, e in bocca ha grande beva, ancora un po’ astringente, molto fresco, con qualche bacca rossa aromatica nel finale, succosissimo. Mamuthone 2015 (15% alc.) – Prodotto “storico” dell’azienda, viene dalle uve dei vigneti di circa 60 anni di età; all’olfatto è intrigante, con ciliegia matura, arbusti aromatici mediterranei e sardi (mirto, alloro), cenni iodati e 18

il Sommelier | n. 4 - 2018

minerali; il tannino è netto, di grana molto fine, l’alcol è perfettamente compensato da un mix ficcante di acidità e sapidità, il finale è succoso ed invitante. Il Carnevale 2015 (16% alc.) – È il Cannonau di impostazione più moderna, con affinamento in barriques e tonneaux, ma con l’obiettivo di far percepire comunque il terroir di Mamoiada. Ha naso ampio, con ciliegia sotto spirito e note balsamiche fresche, spezie; la bocca è tutta in progressione, in crescendo, ha calore mediterraneo ma tanta sapidità minerale a renderlo dinamico e lungo. Ballu Tundu 2010 – Prodotto solo nelle annate migliori (fino ad oggi 2003, 2005, 2007, 2010, 2014), in alternativa al Carnevale, anch’esso dalle uve delle vigne più vecchie, dopo la fermentazione in grandi tini tronco-conici di legno si eleva in botti grandi di rovere; al naso è complesso, ha note evolute di tabacco, cuoio, spezie; in bocca è avvolgente, ma la morbidezza è ben contrastata da un tannino serrato, ben vivo, e da un finale sapido che genera un notevole allungo; cambia nel bicchiere ed in bocca ha struttura masticabile ma elegante. Giuseppe Sedilesu 2010 – Prodotto dalle uve del vigneto più alto, a 900 m., e solo nelle annate meritevoli (per ora solo nel 2010) colpisce subito per la freschezza olfattiva: appena messo al naso dà l’impressione di essere più giovane di almeno 5 anni rispetto al suo coetaneo Ballu Tundu, ed è ricco, con mirto e piante aromatiche, corbezzolo, ma anche spezie, pepe rosa, tabacco dolce, eucalipto; in bocca ha volume, il tannino è vellutato, il finale è lunghissimo; un vino profondo,

con la sua sapidità minerale a sostenere tutto il sorso e ad allungarlo; energico ma elegante.

CANTINA GUNGUI Una storia di coraggio, di passione, di vita, quella del giovane Luca Gungui. Faceva il giurista, esperto di contrattualistica pubblica, dipendente prima del Comune di Milano, poi della Regione Sardegna, all’Ufficio Affari Generali. Ma mentre durante gli studi e subito dopo il diritto gli piaceva molto, all’applicazione pratica il lavoro non lo soddisfaceva affatto, era spesso triste, a Cagliari lavorava tutto il giorno ed era solo, tornava nel fine settimana a Mamoiada per stare con gli amici. Ecco che ad un certo punto, tre anni fa, decide di cambiare vita: chiama i genitori, che avevano investito molto sui suoi studi, e gli comunica che vuole tornare a Mamoiada per fare vino, e riesce a realizzare il sogno di fare della sua passione il proprio lavoro. La famiglia ha sempre coltivato uve da piccoli appezzamenti, vendute alla cantina sociale o a privati (tra i quali anche Sedilesu), ed il padre di Luca aveva imparato a vinificare dal nonno, per tradizione. Allora Luca si reinserisce in questa tradizione, ricava la cantina nel garage del padre, che parcheggia l’auto fuori, in 37 mq dove tuttora viene svolta ogni lavorazione; e prova ad imbottigliare il proprio Cannonau per vedere quali fossero le reazioni: queste sono state positive ed incoraggianti, a premiare la sua scelta coraggiosa. Le uve, tutte di Cannonau, provengono dal vigneto di famiglia di 1 ettaro e mezzo in località Sas de Melas (che presto Luca vuole indicare in etichetta), a


600/650 metri di altitudine, verso Nuoro; prende il nome dalla nobile famiglia dei Melas, che nella metà del 1800 aveva una proprietà di circa 30 ettari in zona. Poi, altra uva viene da 7000 mq di vigna in mezzadria di 60 anni, nella stessa località, da un pastore che non aveva interesse al vigneto. Un altro ettaro è stato impiantato a maggio 2018, dalla parte opposta del paese, a 740 m., verso Fondi, a Sa e Pramas, con tanto sole e vento. Le vigne sono allevate ad alberello basso, e sono solcate, con la pratica dell’aridocoltura: in inverno si scalza, si toglie la terra dalla vite e si pulisce, tagliando le radici che crescono superficialmente, in modo tale che le radici rimanenti vengano abituate ad andare in profondità, per trovare acqua e sostanze minerali nutritive; poi a giugno si riporta la terra, si coprono le piante in modo tale che l’umidità rimanga fino alla vendemmia. Nel 2017 è stata una pratica molto utile, poiché è stata una stagione incredibile, con 80 cm di neve a

gennaio e poi appena 2 goccioline d’acqua fino ad agosto; nel 2018 è stata un’annata opposta, dal 1922 non si vedeva un agosto così piovoso in Sardegna. Perciò nel 2017, Luca, che usa solo zolfo e pochissimo rame, ha trattato solo 5 filari di vigna una volta; quest’anno ha trattato tre volte, tantissimo per Mamoiada, a causa della peronospora, con un calo del 70/80 % di uva (Luca “solo” 50%). In compenso, l’annata fresca, condizionata dalla pioggia, è stata anche tardiva, con vendemmia conclusa a metà ottobre, per uve poche ma comunque ricche di estratti. Da questa conduzione si ricavano 4 o 5 grappoli per pianta, meno di 1 kg, 50/60 quintali per ettaro (ma le vigne vecchie anche solo 15 quintali). Della vinificazione si occupa direttamente Luca con il padre, e si serve di consulenti per le analisi di laboratorio, anche perché un punto fermo è che il vino si può imbottigliare quando è pronto, non ha difetti o alterazioni dal

punto di vista enologico. Per la fermentazione, fa un pied de cuve con l’uva così da far partire spontaneamente la fermentazione alcolica. Il vino prodotto è uno solo, nella versione base e riserva: è il Berteru, il cui nome significa “veritiero, onesto” (detto di una persona, di un uomo “vero”) e per Luca vuole essere un inno al Cannonau in purezza. Nella prima annata 2015 sono state prodotte 1200 bottiglie del base e 1000 della riserva; nel 2016 e 2017 rispettivamente 2437 e 3476 bottiglie del base (le riserve, a fine agosto 2018, sono sono ancora in botte, per fare i due anni di invecchiamento necessari; saranno imbottigliate a gennaio 2019 e gennaio 2020). Il 70% del vino prodotto viene esportato, con Gran Bretagna (Londra ed Edimburgo) in primo piano, Nord Europa, Austria, e una piccolissima quantità in California. Luca presenta con soddisfazione il proprio vino, che conferma le sue scelte di vita; la sua consapevolezza di contare su un terroir eccezionale e caratterizzante lo rende un vero ambasciatore del vino di Mamoiada. Berteru 2017 (15,5%) – Il colore è vivo, rubino, non particolarmente concentrato; al naso ha un frutto rosso pieno, qualche cenno medicinale, arbusti aromatici; in bocca ha un equilibrio indicibile, è goloso, ha tannino arrembante, struttura raffinata da una grande freschezza acida e tanta sapidità a contrastare il netto alcol; finale pulito, preciso, su mora e cenni di erbe officinali. Un vino fine, agile, dinamico: entra in punta di piedi e poi non cede, si allunga e si distende, in crescendo. il Sommelier | n. 4 - 2018

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di Patrizia Bongiovanni – Credit Photo sito SkyWay, Redazione Centrale e Cave Mont-Blanc de Morgex et La Salle

La FISAR sul tetto d’Europa Domenica 7 ottobre più di 70 associati FISAR provenienti da Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto si sono incontrati a Courmayeur nella cornice di un panorama unico al mondo tra nuvole e ghiacciai.

L

a giornata, organizzata dalla Delegazione FISAR Valle d’Aosta, è iniziata

natura e di un panorama che

Veny e della Val Ferret, mentre la

lascia davvero senza fiato.

terza e ultima stazione di questo

Punto di partenza dell’evento

percorso emozionate è Punta

con una “scalata” verso il Monte

FISAR la stazione di Courmayeur,

Helbronner, situata a 3.466 metri

Bianco sulla Skyway, la funivia

posta a 1.300 metri. Stazione

di altezza che, riproducendo la

inaugurata nel mese di giugno

intermedia di questo viaggio

forma di un cristallo, si sviluppa

del 2015 che rappresenta

tra le montagne il Pavillon

principalmente in senso verticale

una vera e propria meraviglia

du Mont Fréty che, grazie

e con terrazze a sbalzo e ospita

tecnologica e che permette

alle grandi superfici vetrate,

l’incredibile “Terrazza a 360°”.

di intraprendere un viaggio

offre viste panoramiche sui

Questa terrazza circolare, con 14

emozionante nell’immensità della

versanti contrapposti della Val

metri di diametro, offre una vista

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unica al mondo su buona parte dei “4.000” delle Alpi Occidentali: il Monte Bianco, il Monte Rosa, il Gran Paradiso, il Cervino e il Grand Combin. La salita si effettua su cabine a forma semisferica di ultima generazione con un movimento rotatorio a 360° che permette di godere, durante tutto il viaggio, di una vista mozzafiato. Al Pavillon si trova, inoltre, la “Cave Mont-Blanc”, laboratorio di sperimentazione in alta quota e location della degustazione guidata dall’enologo Nicola Del Negro. All’interno della cantina si produce lo spumante metodo classico Vallée d’Aoste Blanc de Morgex et de La Salle “Cuvée des Guides”. Il Prié Blanc unico vitigno autoctono valdostano a bacca bianca e franco di piede, trova nella Cave MontBlanc il suo naturale interprete e nello spumante a Metodo Classico una delle sue migliori espressioni.

La lavorazione è frutto di un attento studio sperimentale ed è svolta a 2.173 m. di altitudine. La Cave Mont-Blanc è impegnata da ormai 10 anni nella produzione di spumante ad alta quota. Esperienza resa possibile da una collaborazione con la società delle Guide di Courmayeur in un’ottica comune di sperimentazione e promozione di un territorio unico al mondo e dei suoi prodotti. La lavorazione della Cuvée des Guides veniva svolta inizialmente, a partire dal 2007, interamente al Rifugio Monzino e continua ora il suo percorso con la Skyway al Pavillon. Il “tirage” viene fatto nella nuova cantina in quota cui segue, dopo 24 mesi, il “dégorgement”. L’altitudine, la pressione atmosferica, la temperatura dei 2.173 metri e le particolari attenzioni richieste in lavorazione ne determinano

le caratteristiche inimitabili e il fine perlage. L’esperienza, le diverse analisi di laboratori nazionali ed esteri, le molteplici degustazioni comparative, le particolarità del Prié Blanc, ci portano oggi a considerare le cento bottiglie magnum prodotte annualmente, un unicum nel panorama enologico mondiale. La degustazione è proseguita con il Vallée d’Aoste D.O.C. Blanc de Morgex et de La Salle. Cru. “La Piagne”. Vitigno 100% Prié Blanc biotipo Blanc de Morgex, vinificazione tradizionale in bianco a temperatura controllata e affinamento su fecce fini e terminata con il Vallée d’Aoste D.O.C. Blanc de Morgex et de La Salle Vendemmia Tardiva, Vin de Glace “Chaudelune”. 100% Prié Blanc biotipo Blanc de Morgex vendemmiato nei mesi invernali, in notturna a temperature molto rigide che permettono una

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raccolta dell’acino gelato. La pressatura dello “Chaudelune” avviene alle prime luci dell’alba ed è seguita da un affinamento di 12 mesi in botti di diverse carature ed essenze. Nella cornice del Ristorante Bellevue della Skyway si sono poi susseguiti i piatti che ripercorrono la tradizione valdostana, dove non sono mancati la polenta e la selvaggina, preceduti da un assaggio di DOP valdostane: Fontina, Lardo di Arnad, Fromadzo e Jambon de Bosses e prodotti tradizionali Toma di Gressoney, Motsetta (carne essiccata di muscolo di mucca), Boudin (insaccati confezionati con barbabietole rosse, lardo, patate lesse e aromi) e Saouseusse (salamini di carne bovina e suina alla quale, insieme al lardo, vengono aggiunte spezie e aromi) che hanno avuto come coronamento e abbinamento un banco vini allestito da FISAR Valle d’Aosta che ha selezionato e proposto una “Petite Arvine 2017” di Elio Ottin, un vino bianco profondamente territoriale che esprime i classici sentori e il carattere di questo vitigno autoctono la cui origine si colloca a cavallo tra la Valle d’Aosta e la Svizzera e un Valle 22

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d’Aosta DOC “Enfer 2010” della CoEnfer che nasce da uve Petit rouge in purezza coltivate nel comprensorio di Arvier. La zona dei vigneti è continuamente irradiata dal sole grazie alla sua connotazione geografica che forma un anfiteatro naturale. Questo rosso di montagna è stato uno dei primi vini valdostani ad ottenere la Denominazione di Origine Controllata. Due perfetti abbinamenti con i prodotti del territorio elegantemente serviti nella cornice naturale del Pavillon. La giornata è stata una delle dimostrazioni, nell’autentico spirito FISAR, di come il vino sia una risorsa essenziale per valorizzare un territorio, una leva turistica indispensabile. La collaborazione con Skyway e l’evento hanno promosso fuori dai confini alcune eccellenze valdostane che vale la pena di conoscere e far conoscere. Ciò, ovviamente, vale a maggior ragione per una cantina come la “Cave MontBlanc”, che trova nel legame con la terra d’appartenenza una delle motivazioni alla base del suo successo. Il racconto del territorio proposto da FISAR Valle d’Aosta ha tenuto conto del paesaggio, delle descrizioni dei panorami, dei piatti tipici, di un insieme di fattori quindi che hanno permesso

la narrazione dei vini valdostani proposti, dei loro profumi, delle loro note minerali, delle loro immagini e delle loro suggestioni. Il 7 ottobre è stata una giornata importante per FISAR: un momento formativo e di conoscenza dei vini valdostani e del loro valore, una degustazione guidata, apprezzati abbinamenti con le eccellenze gastronomiche della Regione e infine, ma non meno significativo, un’occasione di stare insieme nel vero spirito dell’associazione come ha sottolineato nei saluti conclusivi il Delegato Agostino Buillas. Questa giornata ha visto anche svolgersi il Concorso Miglior Sommelier FISAR Italia Nord Ovest dove sette Sommelier si sono cimentati in prove pratiche e teoriche. Si sono classificati sul podio: Marco Barbetti della delegazione Bareggio (MI) vincitore della selezione, Anna Ostrovskyj delegazione Milano e Simona Mariani delegazione Pavia seconda e terza classificata. Ex - aequo al quarto posto Daniele Guaschi delegazione Milano, Alessandro Pellegrin delegazione Varazze, Valentina Rizzi delegazione Milano e Simone Villa delegazione Vercelli e Novara.


di Stefano Borelli

L’Orto Botanico di Roma, custode della biodiversità vinicola italiana Ci sono i vitigni più noti, ma anche quelli che in un passato non troppo lontano rischiavano di scomparire o estinguersi e che ora grazie ad alcuni intraprendenti vignaioli sono ancora parte della nostra storia enologica.

H

anno nomi strani, dialettali, che richiamano le tradizioni contadine alcuni, bizzarri, a volte un po’ esotici altri. Tazzelenghe e Terrano in Friuli; Groppello, Lumassina per la Lombardia; Bosco e Granaccia per la Ligura; Osoleta e Vespaiola per il Veneto; Gambarossa e Albarossa in Piemonte; Mammolo e Foglia Tonda in Toscana. Abbuoto e Drupeggio nel Lazio, Casavecchia

e Pellagrello per la Campania; Sussumaniello in Puglia; Pecorello in Calabria. Si tratta di vitigni, parte della collezione del Museo Orto Botanico di Roma, dedicata alle varietà italiane. Centocinquantuno, in tutto e tutte in ottima salute, rappresentative delle venti regioni italiane, capaci di dare una panoramica d’insieme della ricchezza ampelografica del nostro paese.

Ci sono i vitigni più noti, ma anche quelli che in un passato non troppo lontano rischiavano di scomparire o estinguersi e che ora grazie ad alcuni intraprendenti vignaioli sono ancora parte della nostra storia enologica. Un tesoro quello della nostra biodiversità agro-alimentare di cui andare fieri, tanto quanto i 54 siti (siamo i primi al Mondo) riconosciuti dall’Unesco come

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patrimonio dell’Umanità. Un primato mondiale quello della viticoltura da conservare con altrettanta gelosia: si esprime con più di 500 vitigni inseriti nel Registro Nazionale della Vite, utilizzati all’interno dei disciplinari Doc e Igt. Altri, molti ancora, sono conservati nelle collezioni ampelografiche, ma non vengono usati per la vinificazione. Ci seguono la Georgia e il Portogallo. Vedere da vicino e in una sola giornata una buona selezione di vitigni italiani è dunque un’occasione da non perdere: ce la offre il Museo Orto Botanico di Roma nel cuore di Trastevere, dove dall’aprile del 2018 è stata impiantata una piccola vigna di 624 metri quadrati, con piante che crescono su pali di castagno e 24

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che il prossimo anno daranno i loro primi frutti. Filari inseriti nell’area compresa tra le felci e le mura Aureliane e circondati da folti bambù, divisi per regione con uve sia bianche che rosse, con due viti per ogni varietà. Tutte hanno la stessa disposizione, sono coltivati ad alberello e in uno stesso terreno, leggermente in pendenza. Prima dell’impianto il terreno è stato fertilizzato e arricchito di azoto e microorganismi; non è stato praticato nessun trattamento chimico, se non un po’ di zolfo ramato per combattere la peronospora. Il terreno è al livello del mare e le condizioni climatiche si sono rilevate perfette per tutti i vitigni a dimostrazione, se c’è ne fosse bisogno, di quanto sia vocata la

regione Lazio per la coltivazione della vite. L’idea è stata di Luca Maroni, giornalista ed editore in collaborazione con l’esperto di viticoltura biodinamica Leonello Anello ed ad accogliere con entusiasmo il progetto, è stata Loretta Gratani direttrice del Museo Orto Botanico di Roma e professore ordinario di Ecologia Vegetale presso all’Università La Sapienza di Roma. “Ho accettato volentieri l’idea di realizzare una collezione di vitigni italiani da noi”, ci ha spiegato la direttrice accogliendoci in una bella sala della Serra Arancera, realizzata nel 1930 e destinata al ricovero invernale degli agrumi. “Prima di tutto perché credo che l’Orto botanico debba occuparsi,


tra le altre cose di salvaguardare la ricchezza della natura italiana. Vogliamo infatti diventare custodi della nostra biodiversità e quando il prossimo anno le piante daranno i frutti, creeremo una banca con i semi di tutti i vitigni che abbiamo”. “C’è poi un secondo motivo, più scientifico – ha aggiunto – stiamo studiando i caratteri morfologici, la forma e la dimensioni delle foglie. E una volta completata la crescita delle piante le metteremo a confronto con quelle che crescono nei luoghi d’origine: se i parametri coincidono, cioè ad esempio le foglie hanno le stesse dimensioni, vuol dire che quello è un tratto genetico. Se così non fosse significa che quel vitigno ha assunto dimensioni e tratti precisi adattandosi al territorio in cui è coltivato da secoli”. Già oggi, ad un’attenta osservazione, a qualche mese di distanza dall’impianto, si possono notare differenze da pianta a pianta, a testimonianza di una grande plasticità della vitis vinifera o vite europea . Lo si capisce guardando con un occhio attento la vigna. Il Pellagrello, il Piedirosso, l’Asprinio sono alti già oltre il metro, rigogliosi pieni di vigoria. Più timidi e di poche decine centimetri con foglie piccole, l’Erbaluce, il Cortese, il Bianchello, lo Schiopettino, il Verduzzo. Tra i filari colpisce anche il fatto che oltre a vitigni come il Barbera, Sangiovese, Lambrusco e Glera che tutti conoscono, ci sono piante quasi sconosciute e note solo a pochi addetti ai lavori: Garofanata, Durello, Cagnulari, Verdiso, tra le altre. Si tratta di vitigni frutto di secoli di adattamento ai terreni nei quali sono cresciuti e figli del legame con il territori nel quale si sono sviluppati. il Sommelier | n. 4 - 2018

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Non mancano, nella vigna per rendere più interessante e completa la visita, alcuni vitigni internazionali: Chardonnay, Pinot bianco e grigio, Sauvignon blanc, Traminer, Pinot nero, Syarh, Cabernet Franc et Sauvigon, Camenere, Gamay, Malbec, Merlot, Petit Verdot e Viognier. Per quanto riguarda le varietà coltivate nella nostra Penisola si trovano, sui picchi a più di mille metri della valle d’Aosta, fino all’isola di Pantelleria, a due passi dall’Africa e per vederli tutti, nei “terroir” dove sono coltivati, bisognerebbe viaggiare su e giù per la Penisola per settimane attraversando montagne impervie, terrazzamenti a picco sul mare o esplorando piccole isole e paesini abbandonati. Sono vitigni che per secoli sono stati coltivati nel nostro paese, ma che a volte provengono da paesi lontani o le cui origini sono ancora incerte. Tanto per fare un esempio il Primitivo, eccellenza della Puglia: è ormai certo che proviene dalla Croazia e da poco si è anche scoperto 26

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che è geneticamente identico allo Zinfadel americano, con grande disappunto degli enologi statunitensi che credevano di avere un vitigno autoctono californiano di vitis vinifera. Origini lontane anche per la nutrita famiglia delle Malvasie Italiane, bianche e rosse, tutte provenienti da una città greca del Peloponneso, Monovasia e portate da noi da veneziani più di mille anni fa. Nel frattempo, mentre fervono questi dibattiti e quelli sull’origine della “Vite Madre” con scienziati divisi tra la tesi caucasica e chi invece è a favore di un’origine mediterranea, i curiosi possono godersi una giornata visitando la collezione di vitigni italiani all’Orto botanico e il resto dell’area. Un’oasi di pace nel pieno centro di Roma, dodici ettari ai piedi del Gianicolo, che occupano una parte dell’area archeologica denominata Horti Getae costituita, in antico, dalle terme di Settimio Severo, adiacente al Palazzo Riario-Corsini. Dopo aver visitato le vigne, da

non perdere è l’Orto dei semplici con piante medicinali, dette anche ‘officinali’, ossia da laboratorio farmaceutico. Poi il giardino giapponese realizzato secondo un modello di giardino orientale con giochi d’acqua, piccole cascate e due laghetti. E gli alberi centenari, tra i quali platani orientali, sugheri e due cedri dell’Himalaya. Colori e profumi intensi nella Serra Francese, costruita intorno al 1883 che ospita una ricca collezione di succulente, mentre la Serra Tropicale ospita ambienti tropicali e sub tropicali. Salendo verso la zona collinare si trova il bosco Mediterraneo, una testimonianza delle vegetazione che ricopriva un volta il colle Gianicolo, costituito in prevalenza da querce. Da non perdere la Valletta del Felci e l’ampia area dedicata ai Bambù, una delle collezioni fra le più ricche presenti in Europa. Gli scienziati stanno ancora dibattendo l’origine della “Vite Madre” e c’è chi propende per la tesi ‘Caucaso’ e chi invece è a favore di un’origine mediterranea.


di Augusto Gentilli

Il Grignolino:

un nobile simbolo del Piemonte È una passione vera e profonda quella che mi lega al Grignolino, antico vitigno piemontese che ha visto alterne fortune nel corso della sua storia ma che, come i vignaioli che tutt’oggi s’impegnano nella sua valorizzazione, ha sempre saputo resistere e mantenere le proprie nobili caratteristiche e i propri fedeli estimatori.

Q

uesta varietà, che trova nel Monferrato astigiano e alessandrino il proprio territorio d’elezione, è stata per secoli sinonimo di alta qualità e considerata capace di dar vita ai vini per le classi abbienti e per i giorni di festa, tanto che Gallesio (1772-1839) lo definisce “il vino da tavola di tutte le persone agiate”; inoltre, sempre Gallesio, che ne evidenzia anche il costo elevato, lo descrive come “un vino nero-chiaro sciolto e di forza mediocre che non dà alla testa ed è diuretico”.

Con le radici nel tempo: la storia del Grignolino Noto inizialmente col nome di Barbesino o Barbexino, questo vitigno sembra essere stato citato in forma scritta, per la prima volta, in un antico atto del 1246, col quale i Canonici della chiesa di S. Evasio concedevano in affitto “quattro staia di terra gerbida affinché fossero lavorate e vi fossero collocate buone piante di viti Berbesine”; in seguito, nel 1249, affittavano nuovamente tale appezzamento a titolo gratuito per cinque anni, passati i quali il Sommelier | n. 4 - 2018

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avrebbero richiesto in cambio di tale concessione due staia e una mina di vino della migliore qualità e rigorosamente prodotto dalle uve Berbesine di quella precisa vigna. Il suo attuale nome appare negli anni 1337-38 in un documento dell’Abbazia di San Giusto di Susa nel quale si legge “sextarios XII vini albi tam muscatelli quam grignolerii” per ricomparire poi, poco meno di tre secoli più tardi – nel 1614 – tra i vini conservati nella cantina della fortezza di Casale. La diffusione di questo vitigno in passato è stata sicuramente maggiore rispetto all’attuale dato che Demaria e –- pur con numerosi sinonimi, tra i quali ricordo Balestra e Arlandino – questo vitigno era presente in buona parte della provincia di Alessandria, che allora comprendeva anche l’attuale

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provincia di Asti, oltre che nella confinante provincia di Pavia ove era conosciuto con il nome di Barbesino. Alla fine del XIX secolo, la sua fama e la sua qualità erano tali che durante l’Esposizione e Fiera dei Vini Nazionali di Asti del 1891, il re Umberto I di Savoia si complimentò in modo particolare proprio per la bontà di tali prodotti. È importante, in oltre, ricordare gli apprezzamenti a esso riservati dal celebre enologo piemontese Arnaldo Strucchi che considerava il grignolino “il vero vino superiore da pasto, tipico piemontese, il migliore: di moderata alcolicità, leggero, sapido, di un bel colore rosso granata chiaro”. Voglio anche sottolineare che alcuni dei primi spumanti Metodo Classico del Piemonte furono

ottenuti, dal Sig. Arrigi di Saluzzo, proprio a partire da queste uve; in questi ultimi anni nuovi Metodo Classico sono stati prodotti con questa varietà con risultati che si sono spesso rivelati assai interessanti. Purtroppo, già a partire dagli anni ‘30 dello scorso secolo, iniziò il declino della fortuna di questo vitigno cosa della quale già si lamentava il professore Giovanni Dalmasso all’inizio degli anni ‘30. Le cause di questo fenomeno devono essere cercate nella grande difficoltà di produzione in vigna e in cantina oltre che nel cambiamento del gusto dei consumatori, per alcuni decenni sempre più orientati verso vini strutturati, morbidi, intensi di colore e fortemente connotati dal passaggio in legno.


Il Grignolino, il suo territorio, le sue caratteristiche Attualmente, l’utilizzo del Grignolino, come vitigno principale, è previsto in tre Denominazioni di Origine Controllata: il Grignolino d’Asti (35 comuni in provincia di Asti; minimo 90% grignolino), il Grignolino del Monferrato Casalese (34 comuni in provincia di Alessandria; minimo 90% grignolino) e il Piemonte Doc Grignolino (numerosi comuni tra le province di Asti, Alessandria e Cuneo; minimo 85% grignolino). Nell’Astigiano, dove è coltivato su suoli generalmente ricchi di sabbia, il Grignolino regala vini dal colore più chiaro, fortemente floreali, leggermente speziati e connotati da tannini più gentili e da minor struttura; nel Monferrato casalese – dove, al contrario, è coltivato su suoli calcareo-marnosi, compatti e ricchi di limo – si esprime con vini leggermente più carichi di colore, con maggior speziatura – generalmente pepe, talvolta chiodi di garofano – e minori note floreali pur se sempre generalmente riconducibili alla rosa; all’assaggio, rivela maggior corpo e tannini più evidenti nonché una maggior longevità. In entrambi i casi, le sensazioni fruttate riportano alla mente i piccoli frutti quali il lampone, la fragola e la mora. Nulla è noto, finora, per quanto riguarda le sue origini e le sue parentele.

Il Grignolino e il futuro Negli ultimi anni qualcosa sembra finalmente iniziare a cambiare nella percezione del Grignolino da parte dei mercati e dei consumatori che stanno lentamente imparando a conoscere la sua sobria eleganza, la sua finezza e la sua complessità

talvolta sussurrata ma sempre carica di interesse. In tal senso vanno gli importanti riconoscimenti per alcune etichette di questo vino da parte di prestigiose riviste internazionali. Voglio chiudere questo mio breve racconto segnalando l’attività dell’Associazione Monferace, costituitasi nel 2016 allo scopo di valorizzare questo vitigno, recuperarne le antiche pratiche produttive e metterne in evidenza le grandi qualità mediante la condivisione di un comune disciplinare interno. Tale disciplinare prevede, come punti salienti, la maturazione dei loro Grignolino per un periodo minimo di 40 mesi – di cui almeno

24 in legno – prima della sua messa in commercio oltre a ripetute degustazioni alla cieca per verificarne la qualità e la conseguente idoneità alla sua commercializzazione col marchio Monferace. L’Associazione, che deve il suo nome a un termine cinquecentesco indicante il Monferrato, è attualmente costituita da 13 soci attivi nel Monferrato astigiano e casalese, ovvero in un’area compresa fra i fiumi Po e Tanaro e le città di Casale Monferrato, Asti e Alessandria. Le prime bottiglie che potranno fregiarsi di tale marchio, figlie della vendemmia 2015, saranno poste in vendita nel corso del 2019. il Sommelier | n. 4 - 2018

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di Lara Loreti

DOMENICO D’AGOSTINO,

un cuoco cittadino del mondo

La valigia in una mano, il mestolo nell’altra. Lui ama definirsi cuoco pellegrino perché spesso è in viaggio tra Europa e Stati Uniti. “Ogni posto mi ha insegnato qualcosa”, dice con aria vissuta.

L

o sguardo di Domenico D’Agostino, 37 anni, è quello di chi ama farsi sorprendere. E il suo entusiasmo fanciullo tradisce un altro lato della sua personalità: l’attaccamento alle radici. Quelle calabresi, della sua famiglia di origine. E quelle piemontesi, la sua nuova patria. Il giovane artista dei fornelli è lo chef del ristorante Piazza Duomo, in piazza San Donato a Pinerolo (Torino). Un delizioso angolo di gusto che sta segnando la rinascita enogastronomica del grazioso borgo alle porte della città della Mole. Un locale elegante, ma nel contempo informale, gestito da una manager del calibro di Maria Luisa Cosso, 80 anni, pinerolese doc, imprenditrice del mondo dei componenti d’auto, insieme con la figlia Paola Eynard. Arredi eleganti, tovaglie raffinate, lampadari e rivestimenti ricercati alle pareti, ma anche colori e dettagli più casual a creare un piacevole contrasto, che mette subito a proprio agio il cliente. A pochi passi, sotto lo stesso porticato al centro di Pinerolo, la pasticceria di famiglia.

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È il regno di D’Agostino, che qui ha trovato la sua dimensione ideale di semplicità e ricerca allo stesso tempo. Una vivacità, la sua, che si rispecchia nel piatto: i sapori sono autentici, le ricette semplici, il tocco sempre curato. “In cucina mi diverto, sono fortunato perché posso fare quello che mi piace – dice Domenico

– E quando lavori così, riesci a trasmettere agli altri la tua serenità”. Una passione, quella di D’Agostino, che viene da lontano. “Tutto parte da mio nonno – racconta lo chef – La mia famiglia ha origini molto umili. Basti dire che lui ha avuto il suo primo paio di scarpe a 16 anni. Ha sofferto tanto: a 3-4 anni già faceva il guardiano


degli animali per aiutare la famiglia, ha viaggiato per l’Italia, senza un soldo in tasca, spesso ha patito la fame. Arrivato a Torino da un paesino calabrese che oggi non esiste più (si chiamava Ladoria, sorgeva accanto al fiume, ma adesso lì ci sono solo erbacce), fu ospitato da un amico. In cambio cucinava costine, frittelline e altri piatti semplici. Poi a 18 anni si trasferì da parenti. Piano piano, lavorando a testa bassa, si è costruito la vita. E ancora oggi io abito in una casa che ha costruito lui. Questi pensieri su di lui e sul suo vissuto, l’ho elaborati da poco, e ne ho tratto insegnamenti importanti: il valore della famiglia, il sacrificio, l’impegno che viene sempre premiato”. Domenico viaggia molto, soprattutto negli Stati Uniti dove ha lavorato per un lungo periodo e accumulato esperienze importanti. Il suo curriculum cresce come pure la sua esperienza culinaria: più va avanti, più impara a mescolare

ingredienti e sapori, a riadattare le ricette americane al gusto made in Italy, costruendo così un suo stile. La svolta professionale arriva quando nel 2012 partecipa e vince a “La Prova del Cuoco”, celebre trasmissione di Rai Uno. D’Agostino viene selezionato e gli autori del programma lo invitano a inviare 40 piatti, un’ampia rosa all’interno della quale sceglierne uno. Lo chef opta per la pasta con le melanzane abbottonate, che definisce “un piatto intimo della nostra famiglia”. Prepara il piatto in tv e vince. “Ero al settimo cielo – ricorda – Tutti mi festeggiavano tra baci e abbracci, io non ci credevo”. Poi accade qualcosa di particolare, che lo segna. “Sulla via del ritorno verso Torino – continua lo chef – sul treno Freccia rossa, ricevo la telefonata di mia zia dall’America che mi dice: “Domenico, ti abbiamo visto anche qua su Rai International. Ma tu sai che giorno è oggi? È il compleanno della bisnonna”, colei che ha tramandato quel piatto

premiato alla mia famiglia. In quel momento la mia vita è cambiata, ho capito che tutte quelle coincidenze avevano un senso. Mi sono riavvicinato alla fede, il mio modo di cucinare ha subìto una svolta: non imito più nessuno, anzi. Cerco dentro di me la strada, seguo le movenze di mia nonna (figlia della bisnonna nata nel giorno che ho vinto la Prova del cuoco) e cerco di riportare quei sapori nel ristorante. Ho capito che i piatti tipici della mia tradizione familiare derivavano dal desiderio delle donne di casa di vederci felici al tavolo e darci qualcosa che ci riempisse di amore e di sostanza. Se non hai questi pensieri mentre cucini, quei sapori non arrivano. Io, quando sono ai fornelli, sento qualcosa che mi scalda dall’interno”. Sentimenti che D’Agostino ritrova anche negli Usa. “Quando andai a lavorare in America, un amico mi ospitò e cucinò per me regalandomi grandi emozioni – dice il giovane cuoco –. È la forza della vita perché cucinare un piatto di pasta, anche solo per una persona, ha un valore il Sommelier | n. 4 - 2018

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aggiunto. Ognuno di noi può avere mille problemi ma dedicandogli attenzioni sincere, cucinando puoi regalargli la pace, alleggerirlo e farlo sognare, anche se solo per pochi minuti. Tu puoi non dirglielo, quel regalo gli arriverà lo stesso, lui lo percepirà”. Animato dalle migliori intenzioni, Domenico avanza nella sua carriera. Lavora per tre stagioni a Villa d’Este a Cernobbio sul lago di Como e al Cala di Volpe a Porto Cervo in Sardegna, dove serve personalità come Bruce Willis (è un appassionato di aragosta) e Flavio Briatore (Mi guardò e mi disse: Ehi ragazzo, dammi il pesce più marcio che hai! Consapevole che gli avrei dato il più fresco…”, racconta il cuoco), prima di approdare al Piazza Duomo a Pinerolo. “I miei piatti forti sono

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quelli della mia infanzia: vitello tonnato in assoluto è il piatto a cui sono molto legato, come omaggio al Piemonte – spiega il 37enne –. Amo molto la cucina di mare e al Piazza Duomo il mio piatto “must” è il branzino della nonna: lei buttava il sale in padella, poi metteva il pesce dalla parte della carne e lo faceva diventare dorato. Quindi lo girava con un gesto secco. Prezzemolo fresco, olio extravergine, una spremuta di limone fresco e via! Un gusto pazzesco”. Dal suo peregrinare in giro per l’Italia e per il mondo, tra convegni e show cooking, D’Agostino prende in prestito idee e sapori. Dalla Sardegna “estrae” bottarga, culurgiònes (agnolotti cuciti a mano, “una nonna sarda mi ha insegnato a farli”, dice il cuoco) e il

maialino, con tutto il suo rito del falò (“un’occasione per stare insieme e raccontarsi le cose”); dagli Usa prende in prestito il barbecue e in generale il modo di cucinare la carne (“lì la fanno tenerissima”). In America nasce anche l’idea del “Mc Dome”, un panino con hamburger di vitello, manzo, maiale e ‘nduja calabrese, diventato marchio di fabbrica di Domenico. E a proposito di New York, D’Agostino ci svela un segreto: “A 26 anni ho fatto un colloquio come chef con Sirio Maccioni per lavorare a Le Cirque. La prova andò bene, ma io non mi sentivo pronto, avevo paura di bruciarmi, e poi tornare indietro non sarebbe stato facile… Ora ho raggiunto la maturità, ma sento di avere ancora tanto da imparare. Lo faccio giorno per giorno, con passione e umiltà”.


di Lara Loreti

Quell’angolo di Bordeaux nel cuore della costa toscana: i 20 anni di

Campo alla Sughera

Grande forza di volontà, impegno e passione: questi i segreti grazie ai quali è nata un brand che oggi dà vita a vini eccellenti e pluripremiati.

C

’era una volta un pomeriggio d’estate. L’aria calda accarezza

giardino dell’azienda Campo alla

di casa Knauf. Una limited edition

Sughera, tenuta di proprietà della

a base di Cabernet Sauvignon

famiglia tedesca Knauf, titolare

e Merlot, due dei vitigni principe

le vigne che si godono il sole

anche di una multinazionale

dell’azienda, ideato insieme con il

vanitose, e ingioiellate a festa.

di sistemi costruttivi. Passione

nuovo enologo francese Stéphane

Poche settimane e poi cederanno

italiana, precisione tedesca. È il

Derenoncourt per un’occasione

i succosi grappoli per favorire,

responsabile di cantina Francesco

molto speciale: i venti anni di vita

ancora una volta, una delle

Gagliardi a intrattenere gli ospiti.

di Campo alla Sughera. I profumi

metamorfosi più geniali della

Parla con sicurezza guardando

intensi del Cabernet Sauvignon

storia dell’uomo e della natura:

uno ad uno i volti appassionati

sposano la morbidezza del Merlot

dalla pianta al calice, dall’uva

dei presenti: sta presentando

in un’esplosione di gusto ed

al vino. Siamo a Bolgheri, nel

l’Anima di Arnione, il nuovo nato

eleganza. A seguire l’azienda

Francesco Gagliardi e Elisabeth Finkbeiner

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in prima persona sono i cugini Isabel e Frederick Knauf: lei si divide tra Germania e Turchia, lui vola spesso in Giappone, ma entrambi riescono a trovare il tempo per fare un salto a Bolgheri, soprattutto d’estate quando i venti ettari della tenuta sono ancora più splendenti. Ma come ha fatto Campo alla Sughera, nel giro di venti anni, a diventare una delle realtà più affermate ed eleganti nel panorama bolgherese? Grande forza di volontà, impegno e passione: questi i segreti grazie ai quali è nato un brand che oggi dà vita a vini eccellenti e pluripremiati. L’origine della winery può essere paragonata ad una storia d’amore

tra due protagonisti che non potrebbero essere più diversi tra loro. Da un lato un raffinato tedesco: diretto, determinato, aperto al nuovo ma allo stesso tempo molto legato alla tradizione. Dall’altro un’italiana: fiera, bellissima, brillante e anche un po’ testarda. L’incontro tra i due avviene verso la fine degli anni ’90. Oggi come allora, non molto distante da Bolgheri, la famiglia di imprenditori tedeschi possiede una fabbrica per la produzione di lastre di cartongesso. Gli Knauf parlano di amore a prima vista quando ripensano ai primi incontri con questa terra ricca di tradizione vinicola sulla costa tirrenica. Da qui prenderà forma la cantina.

La tenuta prende il nome dalle querce da sughero che arricchiscono la natura nell’area bolgherese. Qui, per più di dieci anni, sono stati portati avanti i lavori di costruzione della struttura. “Ed è così che Campo Sughera vuole andare avanti – dicono dall’azienda – Con entusiasmo, gioia e producendo uno dei più conosciuti e ricercati Bolgheri Rosso Superiore Doc, contribuendo alla fama della denominazione”. Per i soci Isabel e Frederick Knauf questo significa soprattutto vivere i valori che sono alla base della loro impresa: collaborazione, impegno, spirito imprenditoriale e sostenibilità. Un messaggio forte che passa attraverso la potenza e l’energia dei vini rossi, tutti

Isabel e Frederick Knauf, soci di Campo Sughera

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fieramente mediterranei, e dei seducenti bianchi. Oggi Campo alla Sughera ha una squadra preparata e unita: oltre a Gagliardi e a Derenoncourt, ci sono Paolo Fedeli, responsabile di vigna, Michela Bardelli al commerciale e Sara Serni alla logistica. Per un totale di sei etichette (Campo alla Sughera Cru Toscana Rosso Igt, Arnione, Bolgheri Rosso Superiore Doc, Adèo Bolgheri Rosso Doc, Achenio Bolgheri Bianco Doc a base di Vermentino, Sauvignon Blanc e Chardonnay, Arioso Toscana Bianco Igt con uve Vermentino e la Grappa di Arnione) e 110mila bottiglie. I 20 anni di Campo alla Sughera segnano anche l’ingresso nella squadra bolgherese di Stéphane Derenoncourt, guru con curriculum firmato Bordeuax. Una collaborazione che ha lo scopo di donare ancora più eleganza e finezza al vino che è considerato proprio il Bordeaux del Mediterraneo. Sull’ultima annata, l’enologo ha le idee chiare: “All’inizio dell’anno abbiamo esaminato la filosofia aziendale con la proprietà e definito gli obiettivi di produzione. Si tratta di un progetto entusiasmante che ci dà libertà creativa e condizioni ottimali. La questione dello stile e del posizionamento dei vini è stata rapidamente risolta. In realtà, la natura lo ha fatto per noi. Qui i suoli sono di origine alluvionale, leggeri e caratterizzati da strati sabbiosi che incontrano in profondità una base argillosa. Queste caratteristiche naturali dei suoli si ritrovano anche nei vini di Campo Sughera: grande finezza e persistenza. Meno carichi e concentrati ma più complessi,

Frederick Knauf e Elisabeth Finkbeiner.

molto moderni. I vini pesanti e di grande corpo sono ormai superati, la tendenza va verso sapori discreti, eleganti e puliti”. Caratteristiche che distinguono le etichette di Campo alla Sughera da quelle dei vicini di casa. Un concetto snocciolato dallo stesso enologo: “Le differenze sono molteplici: oltre ai terreni leggeri, c’è la dimensione umana di un’azienda a conduzione familiare che rende Campo Sughera una “boutique winery”. Inoltre abbiamo a che fare con una

realtà relativamente giovane dove i vigneti hanno appena superato l’adolescenza. Sono stati cresciuti bene, con grande motivazione e passione e ora sono pronti per raggiungere gli obiettivi prefissati. Ma ciò che mi colpisce maggiormente è che lo “spirito del viticoltore” è vissuto da tutta la squadra. Un team altamente motivato e multiculturale che ha un approccio globale al lavoro e in cui i membri condividono quotidianamente le esperienze in vigna e in cantina”.

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di Roberto Rabachino – Fonte Ufficio Stampa SANA

Tutti i dati sulle abitudini d’acquisto di prodotti bio 8 consumatori su 10 hanno acquistato bio nell’ultimo anno e il 42% è “frequent user”. Tra le categorie più apprezzate spiccano frutta e verdura. La produzione agricola è in crescita: secondo i dati SINAB, le superfici coltivate in Italia hanno superato l’1,9 milioni di ettari, con una crescita del 6,3% rispetto al 2016.

“T

utti i numeri del Bio italiano: i driver del consumatore e le novità

del canale specializzato”: questo il titolo dell’OSSERVATORIO SANA

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2018, l’approfondimento sui temi di maggiore attualità per il comparto, presentato in Fiera a Bologna in occasione della giornata inaugurale di SANA - 30° Salone

internazionale del biologico e del naturale. Nomisma ha realizzato l’indagine – promossa da BolognaFiere con il patrocinio di FederBio e AssoBio


– su un campione di 200 punti vendita per la sezione dedicata al canale retail e di 800 famiglie per l’analisi su abitudini e motivazioni di acquisto.

Il consumatore: identikit dell’user bio Il biologico è sempre più presente nelle case degli italiani: sono infatti 8 su 10 i consumatori che hanno acquistato prodotti bio nell’ultimo anno. E il 42% di loro è “frequent user”, ovvero sceglie di comprare biologico ogni settimana. Una scelta consapevole e informata: stando alla ricerca, quasi 1 italiano su 2 predilige i prodotti biologici perché li ritiene “esattamente quelli che voglio”. Per il 52% degli intervistati la scelta è dettata da ragioni salutistiche, ma non mancano quelli che mettono al primo posto la garanzia di sicurezza e qualità offerta da questo genere di merci (47%) e quelli che

scelgono il bio perché ritenuto più rispettoso dell’ambiente (26%). Tra le categorie più acquistate spiccano frutta e verdura (scelte dal 61% dei consumatori), seguite da latte e derivati (57%) e uova (53%). E se il 44% degli user bio acquista i prodotti in GDO, il 19% continua a prediligere il canale specializzato, soprattutto guidato dall’offerta disponibile (24%) e da una maggiore fiducia nei prodotti venduti (19%). La “consumer survey” delinea una domanda di prodotti biologici in crescita, come confermato dai dati aggregati sulle vendite, salite a quota 5.612 milioni di euro (+8% rispetto al 2016), 3.552 milioni dei quali riconducibili al solo mercato domestico (+8%, var % 2017 vs 2016).

I punti vendita specializzati: i numeri e la proposta merceologica Con 1.437 unità raggiunte nel 2017, i negozi specializzati sono

il 13% in più rispetto al 2013 e il 111% in più rispetto al 1993 (fonte: BIOBANK). Di questi, il 60% è concentrato nel nord Italia e il 45% ha aperto nell’ultimo decennio. Sul fronte dell’assortimento merceologico, la survey ha evidenziato come la maggior parte dei punti vendita proponga anche prodotti non-food: in particolare, l’81% espone prodotti naturali e certificati biologici per l’igiene della persona, il 76% offre cosmetici e prodotti erboristici (63%). Anche i prodotti per la cura della casa sono molto ricercati, trovando spazio nel 73% dei negozi. Complessivamente, un punto vendita specializzato offre circa 2.000 referenze, composte per il 79% da prodotti alimentari confezionati, con la macrocategoria pasta, riso, farine, prodotti da forno indicata dal 77% degli esercizi come quella le cui referenze sono aumentate il Sommelier | n. 4 - 2018

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maggiormente negli ultimi 2-3 anni. Il 34% dei negozi ha indicato come principale criterio nella scelta dei prodotti la volontà di differenziare la propria offerta da quella della GDO e il 24% ha sottolineato l’importanza di inserire a scaffale novità in grado di attirare l’attenzione del consumatore. È stato inoltre indicato come fondamentale per il successo di un prodotto dal 40% dei punti vendita il packaging ecologico. Tra i prodotti che maggiormente incontrano l’interesse dei clienti, spiccano quelli definiti da proprietà benefiche per la salute (come segnalato dal 34% dei punti vendita) e l’attributo “vegan” (36%).

Il rapporto tra punti vendita e cliente La survey di Nomisma ha identificato anche la clientela-tipo dei punti vendita specializzati: donna (genere prevalente per il 79% degli intervistati), di un’età compresa tra i 35 e i 45 anni (50%), con figli di meno di 12 38

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anni (43%), di reddito medioalto (78%) ed heavy-user bio (la cui spesa alimentare, cioè, è composta dall’80% al 100% da cibi biologici), che sceglie i prodotti in base a un particolare stile di vita (free from/veg/light) e che sviluppa un rapporto di fiducia con il proprio rivenditore, visitando il punto vendita almeno una volta a settimana. Un rapporto di fiducia creato e rafforzato anche dalle iniziative dei gestori e dei titolari, che oltre a curare l’ambiente del negozio, dedicano alla clientela un’ampia gamma di servizi aggiuntivi, come carte fedeltà, eventi speciali e la presenza di addetti esperti e formati sulla materia, per citare i 3 servizi più diffusi e ritenuti più importanti dai partecipanti all’indagine.

I dati SINAB Presentati oggi anche i dati SINAB - Sistema d’Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica, progetto del MiPAAFT gestito da ISMEA e CIHEAM.

Nel 2017 le superfici coltivate in Italia hanno superato l’1,9 milioni di ettari, con una crescita del 6,3% rispetto al 2016. In termini assoluti, nell’ultimo anno, sono stati coltivati con metodo biologico oltre 110 mila ettari in più. Ottimi i dati in arrivo dalla Sicilia (427.294 ettari), dalla Puglia (252.341 ettari) e dalla Calabria (202.119 ettari), che insieme detengono il 46% delle superfici coltivate a biologico. L’Emilia-Romagna si posiziona tra le prime cinque Regioni con 134.509 ettari totali, mentre la Lombardia è la Regione che cresce di più (+21,4%): dati che indicano come la produzione vegetale biologica interessi sempre di più l’intero territorio nazionale. A fine 2017 il biologico è arrivato a interessare il 15,4 % della SAU italiana, in crescita di un punto percentuale rispetto al 2016. Le aziende inserite nel sistema di certificazione per l’agricoltura biologica sono quasi 76.000, con un incremento del 5,2%.


di Roberto Rabachino

Regina Vanderlinde eletta presidente dell’OIV Sarà una brasiliana a succedere alla tedesca Monika Christmann alla presidenza dell’Organizzazione internazionale della vigna e del vino per i prossimi tre anni.

D

urante l’Assemblea generale tenutasi a Parigi lo scorso 6 luglio, l’OIV ha

rinnovato gli uffici di presidenza dei suoi principali organi. Regina Vanderlinde, ordinaria di Biotecnologia all’Università di Caxias do Sul, è stata eletta dagli Stati membri dell’OIV per presiedere i vari organi dell’Organizzazione per un mandato di tre anni. Dottoressa in Scienze biologiche con specializzazione in Enologia e Ampelologia presso l’Università di Bordeaux, Vanderlinde è da parecchi anni membro della delegazione brasiliana presso l’OIV, in cui è stata segretaria scientifica della Sottocommissione “Metodi di analisi”. La nuova presidente si è rallegrata per questo riconoscimento della viticoltura sudamericana da parte della grande famiglia dell’OIV e si è detta orgogliosa di essere la terza donna a presiedere consecutivamente l’Organizzazione.

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a cura della Redazione centrale - Fonte dati Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA) e Nielsen

Ancora in aumento la spesa alimentare domestica nei primi 6 mesi del 2018, stabili i volumi Nel primo semestre 2018 gli italiani hanno speso oltre un miliardo per l’acquisto di vino e spumanti, ben 48 milioni in più rispetto al primo semestre 2017.

L

a spesa delle famiglie per i prodotti alimentari – rilevata attraverso il monitoraggio Ismea-Nielsen – registra nei primi 6 mesi del 2018 un incremento dello 0,9% rispetto allo stesso periodo del 2017. La crescita della spesa accusa quindi un rallentamento rispetto alla dinamica del primo trimestre (era +1,4% nel primo trimestre 2018 rispetto al trimestre corrispondente del 2017). Inoltre, l’incremento della spesa nel primo semestre dell’anno è da ascriversi quasi esclusivamente all’aumento dei prezzi medi delle referenze componenti il carrello. Anche in questo periodo sono stati i prodotti confezionati a trainare la spesa (+2,2%) mentre per i prodotti sfusi (che ormai pesano solo il 32% del valore del carrello) la spesa si è

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contratta del 2%. I consumatori italiani hanno speso circa lo 0,8% in più per l’acquisto di beni alimentari e l’1,7% in più per le bevande (alcoliche ed analcoliche), rispetto allo stesso periodo del 2017. Considerando le ripartizioni geografiche, una crescita sostenuta della spesa per i prodotti confezionati si è registrata nelle Aree Nord Est (+4,9%), Nord Ovest (+1,9%) e Centro (+4%), mentre una lieve flessione ha caratterizzato i consumi nell’Area Meridionale (-0,3%, ma era -1,1% nel primo trimestre). Importante sottolineare che seppur la crescita non si è manifestata in maniera uniforme a livello nazionale, il Meridione ha mostrato nel secondo

trimestre un’accelerazione dell’andamento dei consumi (pur restando la variazione complessiva del semestre in terreno negativo), mentre hanno decelerato i ritmi di crescita del Centro Nord. La composizione della spesa nel primo semestre 2018 vede una rimodulazione dei componenti rispetto all’analogo semestre dello scorso anno: si è speso meno per bevande analcoliche e ortaggi e di più per carne, uova e vini. Si delineano le scelte dei consumatori circa il mutato modo di alimentarsi; i dati più evidenti sono “meno carboidrati e più proteine”; e per quanto riguarda i vini, se ne sono acquistati meno, ma con prezzi in netto aumento che hanno determinato

un complessivo aumento della spesa. Nel primo semestre 2018 gli italiani hanno speso, solo presso la Distribuzione Moderna, oltre un miliardo per l’acquisto di vino e spumanti, ben 48 milioni in più rispetto al primo semestre 2017. Anche per la birra sono stati spesi in soli sei mesi e nella sola Distribuzione Moderna, quasi 680 milioni di euro, con incrementi del 3,2% rispetto al 2017, quando già si registrava un +8,4 rispetto al 2017. Per quanto riguarda il vino va sottolineato, però, che non sono stati i volumi a crescere (-3,6%) bensì i prezzi unitari, infatti la produzione della scorsa annata era stata particolarmente scarsa determinando un aumento del

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valore della materia prima. Nello specifico sono calati di oltre 7 punti i volumi acquistati di vini comuni (senza denominazione), ma sono aumentati di 2,7 punti i volumi di vini DOC/DOCG. In aumento nel primo semestre anche l’interesse per gli spumanti per i quali, a fronte di un incremento del 3% dei volumi, si rileva una spesa superiore a quella dell’analogo periodo 2017 del 6,4%. Tra i prodotti freschi per i quali la spesa risulta in aumento emerge il comparto delle uova, per le quali nel primo semestre si ha un + 16,7% dopo la già buona performance del 2017 (+4% rispetto al 2016). Il trend è anche in questo caso da ascriversi esclusivamente all’aumento dei prezzi medi dovuto da un lato alla minor disponibilità di offerta, dall’altro lato alla maggior presenza in 42

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assortimento di uova provenienti da allevamenti “a terra” e biologici, che hanno prezzi più alti. In notevole aumento anche la spesa per il burro, per il quale però, a fronte di un aumento del 22% dei prezzi, i volumi acquistati restano pressoché stabili (+0,6%). In aumento la spesa per tutte le carni, per le quali però i volumi venduti risultano nel complesso stabili, con intonazione leggermente positiva per le bovine (+0,2%) e leggermente flessiva per le suine (-0,8%), mentre restano stabili i volumi delle avicole; per tutte in sensibile aumento i prezzi. Riguardo i carboidrati le tendenze sono evidenti: rispetto al primo semestre 2017 le vendite di pasta di semola secca registrano una flessione del 2,4% in volume con una

riduzione della spesa del 3% che si aggiunge a quella dell’1,4% già rilevata nel 2017 rispetto al 2016. Anche tra le farine, quella di frumento tenero registra flessioni in termini di volume del 4% (-2,7 in spesa dopo il -2,9% del 2017). Forte incremento, nei primi sei mesi del 2018, dopo un 2017 già in crescita, per i consumi di prodotti della IV gamma. Rispetto a giugno 2017 la crescita nelle vendite di ortofrutticoli di IV gamma è stata del +5,2% a volume e del +4,5% a valore. Un successo che si deve in primo luogo dalla crescita del parco acquirenti. Secondo i dati Nielsen aggiornati a giugno 2018, infatti, il numero di famiglie che acquista prodotti di IV gamma risulta cresciuto di circa 300 mila unità, toccando quota 19,6.


di Gladys Torres Urday – gladys@torresurday.com

La torta di Franz L’incredibile storia della Sacher Rossella Fabbri - Slow Food Editore

Villa Metternich, Vienna 1832. Un’allegra brigata di cucina formata da Peter lo sguattero, Melina la cameriera e Franz, l’aiuto panettiere con una grande passione per la pasticceria. Tutti eseguono gli ordini insindacabili dell’austero Herr Brunswick, l’aiuto cuoco, e del supremo chef Labrioche, talento indiscusso dal cuore tenero. Il Principe organizza un’importantissima cena di gala e la cucina è in fermento, ma improvvisamente lo chef si ammala e il temuto aiuto cuoco è costretto ad affidarsi proprio al giovane apprendista panettiere. Franz tutto contento riproporrà il dolce grazie al quale aveva conquistato Melina, una delizia al cioccolato che incanta il Principe e che sarà destinata a diventare la torta più famosa del mondo!

Il grande libro dei vini dolci d’Italia Massimo Zanichelli - Giunti Editore

Più citati che realmente conosciuti, i vini dolci italiani rappresentano un mondo variopinto ed emozionante. Questo libro, il primo completo sull’argomento, ne racconta le tecniche, le tradizioni e i territori in un viaggio sensoriale che attraversa il Bel Paese dalle Alpi alle isole, presentando i vini secondo un’inedita suddivisione per colori e temi: dal giallo paglierino del Moscato d’Asti al dorato degli aromatici di montagna, dall’ambrato del mare al mogano del Vin Santo, dal rubino dell’Aleatico al porpora del Recioto della Valpolicella. Un percorso trasversale e appassionante scandito da mappe e fotografie, che riunisce il meglio della produzione nazionale per riscoprire tutto il fascino di un patrimonio unico e millenario.

Sud, la grande cucina

Ricettari - Slow Food Editore La cucina italiana del Mezzogiorno presenta piatti che hanno scritto la storia gastronomica del nostro Paese e si sono diffusi in tutto il mondo. Patria della dieta mediterranea, ormai universalmente nota per la sua diretta implicazione sulla nostra buona salute, il Sud Italia detiene i segreti di piatti straordinari: abbondanza di verdure semplicemente cotte al forno o grigliate, o protagoniste di sontuosi piatti quali la parmigiana o la caponata, il meraviglioso olio di oliva, la tradizione delle erbe spontanee e la loro profonda conoscenza, il pesce, di cui la vicinanza con il mare garantisce un’abilità nel prepararlo innata e originale, le carni, spesso anche i tagli meno nobili, i legumi e i formaggi a pasta filata.

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Testo e foto di Jimmy Pessina

Nuova Zelanda: tra Oceano Pacifico e vulcani “La fine di un viaggio non è altro che l’inizio di un altro, ... ed è necessario ricominciare viaggiare. Sempre” … scriveva José Saramago nel “Viaggio in Portogallo”. Queste sono le sensazioni di ciò che il Nobel portoghese della letteratura intendeva sia come movimento verso un luogo sia dentro se stessi

P

er immergersi nella storia della Nuova Zelanda basta solo un biglietto aereo e tanta voglia di scoprire i luoghi simbolo del Paese. In pieno Oceano Pacifico del sud, sotto un cielo dove l’astronomia sta a testa in giù, la Nuova Zelanda, un Paese di due isole grande come l’Italia, ospita vulcani che ogni tanto esplodono, distruggendo i paesi e seminando il panico. Ma per lo più tranquillamente, il magma si limita a scaldare l’acqua e a fornire energia a buon mercato per le case e le industrie dei quasi cinque milioni di

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neozelandesi che vivono nella patria dei maori. Aotearoa è il nome “maori” della Nuova Zelanda, battezzata ben prima che i colonizzatori europei giungessero sulle rive ventose del verde diviso in due isole (North e South), adagiato nel Mar di Tasman, il blocco di terra emersa più distante dall’Europa. Oltre solo le stelle. Lembo di terra isolato, distante da tutto, luogo ideale per fare maggese dentro di sé, per resettare l’anima, in fuga dal caos della quotidianità ad alta densità abitativa nelle nostre lande

domestiche. 28 ore di volo (in direzione occidente oppure oriente, dall’Italia non fa differenza) e si atterra agli antipodi, fuggendo dall’inverno e conquistando l’estate australe. Che in Nuova Zelanda assume sapori speciali: fresca, sognante, oceanica. Vestigia vulcaniche che attraversano la terra: la North Island è la massa di terra che costituisce il lembo settentrionale della Nuova Zelanda. Il suo scheletro è retto da una colonna vertebrale di fuoco che si esprime attraverso colossali vulcani, pozze di fango ribollenti,


geyser. Una cintura del fuoco che costituisce l’essenza stessa dell’isola. In cui vive anche ampia parte della popolazione maori, comunità che conserva con cura le proprie tradizioni e i propri rituali originari. Dai 3 vulcani che definiscono il panorama straordinario del Tongariro National Park (“set” reale che ha dato forma alle fantasie tolkieniane nella saga cinematografica del Signore degli Anelli, firmata Peter Jackson) ai fenomeni geotermici di Rotorua, fino al campo vulcanico su cui è edificata la magnifica Auckland, la

città più popolosa del Paese adagiata su coni di vulcani dormienti che si inabissano nelle acque azzurre del Golfo di Hauraki, campo di regata e di battaglia di passate sfide di America’s Cup. Non esiste una graduatoria che allinei i Paesi per grado di civiltà. Non può esistere, naturalmente, nemmeno in un mondo di ansie classificatorie come il nostro: perché il concetto è sfuggente, indefinibile. Eppure, se ci fosse, la Nuova Zelanda competerebbe a buon diritto per i primi posti. Lo testimoniano tanti piccoli segnali

che si possono cogliere nell’atmosfera quotidiana. Il rispetto, per le regole non scritte. Il garbo, nei rapporti tra le persone. I sentieri naturalistici, non importa quanto remoti, immancabilmente accessibili ai disabili. Il rispetto per la natura, che laggiù domina sull’uomo, poco più che pioniere soprattutto nell’Isola del Sud. La Nuova Zelanda, grande più o meno come l’Italia, ha poco più di quattro milioni di abitanti, come la Croazia o l’Irlanda: pochi, e inoltre concentrati nella più calda Isola del Nord dove sorgono Auckland, la il Sommelier | n. 4 - 2018

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“metropoli” neozelandese e la capitale Wellington. L’Isola del Sud, che occupa metà della superficie del Paese, ha invece da poco festeggiato il suo primo milione di abitanti, che quindi si ritrovano dispersi in un ambiente naturale vasto, imprevedibile e di sorprendente bellezza. Il paesaggio è dominato dalla catena

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delle Alpi meridionali, in tutto simili a quelle europee: la forma dei rilievi, i solchi delle vallate, gli allungati laghi glaciali, i colli delle Prealpi rimandano immediatamente alle immagini consuete da quest’altra parte del mondo; solo, laggiù si conservano intatte, non trasformate e plasmate dalla millenaria mano dell’uomo. I

neozelandesi sono tutti appena arrivati, sia i maori di ceppo polinesiano, sbarcati nel Duecento, sia i discendenti degli inglesi, giunti nel Settecento. Entrambi i gruppi sono cittadini fin dalla nascita dello Stato come dipendenza britannica, formalizzata dal trattato di Watangi nel 1840. Fin da allora gli inglesi riconobbero i diritti di proprietà dei maori; nei decenni seguenti non mancarono certo abusi, forzature e anche scontri armati tra i due gruppi etnici, ma le tensioni non andarono mai al di là di un certo segno, e oggi tutti antepongono a ogni altra identità quella peculiare neozelandese: kiwi – dal nome dell’uccello simbolo del Paese – è il nomignolo nel quale tutti si riconoscono. I maori, circa il quindici per cento dei neozelandesi, coincidono ancora in gran parte con la fascia più debole della popolazione: ma di un’etnia eccezionalmente equilibrata. Il divario tra i più ricchi e i più poveri è contenuto, l’indice di sviluppo


umano è altissimo – il terzo nel mondo nel 2013 – anche se il Pil pro capite è di circa diciannovemila euro annui, inferiore a quello italiano (quasi ventunomila, sempre nel 2013). Per contro, la Nuova Zelanda è al primo posto nella particolare graduatoria che misura la corruzione; sostanzialmente, non c’è. Wellington, la capitale, placida ed elegante, sorge all’interno di un antico cratere vulcanico, riempito dalle acque del mare, situata all’estremità meridionale dell’Isola del Nord. I villini dove risiede gran parte della popolazione punteggiano il verde dei colli digradanti verso il centro storico – si fa per dire: gli edifici più antichi sono quelli di foggia inglese, sorti a fine Ottocento – e il porto, dal quale i traghetti partono per affrontare il turbolento Stretto di Cook che divide le due isole. In quella del Sud la dorsale alpina, che si eleva a ridosso della costa occidentale, s’incontra con il mare in un susseguirsi di baie, insenature e

fiordi, che non hanno nulla da invidiare ai più celebri norvegesi: centinaia di metri di roccia si buttano a picco nelle fredde acque australi, popolate di pinguini e foche orsine. Le nevi perenni e i ghiacciai scendono fino a poche centinaia di metri di altitudine al livello del mare; la Nuova Zelanda si trova alla stessa latitudine

dell’Italia – ovviamente ribaltata –, ma non beneficia della Corrente del Golfo che riscalda l’Europa. E quindi ha un clima più freddo e, soprattutto, più piovoso della sua controparte boreale. Questa caratteristica, combinata con l’isolamento ininterrotto da ere geologiche, ha generato un panorama ambientale unico. Non

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esistono mammiferi terrestri, salvo quelli importati dall’uomo negli ultimi secoli, e ovunque sorge la foresta pluviale. Una strana foresta: apparentemente alpina, se vista da lontano; simile al contrario alle giungle tropicali, se osservata più da vicino. Ma una giungla fredda, con le palme adattate al clima, grazie alle foglie sfrangiate, le

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conifere dagli aghi sottili e aguzzi, i rampicanti e le felci – altro simbolo della Nuova Zelanda –. E ovunque, spessa e soffice la coltre, il muschio che ricopre ogni cosa: terreno, rocce, tronchi, rami, foglie. Infatti, è qui che il regista kiwi Peter Jackson, ha trovato la Terra di Mezzo evocata da Tolkien, immortalano le immagini nella

trilogia “Il signore degli anelli”. Nella stretta fascia costiera occidentale gli insediamenti umani sono ancor più radi e conservano un che di provvisorio, pionieristico, e possono scorrere centinaia di chilometri tra uno e l’altro. I collegamenti con la sponda orientale passano attraverso due passi che si aprono al culmine di valli nebbiose e


deserte, appena superata la cresta il paesaggio improvvisamente s’illumina, e degrada dolcemente in colline via via più arrotondate, sulle quali brucano in stato semi-brado pecore, mucche e cervi, le tre razze che costituiscono l’ossatura dell’allevamento neozelandese. L’altro caposaldo dell’economia dell’Isola del Sud è la vite, coltivata

nelle regioni più riparate e impiegata per produrre Sauvignon e Pinot di ottima qualità. In fondo alla piana, sempre ondulata, le piccole città – la remota Invercargill, l’eccentrica Dunedin, la martoriata Christchurch –; nel mezzo, la campagna punteggiata di fattorie dove ogni famiglia vive quasi in autarchia, eppure parlando

un impeccabile inglese oxfordiano e rimuginando la propria nostalgia dell’Europa. Ogni casa ha almeno una stanza per i viaggiatori di passaggio, accolti con un bicchiere di vino e il rito vittoriano del tè, imprescindibile appuntamento con i vicini ma anche con gli ospiti – e non importa se conosciuti o no. Per uscire però dalle tratte turistiche,

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uno dei tracciati che ho preferito è la Copland Track, a poca distanza da Fox Glacier, che richiede due giorni, e lungo un percorso poco battuto, passano fiumi, torrenti, risalendo il fianco di una montagna fino a delle piscine termali naturali. La Nuova Zelanda è un paese di cui si parla sempre poco, un po’ all’ombra della vicina Australia, che proprio per questo motivo riesce a sorprendere chi arrivi senza meta. Andando oltre i paesaggi e la natura per cui i più la raggiungono, la Nuova Zelanda è a mio parere un luogo che ha bisogno di tempo per essere conosciuto. I suoi ritmi lenti e lo stile vita che caratterizzano questa popolazione sono qualcosa a cui è necessario abituarsi e apprezzare con il tempo. Della Nuova Zelanda non scorderò mai il profumo dei fiori e della fitta vegetazione, detta “bush”, la cordialità e la disponibilità dei suoi abitanti, la musica creata dalle numerose specie di uccelli, le nuvole che disegnano sempre dei cieli meravigliosi e la variabilità del meteo, non a caso un detto tipico è “four season in one day”. il Sommelier | n. 4 - 2018

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Testo e foto di Jimmy Pessina

Uzbekistan,

paese affascinante e sconosciuto

L’Uzbekistan si è aperto recentemente al turismo con itinerari di grandissimo interesse storico fino a poco tempo fa sotto l’egida sovietica.

“L’

Uzbekistan? E dov’è?” Era questa la domanda che più di frequente mi sentivo rivolgere quando parlavo del mio prossimo viaggio e c’era sempre qualche spiritoso che quanto cominciavo a spiegare che era la nazione dove si trova la mitica Samarcanda, la città raccontata nei diari di viaggio di generazioni di esploratori e viaggiatori, mi sorrideva dicendo “Ah, allora esiste davvero? Non è solo in una canzone di Vecchioni?”. Eppure per me Samarcanda, è sempre stata una località speciale, che evocava i

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racconti delle “Mille e una notte” letti da bambino, silenzi infiniti del deserto, profumi d’oriente, storie di carovane lungo la via della seta, immagini di tappeti, di odalische, di palazzi principeschi, sempre in bilico tra leggenda e realtà. Un viaggio in Uzbekistan, è bellissimo, soprattutto perché si tratta di una meta “esotica” ma non lontanissima: un viaggio fattibile senza troppi problemi, il periodo migliore per visitare il Paese è da febbraio a giugno, gli hotel in buon ordine e soprattutto molto cordiale la popolazione locale. L’Uzbekistan, si è aperto

recentemente al turismo con itinerari di grandissimo interesse storico fino a poco tempo fa sotto l’egida sovietica, uno di questi è appunto l’Uzbekistan, Repubblica del Centro Asia con circa 28.000.000 di abitanti. Una rapida evoluzione è comunque in atto nel Paese, aiutata quest’ultima dall’entusiasmo ed energia della sua giovanissima popolazione che, per il 50% è sotto i 20 anni. Territorio molto vario, presenta zone desertiche e zone rese fertili dalle grandi opere di irrigazione del XX sec. che prelevano l’acqua dal lago


d’Aral. Ricco di materie prime, tra le quali gas, greggio, carbone, giacimenti di oro, rame e minerali ferrosi, è purtroppo ancora privo della tecnologia per raffinare tali risorse in quanto esse erano, fino a poco fa, sotto totale controllo russo. Ora iniziamo in nostro viaggio dalla capitale della Repubblica Uzbeka: Tashkent. Dopo anni di ateismo, primeggia nel paese la religione islamica, in ogni caso affatto integralista, tant’è che solo pochissime moschee sono attualmente luoghi di culto o scuole craniche, ma diventate musei o negozi. Gli uzbeki sono generalmente molto cordiali e disponibili verso gli ospiti, imparano velocemente le lingue straniere, per cui non è inusuale sentirsi rivolgere la

parola in italiano. Amano farsi ritrarre, talora si mettono in posa davanti la macchina fotografica esibendo smaglianti sorrisi dai denti d’oro, che sembrano essere un vanto nazionale in quanto ne sono ben forniti anche

i giovanissimi. Veniamo al nostro viaggio iniziando dalla capitale: Tashkent, ha oltre 2000 anni di storia, ma che nel 1966 la città fu rasa al suolo da un terremoto ed è stata ricostruita ex novo per farne una città modello sovietica.

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Abbondano quindi squadrati edifici in cemento, ampi viali, giardini dove un tempo dominavano statue di Lenin e Marx oggi rimosse e sostituite da quelle di Tamerlano. Da vedere la madrasa di Kukeldash recentemente restaurata con il contributo di vari paesi islamici, una cosa che avrò modo di notare più volte nel corso del viaggio dove in varie città avrei trovato edifici religiosi costruiti o restaurati dopo il crollo dell’Unione

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Sovietica con il sostegno finanziario di Sauditi o altri paesi islamici, come la piccola moschea Jami utilizzata in epoca sovietica come officina per la lavorazione di lamiere e oggi nuovamente aperta al culto Samarcanda. Il nome di questa città rievoca sicuramente i miti legati alla leggendaria Via della Seta. Il suo solo nome ci fa fare un balzo nel passato, al tempo in cui le carovane percorrevano la via della seta, trasportando in

Europa i tesori del lontano Katai. Considerata storico crocevia di popoli e di merci, Samarcanda innalza verso il cielo turchino le sue moschee, madrase e mausolei che luccicano di smalti turchesi e azzurri. Nel Mausoleo Gur-Emir un riverente silenzio è d’obbligo dinnanzi al sarcofago in porfido nero di Amir Timur, (Tamerlano), uno dei massimi conquistatori del passato, che estese il suo impero all’Europa e all’India. Da non


perdere la Necropoli di Shakizinda, gioiello dei XV - XVI secolo, dalla bellezza mozzafiato, soprattutto all’ora del tramonto, quando il sole fa splendere le sue cupole turchine. È il primo sito uzbeko ad essere iscritto nel 1990 nel patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO ed è formata da due città separate da una doppia cinta di mura. Luogo incantato risalente ad oltre 2.500 anni fa, è situato in posizione strategica, perché dai suoi torrioni

si controllavano le vie carovaniere tra il Volga e l’Asia centrale e rappresentava inoltre l’ultima sosta prima del deserto iraniano. Attirato dalle esplorazioni archeologiche e visitato i Mausolei e moschee, ma ero a Samarcanda ed entrai in un bazar, quello di Siab, forse il principale e più brulicante, che si stende ancora oggi nei dintorni della moschea di Bibi Khanum, dove si trova di tutto, abbigliamento, pezzi meccanici, utensili oggetti

per la casa anche se io continuavo a vedere con gli occhi delle mie letture stoffe e mercanzie in vendita all’epoca dei Khan. Khiva, che si raggiunge con un volo interno di poco più di un’ora da Tashkent. Questa è la meglio conservata tra le città della Via della Seta. Molto bella è la moschea Djumala. A Khiva il tempo sembra essersi fermato. Imponenti mura racchiudono 50 monumenti e moschee con cupole e minareti dai raffinati ricami,


altri 250 tra abitazioni e palazzi nobiliari rivaleggiano con esse per grazia e leggiadria. L’azzurro delle ceramiche si alterna al bruno dei mattoni cotti , è veramente uno spettacolo unico! Bukara è come una favola scritta su di una pergamena che si srotola riga dopo riga sotto i nostri occhi. Inizia dalla Lyabi-Hauz, romantica piazzetta delimitata da scuole coraniche e formata da un piccolo lago. Nella luce del tramonto le forme nere e contorte dei gelsi millenari gettano ombre misteriose sull’acqua dorata. Prosegue in una vera caverna di Alì Babà, colma di autentiche meraviglie: per una volta in un bazar orientale le cianfrusaglie sono soffocate dalla bellezza. La seta fresca e variopinta dei ricami delle “suzanne” butta raggi di luce tra le ombre dei vicoli. È ricca di pregevoli monumenti di grande interesse storico/artistico: la possente Fortezza Ark, vera città nella città, le varie moschee e, persa in un labirinto di viuzze, la madrasa Chor-minor, unica parte sopravvissuta di un complesso più grande, e dall’architettura molto originale. La pergamena si srotola ancora e percorrendo una strada soleggiata e polverosa si intravvede la sagoma di una straordinaria cupola blu che si confonde con il cielo. Ammutoliamo perché ad ogni passo sfolgora una nuova cupola o l’arco di un portico con tutti i colori del mondo, finché la piazza del Minareto Kalon si rivela tutta la sua bellezza. Kalon in lingua tagika significa grande e grandi e splendidi sono piazza e minareto, tanto che nemmeno Gengis Khan ebbe il coraggio di toccarli. Dall’alto del minareto coni di luce rosata illuminano le 288 cupolette grigie e le tante luminosissime cupole blu della moschea. All’orizzonte, 56

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oltre la città, le antiche mura, si intravvede un pezzo di deserto. Nel cortile troneggia un gigantesco gelso e intorno riverberano le decorazioni ricchissime del portico. La città uzbeka è da

noi conosciuta principalmente per i suoi famosissimi tappeti. Ora Bukara è una città tranquilla ma vivace, dove è possibile gustarsi il passeggio comodamente seduti nei bar all’aperto o dedicarsi

allo shopping nei tanti negozietti presenti lungo le bellissime vie, tutte pedonali e pulitissime. Una vera e propria città-museo, che si raggiunge in autobus dopo aver attraversato il deserto di Kisil-Kum.

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di Enza Bettelli con l’abbinamento di Nicola Masiello Presidente Emerito F.I.S.A.R.

BABÀ,IL DOLCE DI NAPOLI CHE VIENE DAL NORD Nato in Polonia e dopo avere subito varie modifiche nel corso di un paio di secoli, è infine divenuto uno dei dolci più significativi e conosciuti della pasticceria napoletana.

L

a storia attribuisce l’invenzione del babà a Stanislao Leszczynski, re di Polonia nei primissimi anni del 1700 e anche abile cuoco e grande gourmet. Non

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si sa con certezza come e quando il re abbia creato la ricetta e perché l’abbia chiamato babà, ma la sua passione per il rum ha certamente influito sulla scelta di immergere

il dolce in una bagna alcolica. La ricetta fu successivamente rielaborata dal giovane cuoco della corte del Ducato di Lorena, dove Leszczynski era approdato


L’abbinamento di Nicola Masiello Chiudiamo il 2018 con un abbinamento non semplice dal momento che la scelta dei vini è condizionato dalla presenza di un distillato con un elevato grado alcolico: “il Rum” appunto. Per concretizzare l’abbinamento abbiamo bisogno di fare almeno due considerazioni: La prima è quella di prendere in esame la soluzione idroalcolica composta da acqua, zucchero o sciroppo di zucchero ed il rum, una delle tante cosiddette “bagne” che si usano in pasticceria. In questo caso la componente alcolica del rum viene diluita ed addomesticata dalla componente zuccherina dando una sensazione gustativa leggermente dolce ed alcolica che lega bene con la poca struttura fisica del babà e, se a questo aggiungiamo la buona esecuzione dell’inzuppata con relativa fase di sgocciolamento, il gioco dell’abbinamento lo possiamo indirizzare su vini dolci fruttati e fragranti, di corpo leggero, con la spalla acida fresca ed un grado alcolico contenuto quali: un Moscato d’Asti DOCG naturale, un Colli Euganei DOC da vitigno moscato nella tipologia abboccato o una Malvasia

dopo essere caduto in disgrazia. All’incirca un secolo dopo il dolce cambiò impasto, al quale fu tolta l’uvetta, poi la forma che divenne a ciambella e infine anche il nome modificato in Savarin in onore di Anthelme Brillat-Savarin, considerato il padre della moderna gastronomia e che ancora oggi è più conosciuto per il suo trattato sulla “Fisiologia del Gusto” piuttosto che per il suo passato di politico, uomo di legge e soldato. Dopo tanto girovagare per l’Europa, il babà, o Savarin, è approdato a Napoli. Qui, la creatività dei pasticcieri napoletani gli ha dato la forma e il gusto che lo hanno reso celebre nel mondo. Molto di questo successo è dovuto alla bagna, il passaggio cruciale nella preparazione del babà, che vi deve restare immerso a lungo perché il liquido possa intriderlo perfettamente. Poi l’eccesso di bagna viene tolto, lasciando il babà a sgocciolare per ore, oppure accelerando il procedimento premendo il dolce con le mani, con amorevole e rispettosa delicatezza per non rovinarne la fragile struttura. Ed è proprio la stupenda fusione del delicato impasto con la bagna a renderlo unico, per l’appunto ‘nnu

amabile o dolce dei Colli Piacentini DOC; scendendo verso sud possiamo indirizzarci verso vini della stessa tipologia a base Falanghina o Greco dell’area Campana e Calabrese. La seconda considerazione è quella diciamo “cafona” dove alla medesima preparazione si preferisce una bagna con solo rum e magari anche ben “inzuppato”! In questo caso non c’è abbinamento che regga; ma c’è un però: ricordo bene una serata tra colleghi, ci trovavamo nel basso Molise, si potrebbe dire nello “storico” regno di Napoli (fatte salve le allora divisioni politiche diverse da quelle odierne regionali) ed alla fine del pasto arrivò questo Babà “cafone” che sgocciolava rum da tutte le parti; ci venne proposto un abbinamento diciamo “rovesciato” con un “mosto cotto” o “saba”, che dir si voglia, dove la componente dolce e mielosa del mosto andava ad attenuare la componente alcolica del rum. Mi chiederete se fu un buon abbinamento? Diciamo “ni”, unica nota positiva fu il riequilibrio della bocca in tempi brevi. Naturalmente provar per credere…

babbà, come dicono a Napoli per definire qualcosa o qualcuno di veramente pregevole.

Le molte forme del babà

Sono molte le interpretazioni di questo dolce, dalla incerta forma iniziale poi quella ad anello del Savarin, che è ancora oggi la classica versione napoletana, fino a quella attuale più diffusa che richiamo la sagoma di un fungo, una monoporzione pratica da servire e da gustare. Di questo formato esiste anche la versione mignon, utilizzata

per riempire invitanti vasetti che si possono trasportare con facilità, da conservare per un momento di golosità o per un omaggio gastronomico. Ma dalla fantasia dei pasticcieri di Napoli, la città dello street food per eccellenza, è nata una recente e pratica versione da passeggio. Il babà viene, infatti, inserito con uno strato di crema in un bicchiere di plastica trasparente, con annesso cucchiaino usa e getta per poter gustare anche per strada questa dolce delizia.

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a cura di Patrizia Loiola, Referente Fisar in Rosa Nord Est

A “InTavola” le produttrici di zone vitivinicole delle colline veneto-friulane si raccontano

I N R OSA

L’idea di fondo della degustazione era di evidenziare, attraverso il racconto delle produttrici, le caratteristiche di questi terroir di zone vocate alla viticoltura, e di come, le stesse.

I

n occasione dell’annuale Fiera del Rosario a San Donà di Piave è stata realizzata un’interessante degustazione, organizzata dalla referente Fisar in Rosa Nord Est Patrizia Loiola in

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collaborazione con la Delegazione FISAR di San Donà di Piave, sotto l’egida Fisar in Rosa, rappresentata appunto da Patrizia Loiola, durante “INTAVOLA” evento dedicato al cibo e al vino di qualità. Il Delegato

Marco Muletto ha fatto gli onori di casa salutando calorosamente i numerosi presenti. La degustazione si è svolta intorno ad una “social table” molto partecipata, dal titolo “Le


produttrici di zone vitivinicole delle colline veneto-friulane si raccontano!”. L’idea di fondo della degustazione era di evidenziare, attraverso il racconto delle produttrici, le caratteristiche di questi terroir di zone vocate alla viticoltura, e di come, le stesse. attraverso il loro operare in azienda, riescono a portare un importante e specifico contributo, esprimendo la loro personalità attraverso il lavoro quotidiano. Hanno partecipato le produttrici venete Antonella Bronca, az. Sorelle Bronca, con il Ser Bele, 2013, Colli di Conegliano DOCG, Silvia Gardina, di Quota 101, con il Fior D’Arancio Secco 2016 Colli Euganei Docg, Alessandra Piovene, di Piovene Porto Godi con il Tai Rosso Thovara 2015 Colli Berici Doc; Marinella Camerani di Corte Sant’Alda con il Valpolicella Ca Fiui 2017, dalle Colline di Mezzane. Per i Colli Orientali del Friuli, in rappresentanza dell’azienda Tenimenti Civa, Maria Cristina Pugnetti, responsabile marketing e comunicazione dell’azienda, ha presentato la Ribolla Gialla Biele Zoe 85/15 del 2017. Un percorso degustativo ricco e variegato, a volte sorprendente, che ha entusiasmato il pubblico presente e le produttrici stesse. Il wine tasting è stato guidato con passione e competenza dalla degustatrice ufficiale FISAR Silvia Parcianello.

Ribolla Gialla Biele Zoe 85/15 2017 Az. Tenimenti Civa Un vitigno che rappresenta benissimo questo territorio: la Ribolla, le uve provengono dai il Sommelier | n. 4 - 2018

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dalla trama leggera ma sostenuta, tanta bevibilità e piacevolezza.

Tai Rosso Thovara Colli Berici Doc 2015 Az. Piovene Porto Godi Si fa più possente la degustazione con questo interessante versione di un tai rosso che si fa maturo, che cresce nel tempo per struttura e sensazioni, ci sorprende qui proprio l’evoluzione che può avere questo vino fratello di tanti altri sparsi per il mondo che prendono il nome di Cannonau, Grenache e via così: uve raccolte in vendemmia tardiva, sprigionano un bouquet ricco di frutta rossa e chiodi di garofano, di note balsamiche e di grafite, tipiche del terroir, si snoda in bocca con un sorso persistente che ce lo fa apprezzare notevolmente

Ser Bele, Colli di Conegliano Rosso Riserva DOCG 2013 Az. Sorelle Bronca

vigneti di Bellazoia di Povoletto, in questo caso ribolla per l’85% in versione ferma con il 15% di chardonnay, un vino che gioca sulla finezza, sottile nei profumi di fiori gialli che arrivano piano, leggeri, freschi, seguiti dai sentori agrumati, con un tocco di mela verde, per sorprenderci poi in bocca per struttura, personalità e soprattutto sapidità invitante.

Fior D’Arancio Secco Colli Euganei Docg 2016 Quota 101 C’è tutta la tipicità dei Colli Euganei in questo vino anche questo sorprendente: un attacco intenso, ricco di aromaticità tipica 62

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del vitigno per poi rimanere a bocca aperta, è il caso di dirlo, per la stilettata secca che arriva in bocca, la tensione minerale del terroir, la freschezza che gioca con il profumo dolce, divertente.

Valpolicella Ca Fiui 2017 Corte Sant’Alda Espressione tipica che più non si può di questo bel vino quotidiano: si percepisce tutta la sua attiva dinamicità, frutto di un lavoro biodinamico in vigneto e in cantina, la vivezza dei profumi di piccoli frutti rossi, con leggere note di spezie, entra in bocca succoso, scalpitante, il tannino

Chiudiamo questo percorso con un grande vino bordolese classico con un piccolo taglio di marzemino, sorprendente perché “strappato” dai vigneti di prosecco come una meraviglia da preservare per il futuro. Un piccolo capolavoro di equilibri e forza, le speziature come nota distintiva di olfatto e di gusto, vivacizzate da percezioni fresche, il tannino vivo ma già perfetto che ci racconta, appunto, di un lungo futuro. Presente come sempre all’evento Luisella Rubin, Coordinatrice Nazionale del Progetto Fisar in Rosa; il servizio è stato curato dalle sommelier della delegazione di San Donà di Piave, Maria Luisa Sessolo, Cristina Palatron e Giulia Boso.


a cura della Redazione Centrale con l’Ufficio Stampa FISAR

Carlo Petrini

è Sommelier Onorario FISAR Giornata di festa alla Banca del Vino - Slow Food di Pollenzo: la FISAR attraverso la Presidente Nazionale Graziella Cescon ha ufficialmente consegnato il prestigioso riconoscimento a Carlo (Carlin) Petrini, fondatore di Slow Food, e ha inaugurato la sede della Delegazione di Cuneo.

I

l Consiglio Nazionale, su richiesta del Consiglio di Delegazione di Cuneo, ha deliberato e motivato il conferimento dell’onorificenza al leader di Slow Food con queste parole “tramite i suoi progetti ha portato un contributo essenziale al mondo dell’enologia, dando luce e lustro ai grandi vini nazionali frutto di produzione biologica e biodinamica”. FISAR conferisce l’onorificenza di Sommelier Onorario a coloro che si sono distinti con il proprio lavoro nella promozione e valorizzazione dell’universo del vino e della sommellerie, rappresentando uno stimolo e un esempio da imitare. Oltre a Carlo Petrini, fanno parte dell’albo dei Sommelier Onorari FISAR, tra gli altri, il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, l’ex Ministro alle Politiche Agricole Ambientali e Forestali Maurizio Martina, l’ex Direttore del Tg2 e ora conduttore di Line Verde Rai1 Marcello Masi, il Vicedirettore del Tg2 e conduttore con Marcello Masi del programma di Rai2 Signori del Vino Rocco Tolfa, la scrittrice e giornalista Tessa il Sommelier | n. 4 - 2018

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Gelisio e Giuseppe Martelli, già Presidente del Comitato Nazionale Vini del MIPAAF. Presenti alla cerimonia di consegna, oltre alla Presidente Nazionale Graziella Cescon, la Segretario Nazionale Laura Maggi, il Tesoriere Luigi Terzago, il Componente la Giunta Nazionale Valerio Sisti e i Consiglieri Nazionali Stefano Gosatti e Massimo Volpe. “Per uno che come me ha mosso i suoi primi passi professionali nel mondo del vino, quello di oggi rappresenta un momento emozionante, in un certo senso la chiusura di un cerchio – ha detto Carlo Petrini. Entrare

Sul palco Claudio Moretti con Luca Lanza, Patrizio Ercole, Elena Barberis, Giangiacomo Stella

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a far parte di un gruppo di professionisti come voi è un onore, in particolar modo quando – come nel vostro caso – essere sommelier significa essere ambasciatori di un modo di intendere il vino a 360 gradi, che va oltre il berlo e raccontarlo. Vi ringrazio per questo regalo che testimonia ancora una volta la vicinanza tra Slow Food e Fisar. Non posso dimenticare che la guida Slow Wine – dichiara il Fondatore di Slow Food – vede il professionale contributo della vostra Associazione. Sono certo che questo sodalizio si rafforzerà perché entrambi abbiamo un obiettivo comune: la tutela della

qualità, gli intendi del “buono, pulito e giusto” e il rispetto dei produttori e dei consumatori”. “È per tutti noi un privilegio conferire oggi questo titolo a Carlo Petrini – ha dichiarato Graziella Cescon, Presidente Nazionale FISAR. I suoi insegnamenti, la sua passione, la sua attenzione per il comparto enologico e per la cultura del vino sono da sempre uno stimolo per chi ha fatto di questo settore la sua professione o la sua passione. Gli auguri vanno poi alla Delegazione di Cuneo – conclude Graziella Cescon – che con vivacità e passione portano alta la bandiera della


nostra Associazione in questo straordinario e unico territorio”. L’inaugurazione della sede presso la Banca del Vino di Slow Food segna l’apertura di un nuovo importante capitolo per la giovane Delegazione FISAR Cuneo, nata nel 2016 è capitanata dal delegato Claudio Moretti con Elena Barberis, Patrizio Ercole, Luca Lanza e Giangiacomo Stella. In poco tempo è diventata un punto di riferimento autorevole per un territorio, le Langhe e il Monferrato, storicamente vocato per la produzione vitivinicola. Luogo d’incontro per i wine lovers della provincia di Cuneo, la Delegazione organizza, oltre ai corsi per diventare Sommelier FISAR, incontri, tavole rotonde e degustazioni verticali per ogni livello di esperienza.

importante realtà in questo territorio dichiarato Patrimonio dell’Umanità – racconta dal palco Claudio Moretti, delegato di Cuneo. I nostri corsi vedono la costante e massiccia presenza di molti appassionati e molti

professionisti tra cui gli studenti dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Il mio grazie va in questo giorno alla FISAR, alla Presidente Graziella Cescon e al Tutor e Consigliere Nazionale Massimo Volpe per aver da subito creduto in questo progetto e, non per ultimo, a Slow Food e alla Banca del Vino che ci ha aperto le porte di questa affascinate e prestigiosa location. Un’utopia oggi è diventata una realtà. Un orgoglio poi è il poter registrare il nome di Carlin Petrini quale Sommelier Onorario di questa delegazione – conclude con emozione il Delegato FISAR di Cuneo”. Alla giornata di festa, che si è conclusa con la possibilità di degustare vino e cibo del territorio e con un seminario sul vino Dolcetto, hanno partecipato Soci e Delegati provenienti da tutte le regioni d’Italia, la Sindaca Bruna Sibille e molti operatori della comunicazione regionale e nazionale.

“Oggi possiamo tranquillamente dichiarare di essere una il Sommelier | n. 4 - 2018

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a cura Redazione Centrale con Ufficio Stampa Slow Food

Salone del Gusto Terra Madre 2018 Si chiude la XII edizione dell’evento torinese all’insegna di un rinnovato successo. Come sempre una FISAR protagonista e partecipe chiamata a gestire “l’Enoteca a cielo (e porticato) aperto” di Palazzo Reale.

«Q

uesta è Terra Madre, una rete che forma anche parte della classe dirigente a livello planetario che si occupa di ambiente e sviluppo rurale. Spesso però sono proprio le popolazioni più povere a pagare il dazio più pesante del cambiamento climatico, ricevendo in cambio

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desertificazione e povertà», rilancia Carlo Petrini, presidente di Slow Food. «È giunta l’ora di cambiare il passo, di dare il via a una mobilitazione dal basso che diventi elemento attivo e sia recepita dalla politica e dalla società civile. Dobbiamo partire dalle scelte quotidiane, che, se realizzate

da una moltitudine di persone in ogni angolo del mondo, si trasformano nel vero cambiamento». E riferendosi all’evento che si avvia alla conclusione, continua: «Ventidue anni fa, quando abbiamo iniziato questa avventura, non immaginavamo che le scelte che operiamo in questo contesto


avrebbero potuto avere una rilevanza politica e internazionale, e questo carica l’avvenimento torinese di responsabilità». «Il nostro obiettivo da oggi in avanti è che le azioni su cui ci siamo confrontati in questi cinque giorni diventino quotidianità». È l’auspicio espresso da Daniele Buttignol, direttore generale di Slow Food Italia: «A metà dell’ultima giornata – ha proseguito – quando i dati non sono ancora definitivi, il numero di passaggi qui a Lingotto è in linea con il 2014, che ne ha registrati 220.000. Significa che dopo l’edizione in centro città del 2016, tornare al Lingotto ci ha portato ad accogliere di nuovo tante persone che vogliono intervenire e attivarsi sulle nostre tematiche». Si chiude così la XII edizione di Terra Madre Salone del Gusto, che ancora una volta ha riunito nel capoluogo

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piemontese 7000 delegati da 150 Paesi che con le loro storie, tradizioni e prodotti hanno animato i padiglioni di Lingotto Fiere. Come ha sottolineato Buttignol, «La prima parola chiave di questo evento

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è rete: sono i 7000 delegati da tutto il mondo che rendono unico Terra Madre Salone del Gusto e fanno sì che da qui partano nuovi progetti per il futuro del nostro movimento e soprattutto la nostra proposta per

una società migliore». La seconda è educazione: tutto esaurito per i Forum e le Conferenze, sia a Lingotto Fiere che alla Nuvola Lavazza, a cui hanno partecipato relatori internazionali del calibro di Amitav Ghosh, Sunita Narain, John Ikerd e Barry Lynn. Il pubblico si è confrontato con i delegati di Terra Madre su temi come allevamento, cambiamento climatico, cibi naturali e il futuro delle api. Mille i bambini che si sono divertiti con i percorsi preparati nelle aree tematiche, dai giochi da tavolo alle attività sensoriali per riconoscere i vari semi. E poi non può mancare il dialogo, che ha permesso scambi straordinari tra culture diverse, in cui popolazioni geograficamente lontanissime prendono spunto le une dalle altre per trovare soluzioni a problemi molto simili. «Abbiamo assistito a scambi tra produttori e visitatori,


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il tutto coronato dalla parata di ieri sera che ha riunito delegati e famiglie ospitanti, senza barriere di sorta. Come sempre vogliamo ringraziare tutte le realtà che hanno reso possibile questa edizione di Terra Madre Salone del Gusto». Oltre 1600 delegati sono stati ospitati nelle 120 Città di Terra Madre, «e non è scontato aprire la porta a sconosciuti che portano nuove culture e nuove tradizioni. Questo significa dare concretezza alla cura dell’altro, significa impegnarsi per comprendere storie diverse dalla nostra», continua Buttignol. «Per la Regione Piemonte anche questa edizione di Terra Madre è motivo di grande soddisfazione e orgoglio. Ancora una volta la capacità di far rete nell’accoglienza ha avuto conferme importanti, e questo anche grazie a quel sigillo di garanzia rappresentato da Slow Food. La nostra soddisfazione è anche per aver messo al centro del dibattito

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temi fondamentali per il futuro del pianeta: l’uso del suolo, dell’acqua e dell’aria, i cambiamenti climatici, la necessità di vedere il cibo non tanto come un insieme di elementi chimici, quanto come cultura, occasione di crescita e libertà di tutti, come garanzia di buona salute per tutti», ha aggiunto Giorgio Ferrero, assessore all’agricoltura della Regione Piemonte. Ancora una volta Torino è stata protagonista e ha accolto oltre 350 eventi entrati a far parte del programma Terra Madre IN, che ha coinvolto decine di associazioni locali e 7000 persone. «Siamo molto soddisfatti di questa edizione: un appuntamento ormai simbolo della Città di Torino. Rete, dialogo ed educazione sono i temi intorno a cui ha ruotato l’evento. Ringrazio Slow Food e tutte e tutti coloro che lo hanno reso possibile», continua Chiara Appendino, sindaca di Torino. «È importante ribadire

come solo l’azione quotidiana di ognuno di noi possa davvero fare la differenza per un futuro in cui l’accessibilità al cibo, la qualità, e la sostenibilità siano una realtà». Come sempre ampio spazio è stato dato ai vini sotto il porticato di Palazzo Reale. Il Progetto Vino, in collaborazione con la Banca del Vino di Pollenzo e i Master of Food Vino, ha promosso e coinvolto la produzione vitivinicola e la cultura enologica italiana attraverso attività di educazione e comunicazione. I produttori aderenti hanno presentato 600 etichette in un percorso completo dalle bolle ai dolci, passando naturalmente dai bianchi e dai rossi di tutta Italia serviti. Come sempre il servizio e la presentazione dei vini al numero pubblico è stato affidato ai Sommelier FISAR capitanati dal Responsabile Nazionale dei servizi dei Sommelier Massimo Marchi e il Capo Servizio Vincenzo Fragomeni.


Redazione Centrale

È Marco Barbetti il Miglior Sommelier FISAR 2018 – Trofeo Rastal Domenica 28 ottobre a Firenze, all’interno della manifestazione Vinoè, è stato consegnato il prestigioso Trofeo Rastal.

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ette erano i Sommelier partecipanti a questa edizione, tutti provenienti dalle eliminatorie interregionali: Michele Giurlani (Delegazione Montercarlo), Luca Agostinetto (Delegazione di San Donà di Piave), Sergio Simeoni (Delegazione di Treviso), Alessandro Limone (Delegazione di Napoli), Orlando Russolillo (Delegazione di Avellino), Marco Barbetti (Delegazione di Bareggio) e Anna Ostrovskyj (Delegazione di Milano). La Giuria era composta da Massimiliano Loca (Presidente), Claudio Genova (Referente CTN), Emanuele Costantini (Vincitore anno precedente), Nicola Masiello (Esperto Enogastronomico), Massimo Marchi (Coordinatore Unico dei Servizi) e Andrea Locarini (Sponsor Rastal). È stato proclamato sul prestigioso palco della Stazione Leopolda di Firenze Miglior Sommelier FISAR 2018 -Trofeo Rastal Marco Barbetti della Delegazione di Bareggio. Al secondo posto Luca Agostinetto il Sommelier | n. 4 - 2018

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della Delegazione di San Donà di Piave, al terzo Anna Ostrovskyj della Delegazione di Milano. “Il vino è emozione, di questo ne sono sempre stato convinto – dichiara Marco Barbetti, 34 anni di Arluno (MI). L’aspetto che mi affascinava di più, come credo per molti, era catturarne la profonda essenza, cercando di carpire e riconoscere i vari profumi che ne compongono il bouquet olfattivo. Intrigante ma davvero difficile senza il giusto metodo. Per questo motivo nel 2008 iniziai il mio lungo cammino del mondo del vino – conclude il Miglior Sommelier FISAR 2018 – iscrivendomi al corso FISAR tenuto dalla mia Delegazione di Bareggio”. Al vincitore, oltre al Trofeo Rastal e la copertina di questa rivista, anche un soggiorno didattico/ turistico offerto dal Consorzio Vini di Cortona e consegnato sul palco a nome e per conto del suo Presidente Marco Giannoni.

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a cura Ufficio Stampa FISAR

Progetta la Tessera FISAR

e Vinci il Congresso Nazionale

È Alessia Bernardeschi della Delegazione di Livorno la vincitrice del concorso “Progetta la Tessera” che ogni anno coinvolge i Soci FISAR in una sfida di creatività.

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ra i molti progetti in gara la Commissione ha premiato l’opera di Alessia, laureata in Belle Arti con indirizzo Pittura. L’idea è stata introdurre la pittura in un oggetto che per i Soci FISAR è di uso quotidiano, proponendo due opere di acrilico su carta che interpretano il tema del vino a cui si affianca la figura della donna, fil rouge della produzione artistica di Alessia, caratterizzando il

tutto con colori sgargianti capaci di sollecitare i sensi. “Quando ho pensato alla Tessera 2019 e ho iniziato ad avere un’idea del mio progetto, mi è stato chiaro un intento: fare in modo che la tessera FISAR fosse un

oggetto che si desideri guardare, capace di attirare l’attenzione tra le mille tessere che ciascuno di noi possiede. Il mondo del vino è molto simile a quello dell’arte e per questo ho scelto di rappresentarlo con diversi colori e sfumature.”

Alessia Bernardeschi ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Carrara laureandosi in pittura. Appassionata di fotografia si è poi avvicinata al mondo del vino dove ha trovato nuovi stimoli per esprimere la propria creatività. Di recente ha ricominciato a dipingere dopo un lungo periodo di pausa, e sta riscoprendo l’amore per l’arte e la pittura, ogni giorno di più. Nel 2017 è stata scelta da Donatella Cinelli Colombini come artista incaricata di realizzare l’opera dedicata alla vincitrice del “Premio Primadonna” in occasione della XIX edizione del Premio Casato Prime Donne.

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a cura Redazione Centrale e Ufficio Stampa Slow Food

Finalmente

slow wine 2019! Erano oltre 100 i Sommelier FISAR provenienti dal Coordinamento FISAR Italia. Presente alla presentazione e alla premiazione il Ministro delle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio.

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utti possono scrivere di vino? Questa la domanda con cui si apre la presentazione della nona edizione della guida al mondo del vino di Slow Food Editore. Carlo Bogliotti, direttore editoriale di Slow Food Editore, lancia il tema

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di oggi: “Il dibattito sarà una bella sfida, visto che come casa editrice produciamo molta carta!”. “Ormai non possiamo esimerci dal modo di comunicare diretto dei social, che dà a tutti la possibilità di scrivere di vino, critica compresa. La nostra guida va in direzione

ostinata e contraria: crediamo nell’importanza del ruolo della critica in un mondo complesso come il vino, che racconti davvero il mondo dei produttori”, fanno eco Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni, curatori di Slow Wine. “La risposta è sì, tutti possono


scrivere di vino, o meglio, di tutto”, esordisce Armando Castagno critico enoico e storico dell’arte. “Il problema è la comunicazione distorta per incompetenza, non quella bislacca e originale che ha cittadinanza in quanto opinione e che non deve essere silenziata. I social non sono il male in sé ma fa la differenza il modo in cui si usano: il guaio è quando millantano competenza che non c’è, ottenendo credito da altrettanti incompetenti. Nel mondo del vino c’è l’esigenza di formare culturalmente il lettore, cosa che non succede sempre. Quando si parla di crisi delle guide si generalizza un fenomeno: in realtà sono in crisi le guide noiose, non aggiornate e fuori tempo. Quelle riconosciute da un lettore smaliziato in lasciva promiscuità con il mondo della produzione, che dovrebbe essere il giudicato e non l’azionista”, continua Castagno. Insomma, “imprecisione, dilettantismo e mancanza di autorevolezza sono il problema, non lo strumento in cui si trovano, che sia una rivista pregiata o un blog. L’autorevolezza dipende da serietà e competenza che sono da ottenere con pazienza e fatica. Essere onesti e curare ogni testo, anche la semplice opinione su un vino come se fosse un’opera destinata a tutto il mondo può servire a far incontrare critica e mondo della produzione”, Jacopo Cossater giornalista e wine blogger, si collega a Castagno tornando sul tema dell’autorevolezza e dell’educazione del lettore, che “comunque premia sempre la qualità”. “Chi fa il nostro mestiere e scrive una guida dovrebbe proprio svolgere una funzione di supporto,

di spunto per approfondire un argomento piuttosto che un altro, aiutando a scoprire un territorio per volta, per confrontarsi con una denominazione o con un vitigno in particolare. Ci piace pensare che Slow Wine possa essere un mezzo per interpretare il momento storico che viviamo, il famoso corpo intermedio di cui sopra così tanto in crisi nel mondo contemporaneo, una sorta di mediatore culturale tra le varie istanze che travolgono il vino propinando una verità piuttosto che un’altra”, aggiungono i curatori.

Slow Wine sempre di più si connota per il rigore nel segnalare e premiare esclusivamente vini e cantine che lavorano la vigna senza cercare scorciatoie. Se dovessimo riassumere in uno slogan la filosofia della guida potremmo dire “meno marketing e più viticoltura”. Anche per questo motivo l’interesse dei lettori è in crescita, dimostrando grande vicinanza alle tematiche care a Slow Food, nel declinare la qualità di ogni prodotto non solo in base al risultato nel bicchiere ma indagando tutte le fasi della il Sommelier | n. 4 - 2018

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filiera produttiva. Slow Wine è l’unica guida a visitare ogni anno tutti i produttori recensiti, grazie a un numero di collaboratori che ormai sfiora le 300 persone. Una mappatura del territorio che non ha pari e che permette di segnalare agli addetti ai lavori e ai semplici appassionati sempre nuove aziende e realtà enologiche. Per la prima volta Slow Wine assegna tre premi speciali ai viticoltori presenti in guida alla presenza del Ministro delle politiche agricole Gian Marco Centinaio. Negli ultimi anni è cresciuto un orgoglio dei nuovi vignaioli che ora affermano con onore il loro mestiere. Ecco perché si è istituito il riconoscimento al Giovane vignaiolo che va ad Alessandro Fedrizzi, emiliano che a 14 anni invece del solito motorino ha chiesto in regalo un ettaro di vigna e che a 24 anni è già alla sua undicesima vendemmia. Con la sua passione oggi conduce con intraprendenza un’azienda di 11 76

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ettari, e si sta imponendo come uno dei vignaioli più promettenti dei Colli Bolognesi, precisamente a Valsamoggia (Bo). Alessandro Fenino riceve invece il premio alla Viticoltura sostenibile. La conduzione agricola biologica e biodinamica di Cantina Pievalta a Maiolati Spontini (An) nelle Marche, praticata senza esasperati ideologismi, ha permesso di ottenere vini di spiccata personalità nel rispetto dell’identità varietale dell’uva. Da quest’anno, inoltre, la pratica del sovescio si esercita senza sfalciare il favino, ma stendendolo fino a formare una sorta di tappeto protettivo del terreno. “Arconvert assegna il premio Viticoltura Sostenibile alla Cantina Pievalta per la sensibilità ambientale dimostrata nel restyle dell’etichetta del suo Perlugo, il cui progetto grafico è stato affidato all’agenzia SGA Wine Design. L’etichetta è stata realizzata su Baltic Wood prodotta da Arconvert, una finissima lastra di vero legno di betulla adesivizzata. Il legno proviene da foreste certificate e gestite responsabilmente, dove si pratica la riforestazione nel rispetto di rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. Una scelta consapevolmente sostenibile nel segno della coerenza con cui Pievalta porta avanti la propria filosofia aziendale e che Baltic Wood, con le sue delicate venature, ha permesso di valorizzare e di tradurre in un’etichetta davvero unica e irripetibile”, dichiara Chiara Tomasi, Marketing & Communications Manager di Arconvert. Ampelio Bucci, dell’azienda

Villa Bucci di Ostra Vetere (An) ha fatto la storia del Verdicchio di alta qualità creando vini in grado di sfidare il tempo che passa. Inoltre, dieci anni fa è stato tra i fondatori dei Vignaioli Indipendenti, dimostrando di voler non solo interessarsi della propria azienda ma anche della collettività dei produttori italiani. Ecco perché oggi riceve il Premio alla carriera. Il padrone di casa, Giuseppe Bellandi, sindaco di Montecatini Terme, esprime il suo apprezzamento per la guida Slow Wine, considerata la vera guida turistica dell’Italia, e ringrazia per il lavoro di Slow Wine portato avanti sempre con amore. Porta un saluto anche Gian Marco Centinaio, Ministro delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo, che sottolinea l’importanza della tutela del patrimonio agroalimentare italiano e della lotta all’italian sounding, perché non si vedano più prodotti come il prosecco in polvere o l’asiago vegano venduti in giro per il mondo come prodotti italiani. “È fondamentale ci impegniamo tutti in prima persona per lottare contro il cambiamento climatico che ormai minaccia tutti, voi produttori di vino in primis”, aggiunge Massimo Bernacchini, esponente del Comitato esecutivo di Slow Food Italia, riallacciandosi all’attualità. Ecco allora che Food for Change, la campagna internazionale di sensibilizzazione sul rapporto tra cibo e cambiamento climatico si declina in Wine for Change. “Sappiamo tutti ormai che il principale responsabile del cambiamento climatico è il cibo e in questo il mondo del vino non può far finta di nulla. Anche il vino, infatti, non è esente dal fenomeno


dell’inquinamento ambientale, a cui contribuisce ad esempio con l’uso abbondante di funghicidi che caratterizza gran parte del settore. Molto spesso il mondo del vino è precursore per la ricerca di nuove buone pratiche che tutelano ambiente e territori. A maggior ragione allora un cibo del cambiamento può e deve essere il vino”. Concludono due partner storici della guida: “Siamo partner di Slow Food da anni e, nel tempo, abbiamo partecipato a numerosi progetti in quanto condividiamo gli stessi valori per un cibo buono, pulito, giusto e anche sano”, afferma Laura Miotto, responsabile marketing e clienti internazionali di Verallia Italia. “La Guida Slow Wine 2019 segna un altro capitolo della storica collaborazione tra FISAR e Slow Food, una storia a due voci che, con competenza e passione, tramanda al grande pubblico la cultura del mondo del vino, valorizzando le realtà che operano secondo i criteri del biologico

e del biodinamico – dichiara Graziella Cescon, Presidente Nazionale FISAR –. Quest’anno più di un terzo dei degustatori della Guida sono Sommelier FISAR. Una presenza importante e una sintonia di intenti tra FISAR e Slow Food che oggi si conferma – aggiunge Graziella Cescon – con il conferimento del titolo di Sommelier Onorario a Carlo Petrini presso la Banca del Vino Slow Food. Ultimo, ma non ultimo – conclude la Presidente Cescon – ci tengo a esprimere un sentito ringraziamento ai curatori della guida che per primi hanno creduto in questa collaborazione”. A rappresentare sul palco di Montecatini la FISAR il Consigliere Nazionale Massimo Marchi. “Sono oramai alcuni anni che FISAR, attraverso il suo Consiglio Nazionale, e Slow Food hanno iniziato questa collaborazione cercando con il passare del tempo di cementare questo connubio in un reciproco scambio di idee ed esperienze. Sono tre i punti fondanti di questa collaborazione

– dichiara Massimo Marchi. Il primo rappresenta la sinergia instaurata tra Slow Wine e Fisar nei confronti di tutti i maggiori eventi nazionali Slow Food, per i quali la nostra Associazione è diventata unico interlocutore. Il secondo punto assume particolare rilevanza in quanto rappresenta l’unità di intenti che sta affinandosi. Sono oramai circa 100 i degustatori ufficiali FISAR – prosegue il Consigliere Nazionale Marchi – che hanno fatto ingresso all’interno di questa Guida, affiancando il team dei degustatori Slow Wine nelle valutazioni dei vini, nella visita alle aziende vitivinicole e nella redazione delle schede di valutazione. Il terzo aspetto che ritengo degno di nota è che la guida dei vini di Slow Wine – conclude Massimo Marchi, è diventata per Fisar parte integrante nel bagaglio formativo dei nostri corsisti in quanto sono più di 10.000 le guide distribuite ai nostri soci e aspiranti Sommelier”. Cento sono stati i Sommelier FISAR impiegati, tutti provenienti dal Coordinamento FISAR Centro. A coordinare il servizio il Responsabile Nazionale dei Sommelier Massimo Marchi coadiuvato dal Consigliere Nazionale Fabio Baroncini e dal Caposervizio Luca Canapicchi. “Ringraziando tutti i collaboratori di Slow Wine, oggi lanciamo anche gli Amici di Slow Wine, un’alleanza tra chi il vende il vino ogni giorno, le enoteche, le osterie, e chi fa da tramite tra produttore e consumatore. Per ribadire la nostra filosofia anche oltre le pagine della guida”, concludono Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni, curatori di Slow Wine. il Sommelier | n. 4 - 2018

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di Alessandro Maurilli

Cortona DOC,

un’antica e storica prelibatezza Erano oltre 100 i Sommelier FISAR provenienti dal Coordinamento FISAR Italia. Presente alla presentazione e alla premiazione il Ministro delle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio. Cortona Doc: un vino che viene da lontano Ancora oggi Cortona, dall’alto dei suoi 585 metri, si affaccia sul panorama vasto ed armonioso della Valdichiana, punteggiato da ville e casali, tra vigneti ordinati, testimoni dell’antica e storica prelibatezza dei suoi vini. E se Plinio il Giovane parla di un pregiato vino bianco cortonese di nome Etesiaca, il buongustaio papa rinascimentale, Paolo III, amava fare grandi provviste del prodotto

di questi vigneti, mentre Giosuè Carducci trovava spesso la sua ispirazione poetica solo di fronte ad un bariletto dello “stupendo vino” di Cortona. L’origine geologica dei terreni del comprensorio di Cortona è essenzialmente riconducibile ai periodi del Miocene inferiore, del Pliocene superiore e del Miocene. Dal punto di vista litologico, il territorio è caratterizzato da arenarie, marne e scisti, con presenza di depositi fluvio-lacustri, di argille e di detriti di falda.

Quando nel 2000 un gruppo di produttori del territorio ha deciso di riunirsi e fondare il Consorzio Vini Cortona, ancora non si parlava molto di questa zona dal punto di vista vitivinicolo. Cortona è una città di grande fascino e appeal turistico internazionale, grazie alle sue uniche ricchezze storiche, artistiche, paesaggistiche, architettoniche. Da qualche anno anche la cultura dell’enogastronomia locale è tornata a influire in maniera importante sia dal punto di vista dell’indotto, ma soprattutto a livello di economia locale. Il vino dalla fondazione del Consorzio a oggi è diventato un vero e proprio fiore all’occhiello tanto e un motore per la promozione in Italia e all’estero, grazie anche alla collaborazione con l’amministrazione e le realtà culturali locali. La nostra collina è stata raccontata nei secoli da scrittori, pittori, fotografi, registi. Una terra che ha dato nel tempo stimoli ad artisti dei generi più disparati, grazie alle emozioni che è in grado di suscitare. Noi produttori di vino, nel nostro piccolo, abbiamo deciso di raccontare il nostro territorio, la nostra Cortona, attraverso le bottiglie che produciamo. Una denominazione, la nostra, che parte dalle origini etrusche, rappresentate anche nel nostro logo, per arrivare oggi a raccontare attraverso le bottiglie prodotte la storia dell’agricoltura di un territorio in grado di esprimere eccellenze, sotto diversi punti di vista. L’impegno, la passione e l’amore per la terra e la vite si traducono in emozioni da degustare insieme ai nostri vini. Marco Giannoni - Presidente Consorzio Vini Cortona

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Una Doc che racchiude il patrimonio enologico del territorio. La zona di produzione delle uve atte alla produzione dei vini a denominazione d’origine controllata “Cortona” ricade nella provincia di Arezzo e comprende i terreni vocati alla qualità di parte del territorio amministrativo del comune di Cortona. Oggi gli ettari interessati dalla produzione della Doc sono oltre 300, ma il potenziale è in espansione.


Si produce ogni anno circa un milione di bottiglie contraddistinte dalla fascetta Cortona Doc, una denominazione ampia, dominata tuttavia dalla produzione di Syrah, Merlot e Sangiovese.

Il Consorzio Vini Cortona Costituito nella primavera del 2000, il Consorzio svolge la funzione di controllo e tutela dei vini a D.O.C. Cortona e ne diffonde la conoscenza con un’efficace attività culturale, divulgativa e promozionale. Protegge l’immagine ed il prestigio della denominazione con continui controlli di qualità ed intraprende iniziative di carattere culturale tendenti a far conoscere nel mondo Cortona, il suo territorio ed i suoi vini. Le condizioni ambientali, la naturale vocazione dei luoghi e dei suoli, la tradizione e la cultura del vino hanno portato al diffondersi di una viticoltura di estrema qualità ed alla produzione di vini di grande pregio. Il Consorzio ha il compito di interpretare, trasmettere e garantire questa qualità.

Il Syrah di Cortona. Fresco, deciso, elegante o potente. Volendo riassumere le caratteristiche dei vini Syrah della Doc cortonese, questo è il risultato. Una varietà di uva che ha saputo trovare nelle colline intorno a Cortona un ambiente pedoclimatico ideale per esprimersi. La leggenda che lega questa uva di origini forse mediorientali (dalla città persiana

di Schiraz) o mediterranee (da Siracusa) o francesi (in epoca più moderna) racconta che alcune barbatelle furono lasciate in eredità dall’occupazione francese nell’era napoleonica. Il microclima, la condizione dei suoli, l’armonia fra vento e sole e in questa area a est della Toscana, hanno permesso il suo adattamento fino alla sua espressività di oggi.

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In FAMIGLIA - Le notizie dalle Delegazioni Notizia inviata da Caterina Castiello della Delegazione FISAR Caserta

CONSEGNA ATTESTATI

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n importante primo traguardo è stato raggiunto nella Delegazione Fisar Caserta che giovedì 20 settembre ha celebrato la consegna degli attestati di primo livello con una cena presso il ristorante e pizzeria Le 7 voglie di San Marco Evangelista. Il Delegato Mariano Penza e il Direttore di Corso Carlo Iacone hanno guidato, con entusiasmo e professionalità, gli aspiranti Sommelier in un percorso di formazione e condivisione, portato a termine con risultati soddisfacenti. La consegna degli

attestati è stata deliziosamente accompagnata da una proposta attenta e ricercata di pizze del maestro pizzaiolo Antonio Ferraiuolo, abbinata ad una selezione di vini che ha strizzato l’occhio a diverse regioni italiane, il tutto condito con l’accoglienza e la dedizione dei padroni di casa. Una serata per festeggiare questa prima tappa alla scoperta del mondo del vino, in attesa del secondo livello ormai prossimo, una serata in famiglia Fisar. Va a Antonucci Giuditta, Assini Francesco, Bencivenga Alessia, Bencivenga

Pietro, Berlano Gianluca, Borriello Matteo, Carino Emanuela, Centore Annamaria, Coscia Pietro, D’Alterio Alfonso, Del Monaco Franco, d’Elisi Mariagiovanna, Di Mauro Andrea, Di Nuzzo Valerio, Ferraiuolo Graziella, Ferrara Loredana, Giordano Giovanni, Griffo Antonietta, Halak Serhii, Letterese Raffaele, Marciano Michele, Martucci Michele, Rondinone Michele, Santonastaso Giuseppina, Sglavo Angelo, Sgulò Vincenzo e Zibella Sara, l’augurio di continuare a coltivare questa grande e sempre nuova passione.

Notizia inviata da Anna Ostrovskyj dalla Delegazione FISAR MILANO

LA MAGIA DELL’ORO E LA VITALITÀ DELL’ENFANT TERRIBLE: LES PETITS VIGNERONS DE CHAMPAGNE

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arlare di Champagne significa entrare in contatto con un’entità che ha a che fare con il mito, in un universo parallelo dove le leggende si susseguono insieme ai personaggi antichi e moderni che ne hanno forgiato il destino: sarà la magia di quell’oro così vivo e vitale nel bicchiere, che regala, anche solo alla vista, un piacere e una gioia infiniti, sarà la longevità nascosta

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dietro alla vitalità di enfant terrible, sarà la sua anima così francese e così cosmopolita, antica e moderna, ma è innegabile che lo Champagne sia in assoluto il vino più affascinante del mondo. FISAR Milano, lo scorso Giovedì 27 Settembre, ha organizzato una degustazione dedicata ai piccoli grandi Vignerons della Champagne, attraverso una collezione eccezionale denominata “Fier ce Fît”, selezionata da Cristina Willemsen, che ci ha guidato attraverso la degustazione di questi autentici gioielli provenienti da diversi terroir, dalla Montagne de Reims alla Côte des Blancs fino alla Vallée de la Marne. Abbiamo così degustato: Hervieux-Dumez Brut de Chardonnay Nature Premier Cru Côte des Blancs (una bella armonia

dell’effervescenza che genera delicatezza al palato); Perrot-Batteux et filles Cuvée Hélixe Premier Cru Blanc de Blanc Côte des Blancs (Cuvée setosa che si esprime con saggezza e maturità); Jean BailetteProudhomme Reserve Premiere Cru Cuvée Montagne de Reims (una freschezza aromatica la posiziona nel registro dell’eleganza e della leggerezza); Sanchez-Le Guedard Special Club 2011 Clos Ste Hélène Extra Brut Premier Cru 100% Pinot Noir Vallée de la Marne (Cuvée Spécial Club elegante, complessa e rara) e infine Xavier Leconte La Croisette 2007 Extra Brut 100% Pinot Meunier Vallée de la Marne (Cuvée mono vitigno, vera e propria bomba aromatica, seducente e grande vino da gastronomia).


Notizia inviata da Germano Febo della Delegazione FISAR L’Aquila

FISAR L’AQUILA, NUOVI SOMMELIER

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i è tenuta lo scorso Maggio la consegna degli attestati ai nuovi Sommelier dei corsi che si sono svolti ad Avezzano e a Carsoli. La giornata è iniziata con la visita alla “Tenuta Ferrante” di Lanciano, nel chietino, passando poi all’assaggio di tutta la produzione vinicola: il Trebbiano d’Abruzzo, il Pecorino, il Cerasuolo e per finire il forte Montepulciano d’Abruzzo. Accolti dai fratelli Nicola ed Emanuele Altieri, la cena con la consegna degli attestati si è svolta nella cantina “Fontefico” situata sul Golfo di Vasto. Durante la conviviale la Delegata Angela Palombo, insieme ai consiglieri Ludovica Caudai

e Daniele Berardini, ha insignito i nuovi Sommelier con l’ambito Tastevin. “Una grande emozione per me, appena eletta Delegata, conferire gli attestati ai nuovi Sommelier - dichiara entusiasta Angela Palombo, delegata Fisar L’Aquila – ringrazio di cuore tutti I partecipanti”. Al termine della consegna, c’è stato anche un brindisi beneaugurale con un Aglianico “Costecoste” 2009, prodotto dai Fratelli Altieri in terra d’Abruzzo. Questi i neo Sommelier entrati nella grande famiglia Fisar: Luigi Arcangeli, Gioia Castiello, Quintilio Cerroni, Diego D’Agostino, Giulia D’Agostino, Massimo De Angelis, Stefano Di Giambattista,

Riccardo Di Gio Battista, Rossella Esposito, Raffaele Franzese, Adelfo Giuliani, Marco Granaroli, Stefania Lauro, Giovanni Lelli, Giampiero Lucarelli, Luca Perilli, Paolo Rai, Piero Raschiatore, Sara Scenna, Carla Ottava Todini.

Notizia inviata da Laura Grossi dalla Delegazione FISAR MILANO

FISAR MILANO E DOCTOR WINE

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nche quest’anno la presentazione della Guida Essenziale ai Vini d’Italia di Daniele Cernilli si è colorata di FISAR Milano. Sono stati, infatti, oltre 35 i Sommelier FISAR Milano che Domenica 14 Ottobre hanno presenziato ai banchi di assaggio di alcuni dei produttori premiati da Daniele Cernilli, durante l’evento ufficiale dedicato all’edizione 2019 della Guida Doctor Wine. La manifestazione si è svolta presso l’Hotel Principe di Savoia di Milano e ha rappresentato la closing ceremony della 1a edizione della Milano Wine Week. La presentazione della Guida – con la sua selezione di circa 1.100 Cantine Italiane per 2.800 Vini Italiani – è stata l’occasione per organizzare una grande

festa del vino con un’imponente degustazione aperta al pubblico, dalle ore 16:00 fino alle ore 20:30, che ha visto presenti centinaia di produttori tra i migliori d’Italia. Si è trattato di un momento particolare per tutti gli appassionati al mondo del Vino che nel corso del walk around tasting hanno così potuto scoprire le nuove proposte accompagnati dai racconti riguardanti le più rilevanti realtà vitivinicole italiane, e dalle preziose informazioni sui loro Vini di punta, che sono disponibili all’interno della Guida (una copia della guida è stata consegnata all’ingresso della manifestazione a tutti i partecipanti, compresa nel prezzo del biglietto di ingresso). I numeri di questa quarta edizione della Guida sono in crescita. Sono

ben 374, infatti, vini premiati (i “faccini”), che rappresentano la punta di diamante della produzione italiana. Sopra il punteggio di 95/100 scatta il “faccino” di DoctorWine: ciò significa che Daniele Cernilli “ci mette la faccia”, esponendosi in prima persona sia che l’abbia assegnato personalmente, sia che lo abbia proposto uno dei collaboratori.

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Notizia inviata da Valentina Ricca dalla Delegazione FISAR MILANO

MA COME È BELLO ANDARE IN GIRO PER I COLLI TORTONESI

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bbiamo viaggiato tra le dolci colline del Piemonte per farci accogliere da due delle cantine più rappresentative della zona dei Colli Tortonesi – La Colombera e Claudio Mariotto – regalandoci l’occasione di approfondire uno dei grandi autoctoni italiani. Vitigno dalle origini antiche, un tempo la sua coltivazione interessava un vasto territorio dall’Alessandrino,

al Novarese, al Tortonese fino a Voghera. Come mai questo vitigno venne abbandonato dai coltivatori che non credevano più nel suo potenziale? La produttività incostante, la sensibilità ai marciumi e alle muffe soprattutto in fase finale di maturazione, fecero sì che i vignaioli – in un momento in cui si prediligeva una forte produttività anche a costo di una non eccelsa qualità – si orientassero verso altre scelte. Ma il Timorasso cercava solo qualcuno che ne comprendesse con pazienza le potenzialità. E questa persona è stata Walter Massa che negli anni ‘80, insieme ad altri vignaioli lungimiranti, ha restituito a questo vitigno il prestigio che merita. La Colombera ci ha ospitato illustrandoci le fasi di

preparazione della vendemmia, con successivo assaggio degli acini e dei vinaccioli, per finire con una verticale dei loro Timorasso (Derthona 2016, Il Montino 2016, Derthona 2015, Il Montino 2015 e Il Montino 2003) e dei loro migliori rossi (Barbera Vegia Rampana 2016, Barbera Elisa 2015 affinata in barrique, Croatina La Romba 2016 e Croatina Arché 2015 affinata in tonneaux). Nel pomeriggio ci ha accolto Claudio Mariotto – uno dei vignaioli che ha contribuito alla rinascita del Timorasso e alla sua fama nazionale – con 4 interpretazioni del Timorasso (Derthona 2016, Pitasso 2016, Cavallina 2016 e Imbevibile 2016) e alcuni eccellenti Rossi (Freisa Braghé 2016, Croatina Montemirano 2014 e Barbera Vho 2013).

Notizia inviata da Gaetano Annunziata della Delegazione FISAR Milano Duomo

NUOVI SOMMELIER IN MILANO DUOMO

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l giorno 11 settembre, presso il ristorante A’ Storia di Milano, abbiamo festeggiato i nuovi Sommelier della Delegazione, dedicando all’occasione un insolito abbinamento tra i cibi della tradizione napoletana e i vini del mondo, spaziando dal Cava per l’aperitivo, ai bianchi di Austria e Francia per le portate successive e, per finire con un rhum agricolo della Martinica con il quale degustare il

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dolce principe: il babà… I nostri complimenti a Massimo Biffi, Marta Sorbi, Claudio Accetta, Francesco Billeri, Stefano Maestroni, Giorgio Maccagnola, Marco Platto, Alessandro Traversi, Niccolò Montaldo, Claudia Giussani, Anna Pomello Chinaglia, Stefano Malench e Eugenio Moschini per il risultato conseguito, con il migliore proposito di averli tutti come parte attiva della nostra Delegazione.


Notizia inviata da Laura Grossi dalla Delegazione FISAR MILANO

FERMENTO MILANO ALLA SECONDA EDIZIONE

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a preso il via lo scorso 12 Ottobre 2018 la 2a edizione di Fermento Milano, evento ufficiale della Milano Wine Week, interamente organizzato da FISAR Milano. Una giornata speciale dedicata al Vino, alla sua Produzione e alla sua Storia. L’evento ha celebrato la straordinaria biodiversità dei vini del nostro Paese con una selezione di cantine da tutta Italia e ha offerto la possibilità di degustare vini di piccole e autentiche realtà vitivinicole e apprenderne origini, filosofia e curiosità. A fare da cornice a questo appuntamento è stato Palazzo Bovara (quartier generale della Milano Wine Week), storica location nel cuore di Milano, a pochi passi da Piazza Duomo che ha immerso i partecipanti

di Fermento in una suggestiva atmosfera. 30 Cantine presenti e 101 Vini in Degustazione che è stato possibile degustare grazie al supporto dei Sommelier FISAR Milano, in un percorso sensoriale dal format innovativo. Fermento ha rinnovato il modo con cui si parla di vino: abbiamo, infatti, accorciato le distanze tra chi produce il vino e chi lo beve grazie a una comunicazione del vino più semplice, efficace, diretta e senza barriere. Si è deciso di rinunciare alla presenza dei consueti banchi d’assaggio, per incoraggiare i presenti ad avvicinarsi alla degustazione in modo libero e facilmente accessibile. I visitatori hanno, quindi, potuto servirsi da sé scegliendo autonomamente i vini che suscitavano il loro

maggior interesse, tra tutte le etichette presenti in degustazione. I partecipanti si sono così potuti interfacciare direttamente con i produttori, costruendo con loro un dialogo diretto, accompagnati dai Sommelier che illustravano le caratteristiche dei prodotti in assaggio, oltre a suggerire i migliori abbinamenti e a indicare quale fosse il più adatto per ogni occasione.

Notizia inviata da Laura Grossi dalla Delegazione FISAR MILANO

CONGRATULAZIONI AI NEO SOMMELIER FISAR MILANO

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anti nuovi Sommelier per la Delegazione di FISAR Milano che ha raggiunto quota 170 Sommelier attivi. In occasione dell’Open Day FISAR Milano che si è svolto Domenica 23 Settembre, abbiamo festeggiato i tanti Neo Sommelier che sono stati proclamati con la qualifica di Sommelier nello scorso mese di Giugno 2018. L’evento celebrativo si è svolto nella splendida cornice del Grand Hotel Villa Torretta che trova spazio in un’antica dimora del ‘600 che si insinua nel verde del

Parco Nord di Milano. La cena ha avuto luogo in una sala del ristorante – affacciata sulla corte interna e sull’incantevole giardino all’italiana – che conserva gli antichi e prestigiosi affreschi del tempo e gli elementi di decoro originali dell’epoca. Questa suggestiva atmosfera in una sera di fine estate, ha accolto tutti i Sommelier che hanno seguito i corsi nella città di Milano e che hanno conseguito la qualifica poco prima dell’estate: Raffaella Balzaretti, Domenico Basso, Giovanni Bertola, Maurizio Bontà,

Michele Capolupo, Domenico Colella, Alberto Giovanelli, Maria Gabriella Mansi e Achille Piattoni. Congratulazioni a tutti i nostri neo Sommelier!

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Notizia inviata da Laura Grossi dalla Delegazione FISAR MILANO

FISAR MILANO OFFICIAL PARTNER DELLA MILANO WINE WEEK

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a debuttato Domenica 7 Ottobre la 1a edizione della Milano Wine Week, manifestazione ideata da Federico Gordini che ha portato – in tutta la città di Milano – un fitto calendario di appuntamenti dai colori rossi, bianchi e rosati. Una settimana dedicata alle eccellenze enoiche italiane e internazionali: una sorta

di Salone del Vino, con oltre 200 appuntamenti tra degustazioni, assaggi e momenti pensati per tanti pubblici diversi. Official Partner di questa settimana ‘a tutto vino’ è stata FISAR Milano che ha prestato servizio con i suoi oltre 170 Sommelier nel corso dell’intera durata dell’evento presso il quartier generale – nonché cuore pulsante dell’iniziativa – di Palazzo Bovara, in Corso Venezia, nel pieno centro di Milano. Qui si sono alternate per tutta la settimana degustazioni, masterclass, workshop, presentazioni, incontri e serate. Ma non solo: i Sommelier FISAR Milano sono stati presenti anche in occasione del Festival Franciacorta a Milano (Giovedì 11 Ottobre) e nel corso della Presentazione della Guida Essenziale dei Vini 2019

by Doctor Wine che ha chiuso la Milano Wine Week Domenica 14 Ottobre all’Hotel Principe di Savoia. FISAR Milano è stata, inoltre, artefice dell’ideazione e organizzazione di uno degli eventi ufficiali della MWW: si tratta di “Fermento Milano” che, giunto alla sua 2a edizione, Venerdì 12 Ottobre ha offerto un’esperienza di degustazione unica, senza barriere e dal format innovativo. La sfida di questo “numero zero” della Milano Wine Week è stata quella di realizzare un grande contenitore dedicato al mondo del vino che potesse entrare a pieno titolo nel calendario delle grandi settimane tematiche milanesi – dalla Moda al Design al Food – con l’obiettivo negli anni di replicarne il successo, coinvolgendo la città su tutti i livelli.

Notizia inviata da Corrado De Michelis della Delegazione FISAR Castelli di Jesi

SENIGALLIA WINE FESTIVAL 2018

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nche quest’anno la FISAR Castelli di Jesi ha contribuito al successo del “Senigallia Wine Festival”, giunto alla sua seconda edizione e svoltosi a Senigallia (AN) domenica 29 aprile 2018. La manifestazione, realizzata grazie alla collaborazione della F.I.V.I. Marche, ha visto in questa edizione una partecipazione di produttori raddoppiata, con ben 38 vignaioli marchigiani a cui se ne sono aggiunti 7 friulani e 2 romagnoli, in qualità di ospiti. La massiccia presenza ha richiesto una nuova collocazione per lo svolgimento dell’evento, che si è tenuto lungo gli storici Portici 84

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Ercolani nel centro cittadino. Grazie alle favorevoli condizioni meteorologiche, la partecipazione di appassionati e semplici curiosi è stata numerosissima, confermando la bontà della formula della manifestazione, che si propone come mercato per la promozione culturale del territorio, della qualità ed autenticità dei vini marchigiani e luogo d’incontro tra i consumatori ed i vignaioli. I nostri Sommelier hanno coadiuvato le cantine presenti nelle degustazioni al pubblico e nella gestione dei banchi espositivi; era inoltre presente una postazione della nostra Associazione per

la divulgazione di materiale informativo e delle prossime iniziative. A completamento della giornata, nella splendida cornice di Palazzetto Baviera, si è svolto il laboratorio tecnico “Verdicchio, il fascino della storia”, in cui i partecipanti hanno potuto riscontrare per l’ennesima volta le grandi potenzialità evolutive del vitigno principe della nostra regione, degustando vini di diversi produttori in un percorso che li ha condotti dall’annata 2010 fino al lontano 1991, vini che sono stati serviti dai nostri Sommelier, sotto l’attenta guida della nostra neoeletta Delegata Mariella Dubbini.


Notizia inviata da Valentina Ricca dalla Delegazione FISAR MILANO

LE SFACCETTATURE DEL BORDEAUX IN UNA DEGUSTAZIONE CON PRODUTTORE

A

rriva l’autunno e FISAR Milano si tinge di rosso. Lo scorso Venerdì 5 Ottobre abbiamo realizzato una degustazione di sei Cru di Bordeaux di diverse zone, presentati dal loro produttore Xavier Milhade, proprietario di diversi Chateaux (quali Chateau Recougne, Chateau Boutisse, Chateau Tour Bayard e Chateau Montcabrier) e anche distributore di varie AOC. È stato un viaggio tra St. Julien, Margaux, St. Emilion Grand Cru insieme all’eclettica figura di Monsieur Xavier Milhade che è anche artefice della rinascita del Carménère in Bordeaux, vitigno quasi in disuso a causa delle difficoltà di coltivazione in Francia dovute ai cambiamenti climatici. Dal 1938 Xavier, la moglie Agnes e i loro figli rappresentano

la quarta generazione di produttori della loro famiglia. Ecco alcuni dei vini in degustazione: Chateau Recougne Bordeaux Supérieur 2015 (un vino potente e austero che mostra muscoli e complessità aromatica), Chateau Recougne Le Carménère Bordeaux Supérieur 2014 (rivela da subito un carattere deciso ed elegante, unicità del vitigno Carménère in purezza), Chateau des Bardes St. Emilion Grand Cru 2014 (al palato pieno e armonico con un tannino ancora scalpitante, seppure ben gestito dall’affinamento), Chateau Mille Roses Margaux 2012 (sontuoso, sfoggia diverse famiglie aromatiche e ci porta nel mondo dei piccoli frutti neri), Baron des Galets St. Julien 2009 (che presenta leggerezza e freschezza in ottimo equilibrio, un

bouquet ampio e intenso al naso, riempiendo il palato con la sua succosità pur mantenendosi di facile beva) e Chateau Tour Bayard “L’Angelot” Montagne Saint Emilion 2009 (immediatamente aperto al naso con un vasto ventaglio di aromi di diverse sfumature, in bocca vigoroso e pieno, con tannino che ne supporta la struttura e la lunga persistenza aromatica).

Notizia inviata da Germano Febo della Delegazione FISAR L’Aquila

NUOVI SOMMELIER A VACRI (CH)

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i è svolta nelle Marche la consegna degli attestati ai nuovi sommelier del corso tenutosi a Vacri. La prima tappa è stata effettuata nella cantina biodinamica “Pievalta” , dove Alessandro e Silvia hanno raccontato ai presenti la loro filosofia applicata al nettare vinoso. L’assaggio invece, si è concentrato sul Verdicchio dei Castelli di Jesi nella versione classico superiore Doc, metodo classico dosaggio zero, Docg riserva e passito. Al termine della degustazione, sono stati consegnati gli attestati ai sommelier dalla delegata Angela

Palombo e dal consigliere Germano Febo. “Siamo soddisfatti per aver condotto i ragazzi al traguardo anche se erano in pochi – dichiara Angela Palombo delagata Fisar L’Aquila – ringraziamo tutti i partecipanti e gli intervenuti e in particolare la delegata dei Castelli di Jesi Mariella Dubbini”. La bellissima giornata si è conclusa con la visita all’azienda agricola “Stefano Mancinelli” di Morro D’Alba. La degustazione ha previsto l’assaggio del Lacrima di Morro D’Alba metodo classico, Doc macerazione carbonica, Doc superiore, Doc passito secco e

Doc passito dolce. Questi infine i nuovi Sommelier: Ilaria Buccicatino, Iolanda Buccicatino, Gabriella Di Crescenzo, Paolo Di Lello, Francesco Marchegiano, Armando Rocchio, Maria Grazia Savini.

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Notizia inviata da Valentina Ricca dalla Delegazione FISAR MILANO

OSTRICHE E VINO IN VERTICALE, IN UN INTRIGANTE SODALIZIO

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opo il successo della serata di degustazione organizzata lo scorso febbraio, FISAR Milano ha deciso di approfondire nuovamente la conoscenza delle Ostriche abbinate al Vino in una serata di degustazione, Lunedì 23 Luglio, che ha chiuso gli eventi prima della pausa estiva. A deliziare i nostri sensi è stata una proposta che ha avuto come protagonisti

una verticale di 4 annate del Gavi Riserva Vigna della Rovere Verde di La Mesma (azienda a conduzione famigliare tutta al femminile con le sorelle Francesca, Anna e Paola che hanno avviato la cantina nel 2001) e 4 versioni di Ostriche Francesi Fine de Claire, accuratamente selezionate da “La Cozzeria” di Milano. I Claires sono bacini d’acqua collegati al mare tramite canali: un tempo saline oggi vengono utilizzati per l’ostricoltura nella regione di Charente-Maritime. La dicitura “de claire” rappresenta una garanzia in quanto le ostriche raggiungono un alto livello di qualità quando sono allevate, e non quando crescono in stato selvatico, come invece si potrebbe pensare. Abbiamo così degustato il prezioso tesoro ittico

rappresentato dall’ostrica Fine de Claire con il Gavi Riserva DOCG Vigna della Rovere Verde che nasce da un vecchio vigneto posto a 350 m s.l.m sovrastato dalla “rovere verde” di Tassarolo, pianta dalla presenza monumentale e antica che ha suggerito il nome in etichetta. Sono state servite le annate 2011, 2012, 2013, 2014 in abbinamento ai 4 differenti calibri di ostrica. In tutti gli abbinamenti è stata percepita una varietà di sensazioni marine e salmastre che hanno visto il mollusco quasi sempre prevalere sul vino. Eppure, va detto che il Gavi non ha mai lasciato totalmente il passo alle Ostriche, riuscendo a mantenere un certo equilibrio grazie alle sue note ammandorlate che si mettevano in evidenza.

Notizia inviata da Omar Vidoni della Delegazione FISAR di Udine

NUOVI SOMMELIER PER LA DELEGAZIONE DI UDINE

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ercoledì 4 luglio 2018, nella splendida cornice del Ristorante Costantini di Tarcento (UD), si è svolta la tanto attesa cena di consegna Attestati di qualifica di Sommelier, serata

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ricca di emozioni e soddisfazioni per i neo Sommelier Fisar della Delegazione di Udine. La serata è iniziata con l’aperitivo in giardino a base di Spumante Franciacorta Brut Berlucchi ’61 ed è proseguita con il susseguirsi dei piatti curarti dallo Chef Marco Furlano accompagnati dai vini: Traminer 2016 dell’Azienda Borgo delle Oche (Friuli), Pinot Noir Bourgogne 2014 dell’Azienda Faiveley (Francia), Santagostino 2013 dell’Azienda Firriato (Sicilia) e Moscato d’Asti il Gial dell’Azienda

Armangia (Piemonte). I Tastevin e gli attestati di qualifica, coronamento per l’importante traguardo raggiunto, sono stati consegnati a: Simonetta Della Vedova, Enrico Di Stefano, Emanuele Artico, Pio Costantini, Claudia Didonè, Flavia Ganis, Giulio Martinelli, Eros Ridolfo, Giovanni Tubetti, Rudy Venuti, Paolo Verona ed Omar Vidoni. Un ringraziamento per la collaborazione alla vicina Delegazione di Portogruaro (VE) per il servizio durante la serata.


Notizia inviata da Laura Grossi dalla Delegazione FISAR MILANO

BENVENUTI ALL’OPEN DAY FISAR MILANO

C

on il nostro Open Day di Domenica 23 Settembre, abbiamo ufficialmente aperto la Stagione 2018-2019 delle iniziative targate FISAR Milano. Il consueto appuntamento di fine estate che inaugura la nuova Stagione di eventi, quest’anno si è trasformato in un’intera giornata di formazione, di degustazione e di festa con tante iniziative dedicate ai Sommelier, agli appassionati wine lover e ai nostri Associati che si sono ritrovati dopo il periodo estivo, condividendo le esperienze vissute nel corso delle vacanze appena terminate e i nuovi progetti per l’anno a venire. La prima parte dell’Open Day, dalle ore 15.00 in poi, è stata completamente dedicata ai nostri Sommelier FISAR Milano grazie

all’incontro di Aggiornamento e Formazione Avanzata che abbiamo organizzato. Si è trattato di una Master in Tecniche di Servizio, che ha previsto anche un Approfondimento sulla nuova Scheda di Degustazione FISAR e una Simulazione di Servizio in Brigata con l’obiettivo di formare figure sempre più qualificate e professionali, valorizzando la figura del Sommelier come Comunicatore del Vino. Abbiamo poi proseguito con un’Introduzione alla Degustazione dedicata agli Aspiranti Sommelier, ai nostri simpatizzanti e a tutti gli interessati a iscriversi ai nostri Corsi e a partecipare alle nostre iniziative. In occasione di questa lezione introduttiva, i wine lover hanno potuto imparare le principali indicazioni sulla tecnica

di degustazione e hanno potuto conoscere tanti altri appassionati di vino, i nostri Sommelier e i Docenti impegnati a fornire informazioni sull’offerta formativa, gli eventi e le modalità per associarsi alla nostra Delegazione. Infine, dalle 19.00 in poi, ha preso il via l’Aperitivo con l’Apertura dei Banchi di Assaggio, i quiz a premi e la presentazione dell’App FISAR Milano.

Notizia inviata da Fabio Cabianca della Delegazione FISAR di Venezia

IL LESSINI-DURELLO DI GIANNITESSARI

P

resso le accoglienti sale del Park Hotel Ai Pini di Mestre, il 5 ottobre 2018 sono stati accolti una cinquantina di soci e accompagnatori di Fisar-Venezia, per partecipare ad una straordinaria degustazione di vino spumante metodo classico prodotto con le uve autoctone “durella” coltivate sui Monti Lessini e vinificate con maestria dall’Azienda “Giannitessari” di Roncà-Verona. Ad accompagnare i soci nel percorso gustativo è intervenuto con competenza e simpatia il Direttore Commerciale Matteo Franchetto il quale ha illustrato la filosofia produttiva dell’Azienda che ha ottenuto con i propri vini

spumante metodo classico “DurelloLessini”, importanti riconoscimenti anche di livello internazionale. I vini proposti in degustazione in questa occasione sono stati il Durello Brut, il Lessini Durello Doc M.C. 36 mesi, il Durello Rosè M.C. 36 mesi che all’uva durella e stata unita quella del pinot nero, il Lessini Durello Doc M.C. 60 mesi ed il sorprendente Lessini Durello M.C. 120 mesi (bottiglia formato magnum). La degustazione è stata condotta con il contributo di Nicola Sabbatini Degustatore Ufficiale Fisar il quale ha coinvolto i soci in un confronto sui vini proposti e sui possibili abbinamenti con i piatti della cucina veneta e non solo. Il servizio in sala,

effettuato con professionalità e cura è stato eseguito dai Sommelier della Delegazione Ivan Cipriani e Milena Monici. La serata si è conclusa con un corale applauso di ringraziamento ad indicare la soddisfazione dei presenti per la riuscita della serata nel suo complesso.

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Per un involontario errore tecnico nel numero precedente è stata omessa la Notizia relativa alla Delegazione FISAR di Pavia. La proponiamo qui di seguito scusandoci per il disguido Notizia inviata da Laura Sandoli della Delegazione FISAR di Pavia

DI VILLA IN VILLA CON FISAR PAVIA

È

una tiepida sera di maggio e ci troviamo nella splendida Villa Botta Adorno di Torre d’Isola, uno splendido esempio di architettura settecentesca lombarda. La protagonista di questa serata è però un’altra villa: la leggendaria cantina Villa Russiz

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di Capriva del Friuli. Il sommelier Giuseppe Franchi, organizzatore della serata, ci conduce attraverso i 150 anni di storia che hanno fatto grandi i vini di questa azienda, grande protagonista ed interprete dei vini del Collio Goriziano, nonché parte attiva nella fondazione dell’omonimo Consorzio. La cantina fu infatti fondata nella seconda metà dell’Ottocento dal Conte Theodor de la Tour e dalla consorte Elvine Ritter de Zahony, che dedicarono la vita alla passione per la vite ed all’amore verso il prossimo. Questa sera la Delegazione di Pavia ci offre l’opportunità sentire quell’amore e quella passione

in una degustazione unica ed irripetibile dei cinque Cru che rappresentano l’eccellenza dell’azienda. Cinque incredibili vini ottenuti da uve selezionate, coltivate con cura e dedizione in condizioni studiate fino al minimo dettaglio per essere ottimali. Cinque incredibili vini che non mancano di sorprenderci per quanto si dimostrano fini, garbati e per nulla usuali: il leggendario Sauvignon Bleu 2013, prodotto in poche bottiglie solo nelle annate eccellenti, il Sauvignon de la Tour 2016, il Gräfin de la Tour 2016 (Chardonnay), il Graf de la Tour 2012 (Merlot) ed il Defì de la Tour 2012 (Cabernet Sauvignon).


ITALIANA SOMMELIER

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Essere Socio F.I.S.A.R. vuol dire:

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tanti vantaggi nel mondo enogastronomico

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non è mai stato così facile!

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Le modalità modalità per aderire Le al tesseramento tesseramento al

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La quota sociale La quota sociale per l’anno 2019 perèl’anno 2019 di € 70,00 di € 70,00 e di €è 40,00 fino a 25 anni

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sono indicate indicate sul sul sito sito sono

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2019

TESSER A SOCIO

Ricevere la rivista di enogastronomia e turismo

Partecipare a condizioni vantaggiose alle cene, alle degustazioni, agli eventi.

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Usufruire di sconti e omaggi nelle maggiori manifestazioni enogastronomiche nazionali (Vinitaly, Salone del Gusto, Slow Cheese, Slow Fish, ecc.). Usufruire di sconti in locali convenzionati in tutta Italia (Ristoranti, Enoteche, Cantine, Agriturismi, ecc.).

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Con il tesseramento 2019 in OMAGGIO la prestigiosa

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edita da Slow Food Editore in collaborazione con F.I.S.A.R.

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Anno XXXVI - Numero 4 - 2018 - Dir. Resp. Roberto Rabachino - Reg. Trib. Pisa n. 21 del 15.11.1983 - Lg. 47/1948

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