Anno XXXV - Numero 3 - 2017 - Dir. Resp. Roberto Rabachino - Reg. Trib. Pisa n. 21 del 15.11.1983 - Lg. 47/1948
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Periodico Trimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/03 conv. Legge n. 46 del 27/2/04 art. 1, comma 1, Aut. MBPA/CN/P/0006/2016
Cattura l’emozione, valorizza l’essenza e interpreta nuovi desideri
Rivista di enologia, gastronomia e turismo - Anno XXXV n. 3 - 2017
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Anno XXXV - Numero 3 - 2017
Lettera del Presidente Nazionale F.I.S.A.R. di Graziella Cescon Il vino e l’occupazione: 1,3 mln di addetti a cura del Direttore Responsabile Roberto Rabachino La Segreteria Nazionale comunica di Laura Maggi, Segretario Nazionale Il vino italiano continua a volare di Giuseppe Martelli Degustando selezionati, richiesti e provati dalla Redazione Centrale
parola all’esperto Vini da viticoltura biodinamica: vita, energia, piacere di Davide Amadei Nuova cantina ecosostenibile per La Regola, ambasciatrice del territorio di Riparbella di Davide Amadei Dolci un po’ salati: gelati e bollicine come aperitivo di Lara Loreti Bolgheri, un museo da Oscar di Lara Loreti Ecco come viene scelto il miglior Prosecco di Mauro Pigozzo I vini bianchi secchi del Tokaji di Giuseppe Sicheri Lamine di effervescenza di Alice Lupi
turismo nel mondo
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Le Filippine, natura e cultura di Jimmy Pessina
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Patrizio Cencioni insignito del premio “Primavera in Valdichiana 2017” dalla Delegazione FISAR Valdichiana
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Il vino protagonista a “Ciak Irpinia, buona la prima” di Luigi Terzago
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Biblioteca a cura di Gladys Torres Urday
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Intervista a Livia Adario Iaccarino, chef de maison di Don Alfonso 1890 di Anita Mercogliano
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il piatto Curry, magia di spezie di Enza Bettelli con l’abbinamento di Nicola Masiello Si chiude a Genova l’ottava edizione di Slow Fish a cura della Redazione Centrale Ciao Lucio a cura della Redazione Centrale In FAMIGLIA - Le notizie dalle Delegazioni
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di Graziella Cescon, Presidente Nazionale F.I.S.A.R.
Una FISAR proiettata verso il futuro Mantenere viva la nostra tradizione, rendere contemporanee le nostre caratteristiche distintive, rappresentare al meglio il vino.
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n anno fa “Vino è” era un progetto senza precedenti. Un’idea originale e ambiziosa per dimostrare il potenziale di Fisar aprendo al pubblico il nostro Congresso Nazionale e trasformandolo in un grande evento in cui chiunque potesse conoscerci e, attraverso la Federazione, vivere la grande poliedricità del mondo enoico. Oggi “Vino è” è una realtà dai numeri record. Un successo di pubblico che ha conquistato addetti del settore, appassionati e profani. Un atteso ritorno confermato dall’attenzione ricevuta in conferenza stampa, quest’estate, quando abbiamo presentato ufficialmente la seconda edizione. Ero certa che proporci in una veste inedita, rinnovata e attuale ci avrebbe premiato. E dunque ora ci avviciniamo all’appuntamento di Vino è 2017 con lo stesso desiderio di ricerca della qualità. Con la medesima voglia di continuare nel percorso di valorizzazione delle nostre realtà vitivinicole. Ma
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anche con la forza degli ottimi giudizi ottenuti nel 2016 e la consapevolezza che le condizioni per ripetere e migliorare i risultati del debutto ci sono tutte. Location e format rimarranno gli stessi. La cornice della Stazione Leopolda si è dimostrata ideale per la kermesse di Vino è. Confermarla è un modo per restituire alla città di Firenze e alla sua Amministrazione la fiducia e il pieno supporto che ci hanno dimostrato, ma è anche l’opportunità di mettere nella miglior luce le aziende del territorio italiano che fanno del vino la loro vita e il nostro vanto. Raccontare il territorio, i suoi innumerevoli vitigni e le migliori selezioni, rivelare il legame tra uomo e natura che rende ogni degustazione un’esperienza unica ed irripetibile, sono l’obiettivo di Fisar e rimarranno il filo conduttore di “Vino è”. Nella seconda edizione abbiamo, però voluto anche sottolineare l’importanza del comparto vinicolo, i suoi indiscutibili riflessi e meriti sia sull’economia che nel mondo del
lavoro. Abbiamo pertanto deciso di cambiare i giorni dedicati alla manifestazione, che quest’anno si terrà Domenica 5 e Lunedì 6 novembre, così da rispondere in maniera dedicata alle esigenze degli operatori di settore. “Vino è” contiene nel nome il suo indiscusso protagonista e riflette la nostra capacità di esserne interpreti ed ambasciatori; un compito prestigioso che necessita di un’organizzazione con linee guida chiare e condivise, un’immagine contemporanea e riconoscibile, un linguaggio moderno e dinamico. Per questo mi rende particolarmente orgogliosa che il cuore dell’evento, il 45° Congresso Nazionale Fisar, sia anche il momento in cui verranno presentati ai soci il Nuovo Statuto Fisar, aggiornato e pronto per essere approvato, il nuovo Logo e il nuovo sito web. Tre vie per raggiungere altrettanti obiettivi: mantenere viva la nostra tradizione, rendere contemporanee le caratteristiche distintive di Fisar, rappresentare al meglio il vino, prodotto in perenne trasformazione che, proprio come noi, sa adeguarsi al presente per rinnovare la sua essenza originaria e renderla ancora più forte. Ci vediamo a Firenze per scrivere insieme il secondo capitolo della lunga storia di “Vino è”!
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a cura di Roberto Rabachino direttore responsabile (fonte Coldiretti)
Il vino e l’occupazione: 1,3 mln di addetti Il settore del vino dimostra più di altri che l’agricoltura è in grado di offrire opportunità di lavoro. La Top Ten dei vini che “offrono più lavoro” Con un totale di 19,4 milioni di ore impiegate all’anno in provincia di Chieti è il Montepulciano d’Abruzzo Doc il vino italiano che dà più lavoro a livello locale, davanti al Puglia Igt con 16,5 milioni nella provincia di Foggia e alla Doc Sicilia con 16 milioni di giornate in quella di Trapani. Al quarto posto si piazza il lombardo Oltrepò Pavese Doc, con 14,2 milioni di ore di lavoro, davanti a un “collega” del Piemonte l’Asti Docg per produrre il quale ne servono “solo” 13,4 milioni insieme al Barbera d’Asti. Al sesto posto il pregiato Amarone della Valpolicella Docg con 13,1 milioni di ore a Verona dove pesa anche il Soave Docg seguiti da
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un altro gioiello della regione che ospita il Vinitaly, il Prosecco Docg con 12,9 milioni di ore a Treviso. Ci sono poi i piemontesi Barolo Docg, Barbaresco Docg, Langhe Doc e Roero Docg a Cuneo (12,4 milioni di ore), il Gavi Docg ad Alessandria (10,9 milioni di ore), mentre a chiudere è il Castel Del Monte Doc pugliese, con 9,4 milioni di ore lavorate nella provincia di Bari dove di rilievo c’è anche il Puglia Igt. Complessivamente si stima che il vino abbia offerto durante il 2016 opportunità di lavoro ad un milione e trecentomila persone tra quanti sono impegnati direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale, ma anche in attività
connesse, di servizio e nell’indotto che si sono estese negli ambiti più diversi: dall’industria vetraria a quella dei tappi, dai trasporti alle assicurazioni, da quella degli accessori, come cavatappi e sciabole, dai vivai agli imballaggi, dalla ricerca e formazione alla divulgazione, dall’enoturismo alla cosmetica e al mercato del benessere, dall’editoria alla pubblicità, dai programmi software fino alle bioenergie ottenute dai residui di potatura e dai sottoprodotti della vinificazione (fecce, vinacce e raspi). “Il settore del vino dimostra più di altri che l’agricoltura è in grado di offrire opportunità di lavoro sia a chi vuole investire con progetti innovativi sia a chi vuole fare una esperienza in campagna a contatto con la natura anche solo per integrare il proprio reddito”, ha affermato il Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo a chiusura della presentazione ufficiale della ricerca presentata all’ultimo Vinitaly di Verona.
di Laura Maggi, Segretario Nazionale FISAR, segretario.nazionale@fisar.com
La Segreteria Nazionale comunica A
l rientro dalle ferie siamo pronti ad affrontare un nuovo anno fisariano. Oltre ai numerosi corsi di formazione sommelier organizzati dalle varie Delegazioni FISAR, ricordiamo i corsi di formazione superiore per tutti i soci Sommelier che vogliono approfondire le loro conoscenze o entrare a far parte degli Albi FISAR.
Corso C&D (comunicazione e degustazione) 16-17 settembre Civitavecchia 28-29 ottobre Mestre Corso DCSF (direttori di corso sommelier FISAR) 16 settembre Milano 21 ottobre Firenze
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Infine, a novembre, avremo l’annuale Congresso Nazionale FISAR e la seconda edizione di Vino è che si terranno a Firenze il 4-5-6 novembre, durante i quali si svolgeranno le finali del concorso Miglior Sommelier FISAR e del concorso Crea la tessera FISAR 2018. Altri appuntamenti che andranno ad aggiungersi all’agenda FISAR saranno comunicati con le circolari e la FISAR News della Segreteria Nazionale.
Esami per aspiranti Relatori 23-24 settembre Verona 25-26 novembre Milano
Il 14 ottobre a Montecatini Terme avremo l’appuntamento con la presentazione della Guida Slow Wine 2018, redatta con la collaborazione di sommelier degustatori FISAR, che sarà inviata a tutti i soci FISAR unitamente alla tessera associativa 2018. il Sommelier | n. 3 - 2017
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Registr. Tribunale di Pisa n° 21 del 15.11.1983 ®
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Rivista Ufficiale della F.I.S.A.R.
Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori Ric. di Pers. Giuridica PI. n.° 1070/01 Sett. 1 del 9.5.01 FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER
Direttore Responsabile: Roberto Rabachino
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C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 direttore@ilsommelier.com Redazione Centrale: Gladys Torres Urday
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Editore: Pacini Editore S.r.l.
Via A. Gherardesca, 1 - 56121 Ospedaletto (PI) Tel. +39 050 313011 - Fax +39 050 3130300 info@pacinieditore.it Proprietà: F.I.S.A.R.
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Il Comitato Tecnico Nazionale F.I.S.A.R. ctn@fisar.com Comitato di Redazione e Controllo
Graziella Cescon, Filippo Franchini, Laura Maggi, Valerio Sisti, Luigi Terzago redazione@ilsommelier.com Hanno collaborato a questo numero
Giuseppe Martelli, Gladys Torres Urday, Lara Loreti, Anna Mercogliano, Jimmy Pessina, Enza Bettelli, Nicola Masiello, Davide Amadei, Giuseppe Sicheri, Alice Lupi, Luigi Terzago, Mauro Pigozzo, Ufficio Stampa Slow Food e le Delegazioni della FISAR Per la fotografia
Jimmy Pessina, Davide Amadei, Lara Loreti, Slow Food, Luisella Rubin, Enza Bettelli, Anna Mercogliano, Roberto Rabachino, Roberto Donadini, Enza Bettelli e immagini di Redazione
Finito di stampare nel mese di Agosto 2017 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore Srl Via A. Gherardesca • 56121 Ospedaletto • Pisa Telefono 050 313011 • Telefax 050 3130300 www.pacinieditore.it
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Abbonamento alla Rivista € 25,00 per 4 numeri Segreteria di Redazione Il Sommelier: Via dei Condotti, 16 - 56017 Asciano (PI) - Tel. +39 050 857105 - Fax +39 050 856700 - segreteria.nazionale@fisar.com
di Giuseppe Martelli, Presidente Comitato Nazionale Vini - MiPAAF
Il vino italiano continua a volare Trainato dagli spumanti in generale e dal Prosecco in particolare. Parla italiano il 27% degli spumanti mondiali ed il 48% di quelli europei.
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el mondo si producono circa 3.500 milioni di bottiglie di spumante, in Europa poco più di 2.000 milioni di cui 950 parlano italiano. La Francia si attesta sui 570 milioni di bottiglie di cui mediamente 290 di Champagne e 280 di altri, la Germania spunta intorno ai 280 milioni quasi tutte metodo Martinotti o Charmat, mentre la Spagna dovrebbe arrivare a 270 milioni di cui 260 di Cava. La stima nei rimanenti paesi è di circa 10 milioni di bottiglie annue. Nel 2016 le nostre vendite all’estero di vino hanno raggiunto i 20,8 milioni di ettolitri (+3,1% rispetto al 2015) per un valore di 5,6 miliardi di euro (+4,4%). Il
valore medio unitario ha toccato i 2,7 euro/litro schizzando a 3,55 se si considera solo il vino in bottiglia; nel 2010 il Vmu era di 1,77 euro/litro. In questo contesto gli spumanti la fanno da padrone con una quota, sull’intero settore, del 21%, contro l’11% del 2010, con picchi anche più alti in alcuni importanti mercati, come in quello del Regno Unito dove ha raggiunto il 48% superando i vini tranquilli in bottiglia attestati al 46%. Fino a qualche anno fa la Germania era il nostro maggiore cliente di spumanti, oggi è al terzo posto con soli 91 milioni di euro, superata di diverse lunghezze dal Regno Unito (366 milioni di euro) e dagli Stati Uniti (255 milioni di
euro). Come risaputo, l’exploit dello spumante italiano nel mondo ha come indiscusso protagonista il Prosecco di cui nel 2016 sono state prodotte e vendute ben 491,5 milioni di bottiglie, di cui 410 milioni Doc e 81,5 Docg. Un settore dai grandi numeri Ma quanto spumante si produce nel Mondo? Nell’Unione Europea ed in Italia? E di questo, nel nostro paese, quante bottiglie di “Metodo Classico”? Secondo gli ultimi dati OIV disponibili, nel mondo gli spumanti rappresentano meno del 10% della produzione vinicola totale, ossia circa 3.500 milioni di bottiglie. Da fonti diverse, si desume che in Europa se ne producano poco più di 2.000 milioni di bottiglie di cui 950 sul nostro territorio. La Francia si attesta sui 570 milioni di bottiglie di cui, mediamente, 290 di Champagne e 280 di altri, la Germania spunta intorno ai 280 milioni quasi tutte metodo Martinotti o Charmat, mentre la Spagna dovrebbe arrivare a 270 milioni di cui 260 di Cava. La stima nei rimanenti paesi è di circa 10 milioni di bottiglie annue. Fatti due conti, si deduce che il 27% della produzione mondiale ed il 48% di quella europea parlano italiano. il Sommelier | n. 3 - 2017
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Metodo Classico nicchia importante e qualificata In questo contesto gli spumanti italiani “Metodo Classico” rappresentano una nicchia, visto che complessivamente non superano i 35 milioni di bottiglie, ma importante e qualificata, fiore all’occhiello dell’enologia italiana di alta qualità. In questo settore lo zoccolo duro è rappresentato da quattro denominazioni Franciacorta, Trentodoc, Alta Langa e Oltrepò Pavese Metodo Classico che complessivamente nel 2016 hanno raggiunto 28 milioni di bottiglie a fronte di una produzione complessiva di 34 milioni. Ma quante sono complessivamente le denominazioni di origine che nel disciplinare di produzione annoverano la tipologia spumante e quante quelle spumante “Metodo Classico”? Delle 405 in essere sono 177 quelle che comprendono lo spumante e 54 (10 Docg e 44 Doc), quelle “Metodo Classico”. Di queste 42 sono ubicate nel Nord Italia, 4 al Centro e 8 al Sud. Nonostante il numero elevato non aumentano di molto il potenziale produttivo e commerciale del comparto visto che complessivamente, tolte le quattro leader, non raggiungono i 3 milioni di bottiglie. Ed in effetti, sempre tolte Franciacorta, Trentodoc, Alta Langa e Oltrepo’ Pavese Metodo Classico, risulta che solo 4 elaborano tra i 500 e i 1.000 ettolitri, le rimanenti sono sotto i 500 ettolitri. La questione Prosecco/Asti Secco Ed in questo ampio quanto importante contesto negli ultimi mesi si è inserita una questione di tutta considerazione, quella riferita al cosiddetto “Asti Secco”: un danno e una provocazione 8
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come dicono in Veneto o una opportunità di integrazione della denominazione come affermano in Piemonte? Sarà il tempo a dirlo dopo il via libera che il Comitato nazionale vini Dop e Igp, superato lo scoglio della tradizionalità, ha dato il via libera permettendo l’inserimento nel disciplinare dell’Asti di nuove tipologie con minore contenuto zuccherino, fino a extra-dry. Richieste fatte dal relativo Consorzio di tutela e avvallate dalla Regione Piemonte con lo scopo di allargare i momenti di consumo e cercare di risollevare le sorti di un mercato in calo. Il “Sistema Prosecco” ritiene però che l’introduzione della nuova tipologia “scimmiotti” il prodotto veneto creando confusione nel consumatore e quindi danneggiandolo. Da qui la polemica che da tempo serpeggia visto che a nulla sono valsi i tentativi di trovare un accordo di reciproca utilità per le parti. Sicuramente il Prosecco ha fatto e sta facendo da “locomotiva” ad una larga fascia di prodotti. L’operazione varata nel 2009, dopo qualche anno di assestamento, ha iniziato a mietere consensi fino ad arrivare, come dicevo prima, tra
Doc e Docg a mezzo miliardo di bottiglie vendute nel 2016. È un bene o un male che si sfruttino in scia le positive esperienze? Nel rispetto delle norme, tutti gli aventi diritto possono tentare; il risultato però non è scontato. Fra qualche anno tireremo le somme Sono due situazioni diverse. Il Prosecco nelle sue caratteristiche è rimasto com’era. Conscio delle sue potenzialità ha capito che si doveva meglio organizzare per capitalizzare il suo valore, difendendosi da chi voleva sfruttare il nome svilendo il prodotto, elevando la qualità, blindando nome e territorio. L’Asti vuole ampliare la sua proposta salvaguardando le tradizioni e puntando su obiettivi diversi, forte anche del fatto che lo spumante è un prodotto “tecnoloico” che segue specifici concetti produttivi e di marketing. Vediamo nei fatti quante aziende investiranno e come su questa nuova tipologia, in quale fascia di prezzo sarà collocata, quali saranno le ripercussioni sul prodotto dolce tradizionale e, fra qualche anno, a bocce ferme, tireremo le somme.
Banfi – Castello Poggio alle Mura Montalcino (SI) - www.castellobanfi.it Banfi nasce nel 1978 grazie alla volontà dei fratelli italoamericani John e Harry Mariani. Sin dall’inizio i due fratelli prevedono un progetto su larga scala, integrando una produzione viticola di qualità con una cantina moderna con l’obiettivo di mantenere sempre alto il livello qualitativo dei vini prodotti. A fianco della famiglia Mariani, Ezio Rivella, uno dei più grandi enologi italiani, il quale ritiene subito che per la ricchezza della natura del suolo e la privilegiata posizione microclimatica, i territori acquisiti avrebbero avuto grosse potenzialità di sviluppo.
Fonte alla Selva – Gran Selezione 2013 - Chianti Classico DOCG Oltre 40 ettari di vigneti a Castellina, cuore della regione del Chianti Classico. Varietà tradizionali del Chianti Classico, con predominanza di Sangiovese. La fermentazione avviene con macerazione tradizionale a contatto con le bucce per 7 giorni. Invecchiamento per 12-14 mesi in botti di legno di rovere francese, seguito da almeno 4 mesi in bottiglia. Rosso rubino intenso. Sentori complessi e fruttati di confettura di prugna e mora, ottimamente accompagnati a quelli di spezie e cuoio. Struttura importante e con tannini ben integrati. I profumi di bocca sono piacevolmente persistenti.
Bottiglie prodotte: 13.000
Prezzo consigliato in enoteca: 20 euro
Agripunica SpA
Santadi (CI) - www.agripunica.it È una joint-venture tra, il Gruppo Tenuta San Guido Sassicaia, la Cantina di Santadi, Antonello Pilloni presidente della Cantina ed il leggendario enologo toscano Giacomo Tachis. Fu proprio quest’ultimo a pensare alla Sardegna e convinse tutti del fatto che potessero produrre un fantastico vino dalle uve coltivate nel Sulcis. Nel 2002, AgriPunica acquista un’azienda composta da due tenute: Barrua e Narcao, ubicate nella zona sud-occidentale della Sardegna, in un’area conosciuta come Basso Sulcis. Tutti sapevano bene di cosa fosse capace questa terra e dopo la prima vendemmia furono tutti d’accordo nell’affermare.
Barrua 2012 - Isola dei Nuraghi IGT
Prodotto con 85% Carignano, 10% Cabernet Sauvigon e 5% Merlot. Il mosto fermenta con le bucce a una temperatura compresa tra i 25 e i 30 °C in serbatoi di acciaio inox termocondizionati per un periodo di circa 15 giorni. La fermentazione malolattica conferisce caratteri di morbidezza al vino, che viene poi fatto maturare in barriques nuove di rovere Francese per circa 18 mesi. Successivamente riposa in vetro per almeno 12 mesi. Rosso rubino intenso e vivo, dono cromatico della natura. Profumi complessi di frutta rossa matura (amarena principalmente), spezie, note di liquirizia e ricordi di mirto. Al palato si presenta armonico con note di salvia e mirto con aromi di frutti rossi maturi e pepe in un finale persistente e armonioso.
Bottiglie prodotte: 120.000
Prezzo consigliato in enoteca: 35 euro
Colacino Wines Società Agricola srl Marzi (CS) - www.colacino.it C’era una volta un medico condotto, Vittorio Colacino, che oltre a preoccuparsi della salute dei suoi pazienti, si deliziava a coltivare un antico vitigno da cui produceva un vino denominato “Britto”, un vino dal profumo intenso di amarena speziata. Da questa passione per la terra e per la vita nasce nel 1968 l’azienda Colacino. Oggi l’azienda è gestita dai figli del medico, Mauro e Maria Teresa che, oltre alla stessa passione per il vino, ereditata dal padre, apportano a tutta la filiera produttiva un pizzico di innovazione e managerialità, con la perseveranza di voler migliorare un prodotto già fortemente apprezzato.
Vigna Colle Barabba 2015 - Sanuto Classico DOC Un assemblato con 40% Arvino, 20% Greco Nero, 20% Nerello Cappuccio , 20% Magliocco Canino. Le uve sono raccolte nei primi giorni di ottobre. Affinamento in acciaio per 5 mesi e successivamente 3 mesi in bottiglia. Rosso intenso con evidenti sfumature violacee. Frutta rossa fresca e note floreali molto persistenti. Morbido con intensa espressione di frutta fresca che persiste donando note speziate tipicamente mediterranee.
Bottiglie prodotte: 25.000
Prezzo consigliato in enoteca: 12 euro il Sommelier | n. 3 - 2017
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Ariola Vigne e Vini srl Calicella di Pilastro – Langhirano (PR) - www.viniariola.it I vigneti dell’azienda riposano sulle prime colline che si affacciano feconde alla Pianura Padana, fra i 220 metri e i 300 metri sul livello del mare. La qualità del terreno, limoso-argilloso, la sua pendenza ottimale per un buon drenaggio e l’orientamento dei filari, che godono di una dolcissima esposizione solare, creano le condizioni ideali per la maturazione di un frutto sano e profumato, principale segreto dei grandi vini Ariola.
Marcello Blanc de Blancs 2016 - VS Metodo Charmat per questo spumante a base di 100% Chardonnay. Giallo paglierino, perlage fine e persistente. Bella ampiezza olfattiva, fragrante e floreale con richiami di pane tostato, miele e toni agrumati. Denso e morbido, acidità bilanciata, finale pulito e saporoso. Bottiglie prodotte: 14.000
Prezzo consigliato in enoteca: 14 euro
Cantina di Mogoro – Il Nuraghe Mogoro (OR) - www.cantinadimogoro.it La Cantina di Mogoro è situata in Sardegna nella provincia di Oristano, in una regione che prende il nome di Alta Marmilla. I suoi vini sono esportati e apprezzati a livello internazionale, come testimoniano i riconoscimenti ottenuti in tanti anni di proficua attività. La zona di Mogoro è rinomata per la produzione di altri vini legati fortemente al territorio, come il Bovale e la Monica, oltre agli altri vitigni della tradizione sarda come il Nuragus, il Vermentino, il Cannonau, la Malvasia e il Moscato. Trecentocinquanta ettari di vigne che sapientemente vengono lavorate nel rispetto della tradizione per ottenere vini eccellenti che, negli anni, sono divenuti ambasciatori di Sardegna.
Anastasia 2016 - Sardegna Semidano Mogoro DOC Semidano 100%. un vitigno poco produttivo con grappoli di piccole dimensioni, serrati e di media resistenza alle crittogame. Per l’aspetto vegetativo è talvolta confuso con il Nuragus, data la simile conformazione dei sarmenti e delle foglie. La maturazione avviene dalla seconda decade di settembre. In vendemmia tardiva, dalla prima decade di ottobre, il Semidano dona vini bianchi di grande struttura e complessità o affascinanti vini dolci. Giallo paglierino chiaro e luminoso. È un vino che trova la sua caratteristica principale nella delicatezza, che si esprime all’olfatto con profumi di erbe aromatiche come timo, rosmarino, camomilla e radice di liquirizia fresca. La sapidità al gusto è la sua caratteristica, unita alla delicata acidità e alla buona persistenza.
Bottiglie prodotte: 30.000
Prezzo consigliato in enoteca: 9 euro
Cantina Tora Torrecuso (BN) - www.cantinatora.it La passione, la tenacia e l’amore per i vigneti, contraddistingue da oltre un secolo il lavoro nei campi e lo zelo della famiglia Rillo. Nel 2004, per volontà di Vincenzo Rillo, l’azienda cambia decisamente veste e nasce l’Azienda Agricola Cantine Tora, alla quale vengono apportate una serie di modifiche di ordine strutturale ed organizzativo, pur tuttavia continuando a far tesoro di quel magico momento che è il far rivivere la tradizione del proprio territorio; là dove le origini della cultura vitivinicola, intrisa di antichità e passione, costituiscono leit motiv e mission aziendale insieme. L’azienda, a conduzione familiare, custodisce ancora oggi, in particolare per mano dei giovani fratelli Giampiero e Francesco, quello spirito di sacrificio che da sempre diversifica e soggiace alla ricetta dei maestri vignaioli, tramandata nel corso dei secoli.
Spartiviento 2011 - Aglianico del Taburno Riserva DOCG È un vino prodotto al 100% Aglianico. Fermentazione in botte piccola e successivamente affinato per 6 mesi di barrique e per 6 mesi in acciaio. Otto mesi in bottiglia prima di essere commercializzato. Colore Rosso Rubino con riflessi granata. Profumi intensi persistenti e fini, fruttati e floreali, si ravvisano sentori di frutti di bosco, viola, rosa, vaniglia, pepe nero e tabacco. Il gusto è secco, caldo, intenso, sapido, morbido e giustamente tannico, vino di corpo pieno e armonico.
Bottiglie prodotte: 5.000 10
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Prezzo consigliato in enoteca: 25 euro
La Mancina Società Agricola Monteveglio Valsamoggia (BO) - www.lamancina.it L’Azienda Agricola La Mancina si estende per 40 ettari a Montebudello, ad un’altezza media di 200 metri s.l.m. nella zona collinare a sud-ovest in provincia di Bologna, nel comprensorio dei vini “Colli Bolognesi DOC e DOCG”. È stata fondata all’inizio degli anni ’60 dalla famiglia Zanetti, tuttora proprietaria, ed ha nel tempo accresciuto il proprio prestigio fino a diventare una delle maggiori realtà della zona. Il vitigno predominante è la varietà autoctona a bacca bianca Pignoletto, che fornisce circa metà della produzione totale, completata dai vitigni a bacca rossa di Barbera, Merlot e Cabernet Sauvignon.
Pignoletto – Terre di Montebudello 2015 - Pignoletto Classico Colli Bolognesi DOCG 100% Pignoletto. Pressatura soffice delle uve, vinificazione in tini d’acciaio inox a temperatura controllata. Permanenza sui propri lieviti fino a 10 mesi. Affinamento in bottiglia per almeno 4 mesi. Giallo paglierino intenso e brillante. Profumo delicato, leggermente aromatico con note fruttate. Armonico, franco, leggermente aromatico con retrogusto tipico.
Bottiglie prodotte: 12.000
Prezzo consigliato in enoteca: 11 euro
Soc. Agricola Alessio Komjanc e Figli San Floriano del Collio (GO) - www.komjancalessio.com La sede aziendale è situata alle pendici della collina, in una posizione panoramica dalla quale, verso nord, lo sguardo si apre sulla spettacolare cornice delle colline e delle Alpi orientali. L’attuale nucleo aziendale è stato fondato negli anni Settanta da Alessio, il quale aveva iniziato l’attività agricola presso l’azienda paterna: infatti i suoi bisnonni producevano vino in Collio già alla fine dell’Ottocento. Nella propria azienda, Alessio ha conferito un carattere monovarietale ed è stato uno dei primi di San Floriano del Collio ad intuire l’importanza della vendita del proprio vino in bottiglia, proponendo al consumatore un vino di qualità in quanto prodotto e confezionato sul Collio da un’azienda a conduzione familiare. La prima etichetta “Alessio Komjanc” risale all’annata 1973.
Ribolla Gialla 2016 - Collio DOC 100% Ribolla Gialla. Spremitura soffice in pressa pneumatica, vinificazione tradizionale in bianco con fermentazione a temperatura controllata in serbatoi di acciaio inox. Presenta un colore giallo paglierino con riflessi verdi chiari ed un profumo fresco, che ricorda agrumi dolci e fiori di campo. Il sapore è piacevolmente vivace ed armonico con sentori di agrumi.
Bottiglie prodotte: 8.000
Prezzo consigliato in enoteca: 13 euro
Donatella Cinelli Colombini Montalcino (SI) - www.cinellicolombini.it Casato Prime Donne a Montalcino è una proprietà di 40 ettari in cui ci sono 16 ettari di vigneto di Sangiovese e la cantina per la vinificazione e la maturazione in botte del Rosso e del Brunello di Montalcino. Le cantiniere sono tutte donne, enologa compresa, caratteristica unica in Italia che fa di questa cantina una bandiera per l’enologia in rosa.
Brunello di Montalcino 2012 - Brunello di Montalcino DOCG 100% Sangiovese. Maturazione in legno primo anno in tonneau da 5-7 ettolitri. Questi piccoli contenitori sono fatti con rovere francese tagliato a spacco seguendo la linea naturale del legno, in prestigiosi laboratori artigiani. Nel secondo e terzo anno la maturazione è proseguita in botti da 30-40 hl di rovere Allier e Slavonia. Rosso rubino intenso. Profumo netto, complesso, fine con chiari ricordi di piccoli frutti rossi e confetture. La componente speziata crescerà col tempo, molto discreto e ben integrato il richiamo ai legni delle botti. Armonico, appagante, ampio, piacevolissimo all’ingresso permane poi lungamente in bocca con sapidità.
Bottiglie prodotte: 34.000
Prezzo consigliato in enoteca: 35 euro il Sommelier | n. 3 - 2017
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Bastianich Cividale del Friuli (UD) - www.bastianich.com La profonda connessione che la famiglia Bastianich ha con il mondo vinicolo ci riporta indietro di decadi e generazioni. Risale infatti agli incontri con le più importanti famiglie di viticoltori negli anni Settanta e Ottanta e alla promozione dei migliori vini Friulani nelle carte dei vari ristoranti della Famiglia negli Stati Uniti. È stata proprio questa passione per il vino, coniugata alla volontà di riscoprire e ritrovare le proprie origini, che ha portato la famiglia Bastianich, nel 1997, a impiantare i primi vigneti a Buttrio e a Cividale del Friuli, in una delle zone più vocate d’Italia alla produzione di vini bianchi.
Vespa Bianco 2015 - Venezia Giulia IGT Chardonnay e Sauvignon sono vinificati separatamente, il 50% in botti di rovere da 4.000 litri, e il 50% in acciaio inossidabile. Il Picolit fermenta in tonneaux da 500 litri. La fermentazione malolattica è limitata al 60%. Dopo la vinificazione, i vini riposano su feccia nelle rispettive vasche per quasi un anno. Mescolati e affinati in bottiglia per un ulteriore anno. Giallo tendente al dorato. Uno stretto equilibrio di note minerali e agrumi, che col tempo si trasformano in una più densa sensazione di fiori selvatici, miele di trifoglio e pera matura. La sua struttura tannica e acida lo rende di impatto immediato, oltre a conferirgli longevità. Infatti, il Vespa Bianco può essere ulteriormente invecchiato fino a 7-10 anni dalla vendemmia.
Bottiglie prodotte: 40.000
Prezzo consigliato in enoteca: 25 euro
La Roncaglia La Morra (CN) - www.laroncaglia.it L’azienda agricola La Roncaglia rinasce nel 2013, grazie all’impegno, alla passione ed alla capacità di sognare dei nipoti del fondatore Luigi Roggero, a La Morra, in piena zona di produzione del Barolo e dei grandi vini di Langa. Due generazioni dopo, Alberto, Antonella, Cesare e Luigi hanno deciso di buttarsi in quest’avventura faticosa ma appassionante del diventare produttori, avviando un profondo rinnovamento ed avvalendosi di consulenti e professionisti di altissimo livello.
Barbera d’Alba Superiore 2014 - Barbera d’Alba DOC 100% Barbera. Selezione delle uve in vigneto, fermentazione e macerazione per 6-8 giorni in contenitori di acciaio inox termoregolati con sistema automatico di rimontaggi e follature, ad una temperatura di 28°-30°. Segue la fermentazione malolattica in novembre. Affinamento minimo di 12 mesi in tonneaux da 400 lt di primo passaggio. Rosso granata con lievi riflessi violacei. Al naso si apre una vasta gamma di profumi, dalla frutta rossa di sottobosco agli agrumi. Al palato una buona acidità e una tannicità equilibrata.
Bottiglie prodotte: 3.000
Prezzo consigliato in enoteca: 18 euro
Az. Agricola Tommaso Bellora Cavaion Veronese (VR) - www.bellora.wine Naiano, antica località di Cavaion Veronese, è un verde anfiteatro di vigneti e oliveti. È situata in prossimità del magnifico lago di Garda e della suggestiva città di Verona. La Tenuta è facilmente riconoscibile per la bellezza della collina che fa da sfondo e da cui, nel suo punto più alto, si apprezza un panorama suggestivo intriso di colori e paesaggi tipici gardesani, da sempre meta ambita dai turisti di tutto il mondo.
Amarone della Valpolicella 2014 - Amarone della Valpolicella DOCG Corvina Veronese 70%, Rondinella 30%. La vendemmia avviene nella seconda metà di settembre e prevede la selezione manuale dei grappoli. Segue il processo di appassimento dell’uva. A metà gennaio si procede alla pigiatura soffice. Permanenza per 5 mesi in acciaio, maturazione in legno per 15 mesi (50% botti di rovere di Slavonia, 50% barriques francesi di secondo passaggio), 6 mesi di affinamento in bottiglia. Rosso rubino intenso quasi impenetrabile. Complesso al naso con evidenti sentori di frutta rossa matura ma ancora croccante e polposa, note speziate (pepe e chiodi di garofano) seguite da accenni minerali ed una gradevole chiusura di persistente tabacco. Vino dal corpo imponente ma di grande eleganza ed equilibrio.
Bottiglie prodotte: 15.000 12
il Sommelier | n. 3 - 2017
Prezzo consigliato in enoteca: 36 euro
Rosa di Maggio - Arrigoni La Spezia (SP) - www.arrigoni1913.it Sulle verdi colline attorno Castelnuovo Magra, in una posizione magnifica per geografia e per esposizione c’è la Vigna della Cascina dei Peri, curata con grande passione e capacità dai coniugi Marcoli-Peri. Il bellissimo Vermentino che nasce da questi filari, viene vinificato con cura e antica passione a La Spezia da Riccardo Arrigoni nelle proprie cantine modernamente attrezzate, ma con occhio attento e scrupoloso ossequio della più sana tradizione.
La Cascina dei Peri 2016 - Vermentino Colli di Luni Superiore DOC Vermentino 95% e 5% Pigato. Acciaio a temperatura controllata 12 ore di macerazione sotto ghiaccio secco, pressatura soffice, decantazione e avvio di fermentazione con lieviti selezionati. Lunga sosta sui lieviti. Giallo paglierino con giovani riflessi verdolini. Profumo intenso, persistente, fine e di grande eleganza, con note di biancospino, pompelmo, mela renetta, pesca bianca e piacevole sottofondo di miele d’acacia. In bocca si presenta fresco, equilibrato, di ottima persistenza.
Bottiglie prodotte: 20.000
Prezzo consigliato in enoteca: 13 euro
Poderi Gallino Cisterna d’Asti (AT) - www.poderigallino.com Dal 1977 Poderi Gallino produce vino tra le province di Asti e Cuneo, dove si coltivano con metodi biologici Barbera, Nebbiolo, Roero Arneis e Croatina, poi trasformati in gustosi vini. La passione e l’amore per i vitigni porta a porre l’attenzione su tutti i passaggi della produzione,come la cura della vite, la scelta dei suoi tralci, la scelta delle migliori uve, la raccolta e la vinificazione per esprimere al massimo l’anima del territorio.
Roero Arneis 2015 - Roero Arneis DOCG 100% Arneis. Vinificazione in acciaio a temperatura controllata refrigerata. Affinamento 6 mesi in bottiglia. Vino dal colore bianco paglierino più o meno intenso, con riflessi leggermente ambrati. Il suo profumo sprigiona un bouquet delicato, fresco ed erbaceo, tuttavia suadente. Il sapore secco senza asperità e cedimenti, di notevole personalità; nerbo viperino, stoffa “sentita” ed elegante; pieno carattere. Bottiglie prodotte: 4.000
Prezzo consigliato in enoteca: 12 euro
Cantina Alice Bel Colle Alice Bel Colle (AL) - www.cantinaalicebc.it I vigneti dei 150 soci della cantina Alice Bel Colle hanno un’estensione produttiva di 370 ettari. La produzione annua è di circa 38000 quintali di una di cui 16000 di Moscato d’Asti DOCG, 3000 di Brachetto d’Acqui DOCG, 5000 di uve rosse DOC (Dolcetto d’Acqui e Barbera d’Asti), 3000 di uve bianche DOC (Cortese dell’Alto Monferrato e Piemonte Chardonnay).
Pian delle Canne 2016 - Brachetto d’Acqui DOCG 100% Brachetto. Naturalmente frizzante con spuma fine e mediamente persistente. Immediato consumo. Rosso rubino chiaro. Profumo e aroma intenso di rosa e geranio, sentori di muschio e uva matura. Floreale con sensazioni di rosa e sentori di lamponi e fragola. Armoniosamente dolce, fresco e aromatico. Bottiglie prodotte: 12.000
Prezzo consigliato in enoteca: 6 euro il Sommelier | n. 3 - 2017
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Andrea Felici di Leopardo Felici Apiro (MC) - www.andreafelici.it Tra Apiro e Cupramontana, nel vero cuore delle terre del Verdicchio, da generazioni curano le vigne con tutto l’amore del mondo. Cercano di fare vini veri, che raccontino la splendida terra ed anche un po’ di loro, della passione e della testardaggine che ha portato a fare tanti sacrifici e qualche rinuncia pur di andare avanti per cercare di trarre sempre il meglio dai dieci ettari di vigneto.
Andrea Felici Classico 2015 - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Un blend di vigne giovani e vigne più vecchie (viti di 6/7 e 35 anni in media, rispettivamente). Vinificazione sulle bucce. Affinamento in vasche di acciaio e sui lieviti per 3 mesi. Ulteriori 2 mesi in bottiglie prima di essere immesso nel mercato. Giallo paglierino con profumi floreali ed erbacei intensi. Al palato si mostra caldo e morbido, sapido e vigoroso, con un finale netto e persistente. Bottiglie prodotte: 60.000
Prezzo consigliato in enoteca: 15 euro
Giuseppe Campagnola Marano di Valpolicella (VR) - www.campagnola.com Tradizione del vino dal 1907 nella vallata di Marano di Valpolicella. Cinque generazioni conquistate dalla terra, dalla vigna e dalle uve. È in questa data, simbolo del gruppo, che inizia il racconto centenario di una cantina che raggiunge l’eccellenza grazie all’amore e alla passione dei suoi componenti.
Valpolicella Superiore Caterina Zardini 2015 - Valpolicella Classico DOC È prodotto con uve 70% Corvina e Corvinone Veronese, 30% Rondinella. Raccolta e selezione manuale dei migliori grappoli a fine settembre. Appassimento naturale in fruttaio per circa 20 giorni. Pigiatura delle uve appassite. Fermentazione a temperatura controllata. Macerazione per 15 giorni. Maturazione in botti di rovere di Slavonia da 50hl per 12 mesi ed evoluzione del vino in bottiglia per 6 mesi. Di colore rosso granata. Al naso presenza di spezie, sentori di ciliegia e mandorla amara. In bocca è asciutto, caldo, equilibrato con una piacevole sensazione amarognola nel finale. Bottiglie prodotte: 60.000
Prezzo consigliato in enoteca: 25 euro
Az. Agricola Ricci Curbastro Capriolo (BS) - www.riccicurbastro.it Dei 32 ha di superficie aziendale 27,5 sono investiti a vigneti secondo i rigorosi indirizzi della moderna viticoltura e del Consorzio vini Franciacorta cui l’azienda aderisce fin dalla fondazione. Nel secolare parco ove sorge Villa Evelina è la cantina ipogea in cui vengono effettuate le fermentazioni e la lenta maturazione dei Franciacorta DOCG. La vinificazione è seguita dagli enologi, Annalisa Massetti e Riccardo Ricci Curbastro.
Rosè Brut - Franciacorta DOCG Pinot Nero 80%, Chardonnay 20%. Il Pinot Nero compie una breve sosta in pressa a contatto con le bucce quindi segue la fermentazione in vasca d’acciaio e, in primavera, il tiraggio con l’inizio di una lenta rifermentazione in bottiglia. Le bottiglie restano in catasta per almeno due anni. Dopo la sboccatura un ulteriore affinamento in cantina di qualche mese. Il periodo totale di maturazione è dunque di almeno 36 mesi. Colore rosa salmone, spuma fine con un bel collare, persistente; bollicine, fini e brillanti. Profumo con fragranze di amarene e giuggiole mature, frutti di bosco ed erbe di montagna, profumi di rosa. Gusto rigoroso e carattere deciso, fruttato e fragrante.
Bottiglie prodotte: 10.000 14
il Sommelier | n. 3 - 2017
Prezzo consigliato in enoteca: 23 euro
JDW.it
DOVE ETERNAMENTE FIORISCE LA VITE...
Il Prosecco è da molto tempo coltivato nella fascia collinare della marca trevigiana, e più precisamente sulle colline che si estendono tra Valdobbiadene e Conegliano. La storia di un vino, soprattutto se di origine antica, è intimamente legata non solo alla terra che lo produce, ma anche alle vicende che nel corso del tempo hanno segnato la vita delle generazioni che si sono succedute nel territorio di produzione.
Strada delle Treziese, 1 » 31049 S. Stefano di Valdobbiadene (TV) » ITALY Tel. +39.0423.975291 » Fax +39.0423.975571 » info@colvetoraz.it » www.colvetoraz.it
di Davide Amadei
Vini da viticoltura biodinamica:
vita, energia, piacere
Lo scopo è la vitalità della terra, che sviluppa la sua attività biologica, e le piante crescono in modo naturale ed equilibrato, stanno bene, sono nutrite dall’ecosistema del suolo, nell’armonia tra le influenze cosmiche, il cielo, le piante ed il terreno.
B
iologico, naturale, biodinamico: parole che vanno di moda, oggi, e per fortuna. Ma a volte anche troppo, se si ignorano le differenze e superficialmente si crede che significhino più o meno la stessa cosa; e se si pensa che siano un bene in sé, che la naturalità sia un valore di per se stesso, a prescindere dalla qualità del prodotto. Questa considerazione vale particolarmente per la biodinamica: molti ritengono che sia sinonimo di biologico o naturale, qualcuno poi storce il naso, crede che naturale sia sinonimo di poco pulito, enologicamente scorretto, con odori sgradevoli. Si dimentica spesso che alcuni produttori dei più grandi vini del mondo applicano i principi dell’agricoltura biodinamica: basti pensare soltanto a RomanéeConti, Leroy, Trapet, Leflaive in Borgogna, Ostertag in Alsazia, Joly in Loira, Le Macchiole a Bolgheri e tantissimi altri. È bene dunque cercare di fare un po’ di chiarezza, per comprendere 16
il Sommelier | n. 3 - 2017
che la viticoltura biodinamica non può essere equiparata al biologico ed al naturale, perché è molto di più: si potrebbe, con una semplificazione, dire che il biologico toglie (prodotti chimici, pesticidi, diserbanti), mentre la biodinamica (anche) dà. Tutto nasce con Rudolf Steiner, filosofo di fine ‘800 fondatore dell’antroposofia, che negli anni 1910/1920 applica il suo sistema filosofico anche alla agricoltura,
soprattutto grazie alla scuola da lui fondata ed ai suoi allievi: si deve creare un profondo legame con la natura, nel rispetto dei suoi ritmi, con gestione del terreno seguendo i cicli cosmici e lunari, per dare vitalità e fertilità. In viticoltura si seguono le stesse regole, di cui si trova la più compiuta descrizione nel famoso libro di Nicolas Joly (produttore in Loira) “La vigna, il vino e la biodinamica”, e poi anche
grazie all’opera dell’associazione Renaissance des Appellations (rinascita delle denominazioni). Chi pratica e spiega la biodinamica parte da un’osservazione fondamentale: la viticoltura convenzionale rende sì fertile il terreno, ma lo fa mediante prodotti di sintesi (concimi chimici, diserbanti, fitofarmaci); le piante incrementano la produzione, ma è solo una breve illusione, perché nel frattempo, progressivamente, il suolo, con i suoi microrganismi, si impoverisce e “muore” a causa di quegli stessi prodotti chimici, che uccidono piante, microrganismi, insetti. Nell’immediato il terreno gode, fa produrre, ma poi ha bisogno di ulteriori dosi di fertilizzanti, e così si genera un circolo vizioso, che sempre più lo distrugge. L’agricoltura biodinamica intende evitare la “morte” del suolo, eliminando l’uso di ciò che lo “uccide” (la chimica), ma soprattutto utilizzando preparati e metodi che generino vita, energia, sviluppo, salute, che consentano
a piante, insetti, microrganismi, di riprodursi e generare humus. Così, l’etimologia della parola è significativa: viene dal greco bios, che vuol dire vita, e dynamis, che vuol dire forza (associata a movimento, non statica) e richiama la crescita, l’accelerazione, lo stimolo alla vita (come dice Nicolas Joly). In particolare, i preparati più importanti sono il 500 e il 501. Il primo è il cosiddetto “cornoletame”: letame di vacca inserito in un corno vuoto di una vacca che ha partorito almeno una volta; il corno, riempito, è sotterrato per tutto l’inverno, affinché il letame fermenti; a primavera questo è divenuto humus, ha perso l’odore originario per acquistare quello di sottobosco; a questo punto viene diluito con acqua, “dinamizzato”, e diffuso sul terreno per incrementarne la vitalità e la produttività. Il preparato 501, il “corno-silice”, intende diffondere tra le piante microparticelle di silicio, che moltiplicano la luce e la luminosità sulle foglie delle viti, per
esaltare la fotosintesi clorofilliana ed ogni altro processo fisiologico della pianta che dipende dalla luce. Si tratta di cristalli di quarzo bianco triturati e ridotti in polvere finissima, che, inumidita, viene inserita in un corno di vacca e sotterrata dalla primavera all’autunno, per essere poi pronta per uso al bisogno. Chiaramente poi vengono forniti elementi nutritivi naturali al suolo ed alla vite, come erbe, senza trascurare l’importanza di mantenere in vita piccoli animali (lombrichi) che con il loro continuo lavoro scavano micro-gallerie e fertilizzano la terra, rendendola viva e feconda. E tra i filari di vigna si pratica il sovescio: si seminano piante che forniscono concime naturale, aumentando la materia organica nel terreno, proteggono da malattie, hanno radici che evitano il compattamento del suolo e garantiscono drenaggio, mantengono l’azoto necessario alla vite. Oltre a ciò, l’approccio biodinamico è olistico: si deve considerare la il Sommelier | n. 3 - 2017
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vigna inserita in un contesto più ampio, in un mondo di forze ed energie, dalle radici alla luna, dal sottosuolo al sistema solare, che si condizionano a vicenda, che influiscono sulla vita e sullo sviluppo delle piante. E si deve fare attenzione anche alle influenze astrologiche, cosmiche, per rimettere in connessione terreno e cielo. In proposito alcuni tacciano di magia, stregoneria o astrologia, i metodi e le pratiche dei protocolli biodinamici; ma così si ignora che si tratta di pratiche che contadini e
Alcuni assaggi:
Vouvray Clos du Bourg Sec 2011 DOMAINE HUET (giugno 2017) – Naso maturo, ma complesso ed intrigante, ricco di agrumi maturi, erbe aromatiche, infusi d’erbe, note minerali cineree; in bocca è avvolgente all’attacco, è ben centrato sul frutto a centro bocca, è preciso e senza elementi fuori posto; è largo e morbido, l’acidità ha forse un po’ ceduto il passo, ma emerge una gran bella sapidità agrumata, tipica dello chenin blanc di Loira, che genera equilibrio ed un allungo finale notevole. Tra le prime aziende biodinamiche della Loira, nel 1991, grazie alla passione e competenza di Noël Pinguet, il Domaine Huet è un punto di riferimento in zona per la territorialità che riesce ad esprimere, anche differenziando i vini sulla base dei vigneti e terreni di provenienza ed in forza del residuo zuccherino che riescono a mantenere (sec, demi-sec, moelleux). Gevrey-Chambertin “Ostrea” 2010 DOMAINE TRAPET (giugno 2017) – Alla veste scarica ma rubino vivace segue un naso di eccezionale eleganza e tipicità, pieno di sensazioni intriganti, tra erbe aromatiche e lampone in evidenza, poi rabarbaro e radici, resina e roccia, fiori e corbezzolo; la bocca è di grande equilibrio, i tannini sono setosi, la freschezza è tagliente a sostenere tutto il sorso, agile, scattante; una soffusa e diffusa, netta, sensazione sapida e minerale percorre tutto l’assaggio, spingendo con grande naturalezza il finale, in cui si concentra quanto il terroir di Gevrey sa dare per complessità aromatica e sapore. È questo un village particolare, che nelle grandi annate come la 2010 viene prodotto dalle uve delle vigne più vecchie, anche di più di 50 anni (la più vecchia, Champérrier, è del 1913): “ostrea”, nel ricordare i fossili ben presenti nel suolo di Gevrey-Chambertin, vuol significare che si tratta delle piante che, grazie all’età, hanno radici più in profondità per recepire tutto ciò che il calcare del Giurassico medio, di origine marina, riesce a fornire al pinot noir. L’azienda è biodinamica dal 1995, tra le prime e più convinte in Borgogna, dove oggi è seguita da molti produttori. Caiarossa Toscana igt 2006 CAIAROSSA (luglio 2017) – Blend di varie uve (sangiovese, cabernet franc, merlot, cabernet sauvignon, grenache, petit verdot, syrah, mourvedre) della zona di Riparbella in Provincia di Pisa tra il mare e Volterra, ha una veste matura, rosso granato, intensa; al naso nel bicchiere si apre pian piano, ed esprime armonia di frutto rosso e nero in confettura e vari terziari, mentolo, eucalipto, sensazioni balsamiche varie, poi un netto pepe nero a rinfrescare; in bocca è ampio, il tannino ha passo felpato, l’equilibrio è sorprendente, tutte le componenti sono risolte; c’è ancora tensione acida a sostenere il sorso, il finale è appena caldo, ma sapido e molto lungo, ricco di spezie, liquirizia, tabacco dolce, note minerali scure. Un vino decisamente mediterraneo, caldo e salino, profondo e complesso. Sacrisassi Rosso Friuli Colli Orientali doc 2011 LE DUE TERRE (luglio 2017) – Da Refosco dal Peduncolo Rosso e Schioppettino, ha tutta la tipicità territoriale di questi due autoctoni friulani. Colore rosso rubino vivo, concentrato, intenso; all’olfatto esprime una precisa ciliegia nera matura e succosa, oltre ad arbusti aromatici, macchia mediterranea, sentori balsamici freschi, qualche cenno terroso; in bocca il tannino è appena rustico, come si conviene a vini da Refosco, ma per niente sgraziato e amaro, anzi fresco e saporito, a conferire carattere; colpisce la sapidità che crea dinamica gustativa e tanto allungo nel finale, leggermente alcolico ma pieno di succo su frutto nero, mora e ciliegia, con una piacevole sensazione vegetale.
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viticoltori conoscono ed utilizzano da secoli se non da millenni (si pensi al rapporto tra le fasi lunari e la svinatura o l’imbottigliamento). Lo scopo è la vitalità della terra, che sviluppa la sua attività biologica, e le piante crescono in modo naturale ed equilibrato, stanno bene, sono nutrite dall’ecosistema del suolo, nell’armonia tra le influenze cosmiche, il cielo, le piante ed il terreno. Camminando nelle vigne coltivate con metodo biodinamico ciò che colpisce è davvero la naturalità e spontaneità dello sviluppo vegetativo delle piante, la vitalità del terreno tra i filari, la ricchezza di specie viventi che vi si trovano. Quanto alle pratiche di cantina, si tratta di trarre le conseguenze di quanto realizzato in vigna: se le uve sono sane e mature, derivanti
dalla viticoltura biodinamica, occorre semplicemente trasformarle in vino nel modo più naturale e spontaneo possibile, senza trucchi o additivi. In particolare, si usano rigorosamente lieviti autoctoni delle uve e l’uso dei solfiti è ridotto al minimo. Dunque, non è corretto parlare di vini biodinamici, trattandosi di vini da agricoltura biodinamica. Occorre peraltro segnalare che non esiste alcuna disciplina legislativa italiana o dell’Unione Europea per tali vini. Il Regolamento 203/2012/ UE è dedicato soltanto al vino biologico (o da uve biologiche) e prescrive che tale sia il prodotto da uve coltivate senza sostanze chimiche di sintesi e senza organismi geneticamente modificati, eseguendo poi in cantina la vinificazione usando solo i prodotti (tanti, anzi troppi secondo molti
critici) e i processi autorizzati ed elencati in un apposito allegato; e con la ncessità della certificazione di conformità da parte di un ente abilitato. Per i vini da biodinamica non esistono definizioni o previsioni normative, ma soltanto vari protocolli e certificazioni, non prescritte da norme, operanti sul piano privatistico, sia pure spesso serie e rigorose, come ad esempio la più nota e riconosciuta che è Demeter. Dagli assaggi che sempre più spesso capita di fare di vini da viticoltura biodinamica emerge un dato frequente, quasi costante: si tratta di prodotti che hanno normalmente equilibrio gustativo e leggerezza, senza perdere in struttura e complessità, con una naturalezza espressiva ed una rispondenza al territorio sempre notevoli. il Sommelier | n. 3 - 2017
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di Davide Amadei
Nuova cantina ecosostenibile per La Regola, ambasciatrice del territorio di Riparbella Tra le aziende, tutte di eccellente qualità, che ne hanno intuito le potenzialità, il Podere La Regola dei fratelli Luca e Flavio Nuti è stata senz’altro la prima ed è oggi una di quelle trainanti.
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ra i territori che negli ultimi anni hanno più scoperto la propria vocazione alla produzione di vino di qualità c’è senz’altro la zona di Riparbella, tra il mare di Toscana e le colline di Volterra, in Provincia di Pisa. E tra le aziende, tutte di eccellente qualità, che ne hanno intuito le potenzialità, il Podere La Regola dei fratelli Luca e Flavio Nuti è stata senz’altro la prima ed è oggi una di quelle trainanti. Agli inizi del ‘900 la famiglia Nuti, in località La Regola (toponimo presente nelle carte del Catasto di Firenze fin dal 1700), acquistò un piccolo appezzamento di terreno, poco sopra il paese di Riparbella, per piantarvi olio e vite da vino, per consumo familiare, in un’area dove già gli Etruschi avevano coltivato uva e prodotto vino. Corrado, il bisnonno degli attuali titolari, faceva il fabbro-ferraio, ed il vino – un “vinello allungato” – serviva per alleviare le durezze del suo lavoro; suo figlio Nilo proseguì l’arte del padre, ma presto iniziò un’attività di fornitura di servizi per l’agricoltura (trattori, trebbie); Rolando, ancora oggi presente in 20
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azienda con i due figli, aggiunse tra i servizi forniti a terzi anche l’impianto di vigneti. Quando Luca Nuti si laurea in viticoltura ed enologia, agli inizi degli anni 1990, decide di imprimere una svolta all’azienda familiare, iniziando a piantare vigneti nuovi con criteri moderni e qualitativi. In zona dominava il Sassicaia, con gli altri vini della vicina Bolgheri, ed i Nuti lavoravano anche per conto del Marchese Incisa della
Luca e Flavio Nuti con Luca Rettondini
Rocchetta; ecco che nei vigneti de La Regola vengono innestati ceppi di cabernet sauvignon presi dalla Tenuta San Guido, da parte degli “innestini” dei quest’ultima. Poi Luca pianta altri vitigni, sperimentandone i rendimenti in termini di qualità nei diversi terreni aziendali, nel contesto delle peculiarità della zona. Oggi l’azienda dei fratelli Flavio e Luca Nuti può contare su circa 20 ettari di vigneto, tra 50 e 250 metri di altitudine; presto gli ettari
La Regola degli Chef
saranno 25, grazie a recenti nuovi impianti, per una gamma piuttosto ampia di vini, fino a 90.000/100.000 bottiglie circa all’anno. I vigneti sono condotti in regime integralmente biologico dal 2016, sia pure non certificato; si utilizzano soltanto letame e sovescio, sono banditi i diserbanti, ed in cantina si fa il meno possibile per rispettare il prodotto della terra; per i bianchi si usano lieviti autoctoni e selezionati, per i rossi solo lieviti naturali ed indigeni delle uve. Luca Nuti si occupa del vigneto e della cantina, mentre Flavio si dedica all’accoglienza, al marketing, al commerciale (oltre ad essere da anni il Delegato della FISAR Volterra). Dalla fine del 2014 (e quindi dalla vendemmia 2015) i Nuti si avvalgono della consulenza enologica di Luca Rettondini, che ha coinciso con una scelta più precisa sullo stile dei vini da produrre e proporre: sono state ridotte le concentrazioni ed i legni nuovi, in favore di vini più agili, eleganti, gastronomici, capaci di leggere con maggior
naturalezza e sincerità il territorio di provenienza. In particolare una svolta riguarda le botti, usate per un affinamento di dodici/sedici mesi per i rossi: non più barriques acquistate a Bordeaux, ma pièces fabbricate in Borgogna, soprattutto da François Frére, con tostature più leggere (per pinot noir), doghe più spesse, migliore qualità (stagionatura di 36 mesi), per una minore incisività del legno e della microssigenazione. In assaggio i vini, ancora in affinamento in vasca o in botte, del 2015 e del 2016 risultano di eleganza superiore, meno “confezionati”, più espressivi e piacevoli. Soprattutto, per comprendere i vini della Regola, è necessario dar conto degli elementi che caratterizzano il terroir di Riparbella, sempre più delineato e valorizzato: il clima è generalmente più fresco, così come i terreni, rispetto alla costa e a Bolgheri in particolare, giovandosi delle correnti che vengono dalla foce del fiume Cecina; la vicinanza al mare crea temperature sempre miti
Un libro per celebrare il connubio tra territorio, arte, cibo e vino: “La Regola degli Chef”. Da una idea del gastronomo e fotografo Claudio Mollo, che ha curato l’opera, sono stati coinvolti 22 grandi chef della Toscana per fornire una propria ricetta, creare un piatto che interpreti un vino della Regola, da proporre anche in abbinamento. Un collage di artisti del cibo che hanno come “regola” la ricerca del gusto, del piacere, dell’equilibrio. Il corredo fotografico è di alto livello, tra territorio, persone, piatti e vini. Il libro si apre raccontando la storia dell’azienda e descrivendo il territorio della zona di Riparbella, per poi evidenziare il lavoro in vigna ed in cantina, e passare quindi ai piatti ed alle descrizioni degli chef, ben ritratti insieme al vino utilizzato ed al piatto realizzato.
ed influisce sulle caratteristiche organolettiche delle uve e dei vini. Quanto alla geologia, nei vigneti aziendali dei Nuti, ed un po’ in tutta la zona, si trovano terreni di due tipi: alcuni hanno sabbie plioceniche con conglomerati marini, conchiglie e fossili; altri presentano terre rosse o brune con ghiaia (dette anche “terre il Sommelier | n. 3 - 2017
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di Bolgheri”), scheletro, sassi di media grandezza, con molti elementi minerali, ferro e poco calcare. Ne derivano uve e vini diversi, che, in assemblaggio, si completano e creano ricchezza. In questo contesto, e stante l’importanza crescente della Regola nell’ambito del territorio di Riparbella, i tempi erano maturi per una nuova cantina, realizzata con criteri moderni ed efficienti ma anche rispettosa dell’ambiente, completata per la vendemmia 2016 ed inaugurata nell’ottobre dello stesso anno. L’intenzione dei fratelli Nuti è stata non solo quella di avere un luogo efficiente per le proprie produzioni, ma anche
di dare al territorio uno spazio di incontro, di stimolo culturale e sociale, oltre che artistico, nel costante equilibrio ed integrazione tra paesaggio e produzione. E si tratta davvero di una perla incastonata nelle dolci colline della Val di Cecina. Il progetto è dell’Arch. Sergio Scienza, nipote del famoso professore di agronomia Attilio Scienza. Il criterio è stato quello di realizzare una “ambasciata territoriale”, una struttura che sia in simbiosi con il territorio di cui vuole essere ambasciatrice, con uno stretto legame tra paesaggio fisico e ambiente culturale. Ecco allora che si è cercato
il luogo più adatto per la contestualizzazione, per le vedute dentro e fuori, per configurare la migliore sostenibilità ambientale grazie all’orientamento ed al percorso solare per garantire energia rinnovabile, sfruttando la pendenza del terreno (lato NordEst) per la climatizzazione naturale degli ambienti e le piante secolari (querce) per la protezione dai venti del Nord. Così la cantina è pressoché autosufficiente dal punto di vista energetico, grazie soprattutto ai molti pannelli solari installati. I materiali sono stati scelti secondo criteri di efficienza e sostenibilità: una “scatola” principale,
Assaggi (in cantina, 20 giugno 2017) Brut Nature Spumante 2013 (Gros Manseng 85% - Chardonnay 15%), sboccatura novembre 2016 – Ha colore vivace, quasi dorato, brillante; il naso è fine, elegante, con netti sentori rocciosi, poi cenni floreali e di frutta secca da affinamento, spezie; in bocca la bollicina è carezzevole, ma ciò che colpisce è la struttura sapida, che lascia una scia marina invitante, precisa, verticale; la scelta di non dosare, anche rispetto ad assaggi più “morbidi” dello stesso vino in passato, pare senz’altro vincente. Steccaia igt Toscana bianco 2016 (Vermentino 85% + Sauvignon 15%) – Naso piuttosto complesso, tra fiori bianchi e cenni iodati; la bocca è inizialmente larga, poi subentra a centro bocca una netta nota sapida a contrastare; il finale è pulito, agrumato e leggermente balsamico, invitante e gastronomico. Vallino igt Toscana rosso 2014 (Cabernet Sauvignon 85%, Sangiovese 10%, Surah 5%) – L’olfatto si apre con una interessante nota di melagrana, ma anche rabarbaro a creare una certa originalità; poi qualche cenno vegetale fine a rinfrescare; la bocca, grazie forse anche alle caratteristiche dell’annata, è giocata sulla freschezza, che crea grande bevibilità; il tannino è ben gestito, colpisce la succosità nel finale, su frutto rosso preciso ed una leggera nota verde a chiudere. La Regola igt Toscana rosso 2014 (Cabernet Franc 85%, Merlot 10%, Petit Verdot 5%) – Colore vivo, intenso, rubino, è poco espresso al naso, ma in bocca ha equilibrio da vendere, il tannino ha grana fitta, fine, ed il legno nuovo è assorbito e discreto; è un vino decisamente bordolese, elegante; escono nel finale spezie fini, un frutto nero preciso, qualche cenno balsamico. Il 2015 (da botte) ha colore più netto, concentrato, vivissimo; in bocca ha un frutto nero netto, centrato, pieno; cenni terziari sul finale, liquirizia ed eucalipto, tannino molto fine; il legno si sente al naso, con leggera vaniglia, ma in bocca è digerito, con cenni balsamici freschi nel finale, ricco anche di tabacco e spezie. Strido igt Toscana rosso 2012 (Merlot 100%) – Selezione di uve dalla vigna delle Lame e quella di Poggiali, questo 2012 ha frutto nero molto maturo, anche in confettura, predominante; in bocca c’è tanta materia, il legno è presente, il finale è un po’ frenato dal tannino del legno e dal calore alcolico. Il 2015 cambia passo, ed è un vero è proprio cru: si usano solo le uve di merlot provenienti dalla vigna originaria con toponimo “La Regola”, in località Le Lame, in alto, a 200/250 m., vicino al paese di Riparbella; 1 ha e mezzo con terra ricca di scheletro, con sassi di media grandezza, terra bruna ricca di minerali. Campione da cemento, si presenta con una accentuata mineralità scura, grafite e catrame, inchiostro, poi escono spezie e frutto nero; la bocca è carnosa, ematica, ha tanto volume, anche alcolico, tannino di grana fine, a centro bocca si puntualizza con una bella sapidità a contrastare il netto calore alcolico, con finale davvero lunghissimo.
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appoggiata al terreno sul lato NordEst, sormontata da una struttura tutta di legno con rivestimento ventilato rivestito di intonaco. Una cantina eco-sostenibile. La barricaia è veramente il luogo, anche emozionante, dove si realizza e si concentra tutta la passione dei Nuti per l’arte, per il vino, per la cultura e la storia: vi è diffuso un sottofondo di gong e di altre vibrazioni musicali, e al muro è rappresentata una danza, con figure di ispirazione etrusca. È l’idea dell’artista Stefano Tonelli di Montescudaio, che ha così voluto rendere omaggio alla popolazione che in zona tanto ha realizzato, anche producendo vino: un’opera
sul muro, realizzata in cinque mesi, accompagnati dal ciclo di vegetazione della vite, con uno sviluppo di 46 metri lineari per 4 di altezza, con colla, cenere e colori acrilici, per rappresentare il “sogno del vino”, dalla sua gestazione in avanti, in una danza viva e vivificante, allegra e cosmica. Le immagini ricordano le figure tipiche dell’arte etrusca, guerrieri o baccanti: del resto, nella vicinissima zona di Belora, sono state ritrovate numerose anfore vinarie di epoca etrusca, VII sec. a.C., a testimoniare il legame antico di queste terre con la produzione di vino. Da segnalare che per la nuova
cantina sono stati acquistati dei nuovi contenitori in cemento per la fermentazione e l’affinamento, che col tempo porteranno a valorizzare la purezza del frutto ed una più naturale espressione delle uve e del vino. Una raccolta sala per degustazione al primo piano ed una sala per conferenze ed eventi, con vista sui vigneti, completano la struttura della cantina; all’esterno, un’altra idea di Stefano Tonelli: alcune lettere di grandi dimensioni compongono la scritta “restiamo umani”, un motto che per i fratelli Nuti è anche una proposta, per suggellare il legame forte tra uomo, natura e vino.
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di Lara Loreti
Dolci un po’ salati: gelati e bollicine come aperitivo Merenda, dessert, sfizio delle sere d’estate. Ma anche gustoso e sofisticato aperitivo gourmet abbinato allo champagne. Ecco a voi monsieur “Il Gelato”.
G
ià, con la G maiuscola a sottolineare la nuova vita e la istrionica personalità che questo alimento ha acquisito negli anni. Per gli chef e i maestri gelatieri è una sfida. Per i consumatori una delizia non solo del palato ma anche degli occhi nei suoi trionfi di colori e nei sorprendenti abbinamenti. Vero principe della tavola. E allora ecco apparire gelati al fegato grasso, ai gamberi, ai porcini, alle triglie e persino al cacciucco. Rigorosamente abbinati alle bollicine. Per approfondire il tema e riuscire a orientarci in questo mondo di dolcezza un po’ salata, abbiamo chiesto lumi a due maestri del genere: lo chef Luca Landi del ristorante viareggino Lunasia, una stella Michelin, e l’artigiano gelatiere Michele Gasparri, livornese doc, inventore del gelato al cacciucco, nel curriculum numerosi premi internazionali. Viene da lontano l’esperienza di Landi, che si muove nel mondo dei gelati gastronomici ormai da 14 anni. “Ho cominciato a perfezionare il gelato dal 2003 – racconta lo chef, lucchese, 43 anni, a Lunasia da 11 anni – La mia idea era di 24
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proporlo all’inizio del menu e non come dessert. A questo scopo in un primo tempo elaboravo i classici gelati dolci. Ma come si dice, una volta che sai andare in bici percorrere altre strade viene naturale e spontaneo. Ed ecco che ho iniziato ad applicarli alla cucina: inconsciamente stavo mettendo a punto una pratica gastronomica molto importante, poi sposata anche da maestri gelatieri”. Dagli studi e dalle sperimentazioni di Landi viene fuori una rielaborazione moderna e salubre del gelato. “E se oggi non c’è più il gusto Puffo
dal Piemonte alla Sicilia, il merito è anche un po’ mio e di coloro che hanno creduto nel mio progetto di rileggere il gelato. Tutti i laboratori propongono gusti come nocciola e crema, ma non c’è più quella omologazione esplosa a fine anni Novanta con le creme-base vendute uguali in tutta Italia. Certo, anche oggi c’è chi usa i semilavorati, ma ci sono anche tanti artigiani che comprano quel tipo particolare di nocciola in grado di personalizzare e impreziosire il gusto”. Questi approfondimenti spingono Landi a portare il gelato in cucina. E la sua
consistenza ghiacciata, così diversa ad esempio da un piatto di pasta, lo accompagna in una direzione ben precisa: il gelato gastronomico nel pasto deve stare all’inizio del menù. Ed ecco prendere forma piatti unici, nati dalla maestria e dall’estro dello chef lucchese. “Mi sono divertito a fare il gelato con tutti i gusti – racconta Landi con passione – dal gambero rosso al fegato grasso, dall’artemisia al pomodoro fino ai porcini, e ancora dal polpo all’olio d’oliva alla melanzana affumicata messa in un cono con composta di pomodoro datterino e caramello di cipolla. Senza dimenticare il gelato al cappero con la palamita marinata e le verdure fermentate, su chips di ibisco. Uno dei miei piatti forti è il gelato di caprino a forma di tramezzino: frolla salata di germe di grano con gelatina di friggitello”. Delizie che Landi mette costantemente nel menù già da 5-6 anni e che la gente richiede: “Se non le facessi più i nostri clienti sicuramente chiederebbero: ma è cambiato chef? E il gusto si sta educando in questa direzione un po’ ovunque”. I gelati preferiti di Landi sono al gambero rosso e al foie gras: “A primavera ho fatto un lollipop con yogurt alla paprica e sormontato con coriandoli di verdure essiccati. Quello che io chiamo un piccolo trastullo. Che fa coppia con un altro gelato, di maionese, con bollito di mare, frutta e verdura”. Gingilli gustosi da degustare con spumanti e champagne. E sì perché mangiando e bevendo, sono arrivati gli abbinamenti con il vino. “La temperatura del gelato e la parte grassa si sposano alla perfezione le bollicine – spiega Landi – dal metodo classico agli champagne. Uno dei migliori abbinamenti è con il gelato di il Sommelier | n. 3 - 2017
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gambero, ma le bollicine stanno benissimo anche con i gusti di carpino e porcini che esaltano i profumi di crosta di pane e lievito degli champagne. Una bolla fine ed elegante è il massimo, no invece a vini dolci o fruttati. Noi a Lunasia per esempio usiamo molto negli abbinamenti il Marchese Antinori Franciacorta metodo classico per partire mentre ai più esigenti consigliamo una riserva di Philipponnat che è perfetta”. È nato invece per gioco l’originalissimo gelato al cacciucco che Michele Gasparri ama abbinare allo champagne rosé A. Bergère. Una combinazione che è stata protagonista anche di una intrigante serata dedicata alle bollicine francesi della maison di Epernay A. Bergère organizzata dalla delegazione della Fisar di Livorno, fortemente voluta da Giovanni Raimondi e dal delegato Mario Albano. Un esperimento riuscitissimo che ha dimostrato quanto il matrimonio gelato gastronomico e champagne possa regalare sensazioni ed emozioni inedite. È lo stesso Michele a raccontare la sua invenzione: “Avevo appena fatto il gelato al 5 e 5 (il panino con la
torta di ceci tipico livornese, ndr) quando venne ad assaggiarlo un mio amico, Michelangelo Rongo, ristoratore titolare del ristorante di Livorno l’Aragosta. A un tratto lui mi disse: “Perché non lo fai al cacciucco così lo presento giovedì (18 maggio, ndr) allo Slow fish di Genova? Il cacciucco te lo porto io”. Era domenica sera… Io ci pensai un po’ su: era una vera impresa. Non è facile fare gelati gastronomici, poi il pesce contiene sostanze difficili da trattare. Ma io sono un tipo tosto, non dico mai di “no”. Io non mi tiro mai indietro di fronte alle sfide. E così risposi: “Proviamo!”. Ma quando lui è andato via, mi è salita l’ansia. Ho cominciato allora ad analizzare i componenti del piatto e il metodo che potevo utilizzare. Il gelato va sotto lo zero, occorrono zucchero, grassi stabilizzanti, sostanze che tengano le temperature e che diano cremosità. Ho preso carta e penna e ho iniziato a fare due conti sulla chimica, su cosa potessi usare per tenere tutto insieme. Allora ho sfruttato il metodo vegano: ho impiegato radici tipo il kuzu, che è un amido con capacità addensante, e altre sostanze biologiche naturali, tipo l’inulina, che serve per asciugare l’acqua. La prima prova
non mi ha convinto: il gelato era buono, ma poi diventava duro e si sgretolava. Allora ho capito che mancavano gli oli. Ma non potendo usare latte...” Alla fine Gasparri trova la soluzione: “Ho risolto il problema strutturale con l’aggiunta di grassi, riuscendo a omogeneizzare i prodotti insieme. E via, pronti per Genova! Il mio gelato, portato dall’Associazione Cacciucco di Livorno, è stata la novità del salone: un successone. La gente è impazzita! Un ristoratore ci ha riempito la pasta a forma di gangilli. Sono andati via dieci chili”. Il livornese ha anche messo a punto altri gusti “salati” molto particolari: “Qualche esempio? Cacio e pepe, riso, noci e gorgonzola, parmigiano e pere, limone e menta, limone miele e zenzero (che è andato alla grande). A Pasqua ho fatto la schiacciata livornese con i semi di anice e la classica colomba, poi la torta di mele, dalla pasticceria alla gelateria. E ora sto lavorando al gelato alle triglie alla livornese... Col nuovo metodo che ho studiato riesco a fare gusti a base di pesce da mettere al servizio di ristoratori. Una novità anche per cerimonie e banchetti”. E chi più ne ha più ne metta. Sempre brindando con un ottimo calice di effervescenza.
Cantina di Vinchio-Vaglio Serra Barbera d’Asti Docg Superiore “Vigne Vecchie” Tre sole parole possono bastare per dare l’idea di cosa sia stata, è, e sarà la cultura della Barbera per chi, come la Viticoltori Associati di Vinchio e Vaglio Serra, sta al centro della “core zone” Unesco che fa riferimento a questo vitigno: territorio, persone, vini. È così che si può capire come la storia di oggi, parafrasando con il giusto rispetto il titolo di un celebre libro di John Reed, possa definirsi “I TRENT’ANNI CHE SCONVOLSERO IL MONDO”, dove per mondo si intende quello della Barbera d’Asti D.O.C.G. Superiore, CANTINA SOCIALE DI VINCHIO-VAGLIO SERRA E Z.L. SCA Regione Pancrazio, 1 –| S.P. 3,75 26 ilSan Sommelier n. 340,-Km. 2017 14040 VINCHIO (AT) ITALIA - Tel. 0141 95.09.03 - 95.06.08
ed i trent’anni sono quelli che compie la ns. Barbera “Vigne Vecchie”, che nel 1987 segnò il cambio di passo nella qualità di tutta l’enologia del Piemonte: l’attenta selezione delle uve nei vigneti più vecchi e meglio esposti al sole, la raccolta in cassette, i viticoltori protagonisti nell’opera di selezione, la pigiatura, l’affinamento controllato in barriques da 225 litri e poi in bottiglia. Non per tutti i giorni, ma per le grandi occasioni che ognuno porta incancellabili nella propria memoria. www.vinchio.com
di Lara Loreti
Bolgheri, un museo da Oscar La scenografia del maestro Dante Ferretti in una cittadella del vino che dalla Toscana sfida Bordeaux.
C
hi non ricorda le campagne francesi del film “Un’ottima annata”, con un rigido Russell Crowe, spietato e inflessibile broker londinese, che però non sa resistere ai tralci della vite e dell’amore. O le vigne provenzali in “French Kiss”, dove a fare da padroni sono
gli innamoratissimi Meg Ryan e Kevin Kline. Per non parlare delle atmosfere oniriche e sinestetiche del “Profumo del mosto selvatico”, o di “Sideways”, con l’enofilo Paul Giamatti protagonista in una trama tutta imperniata sul calice e le sue sofisticazioni… Ma quanto è radicato il rapporto
tra vino e cinema? E soprattutto, come si declina questa relazione che sembra fare invidia a tante coppie “tradizionali”? Una risposta originalissima arriva da Bolgheri, alter ego toscano di Bordeaux. La patria dei Super tuscan ha inaugurato nelle scorse settimane niente meno che un Museo
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sensoriale e multimediale del vino. Una vera cittadella, all’interno dello storico, cinquecentesco, Casone Ugolino della famiglia di Gaddo della Gherardesca, dove il cinema domina in ogni angolo con i suoi profumi, i ricordi nostalgici e le sfide appassionanti del futuro. E non è un caso che a scenografare la prestigiosa struttura sia stato chiamato addirittura un pluri premio Oscar del calibro di Dante Ferretti. Madrina del battesimo del museo, invece, è stata la bellissima Violante Placido. Insomma, una parata di star in un contesto che si prospetta ricco di sorprese. Merito del fascino di Bolgheri, della versatilità dei vitigni internazionali a bacca rossa coccolati dalla brezza marina del Tirreno, ma anche della famiglia dell’imprenditore Franco Malenotti che ha lanciato e realizzato l’idea. Settantaquattro anni, genio della scenografia, tre volte premio Oscar, Ferretti ha trascorso la sua esuberante vita al fianco di personaggi come Pasolini, Fellini, Martin Scorsese e Brian De Palma. Ma come si è avvicinato al progetto bolgherese? “Conosco Manuele Malenotti, figlio di Franco. Un giorno lo incrocio a Cinecittà e lui mi dice che il padre sta facendo a Castagneto un museo, con un ristorante all’interno e tante sale dedicate al vino. E allora mi chiede una collaborazione. Io accetto volentieri, perché no? Sono astemio ora, per motivi di salute, ma come è il vino lo ricordo bene. Il mio preferito? Il Sassicaia, ma che domande!”. Ferretti come è suo stile, si getta anima e corpo nel progetto, con il suo consueto entusiasmo e con la professionalità che ha segnato tutta la sua vita. “Una volta finito il mio lavoro – continua l’artista - lo presento ai 28
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committenti e a loro piace molto. E anche io sono soddisfatto. Franco Malenotti aveva delle idee molto chiare sull’esposizione del vino, e intorno a quel modello ho creato un percorso storico che parte dai Romani e arriva all’Ottocento, passando dal Medioevo. Entrando nel museo esplori le varie epoche e ti immergi nella realtà di quel momento”. Una passeggiata nella storia, con un calice al seguito e tanti sogni nel cassetto. Via libera all’immaginazione, proprio come
se a guidare il pubblico ci fosse una maestro del cinema di tutti i tempi come Federico Fellini, con cui Ferretti ha lavorato per anni. “Bere un buon vino fa sognare – chiosa lo scenografo premio Oscar con “The Aviator” di Martin Scorsese, “Sweeney Todd” di Tim Burton e “Hugo Cabret” di Scorsese - è come guardare un film del grande Fellini perché il vino stimola l’immaginazione e libera la fantasia”. Ma nella pratica, come si fa a
realizzare la scenografia di un museo del vino? Ad ascoltare Ferretti sembra facile: «In un certo senso ho applicato i criteri del cinema a questo mondo per me nuovo. Ho fatto una scenografia tale da rendere interessante l’ambiente, evitando di arredarlo con scaffali nudi e crudi, ma puntando su qualcosa di più originale. Ci sono i posti dove si assaggia, angoli in cui si interagisce con i protagonisti, ristoranti e tante cose da vedere, il tutto passeggiando tra i capitoli della storia, tra mille sfaccettature». Una filosofia simile a quella che brilla negli occhi languidi di Violante Placido. Luminosa in un vestito di pelle nero con una fascia rossa, nella serata della inaugurazione del museo di Bolgheri beve volentieri un bianco mentre intrattiene gli ospiti parlando, ovviamente, di cinema. Tra loro ci sono Roberto Farnesi e Tiziana Rocca, solo per citarne un paio.
Ma dietro un progetto così importante c’è anche un notevole investimento. E basta scambiare due chiacchiere con l’imprenditore Franco Malenotti per rendersene conto. “L’idea di costruire una città del vino è nata spontaneamente nella mia testa e ha trovato subito terreno fertile nell’appoggio di mio figlio e dei miei collaboratori – dice il manager, nel curriculum il rilancio del marchio moda Belstaff - Il turismo enogastronomico in Italia e nel mondo sta crescendo in misura straordinaria. Siamo al centro di un cambio di mentalità del turista, che non vuole più solo divertirsi, andare a ballare e cose genere, ma guarda con interesse a storia, cultura e vino. Se ne sono accorti anche in altri Paesi: basta citare la Napa Valley in California e il Sudafrica”. Ma il modello a cui Malenotti si ispira maggiormente è Bordeaux. “I francesi nella Città del Vino bordolese hanno investito qualcosa come 90 milioni, incrementando del 40% in dodici
mesi le presenze – spiega il numero uno del museo - Qualche cifra: nel primo anno di attività ha registrato 500mila visitatori, con una media tra i 1000 e i 1500 al giorno. È anche per questo che noi a Bolgheri vorremmo fare degli accordi con la città francese per promuovere un proficuo scambio turistico e culturale». Ecco perché la struttura toscana non consta solo di un museo da visitare, ma anche di varie sale dedicate ad eventi e aperitivi, della parte dell’accoglienza (con 20 camere) oltre che del il ristorante. Non è tutto: la cittadella ospita una scuola per ragazzi e varie aree culturali. Il tutto circondato da tre ettari di terra con 3.300 metri quadri coperti. È questa la sfida di Bolgheri: da una parte la bellezza della natura, la poesia del paesaggio che si intreccia ai sogni e alla settima arte. Dall’altro il turismo e la voglia di crescere come capitale mondiale del vino. In bocca al lupo. il Sommelier | n. 3 - 2017
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di Mauro Pigozzo
Ecco come viene scelto il miglior Prosecco Il lavoro del giurato, peraltro, non è semplice. Ognuno ha dovuto degustare 44 calici in quattro gruppi da 11, iniziando al mattino e finendo al pomeriggio.
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a sala delle degustazioni, in centro a San Pietro di Barbozza, sembra quella di una università durante un esame. Quattro file da cinque
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banchi, silenzio interrotto solo da calici che tintinnano e dai tacchi dei sommelier che portano le bottiglie camminando a ritmo militare.
Lo scorso 7 giugno si è celebrato il rito delle degustazioni alla cieca del concorso enologico “Fascetta d’Oro”, il più importante a livello nazionale, riconosciuto
dal Ministero e dedicato alle bollicine del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. Concorrevano 176 vini messi in gara da 63 aziende che sono stati valutati da venti giurati con 880 schede e un totale di 13.145 voti. Sono state aperte 352 bottiglie, tutte rigorosamente vestite di un telo nero con un codice, per impedire di identificare il produttore del vino. Un lavoro che ha comportato la stampa di circa duemila documenti. “La qualità dei vini degustati è stata altissima, e lo conferma il fatto che i giurati hanno chiesto solo sei “seconde bottiglie”, ossia solo nel 3,4 % dei casi la prima presentava difetti”, spiega Giacomo Moretti, presidente di giuria per Assoenologi. Numeri, questi, che sintetizzano una battaglia crudele e bellissima, quella per ottenere la “Gran Fascetta d’Oro”, ossia il riconoscimento del miglior Prosecco del 2017 delle sacre colline della Docg. Un premio ambitissimo, per questo quasi tutte le cantine gareggiano e mettono a disposizione i propri enologi per il voto, anche se solo una elite viene scelta. Accanto a loro, una selezione di esperti e giornalisti, ma anche i sommelier della FISAR, come il Delegato di Treviso Roberto Donadini. Il lavoro del giurato, peraltro, non è semplice. Ognuno ha dovuto degustare 44 calici in quattro gruppi da 11, iniziando al mattino e finendo al pomeriggio, con ritmi serratissimi da un calice ogni tre minuti interrotti solo da una pausa pranzo nella spettacolare terrazza della trattoria alla Cima. L’analisi sensoriale era tutto sommato semplice, considerato l’elevatissimo livello dei vini in gara. Limpidezza, tonalità, intensità alla vista del perlage che doveva essere valutato anche sui fronti della persistenza e della dimensione; franchezza, intensità, finezza e armonia all’olfatto; corpo, persistenza, retrogusto al gusto. Alla fine, serviva tirare una riga. Se la media dei voti tra i giurati era sopra gli 83 punti, ecco la fascetta. Sotto, l’amarezza di dover tentare la competizione al prossimo anno.
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di Giuseppe Sicheri
I vini bianchi secchi del Tokaji La viticoltura ungherese risale ai tempi dell’imperatore romano Probus che attorno al 276 d.C. impiantò vigneti sulle sponde del Danubio.
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uando si parla del Tokaji o Tokay (all’inglese) si pensa subito al celebre vino dolce ottenuto da uve botritizzate (Aszù), d’altronde questo è il vino che fece esclamare il Re Sole di Francia, Luigi XIV: questo è un vino da re! Un’altra versione dice: questo è vino da re e re dei vini! Per altro già nel 1650 il vino è fatto
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assaggiare alla consorte del re ungherese e ne conseguì la frase: rex vinorum. Il Tokaji precedette di molti anni il celebre Sauternes, orgoglio dei Francesi… ma non paragonabile al prima in quanto a corpo, longevità e altro ancora. Una strofa del poeta ungherese,
Kolcsey Ferencz diventa quasi un inno nazionale, siamo nel 1823: “per noi facesti biondeggiare / di Cumiana i pingui colli / stillò il nettare / di Tokaji dai tralci folt”i. Ma qui vogliamo parlare dei vini ottenuti da singoli vitigni impiegati per la produzione del celebre vino da uve botritizzate: il Furmint (portato in Ungheria
dall’Italia su richiesta del re ungherese Bela IV), Hàrslevelù e un poco di Moscato bianco di Lunel. Questi vitigni possono essere vinificati singolarmente con ottimi risultati organolettici. A motivo del clima piuttosto rigido, si ottengono vini assai acidi, ma ben compensati da un adeguato residuo zuccherino. Il sottosuolo, quindi dove le radici assimilano i nutrienti per la pianta, è di origine vulcanica, perciò ideale per la viticoltura; attraverso i vasi xilematici le radici inviano al tronco della vite e dal tronco alle foglie gli elementi minerali e, gli altri componenti della linfa grezza, assorbiti dl suolo e dl sottosuolo. Il clima è continentale e l’inverno piuttosto rigido, ma le estati sono calde; tuttavia il clima risente anche dell’influsso marittimo (continentale e mediterraneo). Da quando l’Ungheria è uno stato democratico ha cercato di imitare la Francia nel campo vitivinicolo; per esempio l’acidità totale è
espressa in g/l di acido solforico. La viticoltura ungherese risale ai tempi dell’imperatore romano Probus che attorno al 276 d.C. impiantò vigneti sulle sponde del Danubio. Dopo il periodo sovietico la viticoltura ha ripreso nuovo vigore, grazie agli investimenti stranieri che hanno portato le più moderne tecniche di vinificazione, tanto che alla degustazione nulla si può eccepire, a parte il gusto personale più o meno adatto a valutare vini dagli aromi e profumi differenti da quelli che solitamente degustiamo. Nei tre vini una costante è l’acidità ben equilibrata dal residuo zuccherino, quindi vini con buon un indice di morbidezza. All’olfatto prevalgono aromi di erbe aromatiche, con prevalenza terpenica nel Moscato di Lunel. Generalmente sono addizionati di dosi abbastanza elevate di sali dell’anidride solforosa il che non ci pare ortodosso a motivo del basso
Il vino ottenuto dal Moscato bianco Muskotàlyos (che è un Moscato bianco o Moscato di Lunel) è contraddistinto da un leggero aroma tipico del vitigno che consiste, oltre che di linalolo (seppure in dose assai inferioro rispetto al Moscato giallo), anche di Ho- geraniolo (assente nel Moscato giallo), citronellolo (assente nel Moscato giallo), OH-citronellolo (in dose quasi doppia rispetto al Moscato giallo), in minor misura si percepiscono aromi leggermente speziati, accompagnati da profumo di fior d’arancia, da aroma di salvia e di pianta di citronella di Ceylon e lieve sentore di rosa. Tutti gli altri terpeni sono assai meno abbondanti che nel Moscato giallo.
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pH che ha sempre valori piuttosto bassi: 3,1; valori assai adatti per una buona vinificazione in quanto ad elevata acidità si trovano più a loro agio i lieviti rispetto ai batteri; inoltre tale pH inibisce la microflora spontanea. In particolare il vino secco ottenuto dal vitigno Furmint al naso, o meglio alla mucosa olfattiva, rivela i seguenti odori (aromi e profumi); fruttato, note di ananas e di mango, agrumato, evidente nota minerale di pietra focaia, speziato (pepe bianco), leggermente aromatico, con delicati sentori di erbe aromatiche, complesso. Oggi questo vino è prodotto con metodo riduttivo, mentre alcuni decenni or sono era prodotto secondo il metodo ossidativo, tanto da rassomigliare, allora, a una sorta di Sherry, seppure fresco e acidulo. Il vino ottenuto dal vitigno Hàrslevelù (questo termine significa foglia di tiglio) rivela le
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seguenti note odorose: salvia, timo, erba di prato tagliata, pesca, albicocca, fiore di caffè, mango, lieve ma netto sentore di miele, leggermente speziato con delicata nota minerale, assai fresco eppure
complesso. Il sentore tipico di pera rivela la vinificazione effettuata secondo il metodo riduttivo. A fine bocca una leggera nota amara rende il vino più complesso e completo.
di Alice Lupi
Lamine di effervescenza La memoria visiva è l’assistente del collezionista, la quale facilita la sua ricerca e l’acquisizione di nuovi oggetti.
A
lzi la mano chi, non ha mai sentito dire «Scusi, ha la capsula di questo
spumante?». Una domanda rivolta, durante i banchi d’assaggio, dalla figura più invisibile del mondo del vino: il collezionista di capsule. In realtà, assistiamo ad un vero e proprio fenomeno: i collezionisti
di questa originale passione, nel globo, sono stimati oltre 250.000; i paesi più animati sono la Francia e la Spagna, segue l’Italia dove si contano 5.000 appassionati, di cui 280 circa aderiscono al Club Collezionisti di Capsule, con venti anni di attività sulle spalle. È facile immaginare che Adolphe Jacquesson, depositando, nel
1844, il brevetto per la sua invenzione della capsula per tappare saldamente - assieme alla gabbietta - le bottiglie di champagne, non avrebbe mai pensato che una rotonda lamina di metallo potesse passare da essere semplice oggetto funzionale ad oggetto del desiderio.
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Molte cantine produttrici di spumanti hanno, con lungimiranza, intercettato il fenomeno, rispondendo al bisogno dei collezionisti con lamine attraenti, eleganti, artistiche, litografate, serigrafate con decori, simboli, scritte. Nonostante l’instancabile attività dei ricercatori di lamine, i molteplici mercatini nazionali e internazionali, i raduni, i gemellaggi tra club di nazioni diverse… i collezionisti di capsule sono ancor oggi soggetti troppo spesso snobbati, o tutt’al più ignorati, dalla massa critica e comunicativa dei degustatori. Sarà forse perché sono visti come dei solitari o forse perché essi non necessariamente degustano vino o, semplicemente, perché recuperano parte dello scarto delle bottiglie di spumante consumate che, altrimenti, andrebbero gettate via. Il collezionista di tale passione, propriamente inteso, è lungi da essere un banale accumulatore. Lui non accatasta, ma inventaria, classifica e custodisce con dovizia i suoi oggetti come
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fossero reperti da museo. Li dispone con ratio, con un criterio che permette di ritrovarli con facilità. La memoria visiva è l’assistente del collezionista, la quale facilita la sua ricerca e l’acquisizione di nuovi oggetti. Infatti, dopo esserne entrato in possesso, ne dispone secondo i criteri a lui più consoni (es. azienda, provenienza); il “bottino” correttamente inventariato suscita la soddisfazione dello stesso amatore. Un collezionista rigoroso di capsule guarda con ammirazione i suoi integerrimi colleghi di francobolli e monete; ad essi si ispira nell’atto di classificare e di conservare. I più professionali solitamente sono muniti di appositi contenitori, capaci di accogliere in un reticolo le capsule senza che queste si sfreghino. La differenza grafica tra le lamine è il motivo per il quale tale passione si innesca. Lo spirito della ricerca dà alla degustazione di vino una valenza in più: quella di trovare o la tanto sospirata capsula mancante oppure un doppione per avviarne
poi lo scambio. Sì, proprio così. L’anima vera di questo genere di collezionismo non è solo quella di trovare l’ultimo “tassello” ma anche di recuperare più lamine uguali per avviarne lo scambio con altri collezionisti -molto spesso grazie alla rete Internetintrecciando relazioni finalizzate al completamento di una specifica serie. Qui, si sancisce un passaggio: da un’attività individuale ad una sociale, grazie allo scambio con gli appartenenti alla medesima passione. Alla stessa stregua dei collezionisti di francobolli che fanno attenzione che i valori bollati siano dotati di tutti i dentini, il più rigoroso collezionista di capsule trattiene solo quelle integre, prive di graffi e di ammaccamenti. Ci sono aziende che hanno ben capito quanto questa tipologia di collezionismo abbia importanza, perché capace di innescare pubblicità. Questo spiega perché le capsule che si trovano sul mercato sono sempre meno anonime. Ecco qui, l’importanza del Catalogo italiano capsule spumanti e vini frizzanti che il Club Collezionisti di Capsule pubblica, da diversi anni, volto ad agevolare gli appassionati nella loro opera di raccolta. Un esempio di una geniale operazione, basata sulla comprensione di tale fenomeno, è quella messa in campo dalla cantina lombarda Monte Rossa. Limitando l’analisi alle sole capsule, si scopre che con un linguaggio tipico sia del gioco che del gergo giovanile, Il Franciacorta che spacca, si fa un chiaro e ovvio riferimento al biliardo, le lamine dei propri spumanti richiamano alle biglie.
Qui, entra in gioco la casualità probabilistica con la sorpresa. Ogni bottiglia contiene una distinta lamina colorata con un numero da 1 a 15. Si potrà conoscere il risultato del pescato solo dopo averla “scartata”; per completare la serie, Biliardo Special Edition, occorre possedere tutte e quindici le capsule. Visto il notevole successo ottenuto, con il tempo la stessa cantina ha pensato bene di mandare in stampa altre due serie di capsule distinte - ancora stile palle di biliardoche si differenziano dalla prima per la dimensione del carattere impresso. Giocoforza si fortifica la collaborazione tra collezionisti. Lo scambio si rende necessario, non solo per abbattere i costi, ma per azzerare le probabilità con segno negativo che queste possono generare.
Sui social network non mancano i gruppi dedicati a tale interesse. Uno fra tutti, nato per iniziativa dei singoli appassionati, è “Collezionisti capsule caps cava champagne” , una comunità molto attiva su Facebook composta da circa 920 membri. I motivi sopra indicati rendono più coese le collaborazioni tra i collezionisti che quotidianamente si scambiano i “valori” mancanti passando dal virtuale, luogo di comunicazione che mette in accordo, al materiale, grazie al servizio postale. È importante sottolineare un punto: esiste una sorta di codice comune, un parametro condiviso dai collezionisti, che permette di valutare una determinata lamina di metallo per avviarne lo scambio, basato principalmente sulla tiratura di una certa capsula
oltre che il suo buon stato. Tutto ciò spiega perché i collezionisti sono sempre presenti agli eventi dedicati alle bollicine. È innegabile che amici e parenti di costoro si interessino e, in qualche modo, partecipino a questa passione, mettendo da parte le lamine degli spumanti consumati, comprendendo che alcune capsule sono oggetto di attenzione maggiore, sperando che quella “catturata” sia la lamina più preziosa, la più ricercata o almeno quella mancante. Così, grazie alla costante attività e alle collaborazioni, serie intere di capsule si chiudono, altre rimangono aperte ma la ricerca, per i collezionisti, continua e anche la solita domanda «Scusi, ha la capsula di questo spumante?». il Sommelier | n. 3 - 2017
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di Jimmy Pessina
Le Filippine, natura e cultura
Sono un arcipelago ancora poco frequentato dal turismo europeo, eppure le attrazioni turistiche non mancano affatto.
L
ungi da essere un difetto, le Filippine sapranno colpirvi al cuore con le loro
L’arcipelago ha un’immensa
del Pacifico. Sono oltre 7000 le
ricchezza naturalistica e
isole che compongono questo
culturale. L’accoglienza di turisti
arcipelago, anche se il 90%
spiagge e la cultura affascinante,
e viaggiatori è degna della
del territorio è costituito da solo
senza temere l’affollamento
reputazione che solo l’Asia può
undici di esse e la popolazione
del turismo di massa. La
vantare. Le Filippine si trovano
si concentra su circa 2000. In
destinazione fa sognare tutti gli
nel punto più estremo del Sud-Est
termini puramente geografici le
amanti dell’Asia, e ce n’è motivo!
asiatico, circondate dalle acque
Filippine si dividono in tre parti
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fondamentali: Luzon, l’arcipelago
coperte di foreste lussureggianti
di Visayas e infine Mindanao. Il
che possono diventare meta di
paese si estende su circa 300 000
meravigliose escursioni. L’origine
km² e la maggior parte delle sue
d queste montagne, però, rende
isole offrono spiagge paradisiache
le Filippine un’area fortemente
e un mare eccezionale. Le isole
sismica. Si aggiunga a questa
più grandi, caratterizzate da
sfortunata tendenza la presenza
rilievi di origine vulcanica, sono
di una ventina di vulcani attivi
e il regolare passaggio di tifoni da maggio a ottobre; capirete bene come da queste parti non ci si annoi mai. Ecco l’itinerario classico: il nord con Manila, con l’imperdibile spettacolo delle risaie a terrazzo di Banaue, classificate patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1995. Questo paesaggio mozzafiato, in alcuni casi risalente a oltre 2000 anni fa, si estende per oltre 10 000 km² nella zona di Luzon. Un consiglio per visitare questa meraviglia è di organizzare il viaggio verso marzo o aprile, quando il verde delle risaie è più suggestivo dove vivono le tribù dell’Ifugao. Il sud con le Visaya, dove si trovano le spiagge paradisiache di Palawan, Boracay o il piccolo isolotto di Inanuran, base perfetta per visitare anche l’isola di Bohol e la città di Cebu. La maggior parte dei voli internazionali atterrano sull’isola di Luzon sulla quale si trova Manila, la capitale filippina: un groviglio brulicante dove alla povertà più assoluta si accosta lo sfarzo dei pochi ricchi. Il calore è davvero pesante da sopportare, soprattutto nel centro urbano, ma la città rimane gradevole da visitare. Nel quartiere storico all’interno delle mura alcuni edifici dell’epoca coloniale spagnola resistono ancora, nel resto della città invece lo stile più moderno la fa da padrone, specialmente nel quartiere commerciale, Makati, dove si concentrano alberghi e negozi lussuosi. È interessante, inoltre, godersi una passeggiata tra il parco Rizal e il mercato di Pistang Pilipino, nel quartiere Ermita e quello di Pasay. La seconda città del paese, Cebu City, si trova nell’arcipelago Visayas, sull’isola omonima. il Sommelier | n. 3 - 2017
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Cebu è incastrata tra le isole Negros e Leyte, e per quanto sia molto stretta ha una popolazione molto elevata. L’aeroporto della città si trova sull’isola antistante ed è raggiungibile in circa mezz’ora grazie a due ponti che la collegano. La visita a Cebu city ha molti punti interessanti: la chiesa di Santo Niño, la croce di Magellano, il Forte San Pedro e il grande tempio Taoista. Se da un lato è un peccato volare dall’altra parte del mondo solo per stare in panciolle sotto un palmeto, bisogna ammettere che le coste delle Filippine non lasciano alternativa. Bianche e farinose come le Maldive, le spiagge fanno la felicità degli amanti del mare e delle immersioni. Il sito di Tubbataha ospita ben 1300 specie marine, tra cui squali, tartarughe e cavallucci marini: di che rifarsi gli occhi a pochi metri
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dalla riva. Ad accompagnare queste tappe troverete delle infrastrutture di livello davvero altissimo, sorprendenti per una meta “non convenzionale”. A Manila fermatevi a prendere un bicchiere nello storico Manila hotel, un’istituzione di epoca
coloniale dove, tra altre celebrità, era solito risiedere Mac Arthur. Per approfittare delle immersioni vi si chiederà all’incirca una ventina di dollari comprensivi del noleggio del materiale, una cifra a dir poco modesta in proporzione con quello che vedrete. Se sceglierete
l’isola di Malapascua, potrete anche vedere da vicino uno squalo volpe, essendo questo uno dei pochi luoghi al mondo dove si può trovare questa specie. I fondali marini sono molto ricchi e perfetti per l’immersione. Boracay, molto caotica ma con la White Beach spettacolare, con i meravigliosi tramonti sul mare, oltre alle altre spiagge meno frequentate ma comunque molto belle, considerate tra le cinque più seducenti del pianeta. I filippini danno molta importanza alla famiglia, al matrimonio e allo spirito clanico. Cortesi e profondamente rispettosi, detestano i diverbi e le situazioni conflittuali. Spesso, in caso di rifiuto, invece di dire un no deciso preferiscono usare perifrasi. Per quanto riguarda la contrattazione, essa è diffusa nei mercati e con i conducenti di tricicli, ma non adatta ai negozi. il Sommelier | n. 3 - 2017
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Con influenze cinesi, malesi e spagnole, la cucina filippina è davvero succulenta. Abbonda naturalmente il riso, ma anche il maiale, il pollo, senza dimenticare il pesce, come il tanguigui, il tilapia o il bagus; sono tutti accompagnati dal toyomansi, una salsa a base di soia. Per strada potrete gustare spiedini di frattaglie. Il piatto nazionale è l’abodo, uno stufato di maiale all’aglio e alle spezie, cotto a fuoco lento con aceto. Il lechon, maialino da latte grigliato e ripieno, si mangia durante le feste. Si trova anche una grande varietà di ottimi frutti: mango, ananas, papaya, una ventina di banane diverse, ma anche il marang o il famoso durian, frutto molto apprezzato nonostante l’odore ripugnante.Gli indici temperatura, pioggia, abbronzatura o ancora l’indice vento vi permetteranno, grazie ad un meteo globale, di scegliere tra le attività che più si adattano alle condizioni climatiche previste per il periodo selezionato e in tal modo, godere a pieno delle proprie vacanze a Filippine. Vi suggerisco di non fare un programma di viaggio rigido. Manila, Boracay, poi decidete giorno per giorno: vivrete al meglio questo viaggio. il Sommelier | n. 3 - 2017
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dalla Delegazione FISAR Valdichiana
Patrizio Cencioni insignito del premio
“Primavera in Valdichiana 2017” La Delegazione Fisar Valdichiana celebra con orgoglio la 34° edizione del premio “Primavera in Valdichiana”2017 alla presenza della Presidente Nazionale FISAR Graziella Cescon.
I
l premio ha un duplice scopo: quello di onorare il lavoro di chi si è particolarmente distinto con il proprio operato in ambito enologico, culinario e giornalistico e quello di far conoscere la cucina regionale Italiana in tutte le sue declinazioni. Il Consiglio di Delegazione individua il personaggio da premiare, ne valuta l’operato in favore del rispettivo ambito di competenza ed sempre il Consiglio che, attraverso le
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proprie conoscenze, sceglie la regione da ospitare nell’intento di proporre un percorso sempre nuovo e conoscitivo fra cucina e vini evidenziando le tendenze del momento. Quest’anno la scelta è caduta sulla regione Friuli Venezia-Giulia e lo chef scelto è stato Giancarlo Prodepo che ha realizzato presso il Rist. “I Girasoli” ubicato presso Hotel Rotelli a Torrita di Siena un menù tipico in abbinamento ai vini Ribolla Gialla Extra Brut
VSQ - Cantine Puiatti, Friulano Doc 2016 - Zorzettig, Pinot Grigio Ramato Igt FVG 2016 - Attems, Refosco dal Peduncolo Rosso Igt Rosso FVG 2015- Matteo Braidot e il Moscadello di Montalcino Doc 2015 - Capanna. Durante la conviviale si è svolta la premiazione di Patrizio Cencioni, vignaiolo in Montalcino ed attuale Presidente riconfermato del Consorzio del Brunello di Montalcino, con le seguenti motivazioni: per le sue doti professionali ed umane e per la sua storia nel contesto. Il nonno Giuseppe è stato uno dei venticinque fondatori del Consorzio nel lontano 1967, cinquant’anni dalla denominazione. Il premio, oltre che al Presidente Cencioni, è andato idealmente anche a tutti i produttori ed imbottigliatori del comprensorio, come a voler sottolineare il loro impegno nella crescita della denominazione e del brand Brunello di Montalcino. Ed è stato propri questo il senso del discorso di ringraziamento di Patrizio Cencioni che ha voluto sottolineare anche i numeri della
denominazione in termini di export, di valore economico e di incremento turistico che ha portato la città di Montalcino ad essere conosciuta in ogni angolo del mondo. Il conferimento della “targa d’argento” è avvenuta alla presenza del Presidente Nazionale Fisar Graziella Cescon che ha avuto parole di stima e di riconoscimento nei confronti
del Presidente Cencioni e dei consorziati. Sulla stessa linea l’intervento del Delegato Luca Del Buono il quale ha sottolineato l’importanza del “territorio” come elemento legato al vino ed alla sua affermazione a livello mondiale. Lo stesso ha poi, ringraziato il Consiglio della Delegazione Valdichiana, i soci intervenuti e i graditi ospiti. Un ringraziamento particolare è
andato al Presidente Emerito FISAR Nicola Masiello, all’Assessore alla cultura e turismo del Comune di Torrita di Siena Dott. Paolo Tiezzi, al corrispondente del quotidiano “la Nazione” Massimo Tavanti, al delegato Fisar di Orvieto Natale Cadamuro, ai rappresentanti della Delegazione di Siena - Val d’Elsa Sandra Agostini e Massimo Campolongo e alla Presidente Nazionale FISAR Graziella Cescon.
L’impatto ambientale dei difetti dei tappi da vino: Nomacorc Green Line, la chiusura che fa la differenza Sapevate che i difetti del vino causati dalle chiusure non influenzano negativamente solo la bottiglia di vino, ma anche l’ambiente? Ogni anno, circa 400 milioni di bottiglie di vino si sprecano a causa di chiusure difettose per problemi di sapore di tappo (TCA), ossidazione o riduzione. È uno spreco enorme. Tuttavia, non è solo il vino ad andare perso: anche le risorse come l’acqua sono sprecate quando le chiusure rovinano il vino. Ad esempio, questi 400 milioni di bottiglie difettose hanno conNOMACORC SA ITALIA – MEMBRE DE VINVENTIONS Via L.Dalla Via, 3B - Centro Direz. Summano, torre A, piano 5° 36015 Schio (Vi) - tel: +3904451656521
sumato circa 200 miliardi di litri di acqua durante la produzione, l’equivalente di circa 80.000 piscine olimpioniche! Non è accettabile vedere tutto quel vino sprecato perché le chiusure non funzionano correttamente. Fortunatamente, i vini tappati con Nomacorc Green Line non devono preoccuparsi dei difetti: sono garantiti privi di TCA e colle e consentono una gestione dell’ossigeno costante e una protezione affidabile da altri difetti relativi alla chiusura, come ossidazione e riduzione. www.nomacorc.com il Sommelier | n. 3 - 2017
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di Luigi Terzago
Il vino protagonista a
“Ciak Irpinia, buona la prima” Nella splendida cornice del Castello Marchionale di Taurasi ha debuttato la prima edizione di “Ciak Irpinia, buona la prima” evento, che sarà a cadenza annuale, organizzato dal Consorzio Vini d’Irpinia, dedicato alle denominazioni più importanti del territorio.
l
a Doc Irpinia e le Docg Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi. L’iniziativa, presentata in anteprima al Vinitaly di Verona, ha riunito più di
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quaranta operatori con l’obiettivo di favorire lo scambio di idee, informazioni ed impressioni sul territorio irpino tra stampa specializzata, produttori, tecnici
ed esperti, con scopo principale di seguire l’evoluzione del territorio, prendendo spunto dall’ultima vendemmia, per esaltare le produzioni della filiera
vitivinicola della provincia. La Commissione Tecnica territoriale, presieduta dal professor Luigi Moio e composta da una selezione di enologi operanti nel territorio irpino, ha fornito i dati analitici delle vendemmie in esame, e selezionato, partendo da bottiglie rese non identificabili, per garantire l’assoluta obiettività delle scelte dei campioni per il panel-tasting della mattinata. La degustazione, riservata alla stampa ed associazioni di settore nazionale, internazionale, tra
i quali la F.IS.A.R., inizia con l’assaggio di diversi campioni, serviti anonimi, dell’annata 2016: - Fiano di Avellino DOCG (18 vini selezionati) dove si riscontra, nella maggior parte dei vini, la nota fruttata di mela, il floreale è dato da sentori di biancospino, mentre il minerale, soprattutto grafite, varia di intensità da campione a campione, comunque tutti ben equilibrati e dotati di una spiccata freschezza che lascia presagire lunga prospettiva, Greco di Tufo DOCG (15 vini
selezionati) meno pronunciati i profumi che variano, a seconda del campione, dall’agrumato con note di pompelmo, all’erbaceo, al floreale, al balsamico e allo speziato con lo zenzero che predomina, al palato si riscontrano struttura e morbidezza in alcuni mentre in altri si percepisce leggerezza e poco corpo con profilo aromatico meno pronunciato, il prof. Moio spiega che, trattandosi di “vitigno orchestrale”, contro il “solista” Fiano, il Greco ha un profilo aromatico meno pronunciato, che risente maggiormente delle scelte in vigna e in cantina. - Irpinia Falanghina DOC (5 vini selezionati) presentano una raffinata aromaticità e un corpo leggero, con profumi fruttati di pera, arricchiti da un retrogusto quasi floreale, con deliziose note di mandorla amarognola; mentre per i rossi si valuta l’annata 2013: - Taurasi DOCG (7 vini selezionati, tre di botte) ancora dei neonati da svezzare, i profumi soo intensi con sentori di amarene, pepe, erbe balsamiche che emergono da una trama decisamente poco morbida ma potente, di lunghissima persistenza, un buon auspicio per il futuro. L’annata 2016 dei bianchi è stata presentata, dai tecnici di settore, come un’annata difficile, molto piovosa dando ai vini caratteristiche di magrezza, ma con notevole acidità, l’annata 2013 dei rossi invece è stata presentata come un’annata regolare, con raccolta delle uve aglianico a fine ottobre e nelle aree più elevate della denominazione agli inizi di novembre. Al termine, il professor Luigi Moio e il presidente del Consorzio, il Sommelier | n. 3 - 2017
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Stefano Di Marzo, hanno tirato le somme, delineando il quadro attuale di questo areale dando un giudizio complessivo sull’annata e sull’evoluzione del territorio e dei suoi vini che è stato ampiamente positivo riconoscendo alle aziende, che hanno contributo all’evento ed alla degustazione, un elevato livello qualitativo. Nel pomeriggio, invece, spazio alla
degustazione libera con un walkaround tasting delle aziende consorziate aperta a esperti, winelovers professionals, trade, coinvolti anche chef di alto profilo operanti sul territorio irpino. Il messaggio che è stato dato dal Consorzio di tutela dei vini Irpini, attraverso Ciak Irpinia buona la prima, è che tutti gli operatori del settore sposino un obiettivo
comune, quello di fare rete per un interesse collettivo che solo grazie ad una strategia condivisa e tenace passione, si riuscirà ad ottenere. Questi i produttori irpini protagonisti dell’evento: Leopoldo Annicchiarico, Antica Hirpinia, Luciano Barrasso, Antico Borgo, Sergio Boccella, Borgodangelo, Peppe Buio, Antonio Caggiano, Calafe – Benito Petrillo, Cantina dei Monaci – Maria Coppola, Cantine di Tufo – Gianni La Marca, Case D’Alto, Cantine Casparriello, Vini Contrada, Il Cortiglio, Tenuta d’Altavilla – Villa Matilde, D’Antiche Terre, De Lisio, Daniela De Vito, Femia – Marco Todisco, Feudi di San Gregorio, Fiorentino, Vigne Guadagno, Claudio Guerriero, Rosa Manfredini, Mastroberardino, Mier Vini, La Molara, Adelina Molettieri, Salvatore Molettieri, Nativ, Rocca Normanna, Tenuta Cavalier Pepe, Gerardo Perillo, Claudio Quarta Vignaiolo – Cantina Sanpaolo, Quintodecimo, Sella delle Spine, Terredora, Torricino – Stefano Di Marzo, Marianna Venuti, Vigna Villae, Vinicola Cardinale.
1° Executive Master Food & Wine Management Nell’ambito dell’offerta formativa dedicata al settore Food & Wine, la Business School del Sole24ORE propone a Roma il prossimo autunno la prima edizione dell’Executive Executive Master Food & Wine Management, a partire dal 23 novembre 2017. Strutturato in formula partime, prevede 3 giorni al mese in aula (giovedì, venerdì e sabato) alternati a sessioni in Distance Learning, per una durata complessiva di sette mesi. L’obiettivo dell’Executive Master è formare imprenditori, manager e consulenti del settore food trasferendo loro competenze specifiche di management per una gestione efficiente dell’attività aziendale sotto il profilo della previ50
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sione e del controllo dei costi, delle strategie di posizionamento e di sviluppo commerciale in Italia e all’estero e dei metodi di distribuzione e logistica specifici delle varie tipologie di business. Il percorso è completato da un Project Work, organizzato in collaborazione con aziende di successo del panorama dell’enogastronomia. Per ulteriori informazioni consultare il sito http://www.bs.ilsole24ore.com/ oppure scrivere a: daria.todini@ilsole24ore.com – tel. 02/3022.6266
Il primo tappo di sughero naturale al mondo garantito con TCA non rilevabile*
GARANZIA DI ECCELLENZA IL tAppo DEI pIù pREGIAtI vINI AL moNDo La tecnologia NDtech consente un controllo qualità individuale, su ogni singola chiusura per il vino, offrendo il primo tappo di sughero naturale al mondo garantito con TCA non rilevabile*. Un’ulteriore conferma per i viticoltori che si affidano all’eccellenza dei nostri tappi, un’avanguardia che si aggiunge ai già comprovati metodi di prevenzione, trattamento e tutela della qualità che Amorim destina al sommo custode del vino. Per maggiori informazioni su questa rivoluzionaria innovazione nel packaging di settore, vi invitiamo a visitare il sito amorimcork.com.
*contenuto di TCA rilasciabile al di sotto del limite di quantificazione di 0,5 ng/l; analisi effettuata in conformità con la norma ISO 20752.
di Gladys Torres Urday – gladys@torresurday.com
L’invenzione della gioia. Educarsi al vino. Sogno, civiltà, linguaggio
Sandro Sangiorgi - Porthos Edizioni Il libro si sviluppa in diverse quattro sezioni. La prima Approccio al vino è dedicata all’assaggio, al riconoscimento e alla descrizione del vino buono ed è rivolta principalmente alle persone che hanno già scoperto una passione per il liquido odoroso. La seconda nasce come risultato di un’intensa e appassionata indagine linguistica e vuole proporsi come una sorta di dizionario filosofico dei termini e degli aggettivi che si possono usare per qualificare il vino. La terza parte del libro è rivolta soprattutto ai neofiti che necessitano di informazioni basilari sugli aspetti tecnico-produttivi e degustativi, che sono stati aggiornati grazie al contributo tecnico e scientifico di autorevoli rappresentanti del mondo della ricerca e della produzione vinicola. La quarta sezione è una raccolta di quadri del pittore Marcello Spada associata a una piccola e molto personale antologia di poesie o estratti di prosa.
La vigna, il vino e la biodinamica
Joly Nicolas - Slow Food Editore La nuova edizione aggiornata di un libro che ci fa conoscere l’altra faccia della viticoltura. Nicolas Joly, produttore francese convinto sostenitore della viticoltura biodinamica, presenta in queste pagine una visione diversa della vite e del vino, basata su un approccio alla terra rispettoso e pulito. Partendo dalla netta demarcazione tra i vini «costruiti in cantina» e i vini «autentici» prodotti in vigna, una serie di consigli su come applicare alla viticoltura la teoria elaborata da Rudolf Steiner agli inizi del Novecento, pratiche utili che invitano il lettore a guardare al vino con un atteggiamento nuovo, anteponendo la sapienza del cosmo alla chimica.
Gli ignoranti. Vino e libri: diario di una reciproca educazione
Étienne Davodeau - Porthos Editore Cosa succede quando si dedica la propria vita a uno scopo? Étienne Davodeau è un autore francese di fumetti, molti dei quali dedicati a come sta cambiando il lavoro e come questo influisce nella vita delle persone. Richard Leroy è un vignaiolo che conduce i pochi ettari della sua vigna con metodi biodinamici. Étienne vuole capire la passione che sostiene il lavoro dell’amico, così forte da spingerlo a cambiare vita per dedicarsi solo al suo vino: senza cedere a una facile produzione industriale, ma perseguendo invece un ideale di qualità con una produzione molto limitata di bottiglie l’anno. Richard entra così nella cantina di creatività di Étienne, dove ogni libro è una scommessa con i lettori e gli editori perché lavorato come un pezzo unico: sempre diverso dai libri precedenti nei personaggi, nell’ambientazione e nella realizzazione grafica, ma sempre riconoscibile nel suo stile, nei testi come nei disegni.
di Anita Mercogliano - Referente Sud Italia Fisar in Rosa
Intervista a
Livia Adario Iaccarino,
chef de maison di Don Alfonso 1890 In occasione della presentazione del libro “Don Alfonso 1890” ho avuto il piacere di intervistare l’amica Livia Adario Iaccarino, l’anima del prestigioso “Don Alfonso a Sant’Agata sui due Golfi.
“D
ietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”: mai frase fu più azzeccata per descrivere la storia di Livia e Alfonso Iaccarino e, con loro, il successo di Don Alfonso 1890, uno dei ristoranti più famosi al mondo, insignito già nel 1997, primo in assoluto al Sud Italia, con le tre stelle Michelin. La storia di Livia racconta di una donna dal grande carattere, che ha affiancato sin da piccolissima, a 12 anni, il suo compagno, prima di giochi poi di vita, Alfonso, per condividerne ogni passo di un cammino di grande successo. Con coraggio e con pertinace convinzione Livia assiste, segue, consiglia, a volte guida il marito nelle scelte di lavoro e di vita, fin da quando, nel lontano 1973, rinunciando definitivamente all’albergo di famiglia, aprono il Don Alfonso, dedicato nel nome al nonno di lui. Assieme ai figli Mario, chef de maison, ed Ernesto che, dopo gli studi di economia, oggi completa l’elemento innovativo della cucina, Livia e Alfonso costituiscono una compagine familiare invidiabile, una squadra forte e coesa, capace
di qualsiasi risultato. Anno dopo anno l’azienda cresce e si arricchisce di nuovi tasselli: dal 1973, al Don Alfonso si è affiancata Le Peracciole, l’azienda agricola biologica da cui provengono le primizie e molti dei prodotti “a km zero” utilizzati nel
ristorante, quindi si sono aggiunte consulenze esclusive e nuove start up per grandi alberghi, prima in Italia e poi in tutto il mondo, a Marrakech, a Macao, in Nuova Zelanda. Anche la struttura originaria, sita nell’incantevole scenario di S. Agata sui due Golfi,
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col tempo ha aggiunto nuovi elementi di attrazione. È sorto così un bellissimo relais gourmet, un affascinante residence della catena Relais&Chateaux i cui ospiti possono soggiornare in splendide suite tinteggiate a caldi colori pastello, arredate in stile settecento napoletano. Vale il viaggio anche solo la cantina, col suo prezioso contenuto di ben 25mila bottiglie e oltre 1300 etichette, un luogo suggestivo ricavato da un cunicolo d’epoca pre-romana, dove trova posto anche un’apposita camera per affinamento dei formaggi. La cantina è visitabile per tutti gli
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ospiti, come pure aperta a tutti gli appassionati è la scuola di cucina e di ricerca del Don Alfonso. Il tutto è incastonato in lussureggianti giardini affacciati nell’azzurro più profondo di Punta Campanella, quell’angolo di paradiso in cui si danno appuntamento Capri, la Costa d’Amalfi e quella di Sorrento. Livia, quando nasce la passione per la cucina? Non c’è una data storica particolare, Alfonso ed io siamo cresciuti insieme. Alfonso da ragazzino provava sempre a giocare, come tutti i bambini, con il cibo, soprattutto perché lui viveva
con la sua famiglia in albergo. Ma la mamma non voleva che entrasse in cucina e allora lui, di nascosto, di sera, coinvolgendomi, si intrufolava in cucina e mi chiedeva di aiutarlo a preparare qualche piatto speciale. Gioco e complicità ci hanno portato, con l’adolescenza, a sfide più complicate a preparare piatti più complessi. Così, ad esempio, con un libro di alta cucina alla mano Alfonso voleva riuscire a tutti i costi preparare il soufflé al cioccolato, ma il dolce quando usciva dal forno si “afflosciava”. E io, che ero la sua assistente, dovevo pulire, sistemare. Cosa significa, oggi, fare “alta” ristorazione”? Per noi significa servire cibo di eccellenza, con ingredienti e materie prime di qualità assoluta, servire una “caciottella” appena fatta, il pomodoro raccolto e portato subito in tavola. Ma, del resto, in tutto il mondo l’alta ristorazione viene individuata nella qualità, non nella scenografia, nelle apparenze, nella cucina dell’estetica Quella di Don Alfonso è stata definita la cucina del cuore. Ci spieghi perché? Perché noi abbiamo seguito un unico faro, un’unica passione: il cuore. Abbiamo rinunciato ad altre imprese anche solide, come l’albergo, per seguire la nostra passione, la ristorazione, per continuare a costruire la storia del sud, del nostro territorio. Nel dopoguerra la nostra terra esce violentata, e con la povertà arrivano i grossi gruppi industriali, con tanta quantità ma anche col dilagare della bassa qualità. Purtroppo, anche quando le cose economicamente
vanno meglio e cresce la capacità di spesa degli italiani, gli artigiani del cibo, i piccoli esercizi della ristorazione più genuina sono costretti a chiudere, non possono reggere la concorrenza dei grossi gruppi. Noi invece, ci siamo ribellati a tutto ciò, abbiamo creduto che si dovesse e si potesse difendere e custodire le tradizioni e i prodotti del territorio, abbiamo seguito il cuore. Seguire il cuore significa ricominciare da zero, creare un’azienda agricola biologica, preparare il cibo della vita. Quale ruolo assegni alla tradizione in cucina e quale alla rivisitazione? Sul menù di Don Alfonso c’è scritta una frase molto bella di Eduardo De Filippo per spiegare i nostri piatti: “solo quando la tradizione la conosci allora hai anche la curiosità di metterla da parte ma se non conosci la tradizione non potrai mai andare avanti.” La tradizione la devi conoscere, fa parte del tuo patrimonio genetico e
la devi difendere, è l’unico punto di partenza, l’unico punto fermo. Poi, solo dopo, si può intraprendere un processo di rivisitazione che, alle volte, ti porta anche a correggere o vedere diversamente alcuni elementi del passato. Così, ad esempio, nella cucina tradizionale si facevano delle cotture molto lunghe per motivi tecnici, perché non esisteva il frigorifero. Quando si pescava non c’era ghiaccio per proteggere il pesce. Quindi, ecco che nasce la cucina del piccante, del peperoncino o dell’aceto che, da un lato portano sapori aggiunti, non originari, dall’altro fungono da conservanti o stabilizzanti delle materie prime. Oggi non ci sono più queste esigenze e quindi qualsiasi rivisitazione deve sempre salvaguardare i sapori originari, anzi contribuire a esaltare la materia prima che porti in tavola. Donna, compagna, madre, come riesci a coniugare la tua vita con l’attività di famiglia? In questa domanda è racchiusa
tutta la mia vita. Ho cresciuto i miei figli, Mario e Ernesto, in un ristorante. E loro ci hanno seguito, credo che un buon esempio valga molto più delle parole. Ho cercato di dare un modello di educazione, di rigore, di morale, di attaccamento alla famiglia. Certo non è facile coniugare la vita con l’attività, ma per me la donna che lavora deve impegnarsi a 360 gradi, non deve mai mollare. Piatto preferito, consigliato e che ti emoziona di più? Storicamente, gli Spaghetti alla Don Alfonso, il piatto simbolo, creato nel ’73, grande olio, grande pasta, grande pomodoro. È un piatto che non smette mai di emozionarti, in qualunque parallelo del mondo. Ma oggi, c’è un piatto che mi sciocca, è diventata quasi una dipendenza. È veramente un piatto pazzesco, un piatto che mi sconvolge quanto lo spaghetto alla Don Alfonso, creato da mio figlio Ernesto: il Gelato di anguilla, beneaugurante, caviale il Sommelier | n. 3 - 2017
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è come quando senti un nastro registrato o la voce metallica al casello dell’autostrada. Ma noi al sud l’accoglienza ce l’abbiamo nell’anima, anche perché i popoli che vivono al sole, al caldo sono più portati a vivere in mezzo alla gente, a fare amicizia e, automaticamente, al convivio. Il Don Alfonso è famoso non solo per l’ottima cucina ma anche per la sua spettacolare cantina e per la notevole carta dei vini. Quanto è importante il vino nel matrimonio con il cibo? Oscietra, con tagliolini fatti con la rosa canina. Non è mangiare, è emozione: chiudi gli occhi, assaggi il gelato, poi lo assaggi con il caviale, poi con un tagliolino. È pazzesco, mi prende, mi emoziona a livello cerebrale. Sono i valori veri del territorio. Quali sono state le difficoltà incontrate per far apprezzare all’estero la cucina mediterranea italiana? A livello europeo oramai non c’è alcuna difficoltà: il turista del vecchio continente sa apprezzare la cucina fatta di prodotti veri, autentici, italiana. Ma non sempre è stato così: purtroppo c’è stato un periodo in cui, proprio qui, in un territorio che esprime vere e proprie eccellenze, un certo tipo di ristorazione massiva e indifferente ha offerto una cucina davvero scadente. Ed è stato in questo contesto che si è inserito il Don Alfonso, col chiaro scopo di restituire il giusto prestigio al territorio. Per quanto riguarda la ristorazione fatta all’estero bisogna distinguere tra i popoli che hanno già conosciuto altri
grandi cucine, come ad esempio il Marocco, con cultura risalente alla dominazione francese, e Paesi in cui si inizia solo oggi ad introdurre la cucina europea, come ad esempio la Cina, grazie soprattutto a quella parte di popolazione abituata a viaggi e confronti culturali. In ogni caso il nostro atteggiamento, nelle proposte culinarie, deve essere sempre pronto a proteggere la nostra vera ricchezza, la biodiversità. Dietro al cibo c’è una storia millenaria, c’è una storia di uomini, di cose, di culture. Difendere la vera cucina mediterranea significa difendere questo prezioso patrimonio. Sei considerata la “regina della sala”: quanto è importante l’accoglienza del cliente? L’accoglienza è un elemento fondamentale: si deve accogliere l’ospite esattamente come si fa con la propria casa. Chi viene a trovarti entra nella tua casa e contribuisce a fare la storia del tuo ristorante. E si deve trattare di accoglienza sincera, di disponibilità, di interesse per l’ospite: quando non è così chiunque se ne accorge,
C’è un parallelo fondamentale tra cibo e vino nell’alta ristorazione: anche un vino è grande quando è fatto con l’anima. Non occorre che sia costoso, il vino è grande quando si avverte la storia di una terra, di uomini, delle generazioni che l’hanno lavorato con il cuore, con amore, con attenzione, a volte con trepidazione. Questo è il grande vino, possa costare 30 euro o 3000 euro, questo non importa, conta se ha un’anima, se c’è il cuore del produttore. E così, per ogni piatto d’eccellenza deve esserci il corrispettivo vino d’eccellenza. Ad esempio nel gelato di anguilla io non posso prescindere da una grande bollicina rosé, italiana o estera. È quasi necessaria, perché alla fine ti rimane nell’aroma di bocca il naturale prolungamento del profumo suadente di petali di rosa, che caratterizza anche i tagliolini. E l’abbinamento perfetto è quando riesci a cogliere nel piatto, dopo le diverse sensazioni in sequenza, dopo il gusto più forte e immediato, sul finire, i sentori più delicati, quelli
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che ti arrivano nel retrogusto, che ti ritornano nel naso: allora è quello che devi trovare nel vino e quando
di Enza Bettelli con l’abbinamento di Nicola Masiello Presidente Emerito F.I.S.A.R.
CURRY, MAGIA DI SPEZIE Dall’India un piatto in cui sapori, profumi e colori si fondono in una miscela che può essere delicata, piccantina o decisamente piccante, ma sempre intrigante.
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l termine curry, dal Tamil kaari, può indicare sia il singolo piatto sia un intero pasto con carne, pesce o vegetali e cucinato con una salsa più o meno liquida. Riso, lenticchie (dal), yogurt e il pane chapati sono gli accompagnamenti classici e ogni elemento del curry è servito in un piatto separato. Data la vastità del Paese e la varietà delle religioni che vi sono presenti, il curry viene preparato in innumerevoli modi diversi, anche perché non esistono delle vere e proprie ricette codificate, ma chi sta in cucina dosa gli ingredienti e le spezie secondo il proprio gusto e la disponibilità. Infatti, parte della popolazione è strettamente vegetariana, quella musulmana utilizza la carne ma non quella di maiale mentre gli Indù non mangiano carne bovina. Molti, quindi, i piatti a base di pollo e di montone, una specie di compromesso per la parte di popolazione non vegetariana. Culture e religioni diverse hanno però in comune la filosofia ayurveda, che in India viene applicata anche alla cucina. La varietà e la quantità delle spezie impiegate caratterizzano le varie versioni di curry. Per citare solo i più conosciuti, si passa
dal piccante vindaloo dell’India Occidentale al delicato korma delle regioni settentrionali del Paese, fino al tandoori, che prende il nome dal caratteristico forno cilindrico di terracotta. Il curry si prepara utilizzando come condimento base il burro chiarificato, il ghee o ghi, e nel tradizionale recipiente balti o karahi, una specie di padella fonda a due manici che si può sostituire con un wok, entrambi ideali anche per tostare le spezie.
Spezie, non una scelta casuale La miscela più diffusa fuori dall’India è quella di spezie in polvere, fino a una quarantina,
venduta pronta nelle tipologie mediamente piccante (mild), piccante (hot) e piccantissima (very hot). In India le spezie sono utilizzate intere e macinate al momento. Ogni miscela (masala) è del tutto personale e adattata al tipo di curry. Tra gli altri, si usano spesso coriandolo, zenzero, paprica, cumino, cardamomo, macis, chiodi di garofano, cannella, oltre al peperoncino, un ingrediente importante che contribuisce inoltre a colorare la preparazione. Restando in tema di curry colorato, la curcuma conferisce un vivace colore giallo, le foglie di coriandolo lo tingono di il Sommelier | n. 3 - 2017
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verde, lo zafferano dona un colore albicocca mentre con il pomodoro diventa da rosso a rosato se vi si aggiunge lo yogurt. Alle spezie si uniscono spesso le foglie di curry, una pianta simile all’alloro, che da noi si possono acquistare essiccate.
Abbinamento di Nicola Masiello La proposta più che intrigante è “intrigato”. Sotto il termine “CURRY” si apre tutto un mondo grande tanto quanto l’India o il subcontinente asiatico, in quanto questa preparazione è tipica di un territorio molto vasto. Usi e costumi diversi portano di conseguenza ad avere ingredienti diversi nella preparazione dei piatti e le valutazioni da fare sono molte. Andiamo per ordine e elenchiamo alcune specifiche: - pesce dove ben si adatta nella maggioranza dei casi - carne che per motivi soprattutto di natura religiosa la dobbiamo considerare nelle specie degli ovini, caprini e pollame, quindi in definitiva carni bianche - verdure e legumi che sono fondamentali in tutte le 58
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preparazioni sia che spostino il grado di dolcezza per l’utilizzo di piselli o carote sia che evidenzino l’amaro per la presenza di erbe spontanee aromatiche o amaricanti. Chiaro è che secondo l’elemento con cui si sposa, la sua funzione è quella di marcare il piatto sotto l’aspetto della speziatura/ piccantezza cercando l’equilibrio con gli altri ingredienti. Una cosa è certa: il “picco” di sapore percettibile rimane sempre alto. Giusto è puntualizzare come queste preparazioni, effettuate al di fuori dei rispettivi territori di origine, possano presentare gusti leggermente “appiattiti” in funzione del fatto che gli ingredienti non sono di facile reperibilità e la loro qualità molte volte lascia a desiderare. E neppure la globalizzazione o l’integrazione di quei popoli indigeni nel nostro paese ci aiuta a creare un piatto perfettamente in linea con la sua tipicità. Dopo questo quadro introduttivo il mio orientamento va verso vini rosati o verso il chiaretto. Un po’ per il fatto che la stagione estiva ne è propizia ed un po’ perché con ingredienti quali carne o pesce ci
consentono una facile equilibrio tra i componenti. Queste tipologie di vino possono offrirci sfumature olfattive particolari dovuti al vitigno, al terreno e alla zona di origine. Sentori floreali di viola o rosa, note fruttate che vanno dalla ciliegia alla frutta rossa, al sottobosco non maturo di mescolano con note minerali laddove il terreno presenta queste qualità. Normalmente presentano una buona vena acida, un giusto grado alcolico, pienezza e piacevolezza di beva. Il mio pensiero va alla finezza dei vini Gardesani, ai rosati da Sangiovese ottenuti con salasso o alzata di cappello da servirsi freschi, ai rosati Laziali, Campani e Lucani a quei vini mediterranei, solari e di spiccata mineralità. Ma anche ai classici Salentini, tradizionali, carichi di sole ,dai profumi intensi e persistenti, ricchi di corpo e di estratto ,capaci di dare sensazioni uniche. Una provocazione? I Lambruschi Reggiani o Mantovani da monovitigno che, con la vivacità dell’anidride carbonica, riescono a smorzare le spigolature del piatto o compensare la grassezza di certe pietanze.
a cura della Redazione Centrale – fonte Slow Food
Si chiude a Genova l’ottava edizione di
Slow Fish
Ricerca scientifica, cambiamento climatico e microplastiche al centro dell’attenzione. La Fisar è nuovamente protagonista con i propri sommelier capitanati dal Responsabile Nazionale dei Servizi Massimo Marchi all’interno dell’Enoteca.
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opo quattro giorni densi di appuntamenti, Slow Fish è di nuovo pronta a salutare il Porto Antico di Genova e a mollare gli ormeggi. Nella rete di questa ottava edizione dell’evento internazionale dedicato al pesce e alle risorse del mare – organizzato dall’associazione Slow Food Italia e Regione Liguria, in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e il Comune di Genova – resta un bottino più che sostanzioso, frutto di due anni
di confronto e condivisione con la comunità scientifica e i pescatori di Terra Madre, sia in Italia che all’estero: alla manifestazione, cui hanno lavorato circa 500 persone insieme a 50 volontari, hanno partecipato le comunità di 15 Paesi di tutti i continenti, dalla Finlandia all’Uganda, dall’Ecuador all’Australia, rappresentate da oltre 80 delegati. I 30 incontri della rete di Slow Fish hanno radunato un pubblico di 1500 partecipanti. Più di 800 spettatori nelle cinque conferenze
dedicate ai grandi temi di questa edizione, cui hanno preso parte come relatori 35 scienziati e ricercatori di fama internazionale. Inoltre sono stati organizzati numerosi momenti di confronto dall’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, dalla Regione Liguria, dal Wwf e da Slow Food Liguria. «È stata un’edizione straordinaria – afferma il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti – che conferma la nostra scelta di sostenere con convinzione il Sommelier | n. 3 - 2017
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questo evento. Il grande successo di pubblico registrato in questi giorni nell’area del Porto Antico ha garantito inoltre un’ottima visibilità allo stand #lamialiguria che ha ospitato molte iniziative legate al mondo della pesca, del turismo, dell’enogastronomia, dell’artigianato e delle imprese per promuovere al meglio le nostre eccellenze. Questo grande risultato – conclude – ci rafforza nell’obiettivo di far diventare la Liguria capitale della sostenibilità». Tante conferme e molte premesse per il futuro, ricorda il presidente di Slow Food Italia, Gaetano Pascale: «Si tratta di un’edizione che ci consegna responsabilità importanti, in cui sono stati assunti impegni significativi da parte delle istituzioni e sono state manifestate disponibilità, altrettanto significative, da parte delle comunità scientifiche. Un tassello indispensabile per assicurare un futuro più roseo all’ambiente e a chi vive grazie alle risorse del mare». «Il Mare Nostrum grida aiuto ed è tempo di agire» aveva affermato Karmelu Vellu,
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Commissario europeo per l’ambiente, gli affari marittimi e la pesca, nel saluto inaugurale. Questo grido di aiuto non è certo inascoltato a Slow Fish: «Proprio nel momento in cui si pesca di più – osserva Pascale –, sotto la spinta di un mercato che non tiene conto dei cambiamenti in corso nel mare, i pescatori e in particolare le comunità della piccola pesca incarnano le realtà che, dal punto di vista economico, soffrono di più. Questo oltre a essere paradossale è ingiusto». Le esperienze presentate a Slow Fish dimostrano che è possibile seguire un’altra via, conclude il presidente di Slow Food Italia, «in grado di assicurare una pesca sostenibile per il mare e per i pescatori. Per questo pensiamo sia necessario trasformare in pratiche quotidiane molte delle attività svolte durante l’evento». La priorità è dunque invertire la rotta della pesca, come ha suggerito Carlo Petrini, presidente di Slow Food, passando «da un’economia di rapina a un’economia di costruzione». Dal 2004 Slow Food lavora in questa
prospettiva con la campagna Slow Fish: l’evento biennale ospitato dalla città di Genova rappresenta solo il momento culminante in un percorso quotidiano di sostegno ai progetti delle comunità locali, all’attività dei Presìdi e all’intera filiera della pesca artigianale e sostenibile. Per questo spicca tra le novità più significative di questa edizione l’annuncio che presto la Liguria ospiterà anche la casa di Slow Fish: «Una sede fissa, politica e fisica, per interagire con tutti gli attori del Mediterraneo», come anticipato da Giovanni Toti in apertura dell’evento. Perché è un impegno degli organizzatori della manifestazione far sì che la Liguria divenga il fulcro di un dialogo tra le sponde del nostro mare, per superare le difficoltà comuni e creare un’economia virtuosa. L’altra sfida tutta italiana riguarda la ricerca: da Slow Fish il coro dei rappresentanti del mondo scientifico si è levato affinché il nostro paese si doti di una moderna nave da ricerca oceanografica pubblica, bene comune indispensabile a promuovere la conoscenza sia nel mar Mediterraneo sia nei mari artici e antartici. Domande ma anche risposte dalle istituzioni, come l’impegno del Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina, a tutela del reddito dei pescatori e per la promozione di modelli sostenibili di salvaguardia delle risorse marine, grazie al decreto che ridisegnerà la piccola pesca artigianale italiana, che dà lavoro a 30mila persone in Italia. Ricordiamo anche i grandi temi scientifici trattati nei quattro giorni, come il cambiamento climatico
e l’impatto che ha sulle nostre tavole, con le tante ricette di pesci della tradizione sostituite da altri abitanti del mare, che fanno capolino nel nostro orizzonte gastronomico: è il caso delle meduse, sempre più presenti e invasive. Ma anche delle oloturie, i “cetrioli di mare”, apprezzatissimi in Oriente come snack ma ormai sovrasfruttati. Da Slow Fish parte però un allarme: «Attenti a pensare che non ci siano conseguenze nel consumare questi animali», avverte il presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Roberto Danovaro, «non è certo normale pensare di mangiare aquile, leoni e tigri, eppure in mare stiamo facendo qualcosa di simile». Altro tema caldo è quello delle micro e nano plastiche che, a causa dei nostri comportamenti scorretti e della filiera della plastica non sostenibile, invadono i nostri mari con effetti tuttora sconosciuti. Secondo Legambiente il 96% dei rifiuti galleggianti in mare è composto da plastica e l’89% della fauna marina rischia di ingerirla. Non stiamo parlando solo di tartarughe che scambiano borse di plastica per meduse, ma di detriti che diventano frammenti microscopici ed entrano a far parte della catena alimentare dei pesci. Ma allora, quali sono gli effetti sull’uomo quando mangia pesce? In realtà, il rischio da parte dell’uomo di assumere microplastiche non proviene solo dal mare, in quanto queste sono contenute in oggetti di uso quotidiano, come i cosmetici – es folianti facciali, dentifrici, shampoo, trucchi e creme solari – e tracce sono state rinvenute anche nel miele, nella birra e nei farmaci. il Sommelier | n. 3 - 2017
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Ma se è vero che consumatori attenti si diventa grazie all’educazione al gusto dei più piccoli, bisogna partire da quello che i bambini mangiano nelle mense scolastiche. Anche in fatto di pesce. Arriva dall’entroterra genovese un bell’esempio di gestione sostenibile: sei comuni, tra la Valle Scrivia e la Val Polcevera, sono riusciti a cambiare l’intera impostazione delle mense in appena due anni, reintroducendo branzini del Tigullio, seppie, gallinelle, moscardini, platesse e sgombri al posto del solito pangasio e del pesce congelato. Pienamente raggiunto, insomma, l’obiettivo di coniugare la convivialità alla conoscenza scientifica e alle buone pratiche, l’educazione al gusto con l’impegno per la tutela degli ecosistemi acquatici. Per Slow Fish è la terza edizione che si svolge all’aperto e si può rilevare, in tutti gli appuntamenti, un crescente interesse del pubblico, a dimostrazione di come la manifestazione stia entrando sempre di più nel cuore dei genovesi, dei visitatori e di chi ha a cuore le sorti del mare.
Ligabue Class Reggiano Lambrusco Dop 2016 Cantina Sociale di Gualteri La ricchezza e l’eleganza dell’Emilia in un calice pieno di gusto e di grande personalità: non finisce mai di stupire il Lambrusco Reggiano Doc Ligabue Class della Cantina Sociale di Gualtieri. Anche con la vendemmia 2016 il vino di punta dedicato al grande pittore di casa Antonio Ligabue si riconferma un’etichetta di prima classe, un’ottima interpretazione del territorio in grado di coniugare intensità e raffinatezza con una sorprendente riCANTINA SOCIALE DI GUALTIERI Via 25 - 42044 (RE) 62 San ilGiovanni, Sommelier | n. Gualtieri 3 - 2017 Tel. 0522.828161/828579
cercatezza di profumi e sapori fruttati. Spuma ricca e delicata, grande bevibilità, grande equilibrio e un finale fresco e piacevole sono i tratti più convincenti di questo lambrusco, destinato a primeggiare nella sua categoria dopo gli importanti riconoscimenti ottenuti nei concorsi e sulle guide di settore. Ideale da gustare con paste ripiene, stupisce anche con preparazioni più complesse come anatra all’arancio e arrosti. www.cantinasocialegualtieri.it info@cantinasocialegualtieri.it
da Redazione Centrale
Ciao Lucio Lucio Chiaranda, responsabile di zona del Centro Tecnico Nazionale per le zone di Pordenone, Portogruaro, San Donà, Treviso, Venezia e Udine, ci ha lasciato. Rimane in noi l’immagine indelebile del suo impegno, della sua intelligenza, della sua sensibilità, dei suoi profondi contributi alla nostra rivista, del suo attaccamento alla nostra Associazione.
Pubblichiamo un commosso ricordo della nostra Presidente Nazionale, Graziella Cescon Caro Lucio, vorrei tu potessi vedere in quanti siamo qui oggi, quanti colleghi Sommelier sono venuti fino a qui a salutarti per l’ultima volta, siamo qui per te, ancora increduli e in assoluto silenzio. Ci hai lasciato tutti senza parole, come senza risposta rimarrà per sempre il “perché”. La perdita di chi ci è caro ci coglie sempre impreparati e fragili. Ma a volte è più brutale perché svela con violenza ciò che in vita era intimo e privato. Eri, Lucio, una persona di grande spessore, intelligente e soprattutto molto affidabile. Una risorsa preziosa prima di tutto dal punto di vista umano. Ci si rivolgeva a te Lucio con la certezza di una risposta e la sicurezza che sarebbe stata la più appropriata. È stato un vero privilegio incontrarti. Oggi, il dolore è ancora più immenso perché abbiamo scoperto che dietro la tua discrezione e il tuo sottile umorismo, si nascondeva un malessere profondo, invisibile agli occhi, che alla fine ha vinto e noi purtroppo non abbiamo saputo cogliere. Io di te Lucio ho conosciuto il lato concreto e disponibile. Il lato diplomatico, oggettivo che ne faceva un giudice ideale e un interlocutore perfetto. Lucio, in me lasci la conferma della tua levatura, del tuo modo impeccabile di relazionarti, del contributo importante che hai portato a Fisar e in ciascuno di noi; e ancora, ti ricorderemo per il grande senso di appartenenza a Fisar e allo spronarci sempre, tu per primo, ad indossare con orgoglio la nostra divisa. Anche se non sei più qui, resta il tuo valore e restano la stima e l’affetto che ti hanno sempre accompagnato e che, sono certa, possano raggiungerti anche ora, ovunque tu sia. Sappi Lucio che ti abbiamo voluto bene e sempre te ne vorremmo anche se questo non era certo il modo in cui avremmo voluto dichiarartelo. Ciao Lucio. il Sommelier | n. 3 - 2017
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In FAMIGLIA - Le notizie dalle Delegazioni Notizia inviata da Mariella Dubbini della Delegazione FISAR di Castelli di Jesi
SENIGALLIA WINE FESTIVAL
L
a promozione culturale del territorio e della qualità e autenticità dei vini marchigiani è stato il fulcro della prima edizione della manifestazione “Senigallia Wine Festival – Vini e vignaioli di Marca” che si è svolta nel centro storico della ridente cittadina di Senigallia (AN) domenica 23 aprile 2017. Il festival, patrocinato dal Comune e progettato dalla Condotta Slow Food di Senigallia, è stato realizzato grazie alla collaborazione
dell’associazione F.I.V.I. Marche e al contributo della Delegazione FISAR Castelli di Jesi, che ha partecipato proponendo un laboratorio di avvicinamento al vino nel foyer del Teatro La Fenice e la degustazione di vini della regione proposti dai sommelier presso il Foro Annonario. L’evento, a cui hanno partecipato 24 produttori con oltre 100 vini in degustazione, ha suscitato un enorme successo: sia la Pescheria del Foro Annonario, recentemente restaurata, che il foyer del Teatro
hanno registrato il “tutto esaurito”, complice una splendida domenica primaverile e le allettanti proposte di degustazione strettamente legate alle specificità locali a cui gli eno-appassionati, ma anche i turisti curiosi, non hanno saputo resistere. Questa prima gratificante esperienza, frutto della consolidata collaborazione tra Slow Food e FISAR, ha suscitato un consenso di pubblico oltre ogni aspettativa che ci fa dire: arrivederci al 2018!
Notizia inviata da Giuseppe Fiorentini della Delegazione FISAR Siena Valdelsa
UNA PASSIONE, UN SOGNO: FINALMENTE SOMMELIER!
È
iniziato nell’Ottobre 2015 il percorso di 47 giovani appassionati di vino, che hanno deciso di scommettere su loro stessi e dedicare il proprio tempo ed impegno al raggiungimento dell’agognato traguardo: diventare Sommelier. Il 25 Febbraio 2017, dopo tre semestri di appuntamenti settimanali – corrispondenti ai tre livelli da superare – 12 di loro tengono stretto in mano il loro attestato F.I.S.A.R. ed al collo un taste vin nuovo di zecca. La location è “O’ Ruffolo”, alle
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porte della città di Siena, trattoria dall’ambiente caldo, rustico e raffinato al contempo. Ad arricchire la serata, la presenza dell’immancabile Giorgio Angelini, Direttore del corso, e del Delegato della delegazione di Antica Terra Siena Valdelsa F.I.S.A.R., Vincenzo Niccolini, degli ospiti Marco Bartalini e Riccardo Cabizza, dei soci Giuseppe Troilo e Sandra Caselli, e di Emma Iami per la delegazione Valdichiana. Un’interessante selezione di vini, serviti in maniera ineccepibile dai Sommelier Dora d’Onofrio e Alberto Pepi, ha accompagnato il menu, composto da piatti di una tradizione toscana sapientemente rivisitata. A partire dagli antipasti accompagnati dal Bruttissimo extra brut rosé e dal Prosecco Valdobbiadene Superiore D.O.C.G., entrambi dell’az. Ca’ Salina. I primi sono stati serviti
assieme al Müller Thurgau 2013 e dal Rosso Montepulciano D.O.C. 2015 (az. Pulcino); quindi il secondo, accompagnato da Vino Nobile Montepulciano D.O.C.G. 2013 (az. Pulcino). Dulcis in fundo, desserts serviti con Fior d’Arancio Colli Euganei Spumante e da Manzoni Moscato Rosé Spumante aromatico dolce (entrambi az. Cantina Colli Euganei). Questi i nomi dei 12 Sommelier: Giuseppe Fiorentini, Stefania Foderi, Waspi Remo, Francesca Grotti, Vieri Paolo, Pierenrico Parmeggiani, Riccardo Valentini, Caterina Ricci, Davide Micheli, Laura di Lorenzo, Renata Suchalska, Ilona Dzialak. Per alcuni di loro questo sarà il coronamento di una passione, per altri sarà anche il “la” di un’avventura lavorativa; ma per tutti, sarà l’inizio di un percorso conoscitivo da adesso in poi del tutto personale.
Notizia inviata da Germano Febo della Delegazione FISAR L’Aquila
CONSEGNATI GLI ATTESTATI DI 1° E 2° LIVELLO
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i è svolta nella Cantina “Il Feuduccio”, la consegna degli attestati di I livello ai soci che avevano frequentato il corso organizzato nella città di Avezzano. Dopo la visita in cantina, si è passati alla degustazione di tutta la produzione, iniziando con i bianchi per terminare poi con le migliori riserve di Montepulciano d’Abruzzo. Gli attestati sono stati consegnati alla presenza del segretario di delegazione Giuseppe Caudai, dei consiglieri Angela Palombo, Germano Febo e Marco D’Alessandro. A Tortoreto (TE) nel Ristorante “Santa Fe”, dopo aver degustato le migliori bollicine italiane accompagnate da abbinamenti
proposti da Sonia Petruzza i partecipanti del corso di Teramo, hanno ricevuto dal delegato Marcello Carrabino l’attestato di II livello. Ospite della serata il Prof. Leonardo Seghetti, docente Fisar che si è complimentato con
i ragazzi esortandoli a completare l’ulitimo livello, il più interessante e formativo cioè l’abbinamento cibo-vino. Felici e soddisfatti tutti gli aspiranti sommelier, così come il direttivo Fisar che accompagna il cammino del gruppo.
Notizia inviata da Giulia Carpenè della Delegazione FISAR TREVISO
63 NEO SOMMELIER A TREVISO
I
l vino è da sempre legato all’idea di festa, e se i protagonisti della festa sono i neo sommelier, non può che risultarne una serata da ricordare! Lo scorso 7 luglio si è svolta al ristorante da “Gigetto” di Miane, la consegna dei tanto ambiti tastevin ai 63 nuovi sommelier della Delegazione di Treviso. Si sa, la passione e la curiosità sono gli elementi che portano un appassionato del mondo enoico a voler intraprendere questo “viaggio” fatto di tre livelli, tra aneddoti e nuove scoperte, vitigni e vignaioli, olfatto e gusto, un mondo così grande e bello...tutto da scoprire. Ora che il viaggio didattico è giunto al termine, a noi non resta che congratularci con tutti loro per aver
raggiunto questo ambito traguardo e augurare loro di continuare a scoprire le tante curiosità e le mille sfaccettature che il mondo del vino ha e avrà in serbo. Alla serata erano presenti il Delegato Roberto Donadini e tutto il consiglio di delegazione, vari docenti Fisar,
gli assistenti e i direttori dei corsi Davide Piai e Fabio Gori. Un ringraziamento speciale va ai colleghi sommelier che hanno seguito in modo impeccabile il servizio delle ottime selezioni vini scelte con cura per questo memorabile galà.
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Notizia inviata dalla Delegazione FISAR di Civitavecchia e Costa Etrusco-Romana
PRIMI 12 SOMMELIER NEL TERRITORIO ETRUSCO-ROMANO!
N
ella splendida cornice dell’hotel “Alle Tamerici” di Ladispoli, la delegazione FISAR di Civitavecchia e Costa Etrusco Romana, ha consegnato con orgoglio alla presenza del RDZ
Franco Rossi, gli attestati ai primi sommelier del nuovo territorio di competenza. Ad argomentare la tavola il menù dello chef Roberto Del Duce: crudo di alici marinate al moscato - in abb. Moscato secco Cantina Sant’Andrea; casarecce di grano arso con frutti di mare su salsa di peperone rosso – in abb. Falanghina Tenuta Scuotto; filetto di spigola su pesto di zucchine tapinate, con julienne di zucchine fritte – in abb. Fiano Tenuta Scuotto; Millefoglie con crema di ricotta dolce di bufala – in abb. Moscato spumante dolce Cantina Sant’Andrea; una cucina la sua che nasce dal connubio tra parole e gusto, che non vuole essere una
mera meccanica esecuzione ma una miscellanea di ingredienti in grado di far viaggiare i commensali, tra i sapori della terra per meglio conoscere la cultura dei popoli. I nostri complimenti ai corsisti che per un anno, hanno seguito con grande impegno e partecipazione l’intero corso tenutosi presso la Sala Ruspoli, nella piazza più antica di Cerveteri. La delegazione da il benvenuto ai nuovi colleghi Bacchini Maurizio, Bandini Silvia, Di Battista Marco, Fiaccadori Maria Pia Margherita, Gentili Riccardo, Longo Edmondo, Padoan Giuditta, Pallotta Daniele, Palombi Dante, Palombi Dante, Pasquali Marina, Pignataro Serena, Quartu Alessia.
Notizia inviata da Laura Grossi dalla Delegazione FISAR MILANO
FORMAGGI A PASTA FILATA E VINI DEL SUD
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er la prima volta insieme, FISAR Milano con ONAF Milano (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggi) ha organizzato, lo scorso Giovedì 29 giugno, un’interessante degustazione di cinque formaggi a pasta filata di breve stagionatura – alcune ancora poco conosciute e difficili da reperire – accompagnate da una selezione di vini del Sud Italia. Accostare l’arte casearia all’universo enoico rappresenta una tecnica di abbinamento molto stimolante e ricca di fascino. Formaggi e vini hanno, effettivamente, molto in comune e possono dare luogo a vere e proprie affinità elettive. Dal momento che Vini e Formaggi 66
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trovano la loro identità nel luogo d’origine, si è deciso di proporre in abbinamento una selezione di vini provenienti dagli stessi territori di produzione dei formaggi, mirando a ricreare un naturale connubio per esaltare i profumi e i sapori tipici della tradizione meridionale. E così la Mozzarella di Bufala Campana DOP è stata ben abbinata al Bianco di Bellona Irpinia DOC 2016 di Tenuta Cavalier Pepe; il Caciocavallo Silano DOP e il Caciocavallo Podolico si sono affiancati in maniera interessante al Furore Bianco Costa d’Amalfi DOC 2015 di Marisa Cuomo e al Fiano di Avellino DOCG 2015 di Cantine Di Marzo. Infine i Provolone del Monaco DOP stagionati 6 e 12 mesi sono stati accompagnati,
rispettivamente, dal Tacito Rosso Falerno del Massico DOC 2014 e dal Caleno Riserva Falerno del Massico DOC 2010, entrambi di Nugnes. Ma il “premio” al miglior abbinamento va alla Vastedda della Valle del Belice DOP (l’unica pasta filata della serata prodotta con latte ovino crudo) che è stata ottimamente valorizzata dalla Valcanzjria DOC 2016 (Carricante e Chardonnay) di Gulfi.
Notizia inviata da Luciano Biancalana della Delegazione FISAR Costa Etrusca Piombino
CONSEGNA ATTESTATI DI SECONDO LIVELLO
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ella serata mercoledì 21 Giugno per la consegna degli attestati di partecipazione al secondo livello del corso per Sommelier FISAR della delegazione Costa Etrusca di Piombino. L’evento si è svolto presso l’agriturismo Gualdo del re il cui proprietario Nico Rossi è un Sommelier FISAR di lunga data. La sua azienda oltre a produrre un ottimo vino ,siamo nella DOCG Suvereto, e olio extravergine da monovarietali possiede un ristorante nato dalla volontà di valorizzare I propri vini attraverso una cucina di qualità ispirata all’estro della tipica tradizione maremmana. In cucina
gli chef Emma e Fabio e in sala I figli Federico e Valentina ci hanno proposto dei piatti semplici ma gustosi, come la pappa al pomodoro,la panzanella,involtini di melanzane, alici fritte con salsa al peperone,cipolle caramellate e coniglio porchettato oltre ai tipici salumi toscani e all’immancabile pecorino.Il tutto accompagnato da tre vini della loro produzione : Eliseo bianco (Pinot bianco) Shiny rosato(Aleatico) e Eliseo rosso(6 0%Sangiovese,20%Merlot,20% CabernetS). La cena è seguita dalla consegna degli attestati da parte del Delegato Pier Francesco Pepi e dal Direttore di Corso Fabio Caselli ai 21 corsisti che hanno
dimostrato di essere un gruppo ben amalgamato partecipando alle lezioni con interesse e curiosità. Un ringraziamento anche al Segretario Giovanna De Stefano e ai Sommelier Luciano Biancalana,Emilio Butti,Leonardo Tedeschi e Alberto Grassi.
Notizia inviata da Laura Grossi dalla Delegazione FISAR MILANO
ITALIA VS FRANCIA: SFIDA TRA CHARDONNAY
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hardonnay Italiani e Chardonnay Francesi, chi li produce meglio?! Lo scorso 29 Maggio nella serata organizzata da FISAR Milano si è approfondita l’origine e le peculiarità di uno dei più grandi vitigni a bacca bianca del mondo apprezzandone le migliori espressioni attraverso la degustazione di 8 etichette, 4 dall’Italia e 4 dalla Francia, con una sfida all’ultimo calice tra i vini nazionali e quelli transalpini. Originario della Borgogna (il suo nome deriva da Chardonnay, l’omonimo paese del Mâconnais in Borgogna), da dove si è diffuso progressivamente in tutto il mondo dalla fine del XIX secolo, viene coltivato nel luoghi più disparati del pianeta. Con la sua incredibile varietà di componenti aromatiche
che emergono in modi diversi a seconda dei terreni e dei climi dove viene coltivato, Italia e Francia vantano entrambe una lunga e importante tradizione nella coltivazione di questo vitigno. Per quanto riguarda l’Italia abbiamo degustato Chardonnay da Valle d’Aosta, Alto Adige, Friuli e Abruzzo e precisamente: Maison Anselmet Chardonnay (Vallé d’Aoste DOC) 2015, Tenute Lageder Gaun Chardonnay (Sudtirol-Alto Adige DOC) 2013, Lis Neris Jurosa (Friuli Isonzo DOC) 2012 e Marina Cvetic Chardonnay (Colline Teatine IGT) 2010. Mentre per la Francia ci siamo concentrati sulla Borgogna, la patria del vitigno, analizzando 3 zone diverse, quali: il Beaujolais (Geoffray Chateau Thivin Clos de
la Rochebonne Beaujolais Blanc 2015), lo Chablis (Domaine Jean Dauvissat Homme Mort Chablis Premier Cru 2014) e il Mâconnais (Nadine Ferrand Saint-Veran 2014) per concludere con un outsider prodotto dalle selezione delle migliori uve dell’intera regione, il Regnard Retour des Flandres Bourgogne AOC 2012.
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Notizia inviata da Laura Grossi dalla Delegazione FISAR MILANO
NON SOLO CHAMPAGNE… ALLA SCOPERTA DEI CREMANT!
S
i chiamano “Crémant” gli spumanti metodo classico prodotti in Francia fuori dalla Champagne, bensì realizzati in altre 7 regioni e anche in Lussemburgo. Ma fino al 1994 i Crémant erano addirittura prodotti anche in Franciacorta! Con questo termine, infatti, sino al 31 agosto 1994 venivano indicati gli Champagne elaborati in modo da sviluppare meno anidride carbonica (fra 3,5 e 4,5 bar), quindi con una spuma più delicata rispetto ai tradizionali (a 6 atmosfere). Solo da vent’anni a questa parte la produzione è stata regolamentata con precisione, portando a un riconoscimento dell’alta qualità dei vini. La degustazione che FISAR Milano ha organizzato lo scorso 12
Giugno, si è incentrata su cinque zone produttive caratterizzate da climi freddi che regalano grande freschezza e vivacità: Borgogna, Alsazia, Savoia, Jura e Lussemburgo. Nella serata di degustazione la Borgogna è stata ben rappresentata dal Crémant de Bourgogne Blanc de Blancs della Nadine Ferrand (nel cuore del Pouilly Fuissé), dal Crémant de Bourgogne Brut 2016 di Bailly Lapierre (Yonne) e dal Crémant de Bourgogne 2016 di Château Bonnet (Beaujolais). L’Alsazia ha tenuto testa con il Crémant d’Alsace Blanc de Noir 2014 di Maison Maurice Schueller e, attraversando Savoia e Jura, si è infine approdati in Lussemburgo con due rari Crémant: il Domaine
Mathes Crémant de Luxemburg Steel Brut (Riesling, Chardonnay e Pinot Bianco provenienti da vigne di 20 anni) e il Domaine Steinmez Jungers Cuvée Brut 2011 da Pinot Grigio e Auxerrois che affinano in botte per dar vita a un vino dal perlage fine e persistente, profumato di agrumi e limone verde, che in bocca sorprende con frutta a polpa bianca e una spiccata mineralitá.
Notizia inviata da Lucio Chiaranda della Delegazione FISAR Venezia
TASTEVIN ED ATTESTATI
V
enerdì 28 aprile presso l’agriturismo Il Selgaro a Zelarino, Venezia, si è svolta la consegna degli attestati di 1° e 3° livello dei corsi che hanno visto come direttore il collega Marco De Marchi. La serata è iniziata con un aperitivo servito nella sala al piano terra. La cena è quindi proseguita nella sala superiore, prima di tornare al piano terra per i dolci ed il caffè Marco De Marchi assieme al Delegato Lorenzo De Rossi ha avuto il gradito compito di consegnare gli attestati ai corsisti di 1° livello: Stefano Bacco, Franca Barbaro, Anna Bottarelli, Giulia Corradini, Diego D’Orfeo,
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Luigi Dori, Davide Fabris, Franco Favaro, Eleonora Marcato, Marco Martinuzzi, Pamela Miccolis, Renato Nordio, Tudor Robu, Olena Stupnyk, Barbara Tozzato, Chiara Urbani, Mara Vanin, Magda Zanin, AlviseZanioli. Si è quindi passati alla consegna degli attestati di Sommelier, ovviamente corredati dall’ambito tastevin, del corso che si è da poco concluso proprio presso l’agriturismo, il cui proprietario, Marco Trevisan, era uno dei corsisti che hanno ricevuto il tastevin assieme a: Sabina Agugiaro, Patrizia Barbieri, Marzio Jr.Berrugi, Martina Berton, Daniele Cassin, Roberto Causio, Alberto
Celant, Matteo Cestaro, Tomas De Martin Deppo, Roberto Moretti, Massimo Moschin, Imerio Righetto. Come detto da Lorenzo De Rossi nel corso della serata siamo certi che i corsisti del primo livello raggiungeranno, come i colleghi, l’ambito traguardo e ci auguriamo che i neo sommelier rimangano parte attiva in Delegazione.
Notizia inviata da Laura Grossi dalla Delegazione FISAR MILANO
DEGUSTAZIONE DI CHAMPAGNE CON PRODUTTORE
U
na serata dedicata al re delle bollicine è stata organizzata da FISAR Milano lo scorso giovedì 11 maggio alla scoperta di un’azienda a conduzione familiare, la Marcoult Michel, che da generazioni crea cuvées espressioni di ben tre diversi territori. Il Domaine – fondato nel 1967 con sede a Barbonne Fayel nella Marna – possiede, infatti, vigneti che sorgono su tre zone differenti (Côte de Sezanne, Côte de Vitry e Côte des Bars) che donano carattere distintivo ai vini. Ça va sans dire, i Marcoult sono da sempre Recoltant Manipulant, quindi producono Champagne a partire da uve provenienti esclusivamente dai loro vigneti ed elaborate nelle loro cantine. Pieno rispetto della tradizione e del territorio sono, da sempre, il filo conduttore del loro operato che si orienta verso una viticoltura di ispirazione biologica. Nel corso della serata abbiamo incontrato
Julien e Florence Marcoult che ci hanno guidato nella degustazione del Tradition Brut (cuvée storica della maison a base di 60% Chardonnay e 40% Pinot Nero) e del Rosé Brut Cuvée Rose des Vignes (Pinot Nero e Chardonnay), per proseguire con il Blanc de Blancs Brut Cuvée Francis (100% Chardonnay, caratterizzato da sentori di pompelmo, note burrose e vanigliate che evolvono in nocciole e praline) e terminare
con i loro cru: il Blanc de Blancs Brut “Les Macrêts” (Chardonnay da vecchie vigne, selezione dalla parcella “Les Macrêts” affinato in botti di rovere, in cui vaniglia, note tostate e sentori di moka si fondono bene a prugna e pesca) e il Blanc de Noirs “Les Carabins” (100% Pinot Nero dalla parcella “Les Carabins” affinato in legno di acacia con un naso potente in cui emergono note di frutta candita, fiori, miele e grafite).
Notizia inviata da Giuseppe Ianni della Delegazione FISAR di Tigullio e Cinque Terre
SILENT WINES - SESTRI LEVANTE
L
a seconda edizione di Silent Wines 2017 si è tenuta nei giorni 26 e 27 marzo nella splendida cornice dell’Ex Convento dell’Annunziata, affacciato sulla Baia del Silenzio a Sestri Levante. Quest’anno il tema era l’incontro tra regione Liguria e Nord Ovest italiano: oltre 70 produttori di vino (con più di 300 etichette) e moltissimi espositori di eccellenze
alimentari si sono ritrovati per una due giorni all’insegna del gusto. Protagoniste quindi sono state la Liguria e la Lunigiana, parte dell’Emilia Romagna, la Lombardia, il Piemonte e la Valle d’Aosta. Il successo dell’evento è andato oltre le più rosee aspettative e ha visto la presenza di oltre mille persone; con tasca e bicchiere, appassionati ed
operatori del settore si sono dedicati alle diverse degustazioni enogastronomiche proposte: i vini potevano anche essere abbinati al cibo in esposizione o a quello cucinato al momento (focaccia al formaggio, acciughe, muscoli alla marinara ed altre specialità liguri). Ringraziamo di cuore i nostri Soci per l’aiuto e tutti i Delegati che con noi hanno collaborato. il Sommelier | n. 3 - 2017
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Notizia inviata da Emma Lami della Delegazione FISAR Valdichiana
LA VALLE DEL GIGANTE BIANCO: XIII EDIZIONE
S
i rinnova con la XIII edizione de LA VALLE DEL GIGANTE BIANCO, il progetto ITINERARI DIVINI 2017 che la delegazione Fisar Valdichiana attua ogni anno all’interno della Manifestazione organizzata da GLI AMICI DELLA CHIANINA. Quest’anno il progetto ,che ha come sempre visto la collaborazione dei Consorzi di tutela del Chianti, Chianti classico, Brunello di Montalcino, Vino Nobile di Montepulciano, Orcia DOC, Cortona DOC, Valdichiana DOC, ha compreso al suo interno, oltre ad una serie di degustazioni gratuite e guidate,anche 4 “Laboratori del gusto” che hanno avuto come tema: - 7 TERRITORI
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PER IL SANGIOVESE- in cui il vitigno Sangiovese è stato presentato nelle sue varie peculiarità secondo il terroir di provenienza. Il tutto in abbinamento a prodotti tipici componenti i buffet di degustazione. I laboratori, che hanno usufruito della professionalità dei nostri sommelier e relatori ,si sono svolti nei giorni 28 maggio, 31 maggio, 2 giugno e 3 giugno. Quest’ultimo, tra l’altro, ha avuto un significato particolare in quanto ne è stata partecipe una delegazione di Ay-Champagne in visita al Comune di Sinalunga con cui è in gemellaggio. Presenti il sindaco di AY, IL Presidente del Consorzio dello Champagne, il sindaco di Sinalunga ed altre
autorità comunali. Il laboratorio ha avuto come cornice la storica Tenuta LA FRATTA ,fattoria in cui si alleva la pura razza Chianina, onore e vanto dei prodotti di eccellenza toscani. Per cui, eccellenza con eccellenza, non poteva mancare una efficiente illustrazione e degustazione del Sangiovese curata dal Consigliere Nicola Masiello, relatore dell’occasione... Al prossimo anno!
Notizia inviata da Germano Febo della Delegazione FISAR L’Aquila
NUOVI SOMMELIER IN FISAR L’AQUILA
I
nuovi esperti del vino si sono dati appuntamento in Umbria nella Cantina Lungarotti. La bella cerimonia, avvenuta in un’atmosfera suggestiva, è iniziata con la visita dell’azienda e del Museo del Vino. Dopo invece, è avvenuta la consegna degli attestati ai nuovi sommelier. Presenti alla cerimonia la presidente nazionale Fisar Graziella Cescon, il responsabile di zona del centro tecnico nazionale Andrea Di Lorenzo, il delegato Marcello Carrabino, i consiglieri Marco D’Alessandro e Germano Febo. La presidente Cescon ha conferito ai nuovi sommelier sia gli attestati che il ‘tastevin’ ovvero la piccola, tradizionale ciotola in argento (o in metallo argentato), usata per la degustazione del vino
e che viene portata al petto come emblema. Grandissima soddisfazione ovviamente, per i neo esperti di vini che ora potranno spendere la nuova qualifica anche e soprattutto a livello lavorativo. “Ancora una volta una grande gioia per noi il conferimento dei diplomi ai nuovi sommelie della Fisar- dichiara entusiasta Marcello Carrabino delegato Fisar L’Aquilaringraziamo tutti i partecipanti e gli intervenuti, in particolare la presidente nazionale della federazione Graziella Cescon”. Al termine della consegna degli attestati si è passati all’assaggio di ottimi vini: Umbria Grechetto IGT 2016, Bianco di Torgiano DOC Torre di Giano 2015, Torgiano Rosso Riserva DOCG Rubesco
Vigna Monticchio 2009, Torgiano Vin Santo DOC 2009. Questi i neo sommelier Fisar: Vittoriano Berardicurti, Matteo Cervellini, Carmine Cipollone, Francesco Colangelo, Franca Di Felice, Vita Di Felice, Mario Felli, Simona Filippi, Mario Flammini, Vittoriano Frigioni, Carlo Maurizi, Leonardo Sulla, Lorenzo Valente, Federico Venturini.
Notizia inviata da Emma Lami della Delegazione FISAR Valdichiana
CONSEGNA ATTESTATI 1° LIVELLO
A
Febbraio ha avuto inizio il corso per Sommelier FISAR di !° livello, presso il Golf Club Valdichiana di Bettolle e giovedi 15 giugno 2017 vi è stata la consegna degli attestati presso la Pizzeria NAPOLI – Bettolle. Tra i corsisti si è instaurato, come sempre accade, un buono spirito di gruppo che ha permesso a tutti, dal D.C. ai sommelier in servizio, ai docenti ,di lavorare con serenità e desiderio di quel rapporto dare-avere, necessario al conseguimento di validi risultati. Questi i nomi dei corsisti: Armanno Oreste Riccardo, Arrigucci Manuel, Barile Pasquale, Barbagli Elettra, Bernardini Beatrice, Biagiotti Laura, Caruso Silvia, Ciuoli Giovanni,
D’Ambrosio Gloria, Fiorino Davide, Gabriele Calzini, Giannini Emanuele, Iacovone Manuele, Laurenzi Valentina, Lesti Laura, Mangiavacchi Giulia, Massai Valentina, Mazzolai Elisa, Mencattelli Serena, Minetti Mirko, Naumova Svetlana, Pazzaglia Paolo, Pinsuti Anna Maria, Rossi Annalisa,Salvadori Massimo, Spanò Salvatore, Spataro Rosetta. Il corso si è avvalso, come lezioni pratiche, di due visite in cantina dove i corsisti hanno potuto in parte convalidare sul luogo quei contenuti aquisiti solo teoricamente durante le lezioni. La 1° azienda visitata è stata quella di Capitoni Marco situata in prossimità di Pienza ed i cui vini fanno parte della Orcia Doc. Qui il gruppo ha
potuto usufruire della calda ospitalità della famiglia Capitoni che ha messo in degustazione i suoi vini accompagnati da gustosità culinarie. La 2° è stata l’Az. Sasso di Sole che oltre alla visita in vigna ha permesso di effettuare una ricca degustazione dei Vini aziendali e, in anteprima, del suo primo Spumante .
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Notizia inviata da Andrea Zanardo della Delegazione FISAR Venezia
A PEGOLOTTE DI CONA (VE) CONSEGNA DEGLI ATTESTATI E TASTEVIN AI NEO SOMMELIER
V
enerdì 21 Aprile a Pegolotte di Cona (Ve), presso l’Azienda Agrituristica “Tenuta Civrana” alla presenza del Sindaco Alberto Panfilio, del Presidente della Cantina Cona-Cavarzere Dr. Stefano Tromboni, del Delegato Fisar Venezia Lorenzo De Rossi e del RDZ Lucio Chiaranda, sono stati nominati i seguenti nuovi sommelier: Francesco Agostinetto, Francesco Bazzanini, Valeria Bullo, Alberto Bozzato, Ivan Cipriani, Adriano Gallo, Sonia Giacomin, Andrea
Grande, Loredano Grande, Marco Mattia, Giovanna Tiengo, Chiara Tramonte, Alessandro Vianello e Diego Zampollo. DCSF Andrea Zanardo. Durante la Cena di Gala sono stati serviti dalle sommelier Elisa Lucano e Cinzia Vanzan, in abbinamento ai piatti tipici della Tenuta Civrana, i vini della Cantina Cona-Cavarzere che collabora con la Cantina Colli Euganei di Vo’ denominata “I Poderi del Doge”, Prosecco DOC Biologico, Pinot
Grigio DOC Biologico, Cabernet DOC Corti Benedettine, Raboso IGT ed infine il sontuoso Moscato Spumante DOCG Fior D’Arancio. La serata è stata allietata dalla presenza di due maestri di musica, che hanno intrattenuto i conviviali con musiche di sottofondo di arpa e violino. Un grazie particolare all’azienda “Tenuta Civrana” nelle persone di Roberto Curto e Alberto Bozzato, Direttore e Responsabile Eventi, per l’ottima organizzazione e per la consueta ospitalità.
Notizia inviata da Laura Grossi dalla Delegazione FISAR MILANO
PARTNER DI TASTE OF MILANO, FISAR MILANO PRESENTA I PIWI
C
on oltre 20 ristoranti e chef, 84 piatti, oltre 50 vini in mescita e le eccellenze italiane della birra e del caffè, l’8a edizione di Taste of Milano si è caratterizzata come uno degli eventi di punta della nuova settimana del Food a Milano, eredità di Expo 2015, nonché
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un’occasione unica per vivere la “Milano Gourmet” che detta le nuove tendenze culinarie a livello nazionale e mondiale. FISAR Milano ha avuto l’onore di partecipare, dal 4 al 7 maggio scorsi, a questa importante kermesse gastronomica internazionale, in qualità di Partner tecnico dell’evento conducendo 4 eventi di degustazione legati al tema dell’Innovazione nel Vino. In collaborazione con Trentino Wine e Skywine, FISAR Milano ha condotto quattro laboratori proponendo un percorso degustativo fra i vini ottenuti da incroci e approfondendo il tema dei vitigni resistenti e le relative prospettive di una viticoltura sostenibile. È stato infatti approfondito il tema dei PIWI, vitigni ottenuti da incroci interspecifici che
hanno sviluppato caratteristiche che li rendono particolarmente resistenti ad alcune malattie e che hanno dimostrato di sapersi adattare ad altitudini inusuali per la vite. Nel corso delle degustazioni dedicate, con i Sommelier FISAR Milano impegnati nel servizio, sono stati sviluppati 4 filoni di indagine: i PIWI delle Terre Alte; i PIWI delle Aree Urbane; il Vino Sperimentale da Vigneti IASMA ottenuti attraverso incroci varietali di vitis vinifera e la Produzione Biologica incrociata con la rifermentazione tradizionale “sur lie”, approcciando temi che abbracciano l’innovazione tecnologica sia in termini di ricerca, sperimentazione e applicazione tecnica che di sostenibilità ambientale.
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