Il Sommelier NR.1/08

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ISSN 1826-6533

Organo ufficiale della FISAR - Tariffa R.O.C.: ”Poste Italiane S.p.A. - Sped.Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004) v46, art. 1 comma 1, DCB Po”

Rivista di enologia, gastronomia e turismo

€ 4,10 Anno XXVI - Numero 1 - Gennaio-Febbraio 2008



ENOGASTRONOMIA, TURISMO, CURIOSITÀ

COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE

In questo Numero

L’opinione del Presidente - Vittorio Cardaci Ama

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Il turismo legato al mondo del vino - Roberto Rabachino Speciale Congresso - Mario Del Debbio Uno sforzo premiato dal successo - Fabio Loda News dall’Italia

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In Famiglia

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La segreteria comunica

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L’alba di un nuovo toscano - Andrea Battistuzzi »

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L’anteprima del Picolit DOCG Piera Genta

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Le saline della Guérande: una natura ancora “naturale” - Silvana Delfuoco »

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Pantelleria, la Perla nera del Mediterraneo Attilio L. Vinci

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Un grande vigneto chiamato Aquitania Giancarlo Roversi

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Spumeggianti record del made in Italy Roberto Rabachino

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Fermentato: non solo vino - Gudrun Dalla Via

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Molise: la riscoperta della Tintilia Luca Iacopini e Massimo Bracci

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La Birra dei Celti - Enza Bettelli

La storia di una dinastia in Cognac Roberto Rabachino

CULTURA DEL VINO

SCIENZA, TECNICA E APPROFONDIMENTI

La maialatura - Giovanni Staccotti La cultura del vino è un elogio alla consapevolezza del bere e.... un «atto di rispetto della vita» - Cinzia Tosetti

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Lettera del Presidente

Normalmente è a fine anno che si fanno i bilanci consuntivi e preventivi, da noi, si sa, questi resoconti si fanno all’inizio dell’anno per gli ovvi motivi cronologici di stampa. Il processo di rinnovamento avviato dall’attuale Consiglio Nazionale poco più di un anno fa comincia a dare i primi frutti. Da quel campo incolto dove crescevano, più o meno spontaneamente, colture non omogenee, oggi possiamo iniziare a guardare ad un podere ordinato, con le coltivazioni uniformi e somiglianti nella forma e nello stile. Ora, a prescindere dalle facete similitudini, posso affermare che quanto ci eravamo proposto incomincia a vedersi e a toccarsi con mano: il Manuale Pratico del Sommelier, già ristampato, è un ottimo supporto per tutti coloro che si accostano al mondo della degustazione ragionata del vino; il volume di enografia in adozione ai corsi di secondo livello è stato aggiornato in attesa di una nuova pubblicazione, in due volumi, prevista per l’autunno prossimo, così come è prevista l’uscita del nuovo libro sulla tecnica dell’abbinamento Vino/Cibo, che sarà in dotazione nei corsi di terzo livello. Posso anche affermare che i nostri aspiranti Sommelier oggi sono provvisti del più completo materiale didattico: basta guardare il contenuto della valigetta del sommelier fornita ai corsisti di primo livello. Quest’anno avvieremo anche il processo di qualificazione del corpo docenti; impegno molto ambizioso e certamente laborioso: abbiamo la consapevolezza di potere raggiungere la cima dell’eccellenza dal punto di vista della formazione, seria, qualificata e libera da vincoli commerciali. La Fisar guarda anche oltre le frontiere dell’associativismo, siamo sensibili alle problematiche sociali legate all’uso e abuso dell’alcol; ci siamo impegnati attraverso le pagine del nostro giornale con una campagna che invita all’uso consapevole dell’alcol e stiamo lavorando ad un progetto di ricerca sul tasso alcoliemico di fine lezione nei corsi per sommelier:

di Vittorio Cardaci Ama

Mangiare bene e sano, questo permette l’Italia

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la Delegazione di Catania in collaborazione con il Centro Antiveleni della Rianimazione “Antonella Caruso” di Catania e il Compartimento della Sicilia Orientale della Polizia Stradale, nell’ottica della divulgazione della “Cultura del Bere per il rispetto della Vita” realizzerà uno studio per la determinazione del tasso alcoliemico che si registra a fine lezione dei corsi organizzati per la qualificazione dei Sommelier. Il protocollo di ricerca è già pronto e sarà a disposizione di tutte le Delegazioni una volta completato lo studio. Vorrei anche ricordare che la Fisar ha aderito al Movimento Liberi da OGM, il quale ha raggiunto l’obiettivo prefissato con la raccolta delle firme; il tema del quesito della Consultazione Nazionale era “Vuoi che l’agroalimentare, il cibo e la sua genuinità, siano il cuore dello sviluppo, fatto di persone e territori, salute e qualità, sostenibile e innovativo, fondato sulla biodiversità, libero da OGM?”. Mangiare bene e sano, questo permette l’Italia, con la straordinaria varietà dei suoi prodotti agroalimentari di qualità, vino in testa, legati ai territori, genuini, ricchi di storia, che tutto il mondo apprezza, compera e tenta persino di imitare. Penso che nessun’altra organizzazione di settore, così come la stampa specializzata in enogastronomia, abbia manifestato tale sensibilità e interesse. Concludo con la convinzione che la via intrapresa sia quella giusta, l’importante è percorrerla tutti insieme e uniti per raggiungere un unico obiettivo: La FISAR quale simbolo indiscusso di professionalità, stile e competenza. Auguro a tutti i Soci e ai Lettori un Duemilaeotto denso di emozioni e tanta serenità.

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Il Sommelier

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Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008


Editoriale del direttore

L’enoturismo è una forma di turismo culturale che punta alla conservazione e valorizzazione dei territori agricoli, in particolare vitivinicoli, proponendo un modo diverso di vivere la vacanza associandola alla visita ad aziende vinicole con degustazione dei vini tipici e di piatti locali.

di Roberto Rabachino

Il turismo turismo

legato al mondo del vino In questi termini il turismo del vino risponde anche ai recenti cambiamenti di stile di vita che inglobano non solo il crescente bisogno di un contatto autentico con la natura ed il territorio, ma anche di riscoperta delle proprie origini. Il turismo del vino o enoturismo, forma del più generale turismo enogastronomico da un lato e di quello rurale dall’altro, non è certo un fenomeno dei nostri giorni. Fino dall’antichità, l’uomo ha descritto nel suo viaggiare i luoghi, le emozioni, i personaggi che incontrava, ma soprattutto i cibi e i vini che degustava e che solitamente venivano associati ai luoghi di produzione o alle

taverne ed osterie dove venivano consumati. Nel medioevo, gli ordini religiosi che gestivano i luoghi di ristoro lungo i pellegrinaggi fino a Roma, offrivano ai passanti i vini, che venivano usati come corroboranti o come medicinali. Da queste poche indicazioni storiche si può capire che già all’epoca c’era un interesse per il settore enogastonomico, anche se si trattava solo di una forma embrionale di turismo e si manifestava solo in certe occasioni. In Italia, nel passato, l’andar per cantine non era un fenomeno occasionale e nuovo, bensì consolidato ed antico, legato all’acquisto del vino sfuso presso il produttore, anche agevolato dalla capillare presenza di aziende sul territorio. In questo comportamento l’aspetto che rimaneva defilato era però il binomio turismo/vino come veicolo economico e sociale. Al contrario, l’attuale turismo del vino presenta caratteristiche di un vero e proprio fenomeno culturale, il quale, inserito nei recenti cambiamenti di stile di vita, ingloba non solo il bisogno di riscoperta delle proprie origini, ma anche di un contatto autentico col territorio. Ripercorriamo questo passaggio culturale. Fino ai primi anni Novanta il turismo del vino non aveva ancora ricevuto un battesimo ufficiale e non possedeva un nome che lo identificasse, in quanto rappresentavano rare eccezioni in cui cantine italiane apriva-

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nel 1993 nascono le prime associazioni legate al turismo del vino

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per comunicare con il Direttore: direttore@ilsommelier.com

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Editoriale del direttore

l’attuale turismo del vino presenta caratteristiche di un vero e proprio fenomeno culturale

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no le loro porte al pubblico per le visite e non solo per l’acquisto. È infatti solo nel 1993 che nascono le prime associazioni legate al turismo del vino. L’enoturismo diventa dalla metà dei anni novanta una forma di turismo culturale che punta alla conservazione e valorizzazione dei territori agricoli, in particolare vitivinicoli, proponendo un modo diverso di vivere la vacanza associandola alla visita ad aziende vinicole con degustazione dei vini tipici e di piatti locali; una particolare forma della produzione turistica che permette di entrare pienamente in comunione con la realtà del luogo per instaurare un legame dialettico con il suo trascorso, per

appropriarsi delle sue tradizioni e del suo patrimonio storico culturale. Non bisogna comunque pensare che in ogni zona di produzione vitivinicola si possa fare anche enoturismo in quanto il territorio e il vino che caratterizzano un percorso o un distretto enoturistico devono avere una propria tipicità, vale a dire caratteristiche particolari dal punto di vista storico, culturale e paesaggistico in grado di offrire una valida alternativa ai modelli di vita urbana, all’omologazione dei consumi e alla standardizzazione degli stili di vita.

5000 incidenti stradali l’anno sono dovuti all’eccesso di alcol.

Bevi con giudizio

La cultura del bere per il rispetto della vita pagina 4

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Cultura e sapori

Una antica tradizione, quella della birra nel Galles, che può vantarsi di aver sostenuto l’industria mineraria rinfrancando e dissetando gli uomini che vi lavoravano. di Enza Bettelli

La Birra Birra dei Celti Celti Nel Galles si parla di birra già all’epoca dei Celti, che la aromatizzavano con miele e spezie dandole un caratteristico gusto dolce. Con il tempo questa tradizione si è persa e la produzione gallese si è allineata ai gusti correnti, pur se le birre si sono mantenute più dolci e maltate rispetto quelle inglesi. Della antica Welsh Ale è comunque rimasto il nome, e viene prodotta con un gusto ancora pieno e morbido che tuttavia lascia indovinare l’alcool. Il Galles è un Paese molto verde, ricco di vallate e corsi d’acqua, con tantissimi castelli che sono il retaggio di epoche magiche come quella di re Artù, ma non bisogna dimenticare che la sua tradizione è industriale e soprattutto mineraria. E proprio per placare la sete dei minatori, che praticamente vivevano nel buio e nella polvere dei tunnel che scavavano per estrarre il carbone, e degli operai che lavoravano il ferro, la birra era l’unico sollievo alla fine di gior-

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Cultura e sapori

Il Galles è un Paese molto verde, ricco di vallate e corsi d’acqua

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nate di lavoro durissime. Era infatti abbastanza economica, dissetante e nutriente allo stesso tempo, non eccessivamente alcolica, perfetta quindi sotto ogni punto di vista. La birra era parte della vita quotidiana, si utilizzava per cucinare e durante il periodo natalizio le si attribuiva un ruolo di buon augurio spargendola sull’aratro, per il momento inattivo. A quel periodo risale inol-

tre la prima birra in lattina, prodotta proprio nel Galles nel 1940 a forma di cono, introdotta nel Regno Unito dalla Felinfoel. Tutti i pubs producevano la loro birra e nel diciannovesimo secolo ci fu il boom dell’industria e delle birrerie, bloccato però dopo qualche tempo dal movimento della chiesa Metodista che si batteva per la temperanza e contro la birra, ritenuta bevanda del diavolo. Crollo quindi delle birrerie gallesi che dalle decine sorte per fronteggiare la domanda si ritrovarono ben presto ridotte a potersi contare sulle dita di una mano. Oggi Cardiff non è più la città mineraria di un tempo bensì una città vivace in cui sono rimaste solo alcune tracce della polvere di carbone. E sembra incredibile, ma da una recente indagine sembra che i giovani gallesi preferiscano sempre più di frequente il vino alla birra e che, secondo una proiezione abbastanza attendibile, tra non molti anni sarà proprio la bevanda mediterranea a soppiantare quella del grande Nord. Un bel dilemma per i pubs che devono accontentare le richieste degli avventori tradizionali, ma che non possono certo lasciarsi sfuggire la clientela più giovane. Iechyd da (salute) dunque alla birra gallese Carne di qualità Se la produzione della birra ha un po’ perso terreno nel Galles, è invece sempre importante l’allevamento di ovini e bovini. La loro carne è davvero di grande qualità e viene esportata in tutto il mondo anche se i quantitativi non possono essere, per ovvie ragioni, molto elevati. Agnello e manzo gallesi sono contrassegnati da un marchio che li contraddistingue e li garantisce, oltre al certificato di tracciabilità. Grazie alla tipologia del territorio gli animali sono da considerarsi di allevamento biologico perché vivono sempre all’aperto nei pascoli, spesso anche d’inverno. Le razze sono parecchie e vengono presentate a cadenze fisse in occasione delle molte fiere che ogni anno si tengono nel Galles. La più importante è quella a Builth Wells, la Royal Welsh Show alla quale partecipa spesso anche il principe Carlo, il quale ha regalato alla moglie Camilla per i suoi 60 anni un montone di razza rarissima. Nel 2007 la fiera ha presentato 1000 espositori e 7600 capi di bestiame (ovini, caprini, cavalli, maiali e pennuti) con ben 200.000 visitatori.

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Cultura e sapori

Siamo nel 1765, l’anno in cui Richard Hennessy approda in Cognac per questioni di guarnigione.

La storia di una dinastia

di Roberto Rabachino

in Cognac Cognac Appena ventenne, Richard Hennessy, figlio minore di un nobile irlandese, lascia la contea di Cork per servire Luigi XV in seno alla brigata irlandese del reggimento di Clare. Il susseguirsi delle battaglie danno modo al giovane Richard di distinguersi nella lotta contro gli Inglesi e di guadagnarsi la fama di gentiluomo “coraggioso e galante”. Di stanza sull’Ile de Ré, Richard Hennessy scopre il fascino e la dolcezza di una regione, la Charente, e le sue straordinarie caratteristiche. La Charente, vicina alla costa atlantica, ha un terreno calcareo ideale per la coltivazione della vite, combinato ad un clima molto particolare. Si tratta di un insieme armonioso per una regione unica in cui le viti vengono coltivate da secoli. Così, a 36 anni, Richard Hennessy decide di lasciare l’esercito per il commercio delle acquaviti. Per completare il proprio talento di commerciante, Richard Hennessy combina il savoir-faire di tutta una regione e sceglie Cognac, “l’unica città di provincia in cui si commercia in acquaviti”, dove si trasferisce nel 1765. Vengono scritti i primi anni di una dinastia prestigiosa, che non mancherà mai di perseguire lo spirito di conquista del suo fondatore. Nasce così la Maison Hennessy destinata a divenire, nel corso di circa 30 anni, la più grande Maison de Cognac nel mondo. Richard Hennessy comprende ben presto la necessità di selezionare le migliori acquaviti. Animato dal medesimo spirito, considera il tempo un alleato che migliora le qualità delle sue riserve. Chiaro esempio della continua ricerca della perfezione, Richard Hennessy cerca per oltre 10 anni quella che diventerà la Cantina del Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

Fondatore. È nel 1774 che troverà questo luogo essenziale, che garantisce al suo Cognac le condizioni ottimali di conservazione. Da questa data le migliori acquaviti del Cognac Hennessy sono custodite nella Cantina del Fondatore.

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Cultura e sapori

Chiaro esempio della continua ricerca della perfezione, Richard Hennessy cerca per oltre 10 anni quella che diventerà la Cantina del Fondatore

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In pochi anni Richard si appropria dei segreti delle eccezionali acquaviti di Cognac che, dopo due distillazioni, liberano un alcool puro come acqua di sorgente, e comprende l’importanza di conservarne le migliori qualità in fusti di quercia, dove l’alcool può assorbire lentamente aromi e sapori unici. L’amore e la passione di Richard Hennessy si uniscono ben presto alla tecnica e all’arte di un altro uomo destinato a legare il suo nome alla storia del Cognac: Jean Fillioux, Maître De Chai per Hennessy dal 1800. Il matrimonio di queste due famiglie nel nome del più puro e nobile dei distillati dura da oltre 200 anni e oggi vede all’opera l’ottava generazione della famiglia Hennessy con la settima della famiglia Fillioux, protagoniste di una storia lunga e ricca di sfide intraprese e traguardi raggiunti. Dalla Rivoluzione francese alle guerre napoleoniche, la Storia segna il ritmo dell’attività economica del paese. Ma coraggiosi e convinti delle qualità dei loro Cognac, gli Hennessy non smettono di viaggiare alla conquista di nuovi mercati. Al volgere del secolo, l’Azienda Hennessy è una delle più prospere. Dopo aver affrontato i blocchi marittimi successivi alle guerre franco-inglesi e le speculazioni dei mercati, il marchio Hennessy si trasforma in una potente rete commerciale. Richard Hennessy e suo figlio James comprendono ben presto l’importanza dei porti neutrali come Ostenda, oltre alla necessità di una rappresentanza a Londra. Anche James si assocerà con il londinese George Sandeman all’inizio del diciannovesimo secolo. Con la nuova generazione, Jacques Hennessy proseguirà, con convinzione, il cammino di perfezione tracciato dai suoi avi.

Hennessy inizia presto a valicare le frontiere e a farsi conoscere in tutto il mondo. I legami irlandesi del suo fondatore faranno da base a quello che diventerà il più grande mercato di esportazione di Hennessy: l’Inghilterra. Tra il 1859 e il 1865, il mercato britannico assorbe circa il 90% delle spedizioni Hennessy. Ma l’importanza di tale mercato si comprende solo se si è a conoscenza del fatto che la maggior parte della ridistribuzione mondiale viene effettuata da Londra. Londra è soprattutto un trampolino di lancio verso altri lidi e annuncia la folgorante espansione nei quattro angoli di mondo. Nonostante il XVIII e il XIX secolo siano stati devastati dalle guerre napoleoniche e dal blocco marittimo, lo spirito avventuriero e conquistatore dei suoi dirigenti porta il marchio fino nelle Americhe. Nel 1794 Hennessy esporta la sua prima bottiglia negli Stati Uniti e nel 1803 si impone come la prima Maison di Cognac sul mercato statunitense. Un primato che mantiene ancora oggi, considerato che oltre la metà delle bottiglie di Cognac vendute negli Stati Uniti porta il suo marchio. Nel 1865 Hennessy crea quello che diventerà il “marchio ufficiale del Cognac”: stelle incise con un ferro incandescente sulle botti che indicano l’età di conservazione del distillato. Grazie all’apertura a Londra dell’Hennessy’s Agency nel 1840, la produzione destinata all’export sale al 90%. Hennessy sarà anche il primo a raggiungere l’Oriente per impossessarsi del mercato asiatico. La prima bottiglia del prezioso distillato raggiunge nel 1868 il Giappone, mercato del quale ben presto il marchio diventa leader, per poi passare alla conquista di quello cinese nel 1872.

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Cultura e sapori

coraggiosi e convinti delle qualità dei loro Cognac, gli Hennessy non smettono di viaggiare alla conquista di nuovi mercati

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A metà del XIX secolo, molto prima di altri marchi, Hennessy prende coscienza del potere evocativo del proprio nome. Si afferma sulle bottiglie, crea le proprie etichette e, segno della sua fama, il nome viene subito contraffatto. Diventato il punto di riferimento dei grandi liquori, Hennessy affronta il volgere del secolo nella posizione di leader incontrastato. Il marchio è ormai conosciuto nei quattro continenti. All’alba del nuovo secolo, il mondo cambia. È finito il tempo della propaganda; nasce la pubblicità ed Hennessy comprende immediatamente che è il momento propizio per un’ulteriore affermazione del proprio marchio. Mentre Hennessy sviluppa la propria rete commerciale in tutto il mondo, il suo Cognac si impone come il liquore bevuto in prima classe, tanto che il marchio diventa un’icona pubblicitaria. Divenuta un vero punto di riferimento del proprio tempo, Hennessy entra nelle case e si trasforma nel momento privilegiato di coloro per cui il sogno confina con il piacere. Dagli anni trenta agli anni cinquanta, sui più grandi piroscafi del mondo o nei migliori hotel, non vi è menù, bar o tavola in cui non figuri il nome Hennessy. Ma non sono solo traguardi di mercato quelli che segnano la crescita di Hennessy: nel 1870 Maurice Hennessy aveva creato un nuovo Cognac: X.O frutto delle migliori qualità di acquaviti e ricco di assemblaggi straordinari che inizialmente viene riservato solo ai membri della famiglia ma che nel tempo è stato accolto come espressione ufficiale della più alta qualità nel mondo del Cognac. Anche questo contribuisce ad accreditare definitivamente Hennessy come leader mondiale non solo in termini di presenza sul mercato ma di autorevolezza e notorietà del brand nella percezione di appassionati e intenditori. Una tappa fondamentale nella storia della famiglia e dell’azienda è segnata, poi, dalla Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

fusione nel 1971 con Moët & Chandon e la creazione di uno dei più prestigiosi gruppi di liquori al mondo, la società Moët Hennessy. Un accordo lungimirante che permette alle due società di beneficiare, negli anni successivi, di un potere commerciale unico e di affermare la loro leadership di mercato. Al fine di consolidare il gruppo, inoltre, nel 1987 Moët Hennessy firma un accordo con la società Louis Vuitton, creando la prima holding di beni di lusso francese: LVMH. Attualmente la famiglia Hennessy, giunta alla sua ottava generazione, è rappresentata da Maurice Hennessy, responsabile del programma di training Hennessy, per lo sviluppo e la conoscenza del brand Hennessy, e Ambassadeur di alcuni eventi e opere sponsorizzate dalla compagnia Jas Hennessy & Co. Prima tra tutte e simbolo del legame fortissimo che lega la storica azienda alla sua terra è stata la realizzazione di un complesso architettonico adibito a spazio espositivo ricavato dalle banchine ai bordi della Charente. L’apertura di questo edificio di architettura contemporanea nel 1996 ha creato un polo d’attrazione culturale di cui beneficia tutta la regione, che si propone di far riscoprire i molteplici aspetti della vita degli abitanti della Charente legati al Cognac.

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Cultura e sapori

Dalla caducità all’immanenza in un crescendo delle destinazioni delle parti del maiale da consumare subito fino alle parti intere conciate per durare nel tempo attraverso impasti freschi o da cuocere di Gianni Staccotti

La maialatura maialatura

I latini tenevano in grande considerazione pane e prosciutto, che chiamavano panisperna dedicandogli una via nell’antica Suburra

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Il vocabolario ci indica che maialatura è la serie di operazioni occorrenti per la preparazione e la conservazione delle carni suine. Quando si parla di carni conservate il pensiero corre al maiale che da tempo immemorabile grufola attorno alla casa del contadino con lo scopo di fornire scorte di cibo ad alto potere calorico nel freddo inverno. La tradizione vuole che alcuni specialisti fossero

La musica di Verdi è come il maiale, non vi è nulla da buttar via Verdi era un appassionato della spalla di San Secondo, egli aveva cercato anche di comperare la Rocca di San Secondo, per erigervi la Casa di Riposo per musicisti, e in una sua lettera al Conte Arrivabene si trova questa frase: “Io non diventerò feudatario della Rocca di S. Secondo, ma posso benissimo mandarti una spalletta di quel santo... Anzi te l’ho già spedita stamattina per ferrovia. Quantunque la stagione sia un po’ avanzata, spero la troverai buona. Devi però mangiarla subito prima che arrivi il caldo. Sai tu come va cucinata? Prima di metterla al fuoco bisogna levarla di sale, cioè lasciarla due ore nell’acqua tiepida. Dopo si mette al fuoco dentro un recipiente che contenga molta acqua. Deve bollire a fuoco lento per sei ore, poi la lascerai raffreddare nel suo brodo. Fredda che sia, ossia 14 ore dopo, levarla dalla pentola, asciugarla e mangiarla...”. Scrivendo a Teresina Stolz, il soprano boemo, grande interprete del repertorio verdiano, donna affascinante, sicura di sé, di cui il Maestro si invaghì, Verdi scende nei particolari della ricetta per cucinare la spalla di San Secondo: “Allegata a questa mia riceverete dalla Ferrovia due spallette uso San Secondo, che noi mandiamo una per voi e l’altra per la famiglia Ricordi. Scegliete quella che volete, ma badate che per cuocere bene la spalletta bisogna: 1) Si mette in acqua tiepida per circa dodici ore, onde levargli il sale; 2) Si mette dopo in altra acqua fredda e si fa bollire a fuoco lento, onde non scoppi, per circa tre ore e mezzo, e forse quattro per la più grossa. Per sapere se la cottura è al punto giusto, si fora la spalletta con un curedents e se entra facilmente la spalletta è cotta; 3) Si lascia raffreddare nel suo brodo e si serve. Guardate soprattutto alla cottura; se è dura non è buona e se è troppo cotta diventa asciutta e stopposa. pagina 10

chiamati nei cascinali per abbattere i maiali con un ben assestato colpo di mazzuolo, da cui il nome di mazzò con cui i lombardi indicano chi abbatte i maiali, ne lavora le carni e le rivende ai dettaglianti; da non confondere con i norcini, che svolgono mansioni analoghe nell’Italia centrale. Norcini o mazzò, tutti erano i protagonisti della maialatura: una ritualità del cibo che si ripete puntualmente ogni anno in epoche diverse in contrade differenti per clima e consuetudini. Il momento adatto ci viene suggerito dalla tradizione popolare con alcuni proverbi “Per Sant’Andrea (30 novembre), ciapa al porch per la sea” (per Sant’Andrea prendi il porco per le setole); così si dice nelle località della “bassa”. Nel modenese e nel bolognese si usa dire: “Per San Tòmès (21 dicembre) ciapa al porch per al nès” (per San Tommaso, prendi il porco per il naso); e ancora, “Per Santa Lucia (13 dicembre) e per Nadèl, al cuntadèin maza al purzèl” (per Santa Lucia e per Natale il contadino uccide il maiale). Nel

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Cultura e sapori

giorno di Sant’Antonio abate (17 gennaio) si procedeva al sacrificio del maiale con una cerimonia che coinvolgeva l’intera famiglia e che culminava con una pantagruelica mangiata delle parti non utilizzate per la confezione dei salumi e dei salami. La ritualità del cibo povero Dalla cottura di cotenne, piedini, codini, costine e qualche salamin di verz, unite alle foglie delle verze che, gelando sono più facili alla cottura, si otteneva la posciandera. Pietro Verri, nella sua ”Storia di Milano”, riferendosi all’undicesimo secolo, scriveva: Quando le campagne avevano bisogno dí pioggia si poneva una grande caldaia sul Centodieci maniere di far vivande dal porco Nel 1667 il bolognese Vincenzo Tanara, scrisse un ponderoso trattato di 600 pagine intitolato “L’economia del cittadino in villa” dove, tra le altre indicazioni, elenca centodieci maniere di far vivande dal porco. Sei sul lattonzolo e due sul porco servito intero; quattro per la testa, altrettante per il collo e due per il grugno; una per la barbaglia, ovvero la gola, e ben cinque dedicate alla lingua. quattro per le cervella e due alle ghiandole. Al fegato tre, altri ai reni ai testicoli e perfino alla vulva, tanto apprezzata da Apicio e cantata da Orazio, pur se proibita dalle leggi censorie. Al sangue sono dedicati tre capitoli, cinque alle costole e al petto e poi alle coratelle e alle cotenne. Si passa poi alle parti più nobili con i cinque modi di preparare la coppa, sei per la spalla; quattro per la lonza. La pancetta, che gli antichi chiamavano sumen, può essere trattata in cinque modi. Ma è il lardo ad occupare la parte più vasta con dodici punti più tre per la sugna, che potrebbe essere l’Abdomen degli Antichi, battuta con un bastone ed unita ad altrettanto lardo, benissimo e minutissimamente tritato, si pone in un caldaro e si fa fondere sul fuoco, facendolo bollire sino a quando non si vedrà più schiuma e sia cotto assai (si lascia struggere fintanto che non sia completamente strutto). Si dice strutto. Si cola attraverso un canovaccio in vasi, pentole oppure olle o vesciche e si fa rassodare all’aria fredda. Si ripone in dispensa fresca ed aerata. Serve Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

per i quotidiani bisogni della cucina, perché con esso si frigge ogni cosa, si unge e si mantiene morbida, gustosa ogni vivanda sia essa fatta arrosto o in stufato. Con lo strutto si frigge il pane, in modo da averne crostini. Con lo strutto impastato con farina si fa una pizza zuccherata, mielata, assai buona. Con lo strutto si fanno diverse paste per i pasticci, invero squisiti. Ai coscetti il Tanara dedica dieci capitoli che iniziano con la definizione: Il coscietto del porco è detto prosciutto e dagli antichi perna. I latini tenevano in grande considerazione pane e prosciutto, che chiamavano panisperna dedicandogli una via nell’antica Suburra. La via Panisperna, in tempi più recenti assurse a grande notorietà perché passò ad indicare i Ragazzi di via Panisperna, con il quale si indicava gruppo di fisici, quasi tutti giovanissimi, che presso il Regio istituto di fisica dell’Università di Roma, allora ubicato in via Panisperna, collaborarono con Enrico Fermi alla scoperta, nel 1934, delle proprietà dei neutroni lenti, scoperta che dette l’avvio alla realizzazione del primo reattore nucleare e della bomba atomica. Ma torniamo al termine prosciutto che si riferisce a un taglio del maiale, in particolare la coscia posteriore conciata a secco e lavorata con una mistura contenente sale e altri ingredienti, spesso con percentuali di nitrati e nitriti come conservanti. In seguito esso viene lasciato ad asciugare (la parola prosciutto deriva, infatti, dal latino proexsuctus che significa prosciugato) e a stagionare. È quindi improprio chiamare la

Concluso il momento di celebrazione del sacrificio del maiale, si passa alla trasformazione delle parti del maiale più pregiate in salumi e salami

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coscia del maiale cotta: prosciutto cotto, in quanto non ha subito alcun trattamento di prosciugamento, semmai è stata aggiunta acqua durante la cottura, quindi si può propendere nel definirlo coscio cotto. Il Tanara dedica cinque capitoli alle estremità anteriori del maiale, perché quelle posteriori non possono essere utilizzate in quanto sono profondamente incise per raggiungere i tendini che consentono di appendere l’animale macellato alla gancinaia, e precisamente tre capitoli ai piedini e due agli zampetti. In particolare il novantaquattresimo: Tutto lo zampetto sbollentato, liberato da unghia e ossi, si rovescia, si condisce con sale e pepe, e si riporta nella posizione originaria. Si mette in soppressata farcito di lardo e carne salata e si espone all’aria ad asciugare. Si mangia quando si vuole. Ma ancor meglio, raddrizzato si farcisce di grugni di Porco, orecchie, altri zampetti, il tutto tritato ed amalgamato con l’aggiunta di una libbra di sale per ogni venticinque libbre di impasto e quattro once di pepe ammaccato. Si chiude ogni rottura cucendola con l’ago, si lega al di sopra e si mette ad asciugare. Una tecnica giunta immutata fino a noi e nella quale riconosciamo il succulento zampone: uno dei simboli del ghiotto cosmo dei salami e dei salumi ai quali il cantore del maiale dedica dieci capitoli. Nell’ immensa galassia del divin porcello si potrà navigare in una prossima occasione, al momento teniamo presente l’aforisma che....del maiale non si butta via niente... della maiala si conserva il numero di cellulare. pagina 11


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La tradizione vuole che alcuni specialisti fossero chiamati nei cascinali per abbattere i maiali con un ben assestato colpo di mazzuolo

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fuoco ín sito aperto e vi si facevano bollire legumi e carni, poi si mangiava e spruzzavansi d’acqua i circostanti”. Si trattava di un cibo abituale nell’area culturale celtica dove si cucinavano insieme carni, insaccati e verdure: un cibo che si ritrova ancora oggi nel “pote gallego” tipico della Galizia, la regione storica della Spagna settentrionale con capitale Sant Jago de Compostela. In tutta la Francia meridionale, nella regione storica dove si parlava la “langue d’oc” si preparano innumerevoli variazioni di potèe: pignattata di carni stufate con verdure. Il termine classico di bottaggio che si dà alle preparazioni di carni stufate con verdure non deriva da potage, che pur derivando anche lui da pot:vaso, è una minestra, ma da potée: pignattata. Il Cherubini, nel suo vocabolario milanese italiano del 1834, definisce “Cazzoeura”, (sinonimo di posciandra) il cibreo e aggiunge: forse è voce rimastaci dopo il governo di Ferrante Gonzaga governatore spagnolo di Milano nel XVI secolo. Infatti quando gli spagnoli giunsero a Milano diedero all’antico piatto celtico il nome del contenente, come è loro abitudine (vedi paella ecc. ) e quindi la posciandera è diventata cazzoeula (la casseruola in spagnolo).

Concluso il momento di celebrazione del sacrificio del maiale, si passa alla trasformazione delle parti del maiale più pregiate in salumi e salami che si possono dividere in grandi famiglie: i primi costituiti da parti intere sottoposte a concia e salagione e poste a stagionare, tal quali come il prosciutto crudo o insaccate come la coppa e il sublime culatello; i secondi da carni macinate fino a formare un impasto con sale e spezie raccolto in un budello, legato e appeso a stagionare in locali freschi e ventilati oppure destinati a pronto consumo freschi come le salsicce o previa cottura come i cotechini e le mortadelle.

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Le “stragi del sabato sera” sono il solo frutto dell’incoscienza, o anche dell’incapacità degli adulti e delle istituzioni, nel saper prevenire le esigenze dei più giovani. di Cinzia Tosetti

La cultura del vino è un elogio alla consapevolezza del bere e.... un

«atto di rispetto rispetto della vita» vita

È quasi divenuta una consuetudine. Leggendo il giornale o ascoltando il TG nazionale del lunedì veniamo informati delle tragedie che si sono consumate sulle strade il fine settimana appena trascorso, tragedie dovute all’alta velocità, alla distrazione, alla stanchezza, alle strade sottodimensionate per l’alto numero di veicoli in circolazione, ai plurimi lavori in corso che causano ingorghi e notevoli ritardi e anche all’abuso di bevande alcoliche, evidenziati grazie ai più accurati controlli sul tasso alcolico nel sangue. Purtroppo a fare le spese di questo massacro settimanale sono soprattutto i giovani, meno esperti nella guida e più incoscienti verso il futuro, ignari della triste realtà che vede la macchina tanto osannata divenire la peggiore arma omicida. E così ognuno di noi quando si reca al cimitero, porta dei fiori a qualche parente o amico, perso tragicamente sull’asfalto, per non parlare di coloro che, seppur ancora vivi, hanno dimenticato il sorriso. E il lunedì successivo i canali di informazione ci comunicano, cambiando semplicemente i numeri, di altre stragi sulle strade. In questa divulgazione, ormai divenuta tragica consuetudine, i media hanno capito che parlare di abuso di alcool attrae maggiormente l’attenzione della massa. E quindi, come spesso succede, se ne parla a dismisura senza analizzare a fondo il problema. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

Nessuno parla del fatto che oggi i diciottenni neo patentati girano con una 1.800 di cilindrata, regalata dal papà, che può viaggiare oltre i 240 km/h, mentre un tempo ci si poteva appena permettere la mitica “500” che di chilometri ne faceva appena 80/h; nessuno dice che i locali da ballo iniziano la musica “ballabile” all’una del mattino e che chiudono dalle 2 alle 3 ore dopo, mentre un tempo si iniziava alle 22 e alla una dopo la mezzanotte i più giovani rientravano a casa. Si continuano a penalizzare le discoteche, specialmente le più piccole, quelle di paese per intenderci, che sono costrette a chiudere, e

La nostra civiltà è nata, è cresciuta e si è evoluta con il vino, una bevanda da sempre presente nella nostra cultura

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nessuno si accorge che i giovani pur di incontrarsi e di socializzare, il fine settimana macinano chilometri per raggiungere il luogo di incontro più vicino. Le analisi sono tante e profonde, e forse

“I benefici dell’uso e la tossicità dell’abuso” Per sostenere una corretta posizione, è necessario conoscere i pro e i contro derivati dal consumo del vino e delle altre sostanze alcooliche. Sentiamo al riguardo il parere del Dr. Sergio Pintaudi Direttore del Dipartimento di Emergenza Ospedale Garibaldi di Catania. “La nostra civiltà è nata, è cresciuta e si è evoluta con il vino, una bevanda da sempre presente nella nostra cultura che si presenta con due facce, quella del farmaco capace di guarire e quella del veleno capace di distruggere. I componenti benefici presenti nel vino sono i Sali con azione antiacida, diuretica e potensiva; gli Acidi Organici che sviluppano una attività digestiva, battericida e di protezione intestinale; i Polifenoli che hanno azione antiossidante, antibatterica, antivirale e una protezione capillare;e l’Alcool Etilico che imprime un’azione energetica, digestiva, analgesica, ipotensiva, preventiva di calcoli biliari, vasodilatatrice e antiarteriosclerotica. Inoltre il vino ha effetti salutari su alcuni organi del nostro organismo: al Fegato con l’induzione enzimatica e l’aumento di produzione di bile con maggiore smaltimento dei grassi; al Cuore con l’azione tonica, antiarteriosclerotica, antitrombosi, con l’au-

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basterebbe essere più vicini ai giovani di oggi per capire meglio i loro divertimenti e il loro spirito di aggregazione. Ma essere obiettivi è sempre molto difficile e i sistemi di informazione non hanno il tempo per esserlo, il loro compito è semplicemente quello di divulgare una notizia. E la notizia oggi è l’alcool, chissà perché non il suo abuso, ma l’alcool e quindi va demonizzato! E come tutti sanno tra i tanti elementi che compongono l’ineguagliabile bevanda che è il vino, è presente anche l’alcool. Stiamo però dimenticando che l’Italia, è uno dei maggiori produttori di vino al mondo. E nulla importa se dietro a questo ci siano attività, produzioni, economia, lavoratori e professionisti che con serietà da anni portano avanti la cultura del bere bene, e del bere sano. Mai il suo abuso.

mento di produzione di adenosina e la protezione da ischemia cronica, con la riduzione di 1/3 della comparsa di schemie; al con Cervello l’aumento delle funzioni dinamiche della memoria, la protezione dall’attacco istemico e la protezione dalla demenza senile; ai Reni con maggiore perfusione per effetto della vesodilatazione e maggiore diuresi; allo Stomaco con maggiore secrezione di succhi gastrici, maggiore mobilità gastrica e maggiore acidificazione del bolo alimentare; all’Intestino con azioni antisettiche, astringenti, antiputrefattive e infine al Sangue con azione di ipocolesterolemia, ipoazotemia, emopoietico, alcalinizzante, antiemorrragico. Va inoltre ricordato, - continua il Dr. Pintaudi – che l’alcool è l’unica sostanza, presente nel vino che, se assunta in eccesso, può provocare danni all’organismo umano. Il nostro sistema nervoso reagisce con un effetto bifasico: a) a basse dosi: con risposte euforiz-

zanti che corrispondono ad una messa in gioco del sistema monoaminergico; b) a dosi più elevate: con risposte ansiolitiche e sedative che corrispondono all’inibizione degli aminoacidi eccetatori e ad un incremento dell’attività gabaergica. L’etanolo, o alcol etilico, deprime profondamente il nostro sistema nervoso. La sua apparente stimolazione è invece dovuta al fatto che deprime i meccanismi di controllo inibitorio. Gli effetti quindi sono proporzionali alla quantità. In piccole quantità l’effetto è eccitante, in grandi quantità l’effetto diventa deprimente!”

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La posizione delle categorie di settore. Per fortuna, e con molta saggezza, le varie associazioni di settore si stanno attivando per prevenire un futuro proibizionismo che non sarebbe utile a nessuno tanto meno a coloro che fanno dell’abuso e della sregolatezza una regola di vita. Durante la manifestazione “Itinerari del Gusto” tenutasi nel Parco Commerciale “Le Zagare” a San Giovanni La Punta (CT) dal 28 al 30 settembre u.s. si è svolto un forum dal titolo “Guida sicura – La cultura del bere per il rispetto della vita”, durante la quale esponenti delle più autorevoli associazioni di settore si sono succeduti per sottolineare la loro posizione al riguardo. Il pensiero della FISAR già la conosciamo, ma le parole Presidente Vittorio Cardaci Ama sono state molto dirette e incisive ed hanno monopolizzato la platea: “L’Associazione che rappresento, da parecchio tempo sta portando avanti una ferrea politica rivolta all’educazione al bere. I nostri corsi sono indirizzati alla conoscenza e alla cultura del bere, i nostri allievi apprendono già dalle prime lezioni il corretto consumo del vino. Per questo siamo con le altre associazioni di settore a sostenere il comparto enologico produttivo ed economico italiano. Il nostro slogan “La cultura del bere per il rispetto della vita” è il nostro «modus vivendi» che vuole sostenere uno stile di vita sano e consapevole da parte di fasce sempre più ampie della popolazione”. Gli stessi principi sono stati espressi dal prof. Gregorio Calì, delegato ONAV della Provincia di Catania che ha sostenuto che: “Saper bere è come saper mangiare e saper vivere: in sintesi è sempre la dose che fa il veleno. Nei nostri corsi impariamo anche a bere bene, per saper scegliere prodotti di più elevata qualità mantenendo ferme alcune posizioni che posso sintetizzare nella regola delle “5 W”: dove (where), quando (when), chi (who), perchè (why) e cosa (what), per non dimenticare che il vino va bevuto con moderazione, accompagnato dal buon cibo e in simpatica compagnia”. Riportiamo anche la posizione espressa dal dr. Salvatore Arcidiacono, fiduciario A.I.B.E.S. della Regione Sicilia, che sottolinea come anche la loro Associazione ha sottoscritto il Codice Etico di Autoregolazione per la Sicurezza Stradale promosso dal Ministro dell’Interno, il Ministro per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive e la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome. “Tra i vari punti - dice il dr. Arcidiacono-, voglio sottolineare come l’iniziativa da noi sottoscritta tende a limitare e contrastare il fenomeno delle «stragi del sabato sera» che coinvolge principalmente giovani in età tra i 15 e i 29 anni. L’obiettivo è quello di orientare i giovani alla cultura del moderato consumo e alla responsabilità della guida dell’auto nella moderazione della velocità. Oltre a ciò inoltre è importante che i giovani imparino a scegliere ciò che bevono. Anche la qualità del prodotto ha la sua importanza”. Tutti i referenti delle Associazioni sono stati concordi nel promuovere l’identificazione del “Guidatore Designato”, ossia colui che, in un gruppo, si impegna a non bere alcolici. A queste persone, il sommelier, il barman o comunque coloro che somministrano le bevande, saranno tenuti a servire bibite esclusivamente analcoliche.

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Al pari del fumo, vietato nei locali pubblici, si ritiene che sia più utile educare e responsabilizzare il consumatore e il personale addetto alla somministrazione, sui limiti e i divieti al consumo di alcool piuttosto che scrivere, come ipotizzato, sulle etichette delle bottiglie, frasi dirette e pesanti che potrebbero danneggiare un comparto produttivo serio, economicamente sano, e in crescita specialmente nell’esportazione. È quasi divenuta una consuetudine. Leggendo il giornale o ascoltando il TG nazionale del lunedì veniamo informati delle tragedie che si sono consumate sulle strade il fine settimana appena trascorso, tragedie dovute all’alta velocità, alla distrazione, alla stanchezza, alle strade sottodimensionate per l’alto numero di veicoli in circolazione, ai plurimi lavori in corso che causano ingorghi e notevoli ritardi e anche all’abuso di bevande alcoliche, evidenziati grazie ai più accurati controlli sul tasso alcolico nel sangue. Purtroppo a fare le spese di questo massacro settimanale sono soprattutto i giovani, meno esperti nella guida e più incoscienti verso il futuro, ignari della triste realtà che vede la macchina tanto osannata divenire la peggiore arma omicida. E così ognuno di noi quando si reca al cimitero, porta dei fiori a qualche parente o amico, perso tragicamente sull’asfalto, per non parlare di coloro che, seppur ancora vivi, hanno dimenticato il sorriso. E il lunedì successivo i canali di informazione ci comunicano, cambiando semplicemente i numeri, di altre stragi sulle strade. In questa divulgazione, ormai divenuta tragica consuetudine, i media hanno capito che parlare di abuso di alcool attrae maggiormente l’attenzione della massa. E quindi, come spesso succede, se ne parla a dismisura senza analzzare a fondo il problema. Nessuno parla del fatto che oggi i diciottenni neo patentati girano con una 1.800 di cilindrata, regalata dal papà, che può viaggiare oltre i 240 km/h, mentre un tempo ci si poteva appena permettere la mitica “500” che di chilometri ne faceva appena 80/h; nessuno dice che i locali da ballo iniziano la musica “ballabile” all’una del mattino e che chiudono dalle 2 alle 3 ore dopo, mentre un tempo si iniziava alle 22 e alla una dopo la mezzanotte i più giovani rientravano a casa. Si continuano a penalizzare le discoteche, specialmente le più piccole, quelle di paese per intenderci, che sono costrette a chiudere, e nessuno si accorge che i giovani pur di incontrarsi e di socializzare, il fine settimana macinano chilometri per raggiungere il luogo di incontro più vicino. Le analisi sono tante e profonde, e forse basterebbe essere più vicini ai giovani di oggi per capire meglio i loro divertimenti e il loro spirito di aggregazione. Ma essere obiettivi è sempre molto difficile e i sistemi di informazione non hanno il tempo per esserlo, il loro compito è semplicemente quello di divulgare una notizia. E la notizia oggi è l’alcool, chissà perché non il suo abuso, ma l’alcool e quindi va demonizzato! E come tutti sanno tra i tanti elementi che compongono l’ineguagliabile bevanda che è il vino, è presente anche l’alcool. Stiamo però dimenticando che l’Italia, è uno dei maggiori produttori di vino al mondo. E nulla importa se dietro a questo ci siano attività, produzioni, economia, lavoratori e professionisti che con serietà da anni portano avanti la cultura del bere bene, e del bere sano. Mai il suo abuso.

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Degustandibus

Lungo il letto dell’Orcia si sentono i primi vagiti di un piccolo gigante allevato accanto a due colossi del vino italiano.

di Andrea Battistuzzi

L’alba di

un nuovo toscano toscano “

queste colline, divenute da qualche anno patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, subiscono infatti mutamenti climatici così come i loro prodotti

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Tra i filari che uniscono le cantine di Montalcino con quelle di Montepulciano sta infatti crescendo l’economia della DOC Orcia, nata nel febbraio 2000 in un vasto territorio di tredici comuni della provincia di Siena, che vanno da Sinalunga fino al confine della provincia di Perugia, passando per i vicoli di Pienza e le stesse colline di Montalcino e Montepulciano, che la nuova DOC invade per qualche chilometro. Dopo i primi esperimenti del 2001, usciti sul mercato sull’onda della nuova etichetta, la DOC è arrivata al pubblico di fatto solo da cinque anni (i primi invecchiamenti si sono assaggiati nel 2003), mentre nel 2006 la settantina di aziende iscritte all’Orcia ha messo sul mercato 150 mila bottiglie, con un potenziale per i prossimi anni di almeno 500 mila. Un vino dunque tutto in divenire ma che nella terza edizione del “Divin Orcia”, organizzata dal Consorzio della DOC nel novembre scorso, ha fatto segnare una maturazione che nel giro di pochi anni potrebbe portare le

cantine locali a competere ad armi pari con molte altre etichette toscane. Se in molti cioè davano quasi per spacciato un vino nuovo nato accanto ad etichette già inattaccabili sul mercato, proprio la scia del Rosso di Montalcino e del Nobile fanno oggi da volano all’Orcia, attirando appassionati e con l’esperienza di molte cantine che ai vini storici hanno affiancato la produzione di un altro frutto delle stesse colline. Una DOC in cui il Bianco, come da tradizione di queste parti, compare praticamente solo sulla carta con i suoi 16 ettari iscritti oggi nei registri, contro i 200 di Orcia Rosso con cui le aziende del basso senese hanno in sette anni sostituito le vecchie vigne di IGT. L’alta qualità a cui mirano i produttori la si evince già dal disciplinare del 2000, che ha fissato un tetto basso di produzione per etta-

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Degustandibus

Tra i filari che uniscono le cantine di Montalcino con quelle di Montepulciano sta crescendo l’economia della DOC Orcia

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ro (80 quintali di uva), ed un limite minimo di 3500 ceppi (la media è più alta visti i 4200 ceppi minimi richiesti dall’U.E. per i fondi Ocm), ma che ha lasciato ampio margine di manovra agli enologi fissando appena al 60% la soglia minima di Sangiovese. Un tetto cui si affiancano così grosse percentuali di vitigni internazionali, di Malvasia e addirittura di Syrah, con risultati dunque dalla personalità molto diversa da cantina a cantina, grazie anche alle varie tipologie di invecchiamento. Se il disciplinare consente infatti di essere sul mercato già nel marzo successivo alla vendemmia in molti, come il Podere Forte od il Sasso di Sole, puntano ad invecchiamenti più lunghi per la fascia alta del mercato, producendo così vini molto diversi all’interno della stessa denominazione. Il consorzio ha proposto nei mesi scorsi di affiancare alla DOC una “Riserva” con standard di invecchiamento più lunghi ed una percentuale minima dell’85% della più famosa delle uve toscane, che consentirebbe così di scrivere “Sangiovese” sulle etichette. Un vino che cambia, dunque, per un territorio che cambia. Anche queste colline, divenute da qualche anno patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, subiscono infatti mutamenti climatici così come i loro prodotti. Se il riscaldamento terrestre degli ultimi cinquant’anni ha contribuito con le estati più calde alla qualità del vino toscano, gli studi dell’Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione nel settore agricolo forestale mostrano un futuro dalle temperature tropicali che modificherà profondamente il suolo con piogge più brevi e più intense alternate ad estati siccitose. Mutamenti che costringeranno a correre ai ripari per salvare olio,

vino e tartufi, prime vittime dei mutamenti del terreno. Un rischio enorme per il suolo toscano ed il suo Sangiovese che nessun’altra zolla del pianeta è ancora riuscita a crescere con gli stessi risultati. Ci vorranno dunque ancora cinque o sei anni per vedere se anche tra i filari della val d’Orcia si compirà il prodigio di queste colline stregate che tutto quello che toccano trasformano in oro. O meglio in vino. Tartufo bianco, Siena punta sulla trasparenza Certificare la provenienza dei tartufi sul mercato italiano per difendere il consumatore ed i luoghi d’origine. È uno degli obiettivi della provincia di Siena che per il XXII° anno consecutivo ha festeggiato a San Giovanni d’Asso il tartufo bianco delle crete senesi in due week end di novembre abbinati alla DOC Orcia ed al Franciacorta. Il tartufo bianco senese viene così venduto quest’anno con una carta di qualità che ne certifica l’origine, sopperendo così alla carenza normativa che oggi consente al commerciante di vendere i tuberi senza l’obbligo di dimostrarne la provenienza. Tracciabilità tanto più necessaria visti i prezzi raggiunti quest’anno che hanno superato, per la provincia toscana, i 4500 euro al chilo. L’impennata dei prezzi è dovuta alla minore offerta sul mercato conseguente al mutamento del clima che ritardato le piogge estive, che vede ammalarsi le piante storicamente adatte al tartufo (salici e pioppi in testa) e che con il trend attuale dimezzerà per fine secolo, secondo l’ARSIA, le aree di raccolta toscane.

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Degustandibus

È un vino che non fa pensare all’uva, ma al polline dei fiori diluito nella rugiada

L’anteprima del

di Piera Genta

Picolit DOCG Picolit DOCG Prestigioso vitigno autoctono a bacca bianca, originario dei terreni eocenici della fascia collinare orientale della provincia di Udine a ridosso del confine con la Slovenia. 60 ettari, coltivati da 130 produttori, circa 100 ettolitri per meno di 180 mila bottiglie da mezzo litro ogni anno. Una produzione piuttosto scarsa a causa di un particolare fenomeno naturale che prende il nome di acinellatura dolce: soltanto alcuni acini (appena 10-15) del grappolo giungono a completa maturazione dando luogo a uve estremamente ricche di zuccheri. Dopo una vendemmia a scalare, a seconda del grado di maturazione dei grappoli, si fa seguire una vinificazione in bianco che prevede la pressatura soffice e la successiva maturazione durante la quale è consentito anche l’affinamento in botte. Le origini del Picolit sono incerte, si tratta di uva antichissima, coltivata in Friuli fin dai tempi dei Romani, ma le prove certe della sua esistenza sono molto più recenti. A inizio Ottocento lo studioso Giorgio Gallesio lo descrisse nella sua “Pomona Italiana”, una raccolta di immagini e descrizioni di frutta e alberi fruttiferi pubblicata tra il 1817 e il 1839. Lo chiama piccolito e scrive che “è una vite che ha ricevuto il nome dalla picciolezza dell’uva che produce” spiegando poi il fenomeno dell’aborto floreale riproducendo un disegno del grappolo e della foglia. Il vino è un vino-liquore che ha la riputazione di gareggiare col Tokay e col Capo. È dolce come i vini santi; ma il suo dolce è gentile; e lo spirito che lo anima è così ben combinato che ne Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

rileva la fragranza e gli dà una soavità tutta propria. [...] Il Picolit lo si trova citato anche nel Saggio di Ampelografia Universale di Giuseppe Di Rovasenda (1877), in quella del Conte Odart (1849) e nel catalogo dei vitigni di Agarotti (1867). Il maggior produttore nel Settecento fu il conte Fabio Asquini di Fagagna. Si dice che ne esportasse oltre 100 mila bottigliette della capacità di un quarto di litro alle Corti di Inghilterra, Francia, Olanda, Austria, Russia, Toscana e Savoia. Nell’Ottocento lentamente la produzione di Picolit subì una fase di arresto a causa della filossera per poi ritornare vigorosa negli anni Settanta del XX secolo. La resurrezione moderna di questo vitigno è legata alla famiglia Perusini, i nobili proprietari di Rocca Bernarda, antica residenza signorile edificata nel 1567 e diventato luogo simbolo del Picolit.

Il Picolit è per i friulani il vino delle grandi occasioni, di difficile abbinamento, come un brillante preferisce la solitudine

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Degustandibus

Le origini del Picolit sono incerte, si tratta di uva antichissima, coltivata in Friuli fin dai tempi dei Romani, ma le prove certe della sua esistenza sono molto più recenti

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Il primo studio ampelografico sul vitigno porta la data del 1906 e la firma di Giacomo Perusini: si tratta di un’analisi chimica comparata del suo Picolit e di quello del conte Fabio Asquini, di cui ne conservava un campione. Nel mese di Ottobre il Consorzio Colli Orientali del Friuli ha organizzato a Cividale una degustazione in anteprima del Picolit 2006 per celebrarne la DOCG, la seconda assegnata al Friuli Venezia Giulia dopo il Ramandolo, e per diffondere la conoscenza della varietà e della storia di questo vitigno. In occasione dell’anteprima si è tenuto un importante convegno storico e tecnico: un momento di riflessione su un vino dolce per eccellenza nel panorama vitivinicolo italiano che affascina per le sue potenzialità organolettiche e le straordinarie qualità aromaticoolfattive. Il Consorzio Colli Orientali del Friuli, nato nel 1970 e presieduto da Pierluigi Comelli, riunisce circa 200 soci, dei quali circa i 3/4 sono imbottigliatori. Dai loro vigneti (2300 ettari iscritti all’albo) producono oltre 80 mila ettolitri di vino DOC, dei quali almeno il 30 per cento viene commercializzato all’estero. Già nel Settecento il conte Asquini, uomo colto e di grandi intuizioni, voleva che il suo Picolit fosse un prodotto unico e facilmente identificabile; così si fece progettare una bottiglia in vetro verde chiaro appositamente soffiata dai maestri vetrai di Murano; utilizzò tappi di sughero di gran qualità che ordinava a Londra; applicò una l’etichetta al turacciolo, come sigillo di garanzia ed un’altra, rettangolare, sul fianco della bottiglia. E la sua intuizione è utilizzata oggi. Adesso più che mai il Picolit è il fiore all’occhiello dell’enologia friulana, un prodotto di grande valore, così il Consorzio ha fatto studiare un

packing speciale, presentato durante l’anteprima: una bottiglia, prodotta in esemplari numerati con etichetta personalizzabile da ogni azienda produttrice ed un marchio esclusivo. Il Picolit è per i friulani il vino delle grandi occasioni, di difficile abbinamento, come un brillante preferisce la solitudine! Va bevuto a sè, senz’altra compagnia che non sia quella di un’attenzione quasi religiosa, in un silenzioso colloquio, che deve essere gelosamente confidenziale, fra il vino da una parte, la vista, l’olfatto e il palato dall’altra. Non ultimo da ricordare Luigi Veronelli, che ne scrisse per primo nel 1959 “...non credo vi sia in Italia un vino piu’ nobile di questo”.

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Girovagando

La côte d’Amour, La Baule e Le Croisic. Un week-end nella Bretagna del sud può essere l’occasione buona per scoprire l’insolito mondo dei “marais salants”.

Le saline della

di Silvana Delfuoco

Guérande: Guérande una natura ancora “naturale” naturale Passami il sale... non ha sale in zucca... il sale della vita... come sa di sale lo pane altrui... Davvero, come fare a meno del sale, tanto nella realtà del quotidiano come nel mondo dell’immaginario? Indispensabile per esaltare il cibo del corpo come quello dello spirito, in realtà ci accorgiamo di lui solo quando è troppo o troppo poco. La sua presenza, asso-

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lutamente necessaria, va infatti attentamente misurata: cum grano salis dicevano, non a caso, i nostri saggi antenati! La raccolta del sale ha avuto una parte non piccola anche nella storia della civiltà, così prezioso da essere per secoli oggetto di monopolio statale (ricordate la “gabella”, la famigerata “tassa sul sale che nel nome risale nientemeno che alla Kabala?).

il fascino della Guérande: un paesaggio che ha traversato il tempo senza lasciarsene scalfire

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La raccolta del sale ha avuto una parte non piccola anche nella storia della civiltà, così prezioso da essere per secoli oggetto di monopolio statale

In terra di Francia, nel XIV secolo, i contrabbandieri erano pronti a sfidare le peggiori condanne, compresa la pena di morte, pur di riuscire a portare i loro carichi fuori dalla Guérande, la più vasta regione della Bretagna del sud, dove si trovavano le saline forse più importanti d’Europa. Anche se il valore economico del sale oggi non è più paragonabile a quello di un tempo, le saline della Guérande sono ancora lì: una vera e propria manifattura a cielo aperto, che ha fatto di questa regione per molti secoli una sorta di Eldorado della Bretagna. Anche le tecniche di raccolta sono sempre le stesse, rimaste inalterate dall’epoca carolingia. È infatti ai monaci dell’abbazia di Landévennec, nel Finistère, anticamente studiosi di maree, venti e movimenti del sole, che si deve il tracciato del piano delle saline, che non è più stato modificato dal IX secolo ai nostri giorni. È questo il fascino della Guérande: un paesaggio che ha traversato il tempo senza lasciarsene scalfire. La prima sosta d’obbligo del viaggio d’avvicinamento è nella piccola capitale, che dà il suo nome al cantone. Anche nella “citée”, protetta da torri e mura fortificate, il tempo sembra essersi fermato. Dopo una passeggiata nel silenzio della sera, per curiosare tra le pagina 22

botteghe che offrono “le sél” declinato in tutte le sue possibilità, e una notte in hotel, dove è d’epoca anche il possente trave che pende pericolosamente dal basso soffitto, si è pronti per affrontare il “paese del sale”. La strada esce quasi di colpo dal centro abitato per inoltrarsi nelle saline. Siamo circondati da una sorta di “palude organizzata”: luccicanti rettangoli incorniciati da spessi cordoni di cemento che riflettono il sole d’agosto. Che non siamo in una risaia lo si capisce subito osservando le piccole piramidi, di un bianco abbagliante, che emergono qua e là dall’acqua e qualche sparuta presenza umana, che sull’acqua sembra quasi camminare: sono i paludier, con le loro carriole per il trasporto del sale. È questo un lavoro che non fa ricorso a tecnologie avanzate né richiede corsi di aggiornamento a chi lo pratica: l’arte del paludier si fonda solo (e scusate se è poco!) sull’esperienza tramandata di generazione in generazione e sull’indispensabile mantenimento dell’equilibrio fra l’uomo e la natura. Alla fine della sua giornata, un lavoratore non solo avrà prodotto sale di alta qualità, ma avrà anche contribuito, con la sua fatica, alla conservazione di un luogo unico al mondo. Qui si procede secondo il ciclo delle stagioni. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008


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Se l’estate è il momento della raccolta (che avviene in prevalenza la sera, per evitare la rugiada), la preparazione dell’evento porta via gran parte dell’inverno. È durante la stagione fredda che, per proteggere le saline dal gelo e dalle intemperie, il paludier le ricopre d’acqua, curando la pulizia dei canali di alimentazione e di evacuazione. A Guérande, la produzione media varia tra le 60 e le 90 tonnellate annue di sale grosso e tra le 2 e le 3 di fiore di sale. Ma quando il clima, disgraziatamente, non aiuta, si può anche arrivare a quota zero!... Allora chi, oggi, a queste condizioni, ha ancora voglia di fare il paludier? A noi può sembrare curioso, o forse persino stravagante, ma qui c’è anche chi questo lavoro se lo sceglie liberamente, e non solo perché così vuole la tradizione famigliare. All’interno della cooperativa dei “Produttori di sale” di Guérande, c’è un gruppo di combattive signore, tra cui la presidente stessa, Marie-Thérèse Haumont, alcune delle quali arrivate da tutt’altra esperienza. Joëlle Epp, per esempio, faceva la segretaria in Alsazia, quando ha deciso di lasciare il suo tranquillo posto di lavoro per diventare paludière, tanto grande era il suo attaccamento alla costa ovest della Bretagna. Eppure, per parecchi anni, e cioè fino alla legge del 24 aprile 2007 che gli ha riconosciuto lo statuto di “prodotto alimentare”, il sale marino grigio della Bretagna è stato considerato, in Francia, legalmente “non commestibile”! Questo a causa di una manovra concorrenziale dei grandi produttori industriali di sale bianco, nel tentativo di svilire l’importanza del sale bretone, meno ricco di sodio rispetto a quello comune, ma proprio per questo più pregiato per la sua alta percentuale di oligoelementi. L’importante traguardo ha fatto sì che tutti i produttori europei di raccolta manuale di sale (Guérande, Ré e Noirmoutier per la Francia; Huelva e Cadiz per la Spagna; Castro Marim, Aveiro e Figueira da Foz per il Portogallo; Trapani per l’Italia) si unissero finalmente tra loro, creando una Federazione che sta lottando per ottenere dall’Europa sia il riconoscimento AOC e IGT per il prodotto, sia il diritto alla denominazione ufficiale di “Fiore di sale”. Ma se gli apporti benefici del sale non sono certo da mettere in discussione, oggi non dovete temere il sale neppure se state per mettervi a dieta: illustri dietologi stanno ormai ridiscutendo l’importanza del suo giuIl Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

Sale della Guérande Questo sale, considerato scientificamente “buono” per la sua minore quantità di sodio rispetto al sale comune (non supera mai il 94%) e per la sua ricca composizione minerale (magnesio, potassio, calcio,oligo-elementi), è un prodotto al 100% naturale e completo, cioè non raffinato, non lavato e senza alcun additivo aggiunto: un sale che si può “naturalmente” portare in tavola! Il “Fiore del sale”, con i suoi cristalli bianchi come fiocchi di neve, dal leggero aroma di violetta, mette in risalto il sapore del cibo, anche del più delicato: ne basta un pizzico sul piatto già pronto, parola di gourmet!

Indispensabile per esaltare il cibo del corpo come quello dello spirito, in realtà ci accorgiamo di lui solo quando è troppo o troppo poco

sto apporto anche in una alimentazione controllata. E non è un caso che i più recenti trattamenti di bellezza anti-cellulite siano accompagnati da un regime idro-sodico (sale +acqua)... Se poi vi dicono che rovesciare la saliera a tavola porta disgrazia, ricordatevi che basta solo gettarsi dietro la spalla sinistra un pizzico di sale (in questo caso anche non guérandais...) per scongiurare qualsiasi mala sorte!

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Nell’isola “incantata” detta la “Perla nera” del Mediterraneo, incorniciata da un mare azzurrissimo e molto pescoso, gli abitanti son dediti, ciò nonostante, in larga maggioranza, all’agricoltura. di Attilio L. Vinci Fotografie di Letterio Pomara

Pantelleria, Pantelleria la Perla nera del Mediterraneo

La temperatura tipica dell’isola di Pantelleria e le ottime escursioni termiche hanno favorito un’ottima maturazione delle uve

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Molto verosimilmente per le repentine, pericolose tempeste che tosto imperversano. E, non a caso, l’orgoglio della popolazione pantesca sta sopratutto nella coltivazione dello zibibbo (moscato di Alessandria) e nella produzione del moscato e del passito di Pantelleria. “Terreni vineabili, adatti a qualsiasi cultivar, sia autoctona che alloctona, quelli panteschi, capaci – afferma l’enologo Luciano Parrinello, vice Presidente dell’Assoenologi Sicilia - di produrre grandi vini con tannini dolci e nobili. Proprio per questo si registra, ormai da un po’ d’anni, l’approdo di aziende

d’ogni parte d’Italia che impiantano vitigni a bacca nera in particolari zone dell’isola e ad una certa altitudine. La longevità della vite in questi terreni è notevolissima. Fin dai tempi remoti qui veniva coltivata, oltre allo zibibbo, una varietà di vitigno a bacca nera: “il carignano” che i vignaioli apprezzavano per il suo “abboccato”, appellativo riferito non al residuo zuccherino indecomposto, ma alla sua rotondità, per la bassa acidità, e per l’abbondante grasso dei suoi nobili tannini polimerizzati, grazie al sistema di allevamento ad alberello basso, quasi strisciante, al sole”. Pantelleria dista dalla Tunisia (Capo Bonn) circa 70 chilometri appena, da Capo Boeo, Marsala, 110 chilometri. Furono proprio gli arabi ad impiantarvi il vitigno zibibbo, inizialmente destinato all’alimentazione; le cui uve in esuberanza venivano appassite al sole e conservate, per farne consumo nei mesi invernali, con una notevole potenzialità zuccherina e perciò d’energia preziosa per chi si sottoponeva la duro lavoro di campagna. Oggi l’appassimento, sia al sole che in fruttaio, è effettuato soprattutto in funzione del processo di vinificazione. E gli aromi varietali subiscono un notevole calo anche nelle trasformazioni chimiche che fanno emergere aromi e gusti nuovi. Per gli appassimenti di uve destinate esclusivamente alla produzione dei passiti liquorosi Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008


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vengono utilizzate le celle termoigrocondizionate, costituite da una cella coibentata, da un sistema di ventilazione forzata e da una macchina frigorifera che regola la temperatura intorno ai 30°C, quella dell’umidità relativa inferiore al 60% con tempi di appassimento intorno ai 10 – 15 giorni. Con la carica microbica del mosto offerta soprattutto dall’uva appassita ai raggi del sole. Il periodo di raccolta delle uve viene stabilito in molto precoce, precoce, medio, tardivo. “Quest’anno abbiamo registrato un periodo di raccolta lievemente tardivo – informa il dott. Baldo Palermo, addetto stampa dell’azienda Donnafugata. Abbiamo iniziato il 17 agosto ed abbiamo completato le operazioni di vendemmia il 15 settembre. La temperatura tipica dell’isola di Pantelleria e le ottime escursioni termiche hanno favorito un’ottima maturazione delle uve, facendo ben sperare nella produzione di un vino di buon corpo con una finezza aromatica assai interessante, dotato di una spiccata eleganza”. Con il decreto 27 settembre 2000, il disciplinare prevede tipologie che si differenziano per le caratteristiche chimico-fisico ed organolettiche, in base al grado di maturazione, all’esposizione della vigna, alla posizione, alla esposizione ed alla resa della pianta: • Uva zibibbo a maturazione verde che genera mosto a circa 22 gradi Brix • Uva zibibbo a maturazione tecnologica che genera mosto a circa 26 gradi Brix • Uva zibibbo sovramatura su pianta che genera con mosto 28-32 gradi Brix • Uva zibibbo passolata al sole, ancora pigiabile con mosto di circa 39 gradi Brix • Uva zibibbo passolata al sole, contenente dal 55 al 60% in peso di zuccheri riduttori. Le tipologie dei vini DOC previsti dal disciplinare di produzione, invece: • Moscato di Pantelleria • Passito di Pantelleria • Pantelleria Moscato liquoroso • Pantelleria Passito liquoroso • Pantelleria moscato spumante • Pantelleria moscato dorato • Pantelleria zibibbo dolce • Pantelleria bianco frizzante

Pantelleria dista dalla Tunisia (Capo Bonn) circa 70 chilometri appena, da Capo Boeo, Marsala, 110 chilometri zate e raccomandate per la provincia di trapani, in misura massima del 15%. Le uve per la preparazione del Passito e Moscato debbono essere appassite, esclusivamente, al sole, mentre quelle per il liquoroso possono essere ottenute con procedimenti di appassimento tecnico. L’immissione al consumo del Passito di Pantelleria non deve avvenire prima del 1° luglio dell’anno successivo alla vendemmia, e del Pantelleria Passito liquoroso non prima del 1° febbraio dell’anno successivo alla vendemmia. Il Moscato presenta le seguenti caratteristiche: Colore giallo tendente all’ambra. Sapore dolce aromatico di moscato. Profumocaratteristico, fragrante di moscato. Il Passito le seguenti: Colore giallo dorato, talvolta tendente all’ambra. Sapore dolce, aromatico, gradevole. Profumo fragrante, caratteristico di moscato.

Generalmente la base ampelografica impone l’uso del vitigno zibibbo, tranne che per la produzione del Pantelleria Bianco anche frizzante, cui possono concorrere alla produzione uve provenienti dai vitigni composti nell’ambito aziendale, a bacca bianca, autoriz-

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Alla scoperta di uno dei più vibranti territori francesi ricco di suggestioni ambientali, storiche, culturali e di suadenti tesori del palato: vini preziosi, patè de foie gras, tartufi e... olio di noci. di Giancarlo Roversi Direttore Responsabile Atmosphere in flight Meridiana

Basta un cucchiaio di olio di noce al giorno a espletare un’azione salutare, dare energia, senso di sazietà nelle diete ipocaloriche e accrescere gli ormoni della fertilità

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Un grande vigneto chiamato

Aquitania Aquitania Bordeaux, Pèrigord, Aquitania: tre nomi che evocano nella nostra immaginazione uno straordinario cocktail di storia, arte, cultura, antiche tradizioni e, soprattutto, un giacimento di vini ineguagliabili e di sapori suadenti. Parlare di Bordeaux e della regione di cui la città è l’orgogliosa capitale, è impresa improba tanti sono gli stimoli che una visita anche breve può far scaturire. Per questo è preferibile soffermarsi su alcune emozioni che il contatto dal vivo suggerisce per trasmetterle a chi vuole andare alla scoperta dell’Aquitania (il “paese delle acque” dell’impero romano), una terra fra le più pregnanti della Francia. Una terra dove il colpo d’occhio della costa Atlantica si alterna con quello delle cime pirenaiche e con l’armonia delle vallate della Dordogna e della Garonna, i due grandi fiumi che è possibile

percorrere parzialmente su comode imbarcazioni. Senza contare il fascino misterioso delle sue grotte preistoriche, il rigoglio delle colline ondulate ricoperte di boschi e di interminabili tappeti di vigne da cui si distillano nettari preziosi. Il tutto ravvivato da una miriade di castelli arroccati sui costoni delle montagne, da antichi borghi ricchi di suggestioni, da villaggi di charme tra i più belli di Francia e da città con centri storici di eccezionale interesse, costruiti nella luminosa pietra bianca di Quercy. E benedetto a tavola da tentazioni del palato la cui fama ha fatto il giro del mondo. Bordeaux città solare La sosta a Bordeaux, oggi comodamente raggiungibile dall’Italia anche con i comodi voli dai principali aeroporti, è d’obbligo. Inserita dal 28 giugno 2007 nel patrimonio mondiale dell’UNESCO, Bordeaux, definita la “piccola Parigi”, è il primo nucleo urbano a ricevere questo riconoscimento per uno spazio vasto e complesso che si estende su 1.810 ettari (pari alla metà della città), dai grandi viali alle rive della Garonna. Appena vi si approda si resta colpiti dall’eleganza e dall’armonia del suo centro storico ricco di vetuste chiese, di strade animate e di superbi palazzi in pietra gialla, soprattutto dei secoli XVII e XVIII, tra cui il Palais Rohan, il Palais de la Bourse e l’imponente Grand Théâtre, uno dei più sontuosi d’Europa, che testimoniano il suo importante passato. Un passato glorioso grazie al dinamismo dei suoi abitanti e all’intensa attività del suo porto commerciale (il più antico di Francia) e ai Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008


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suoi floridi commerci navali lungo la Garonna che lambisce il nucleo urbano e che, attraverso la Gironda, lo collega col mare. Bordeaux, che ha dato i natali al grande filosofo Montaigne, è una città nobile, solare, grazie alla luminosità della pietra con sono fatti i suoi edifici. Una città che oggi conosce un momento di notevole splendore e che si distingue per la vivacità della sua vita intellettuale e imprenditoriale. Famoso è l’elogio che ne tesse Victor Hugo: “Prendete Versailles, unitela ad Anversa e avrete Bordeaux”. Il che la dice lunga. Per ammirarla nella sua estensione, nella sua silhouette, bisogna passeggiare sulla sponda sinistra della Garonna che da poco si è arricchita di una nuova attrazione, il miroir d’eau, un velo d’acqua di pochi cm. su cui si riflettono la facciata del municipio e la fontana delle Tre Grazie. E che, dopo un attento restauro, presenta al turista in tutto il loro splendore il palazzo della Dogana e la Place de la Borse, uno dei punti più splendidi della città. Senza dimenticare che Bordeaux ha dato il suo nome al primo vitigno del mondo e mantiene anche oggi un posizione di leadership nel firmamento vinicolo internazionale. Proprio grazie a questo primato e alla raffinatezza della sua cucina, “Bordeaux la Golosa” è una capitale del mangiar bene e pullula di ristoranti. Per chi vuole abbinare la piacevole scoperta dei sapori e dei vini bordolesi a una magnifica vista panoramica

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sulla città, sosta d’obbligo al Café du Port (tel. 0033 (0)5778118) situato sul pontone de l’Amérique all’interno di un vecchio hangar sulle sponde della Garonna da cui si gode una magnifica visuale sul fiume, sul Pont de Pierre, sulla cattedrale di Saint Michel e sulle facciate dei palazzi della rive gauche. Fra le sue specialità la tartara di manzo, le tartine di piedi di maiale e foie gras pelato, le ostriche argentate, l’anguilla prezzemolata, le squisite cozze dell’Atlantico. Per dormire nel cuore della città in modo confortevole e a un prezzo ragionevole c’è Hotel Majestic (tel. +33 (0)5 56526044; www.hotel-majestic.com) Il Perigord Il Périgord è suddiviso in due parti: il “bianco”, a nord, e il “nero” a sud, due appellativi dovuti alla diversa copertura del manto boscoso, molto fitto e quindi fosco nel Périgord nero, più diradato e chiaro nell’altro. Entrambi offrono paesaggi molto variati: grotte con pitture rupestri preistoriche, severi castelli e fortilizi, magnifiche e ville e un ricco repertorio di chiese, borghi, abbazie, centri minori pittoreschi (come St-Cyprien, Beynac, La Roque-Gageac et Domne) e città monumentali. Prima fra tutte Périgueux, ricca di suggestioni ambientali nel suo centro storico medievale dominato dalla cattedrale di St. Front (prima metà del sec. XII) e ravvivato dai mercati dei prodotti agroalimentari e dell’artigianato del territorio che inva-

La gastronomia del terroir è fra le più apprezzate e prelibate di Francia grazie ai tartufi

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Bordeaux, Pèrigord, Aquitania: tre nomi che evocano nella nostra immaginazione uno straordinario cocktail di storia, arte, cultura, antiche tradizioni

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dono le sue piazze e danno un senso di gioia a chi li visita non solo per i suoi colori, per le vibrazioni umane, ma anche per l’autenticità e la bontà delle specialità in vendita. Per una piacevole sosta gastronomica basta puntare sul ristorante “La Taula” (tel 0033-0-5 53354002) nella piazza della città, proprio di fronte al mercato delle erbe, dove Christine Maurence ammannisce piatti a base di pesca, carni e ovviamente di foie gras di grande armonia di gusto e semplicità. Degna di una tappa anche Bergerac, patria di Cirano, il protagonista del romanzo di Edmond Rostand. La gastronomia del terroir è fra le più apprezzate e prelibate di Francia grazie ai tartufi, al famoso “paté de foie gras” a base di fegato d’oca (oie) o anche di fegato d’anatra (canard). E grazie ai suoi vini: il Périgord possiede la seconda superficie vitata dell’Aquitania con 12 mila ettari di vigneti di cui tre ad appellazione di origine controllata (AOC, la nostra DOC). La “Strada dei vini e delle cantine” permette ai seguaci di Bacco una stimolante ricognizione del territorio e ha uno dei suoi punti di forza nel Castello di Monbazillac. Eretto 1550, ha attraversato cruente guerre civili e religiose e oggi si presenta al visitatore con le sue superbe torri, il suo interessante Museo del Vino, le antiche cucine, i maestosi saloni, i grandi camini, la “Sala Protestante”, quella dei mestieri, l’ora-

torio e l’antica libreria. Splendida la vista sulle colline ridondanti di vigne da cui si distilla il vino perigordino più celebre, il Monbazillac, elaborato già nel XI secolo dai monaci del Priorato di St. Martin, primi inventori del particolare processo produttivo basato su vendemmie tardive e su un’attenta vinificazione dopo l’attacco ai chicchi del fungo Botrytis Cinerea, che è all’origine della pourriture noble, il nobile ammuffimento, che valse a questo nettare il nome di “vino da Luigi d’oro”. Oltre al DOC Montbazillac, cui è destinata una superficie di 3000 ettari, vanno citati i vigneti di Verdots che producono i vini DOC di Bergerac nei tipi rosso, secco, rosè e quelli delle Cotes de Bergerac: rosso e abboccato (moelleux). Per una degustazione preziosa si può approdare a colpo sicuro alle cantine di David Fourtout a Conne de Labarde (tel 0033 (0) 553583431 www.verdots.com) che ricava i suoi vini da 22 ettari piantati a Merlot (50%), Cabernet Sauvignon (22%), Cabernet Franc (14%) e Malbec (14%). Altri 13 ettari sono distribuiti fra Sémillon, Sauvignon Blanc, Muscadelle e Sauvignon Gris. I suoi celebri “Clos de Verdot”, vinificati secondo la tradizione più ortodossa e portati fino a 18 mesi in cuvée, coniugano aromi suadenti e freschezza nei bianchi e nel rosato e una buona stoffa e rotondità nei rossi. Delizioso anche il tipo liquoroso.

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Chi non va di fretta e vuole gustare con la necessaria calma i tesori dell’enologia perigordina può sostare nell’Enohotel e ristorante La Salvetat a Cadouin (tel 0033 -0-5 53634279; www.lasalvetat.com), un Logis de France insignito di 3 camini e 3 stelle, che occupa una “dimora di carattere” circondata alle colline boscose nel cuore del Périgord Noir (di notte gli ospiti vengono cullati nel sonno dai bramiti dei cervi in amore). Nume tutelare un simpatico patron inglese che propone una cucina di grande eleganza e fragranza nella più pura tradizione francese arricchita di creatività. Un grande noceto Il Périgord oltre che un immenso vigneto è anche un grande noceto. Più di 7000 ettari di imponenti foreste di noci prosperano nella vallata della Dordogna su terreni argillosocalcarei a circa 500 m. di altitudine. Il loro frutto prezioso è la noce tipica DOC Grandjean, di forma arrotondata, commercializzata sia fresca che secca intera o in gherigli. Percorrere la “Strada della noce”, avvolti dal sapore sottilmente balsamico delle foglie dei noceti, offre un intenso piacere, specie in autunno al momento della raccolta quando è possibile gustare il frutto in tutta la sua fragranza. Un’esperienza dal vivo che ha un punto focale nella Ferme de Tournac a Domme (tel. 0033-0-5 53281084) dove ci si muove fra decine di

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alberi di noci e fra anatre e oche allevate per produrre per il patè de foie gras d’oca e di canard. Un autentica emozione dell’anima, allietata oltre che dall’assaggio delle tanti noci ai piedi degli alberi anche dalla degustazione degli incantevoli patè maison (caserecci), che il gentile patron Alain Germain propone agli ospiti. Tra le sue specialità: conserve di carni d’oca e anatra, foie gras fresco, magret e rilettes de canard, dolci e liquori alle noci, noci grigliate e salate e friandises di noci. Ma anche olio di noci, che comunque ha la sua roccaforte nell’antico mulino (sec. XV) dell’Huilerie d’Aiguevive a Cenac et StJulien (tel. 0033 (0) 5 53 28 19 85; www.aiguevive.fr). È avvolto da un folto arboreto che accoglie la storia di 14 varietà di noci. L’olio che se ne ricava è uno dei più famosi di Francia ed è il preferito dal grande chef Ducasse per i suoi inimitabili piatti. È una spremuta d’oro, ricavata da noci bianche selezionate pressate a freddo per conservarne le straordinarie virtù derivate dalla ricchezza di acidi grassi essenziali ricchi di omega 3 e omega 6, indispensabili per la protezione del sistema cardio-vascolare e per la regolazione del metabolismo del colesterolo. Ma ricchi anche di vitamina E, che permette l’assorbimento delle vitamine A, D e K, oltre ad essere un potente antiossidante. Basta un cucchiaio di olio di noce al giorno a espletare un’azione salutare, dare energia,

“Bordeaux la Golosa” è una capitale del mangiar bene e pullula di ristoranti

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Il Périgord è suddiviso in due parti: il “bianco”, a nord, e il “nero” a sud, due appellativi dovuti alla diversa copertura del manto boscoso

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senso di sazietà nelle diete ipocaloriche e accrescere gli ormoni della fertilità. L’Huilerie d’Aiguevive, riportata a nuova vita da Jacques Louge e in relazione stretta con l’Istituto Pasteur di Parigi, possiede anche una boutique che tenta il palato non solo con l’olio, ma anche con noci offerte in mille tentazioni e specialità in eleganti confezioni. Un convinto assertore delle virtù di quest’olio, oltre che suo utilizzatore in cucina, è lo chef Jean Marc che lo propone, coadiuvato dalla gentilissima moglie, nel suo invitante ristorante Bistrot a Saint-Martial di Nabirat, un villaggio tipico del Périgord Noir (www.lesaintmarzial.com). Aperto nel 2003, è divenuto l’approdo di un esercito di buongustai attirati dai suoi piatti a base solo di prodotti e frutti di stagione. Tra le specialità: i medaglioni di foie gras de canard ai grani di cacao e insalata di crescione, i cuori di indivia caramellizzati, le cappesante alle noci e agrumi con julienne d’indivia e crema, funghi champignon, emulsione di zucca e purea di barbabietola al balsamico. Nelle viscere della terra Da non perdere, nel Périgord, l’emozione di scendere con un ascensore mozzafiato nelle viscere della terra all’interno del Gouffre de Proumeyssac, un’immensa voragine, già famosa nel XVIII secolo per le sue terrificanti leggende e battezzata “Cattedrale di cristallo” grazie alle sue pareti decorate da una moltitudine di cristallizzazioni di una densità eccezionale. Giochi di luce accompagnati da

Informazioni: Ente Francese Per Il Turismo Tel.: 899 199 072; www.franceguide.com) Comité Régional de Tourisme d’Aquitaine Tel.: 0033 (0) 5 56.01.70.00 Fax: 0033 (0) 5 56 01 70.07

Comité départemental du tourisme de la Dordogne Tel.: 003 (0) 5 53 35 50 24 Fax: 0033 (0) 53 09 51 41 www.dordogne-perigord-tourisme.fr

Office de tourisme de Bordeaux Tel: 003 (0)5 56.00.66.00 Fax: 0033(0)5 56.00.66.01 www.bordeaux-tourisme.com

MY AIR Tel.: 899 50 00 60 www.myair.com effetti musicali completano l’originalità di questo luogo. La visita è commentata da guide esperte e lascia un ricordo indelebile. Due ascensori scendono fino a 103 m. di profondità dove un sentiero porta alla “Rivière Plane”, fiume sotterraneo lungo 560 m. che si percorre in barca, si continua poi attraverso caverne ricche di laghetti e di concrezioni fino alla grandissima grotta detta la “Salle du grand Dome” alta 91 m. (www.perigord.com/proumeyssac)

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Tempo di Spumanti? Ancora legati al consumo durante le feste? Lo spumante fa bene alla politica? I politici saranno spumeggianti?

di Roberto Rabachino

Spumeggianti record del

La qualità dei nostri prodotti paga soprattutto in termini di incremento del fatturato in Usa e in Svizzera dove Asti e Prosecco hanno superato la quota dello Champagne

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made madein in Italy Italy

Tempo di Spumanti? Ancora legati al consumo durante le feste? Lo spumante fa bene alla politica? I politici saranno spumeggianti? A queste domande sindaci, amministratori e onorevoli hanno risposto nei modi più diversi, dividendosi in due poli: uno favorevole alle deregulation degli abbinamenti e della stagionalità dei consumi e l’altro invece molto rigido alle regole dei corsi di degustazione. Questo è stato il tema del convegno che ha appassionato giornalisti di radio, televisione e carta stampata, da Andrea Gabbrielli a Alessandro di Pietro, da Camilla Nata a Federico Quaranta, da Fabio

Turchetti a Toni Cosenza e tanti altri. Presenti i politici dall’on. Gaetano Pecorella all’assessore Bruno Manzi della provincia di Roma, da Floriano Zambon presidente delle città del vino europee al sindaco Pietro Giorgio Davì in rappresentanza di tutte le città Doc italiane. Il Festival ha sottolineato che i vini Spumanti sono vini per ogni occasione, sia di festa che quotidianamente, e che il variegato patrimonio italiano è una ricchezza del paese enologico che va salvaguardato e promosso come sistema. Importante il messaggio di auguri pervenuto dal presidente Romano

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La parola all’esperto

Prodi e dal Ministro Paolo de Castro, come ha detto: “Oggi i vini spumanti italiani riscontrano un grande successo all’estero acquisendo sempre più mercati e sempre più consumatori arricchendo i marchi del made in Italy che tengono alta la bandiera della qualità e della immagine nazionale.” Quasi 3000 ospiti e accreditati fra cui artisti e personaggi dello spettacolo come Tedeschi, Lionello, Villaggio, Vastano, Ruta, Giletti e Vaudetti, cuochi importanti da tutta Italia, prodotti tipici DOP rappresentati da Consorzio Parmigiano Reggiano, salumi De Stefani, i Bibanesi, il pesce italiano di mare e di acqua dolce della Associazione Piscicoltori Italiani, il riso del Consorzio varietà tipiche italiane, con la regia di 60 sommelier dell’Associazione Italiana Roma-Lazio presenti ai tavoli delle case spumantistiche, le più premiate 150 etichette invitate in degustazione e divise in due ali separate e distinte in modo chiaro, 1000 bottiglie stappate, 3200 calici prodotti da Italesse. Da una parte i 32 metodo classico dalla Franciacorta al Trento, dal Gavi all’Oltrepo Pavese; di fronte nella sala i 115 metodo charmat italiani con Prosecco Conegliano Valdobbiadene e Cartizze in testa. Presenti, fra i tanti, marchi leaders come Ferrari, Gancia, Martini, La Scolca, Cavit, La Versa, Kettmeier, Bisol, Carpenè Malvolti, Mionetto, Bortolomiol, Vicobarone, Gallura, Bortolotti, Masottina, Paladin, Valdo, Vigne Matte, Astoria, Villa Sandi, Santa Margherita, Travaglino, CastelFaglia-

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Franciacorta. Partner strategico Veneto Banca. In memoria del grande lavoro svolto da Giuliano Bortolomiol per la tenacia e il pionierismo nel creare un vino “spumante, autentico, autoctono, italiano, Doc” a Valdobbiadene, è stato assegnato il premio intitolato a “Gerolamo Conforto”, medico che anticipando altre leggende di oltre 100 anni, nel 1570 scrisse come in Italia si producevano i vini spumanti. Il premio è già stato attribuito a Vittorio Vallarino Gancia per il primo spumante nel 1865 a Canelli, a Franco Ziliani della Guido Berlucchi per la creazione dello spumante classico Pinot di Franciacorta nel 1967, a Etile Carpenè per il secondo spumante nel 1868 a Conegliano. Il premio “Spumanti a... sproposito” istituito dal Forum per creare una cultura fuori dal mondo enologico che valorizzi tutti i nomi di “singole DOC spumanti e il termine spumante” è stato assegnato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento diritti e pari opportunità e al Dipartimento informazione ed editoria per una campagna stampa di denuncia delle omertà e paure delle donne sui maltrattamenti privati. Il premio di 182 bottiglie di grandi spumanti italiani è stato devoluto dalla Presidenza del Consiglio in beneficenza al CESVI per il progetto “Fermiamo l’aids sul nascere“ a favore delle donne africane, come pure il ricavato di € 2.450 dell’asta dei lotti offerti da aziende e provenienti dalla cantina privata di Gino Veronelli.

Il Festival ha sottolineato che i vini Spumanti sono vini per ogni occasione, sia di festa che quotidianamente

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Forum-Ones: autorevole osservatorio dei mercati e consumi A Roma, fra bollicine metodo classico e metodo charmat, il Forum annuncia un fine anno che si annuncia da record. Controtendenza nei consumi sia all’estero che sul mercato interno: i sondaggi di novembre e dicembre in Gdo, enoteche, gastronomie, cantine indicano un +9% degli ordini in Italia e un +13% all’estero, indipendente dall’effetto euro forte. Anzi con punte di incremento del valore ben sopra al 16-18 %. “Si calcola - dice Giampietro Comolli direttore del Forum e dell’Osservatorio - di superare un fatturato al consumo mondiale di 2,1 mld di euro, oltre il 50% nei 47 paesi export. Sempre più vicino il traguardo delle 300 milioni di bottiglie consumate”. Infatti il consumo è ancora concentrato per il

75% nei 25 giorni delle feste di fine anno. Trend record soprattutto per il Prosecco che diventa sempre più sinonimo di Spumante italiano e quindi ambasciatore e biglietto da visita anche per altri spumanti nazionali. La qualità dei nostri prodotti paga soprattutto in termini di incremento del fatturato in Usa e in Svizzera dove Asti e Prosecco hanno superato la quota dello Champagne; nel Regno Unito si registra una crescita dei consumi vicina al +30% senza contare che Cina e Russia rispetto al 2006 registrano rispettivamente un +200% e un +65% in volumi. La Germania sembra che si confermi leader come partner commerciale con il 28% del totale esportato cioè oltre 40 milioni di bottiglie, seguono gli Usa con 24 milioni, l’U.K. con 13 milioni, la Svizzera e il Giappone sui 5,5 milioni a testa. “ Segnale forte – ribadisce Comolli –

l’incremento maggiore del fatturato al consumo rispetto ai volumi, indica una inversione di tendenza commerciale che voleva relegare gli “spumanti” al gradino più basso della scala. È il riconoscimento del mercato mondiale al giusto rapporto identità/valore. Però non ricadiamo in errori del passato di privilegiare la quantità e quindi di distruggere quello che a fatica si sta cercando di costruire e che all’estero ci invidiano”. È recente la notizia che nella Gdo a Londra sono in vendita Champagne allo stesso prezzo di alcuni Prosecco ed Asti a circa 5,5 sterline la bottiglia. Segno che il prezzo non è più un fattore determinante la qualità o il metodo produttivo o la nazionalità o il marchio. (fonte www.forumspumantiditalia.it)

Giampiero Comolli pagina 34

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Alla parola “fermentazione” il pensiero corre subito al vino? Giustissimo: senza la fermentazione il succo d’uva resterebbe tale.

Fermentato: Fermentato

di Gudrun dalla Via Fotografie: Enza Bettelli

non solo vino

E lo stesso vale per la birra ed altre bevande, soprattutto quelle alcoliche. Senza l’intervento di particolari microrganismi, soprattutto di lieviti, niente fermentazione, niente trasformazione degli zuccheri in alcol, niente bollicine (secondo il caso); inoltre, la conservazione sarebbe più limitata. Ma esistono anche i cibi fermentati, con caratteristiche organolettiche e nutrizionali molto interessanti. La scoperta della fermentazione di cibi e bevande nasce probabilmente con l’umanità stessa. È bastato osservare l’occasionale, naturale trasformazione di alcuni alimenti rispetto al solito, quando questi non solo non si guastavano ma anzi acquisivano delle caratteristiche nuove, apprezzabili; ed ecco svilupparsi, man mano, nelle varie popolazioni, la preparazione di pane lievitato, di yogurt, kefir o formaggio, di bevande rilassanti o stimolanti, spesso inebrianti. In estremo oriente la gamma di cibi fermentati è ancora molto più abbondante, rispetto a noi; pensiamo per esempio agli usi della soia nelle sue numerose varianti, a miso, seitan, umeboshi. La fermentazione di derrate alimentari comporta sempre una modifica della struttura e di volta in volta anche delle caratteristiche nutrizionali ed organolettiche. Spesso, cibi e bevande fermentati sono più digeribili; si può dire che i microrganismi hanno operato una sorta di pre-digestione, hanno scisso i nutrienti in componenti più piccole, come per esempio le proteine in singoli aminoacidi, rendendoli quindi più “biodisponibili”. Può aumentare il tenore in vitamine. I prodotti da forno diventano più voluminosi e soffici grazie alla lievitazione. Le Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

caratteristiche organolettiche subiscono modifiche anche profonde: cambiano l’aspetto, la consistenza, l’odore e soprattutto il gusto. Un aspetto particolarmente interessante è poi l’impatto sulla nostra flora intestinale: alcuni alimenti fermentati danno un valido aiuto per il risanamento di questa, combattendo i microrganismi indesiderati e andando invece ad arricchire la parte di flora che ci mantiene in buona salute. Verdure fermentate: prelibatezze da (ri-)scoprire. Quando il grande navigatore James Cook,

le verdure lattofermentate giocano un importante ruolo nella prevenzione dei tumori

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La parola all’esperto

La fermentazione di derrate alimentari comporta sempre una modifica della struttura e di volta in volta anche delle caratteristiche nutrizionali ed organolettiche

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nell’anno 1775 tornò dal suo secondo viaggio di esplorazione gli venne conferita l’onorificenza scientifica più alta dell’epoca, la Grande Medaglia di Copley. Non per le scoperte geografiche ma per aver saputo mantenere in salute il suo equipaggio per più di tre anni di navigazione. A quel tempo infatti in un viaggio simile più della metà dei marinai moriva, soprattutto di scorbuto, la “peste del mare”. Cook portò 60 tonnellate di crauti lattofermentati nel suo viaggio di 26 mesi; questi, e un’infusione fresca di malto, sempre lattofermentata, hanno rivoluzionato la storia della navigazione di lunga durata. In realtà, già Plinio (XIX,4) riferisce della conservazione del cavolo verde fermentato con il sale in giare d’olio, portate nei viaggi via mare. Ma evidentemente la conoscenza del suo uso specifico era poi andata persa. Molti ricercatori sottolineano l’apporto importante di potassio, nelle verdure lattofermentate. In effetti, le cellule malate evi-

denziano spesso carenze di potassio. L’apporto attraverso i crauti non solo riesce a colmare delle carenze in potassio ma funge anche da antidoto contro squilibrio di sodio e calcio, nelle cellule; in altre parole, ripristina il gioco di squadra tra i vari minerali. In questo contesto agisce anche il trio potassiocalcio-magnesio, che funge da antagonista nei confronti del sodio ed ha azione diuretica e antinfiammatoria. Infine, le verdure lattofermentate giocano un importante ruolo nella prevenzione dei tumori. I fermenti che si formano nei “crauti” hanno un’influenza molto benefica sulla flora intestinale. Migliorano la digestione sia delle proteine che dei carboidrati, favoriscono l’eliminazione delle tossine e la formazione di vitamine del gruppo B. Tra queste, anche la vitamina B12, cosa interessante per i vegetariani, più facilmente soggetti a carenze di questa vitamina.

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Non solo “crauti” “Crauti” sono i cavoli cappuccio tagliati a strisce finissime e lattofermentate. In realtà, moltissimi ortaggi si prestano a questo tipo di lavorazione/conservazione; soprattutto si ottengono ottimi risultati con tutte le crucifere, nonché con tuberi come carote, sedano rapa o barbabietola, zucche e cetrioli molto piccoli. In passato, nelle grandi botti in legno o coccio era complesso guidare correttamente il processo di lattofermentazione. Oggi, con i vasetti a chiusura ermetica, prepararli in casa diventa facilissimo. Proponiamo qui il procedimento di base. Broccoli e cavolfiori richiedono un trattamento particolarmente delicato. Si staccano le singole rosette in pezzi grandi come una noce, si dispongono nei vasetti nel modo più compatto possibile senza romperle, poi si aggiunge la salamoia tiepida. Cavoli cappuccio ma anche cavoli rossi e verze vanno semplicemente tagliati a striscioline sottili. Rape, ravanelli e navoni saranno tagliati a fette. Il gusto leggermente acidulo della fermentazione li rende particolarmente gradevoli e stuzzicanti, adatti agli aperitivi oppure come aggiunta alle insalate miste, o anche come contorno alle pietanze più varie. Un suggerimento per variare l’aroma: aggiungere spezie o erbe aromatiche come grani di pepe, aneto fresco o secco, alloro, pimento. Ecco che cosa occorre • cavoli o altre verdure (ved. sopra) di buona qualità e di recente raccolto; sono decisamente preferibili gli ortaggi provenienti da coltivazione biologica - l’eccesso di concimazione chimica può alterare il naturale processo di fermentazione • un attrezzo per tagliare a fettine sottili (nel caso di cavoli compatti o di tuberi); può trattarsi di un’asse e di un coltello, oppure di un taglierino con una o due lame, o ancora di un elettrodomestico dotato di un dischetto apposito; l’importante è ottenere delle strisce sottili • sale in rapporto di 1,5 % rispetto al peso netto • acqua quanto basta; in questo caso si calcola 8 g di sale per un litro d’acqua • vasetti di vetro con capsula metallica a chiusura ermetica; vanno bene anche quelli riciclati di marmellata, miele e conserve varie • carta da forno o carta pergamena

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Come procedere I vasetti, nuovi o riciclati, debbono essere sterili. Quindi conviene preparare una grande pentola, farvi bollire l’acqua, e immergervi per almeno 3 minuti vasi e coperchi. Lasciateli asciugare capovolti per ritrovarli perfettamente sterili e asciutti al momento di riempirli. Se usate vasetti riciclati, controllate anche che la chiusura sia ancora ermetica: riempite d’acqua, chiudete bene e lasciate i vasetti capovolti per alcune ore. Se non trovate tracce d’acqua intorno, sono adatti per la conservazione delle verdure lattofermentate.

La scoperta della fermentazione di cibi e bevande nasce probabilmente con l’umanità stessa

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La salamoia: Portate a bollore dell’acqua e aggiungete sale marino, possibilmente integrale, in misura di 8 grammi per litro; lasciate intiepidire. I cavoli tritati vanno schiacciati il più possibile per far emergere l’acqua vegetativa, le altre verdure stipate leggermente. Riempite il vasetto fino a raggiungere quasi l’orlo, poi aggiungete la salamoia tiepida, a circa 40°C fino a circa mezzo centimetro dall’orlo. Proteggete con carta da forno, chiudete energicamente con il coperchio a vite. Disponete i vasetti in un luogo abbastanza caldo, per esempio sopra gli armadi della cucina, avendo l’accortezza di sistemarli in un vassoio o sopra della carta assorbente. In effetti, pur trovandosi in vasetti dalla chiusura ermetica, nei primi giorni, cioè quelli di intensa fermentazione, i crauti tendono a “sparare”, cioè a far uscire del liquido. Ciò comporta la formazione di un vuoto d’aria, all’interno dei vasetti, e una conservazione perfetta delle verdure, anche per due, tre anni o più. Dopo 4-6 settimane si potranno già consumare, preferibilmente crudi.

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Donna Franca

Letti in un Sorso

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icordare Franca Florio solamente per la sua straordinaria bellezza sarebbe fare un torto alla gentildonna palermitana, che fu una delle esponenti di maggiore rilievo della Belle Epoque siciliana, negli anni che vanno dalla fine del XIX al primo ventennio del XX secolo. Di tutti i personaggi dell’importante dinastia dei Florio, la più ricordata ancor oggi è lei: la regina di Palermo. Franca Jacona di San Giuliano, meglio conosciuta come Donna Franca, visse la Bella Epoque della capitale siciliana fornendo un insostituibile supporto alle attività imprenditoriali del marito. La sua figura statuaria, il viso dall’ovale perfetto, i profondi occhi grigi, il sorriso smagliante, si univano infatti ad una straordinaria carica di simpatia, ad una innata generosità. Grazie a queste doti ebbe un ruolo di grande importanza nella ascesa di casa Florio ed in particolare negli affari dell’armatore Ignazio Florio, suo marito, ultimo esponente di un casato che per oltre un secolo rappresentò una delle maggiori potenze economiche dell’Italia post unitaria. Una figura fuori dagli schemi, bizzarra e scandalosa per il suo tempo. Così, il pittore Boldini la ritrasse con le gambe accavallate e segnate dalla giarrettiera. Franca Florio fu anche antesignana del moderno lifting, facendosi “porcellanare” la faccia, a Parigi naturalmente. Parigi, la capitale eletta, per la scelta dei suoi abiti. Una tale figura di donna unita all’orgoglio di un grande nome, quello dei Florio, andavano celebrati; è così che nasce, dedicata a lei ed al suo mondo eccentrico, questa selezione di grandissimi Marsala. Il Donna Franca è stato selezionato con la filosofia riservata al Marsala Ægusa, la somma dei grandi Marsala prodotti da casa Florio in quell’epoca, che mai mancava sulle tavole dei grandi banchetti. Ægusa è anche l’antico nome dell’isola di Favignana dove Donna Franca soleva spesso recarsi per riposare e per meditare. Questa riserva esprime i livelli massimi di eleganza ed evoluzione a partire dall’accattivante colore topazio brillante, agli intensi e complessi profumi speziati e di frutta matura, al gusto caldo, ampio e morbido capace di inondare il palato con gradevoli sensazioni di frutta, persistenti ed interminabili. Florio - www.cantineflorio.it

i è conclusa il 7 novembre scorso la seconda edizione del Concorso Letterario Letti in un Sorso, promosso dal Gruppo Santa Margherita in collaborazione con le Librerie Le Feltrinelli. La cerimonia di premiazione, tenutasi a Palazzo Grassi a Venezia, ha incoronato in grande stile i tre vincitori alla presenza della prestigiosa Giuria presieduta dal giornalista del Corriere della Sera Ranieri Polese: Anna Maria Volpato, prima classificata con “Un sorso dopo l’altro”; Maria Dolores Di Baia con “Sbilenche simmetrie” e sul terzo gradino del podio Antonio Menna, con “Inchiostro”. A rendere ancora più preziosa la serata, la presenza di Simonetta Agnello Hornby “Autore DOC” che ha scritto, per le retroetichette dei tre “best seller” Santa Margherita, un racconto inedito. La novità più evidente di questa seconda edizione è stata proprio questa, la partecipazione - naturalmente fuori concorso - di tre celebri scrittori, Simonetta Agnello Hornby, Pino Cacucci e Michele Serra, che hanno confezionato su misura dei racconti che, al pari di quelli dei tre vincitori, verranno pubblicati sulle retroetichette di Pinot Grigio, Chardonnay e Muller Thurgau Santa Margherita. La serata è stata la degna conclusione di un’avventura di successo, che ha visto la partecipazione di oltre 1700 racconti. Santa Margherita SpA - www.santamargherita.com

Hine lancia l’esclusivo Cognac “FAMILY RESERVE”

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a Maison Thomas Hine & C, produttrice di una straordinaria gamma di prestigiosi Cognac, nell’imminenza delle festività di fine anno lancia sul mercato italiano il suo esclusivo Cognac “Family Reserve”. Nata come riserva personale della famiglia Hine, e ottenuta esclusivamente dalle uve del cru più prestigioso della regione del Cognac (la Grande Champagne), la “Family Reserve” è un blend dei migliori distillati della Maison, e titola una gradazione alcolica di 42% vol. Alla vista, ha colore ambrato intenso; il suo bouquet è ampio, nobile, pieno, di spiccato carattere, con sentori floreali e di sottobosco. Il suo gusto è avvolgente, morbido e vellutato al palato, con un finale incredibilmente persistente. La confezione di Hine “Family Reserve” è rimarchevole per la sua superba eleganza: il distillato è infatti contenuto in un magnifico decanter di cristallo da 70 cl., a sua volta racchiuso


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in un vero humidor per grandi sigari. Fondata nel 1763, la Maison Hine è una delle più antiche aziende produttrici di Cognac. Per i suoi distillati utilizza esclusivamente le uve prodotte nei due cru più prestigiosi della regione, la Grande e la Petite Champagne. Tutti i suoi Cognac sono invecchiati per un periodo molto superiore ai requisiti di legge. Nei suoi 250 anni di storia, la Maison Hine si è inoltre affermata in tutto il mondo come grande specialista nella produzione dei millesimati, un’autentica rarità nel settore del Cognac. La superba reputazione internazionale di Hine è confermata dai 30 premi e riconoscimenti ottenuti negli ultimi cinque anni dalla Maison. Hine è inoltre l’unica azienda di Cognac a detenere l’esclusivo Royal Warrant, vale a dire il sigillo di fornitore ufficiale della Casa Reale d’Inghilterra. Fratelli Rinaldi Importatori - info@rinaldi.biz

Barbera. La commercializzazione si è quindi indirizzata soprattutto verso i Paesi del Nord Europa - Svezia, Norvegia, Olanda, Inghilterra - e gli Stati Uniti. Per Danilo Drocco il risultato raggiunto ripaga degli sforzi e degli investimenti compiuti per elaborare un vino capace di comunicare immediatamente qualità e importanza, gusto moderno e piacevole, armonia nei profumi fruttati con note floreali-speziate. È un vino D.O.C. - prodotto nei vigneti impiantati a barbera, nella nuova tenuta Fontanafredda, nel Monferrato - dal colore rosso rubino con riflessi granati di buona intensità che possiede note varietali ben caratterizzate e distinguibili, con una morbidezza ottimizzata da un sapiente uso della botte in legno. Il “Briccotondo” si presenta sul mercato con un packaging accattivante, fortemente identificato nell’azienda, che sa stupire per il suo rapporto qualità/prezzo davvero imbattibile. Fontanafredda S.r.l. - www.fontanafredda.it

Briccotondo Piemonte Doc Barbera 2006 nell’olimpo del Wine Spectator

Presentato a Montecatone (Bo) il libro “CON GUSTO” di John Dickie

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ine Spectator’s Top 100, la classifica dei 100 vini più prestigiosi al mondo, premia il Briccotondo Piemonte Doc Barbera 2006, collocando Fontanafredda nell’elite delle migliori aziende vitivinicole dell’anno. Un importante riconoscimento per l’azienda piemontese del Gruppo Monte dei Paschi di Siena, che per la prima volta nei suoi oltre centoventicinque anni di storia ottiene un risultato così ambito nel panorama internazionale. Sono solo tredici le etichette italiane che quest’anno si sono aggiudicate il podio dell’autorevolissima classifica mondiale. “Il segreto del successo – svela l’enologo di Fontanafredda Danilo Drocco, direttore tecnico dell’azienda – è da ricercare nel progetto Barbera Fontanafredda “ B r i c c o t o n d o ”, perseguito fin dall’inizio del 2004” e che prevedeva la messa a punto di un nuovo vino di qualità destinato ad occupare il segmento del “best buy”, legato anche al consumo quotidiano, per aumentare la penetrazione sui mercati esteri, già aggrediti dai produttori del Nuovo Mondo e dagli Winemaker Danilo and barrique altri produttori di

enerdì 23 novembre 2007, presso l’Azienda Vinicola “La Macolina” di Montecatone (Bologna), si è svolta la presentazione del libro di John Dickie “Con Gusto – Storia degli italiani a tavola”, alla presenza dell’Autore. Dickie è stato intervistato da Marco Guerra, organizzatore dell’incontro, e da Piero Valdiserra, Direttore Marketing e Relazioni Esterne della Rinaldi Holding e giornalista enogastronomico. Lo studioso inglese, Senior Lecturer in Studi Italiani all’University College of London, ha aperto la serata ricordando il percorso che lo ha condotto a occuparsi, negli anni, della storia del Meridione italiano e, ultimamente, della storia della mafia (suo il best seller “Cosa Nostra. Una storia della mafia siciliana”, edito in Italia nel 2006 sempre per i tipi di Laterza). Da questi temi è passato recentemente allo studio della storia dell’alimentazione in Italia: una storia, ha ricordato, che è essenzialmente una vicenda, e un avvicendarsi, di città: “La cucina italiana è una cucina cittadina. L’Italia ha la più ricca tradizione di vita urbana del pianeta, e le invidiabili abitudini culinarie del Bel Paese sono un elemento di questa tradizione. Non è un caso Piero Valdiserra e John Dickie che tantissimi prodotti e piatti della cucina italiana prendano il nome da una città: bistecca alla fiorentina, prosciutto di Parma, saltimbocca alla romana, pizza napoletana, risotto alla milanese, pesto alla genovese, pesto alla trapanese, olive ascolane, mostarda di


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Cremona... Fin dagli inizi del secondo millennio, le cento città d’Italia hanno arraffato i prodotti della campagna usandoli per costruire una ricca cultura gastronomica. Per secoli, le città italiane sono state il luogo dove si concentrava tutto quello che occorre per creare una grande cucina: ingredienti e competenze culinarie, naturalmente, ma anche potenza, ricchezza, mercati e competizione per il prestigio sociale”. John Dickie ha quindi presentato, in una sorta di Grand Tour virtuale della gastronomia della Penisola, alcune delle città italiane più importanti nella storia della nostra alimentazione: la Napoli dei maccheroni settecenteschi e della nascita della pizza, la Ferrara dei sontuosi e sfrenati banchetti rinascimentali, la grassa Bologna di Giulio Cesare Croce, della Festa della Porchetta, della celebre mortadella, conosciuta da secoli a tutte le latitudini. Al termine della serata letteraria, tutti gli intervenuti hanno brindato alle fortune del nuovo libro di Dickie con le fresche bollicine degli Spumanti Cesarini Sforza, offerti dalla Fratelli Rinaldi Importatori, e con gli interessantissimi nuovi vini dell’Azienda Vinicola “La Macolina”, commentati per l’occasione da un padrone di casa d’eccezione: Umberto Cesari.

Alambicco d’Oro premia le Grappe Mazzetti d’Altavilla Una serie ininterrotta dal 1987

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i è svolta giovedì 15 novembre, durante il SIMEI a Milano, la cerimonia di consegna dell’XXV EDIZIONE ALAMBICCO D’ORO. L’eccellenza dei distillati firmati Mazzetti d’Altavilla ancora una volta incoronati dall’ANAG. Dopo un’attenta e scrupolosa analisi sensoriale, l’Associazione Nazionale Assaggiatori di Grappa ed Acquaviti ha conferito, nell’ambito dell’Alambicco d’Oro 2007, la medaglia a Collezione Grappa di Nebbiolo da Barbaresco e ad Ardita - l’Acquavite d’Uva Moscato Mazzetti d’Altavilla. La cerimonia di premiazione si è svolta alla presenza del Presidente ANAG Silvano Facchinetti che ha consegnato il premio a Cesare Mazzetti, Amministratore Delegato della Mazzetti d’Altavilla, presente anche in veste istituzionale come presi-

dente dell’Istituto Nazionale Grappa. “Quello tra Mazzetti d’Altavilla e l’Alambicco d’Oro dell’Anag – spiega Claudia Mazzetti, responsabile marketing e comunicazione di Mazzetti d’Altavilla, nonché presidente dell’Associazione Donne della Grappa - è un feeling che si è consolidato nel corso degli anni. I due Alambicchi d’Oro ottenuti quest’anno rappresentano gli ultimi esempi di una lunga serie di prestigiosi riconoscimenti nazionali e internazionali ottenuti dalla nostra azienda. Riconoscimenti alla passione e all’impegno che ogni giorno profondiamo nell’arte della distillazione e al solido legame che da sempre abbiamo con il nostro Monferrato”. Mazzetti d’Altavilla rappresenta uno dei più storici operatori del settore dei Distillati. Si tratta della più antica Casa di distillazione operante in Piemonte, le cui radici storiche dell’attività risalgono al 1846 e pongono la Famiglia Mazzetti in una delle primissime posizioni nazionali per anzianità. Mazzetti d’Altavilla srl - www.mazzetti.it

Il Grand Armagnac Janneau lancia l’XO Royal e i Millesimati

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l Grand Armagnac Janneau, in concomitanza con le prossime festività di fine anno, lancia sul mercato italiano le sue nuove, prestigiose bottiglie: l’XO Royal e la gamma dei suoi rari Millesimati. L’ XO Royal, conosciuto anche come “12 Years Old”, è un blend di vari Armagnac maturati in botti di rovere presso le antiche cantine dalla Maison Janneau. La bottiglia basquaise dell’XO Royal, design esclusivo della Janneau, è completata dall’astuccio metallico nei colori blu e oro. I Millesimati Janneau costituiscono l’espressione più pura di ogni singola vendemmia. Il distillato di ogni annata di appartenenza viene lasciato a invecchiare singolarmente in botti di quercia del Limousin per almeno 12 anni, e spesso – per i Millesimati più vecchi – per oltre 50 anni. La Maison Janneau possiede una vera e propria collezione di Millesimati, rappresentativa delle migliori vendemmie del XX secolo. Janneau è la più antica delle grandi Case di Armagnac. È stata infatti fondata da Pierre Etienne Janneau nel 1851, a Condom. Qui, da generazioni, i viticoltori della regione portano i loro vini


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alla Maison Janneau che garantisce una distillazione scrupolosa, seguita da un lungo invecchiamento delle acquaviti e infine dalla commercializzazione. Attualmente l’Armagnac Janneau è il marchio leader in tutto il mondo – è infatti distribuito in sessanta Paesi – ed è il numero uno anche in Italia. La distillazione dell’Armagnac può utilizzare sia alambicchi a distillazione continua sia alambicchi a distillazione discontinua. La Maison Janneau utilizza acquaviti prodotte dai due metodi, ma predilige l’uso di alambicchi a distillazione discontinua, di cui dispone dal 1972. Quest’ultimo metodo, il primo a essere originariamente utilizzato nella zona, è indubbiamente il sistema più costoso e complesso. Fratelli Rinaldi Importatori - info@rinaldi.biz

Birra Pedavena protagonista nei long drink

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edavena investe sui giovani e sulla loro formazione attraverso il concorso che si è svolto nella città di Jesolo dal 16 al 21 ottobre in occasione della XX Conferenza annuale dell’Associazione Europea delle Scuole Alberghiere e del Turismo (AEHT). I giovani concorrenti provenienti da tutte le parti del mondo, si sono sfidati per creare il migliore cocktail/long drink a base di birra, premiati da una giuria di fama internazionale che ha consegnato il premio per il miglior long drink a base di birra all’italiana Cerboneschi Elisa con il drink MOBEER dove assieme a Birra Pedavena, ingrediente principale, è stato utilizzato del rum, del succo d’ananas, del succo di arancio e infine dello sciroppo di granatina (vedi foto). Il secondo classificato è stato Ingol Okan con il drink GREEN MARIACH, creato con Birra Pedavena, tequila, succo di limone, succo di mela verde, mentre il terzo classificato è stato Schonsgibl Kerstin con il drink GRIZZLY BEER composto da Birra Pedavena, Aperol, amaretto, sciroppo di ananas, succo d’arancia. Un’esperienza importante questa per la bionda bellunese che ancora una volta è diventata la protagonista in un contesto giovane, unico e internazionale mettendo in opera originali strade nell’utilizzo del prodotto birra, strade che le nuove modalità di consumo stanno riscontrando. Birra Castello S.p.A. - www.birrapedavena.it

Merano International WineFestival & Culinaria 16ª edizione di pieno successo

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rande successo della 16esima edizione del Merano International Winefestival & Culinaria! 6.500 visitatori presenti nelle 3 giornate, 50.000 bottiglie assaggiate, personaggi ed eventi interessanti si sono succeduti uno dietro l’altro! Impossibile identificare un unico momento quale più rilevante di tutto il Festival: l’Asta dei Vini di sabato 10 novembre 2007 ha battuto un Imperiale Masseto Tenuta dell’Ornellaia del 2001 a 6.900 euro; quasi tutte le 800 bottiglie di altissima qualità sono state battute dagli appassionati in modo silenzioso e professionale nell’elegante lounge dello Steigenberger Hotel Terme Merano. Domenica 11 novembre nella VIP- Lounge allestita nel Kurhaus e gestita da Air Dolomiti, la delegazione della Georgia ha consegnato al direttore dei Giardini di Castel Trauttmansdorff una copia in oro del vinacciolo più vecchio del mondo, datato 8.000 anni, e proveniente dal paese caucasico: un momento di incontro vitivinicolo tra l’ Alto Adige e la Georgia. La saletta degli Amici del Toscano è sempre stata strapiena e gli amanti del sigaro sono rimasti appagati. Per la prima volta 27 produttori della Borgogna hanno lasciato i loro confini e hanno fatto assaggiare l’annata 2005 dei loro “Grands Crus et Premiers Crus”, già svenduta sul mercato, una chicca enologica per gli esperti. Nella GourmetArena in piazza delle Terme si è svolta l’asta mondiale del tartufo, Merano è stata collegata in diretta con Alba, patria dell’oro bianco, Berlino e Hong Kong. Il tartufo bianco con i suoi 1.000 Euro l’etto ha raggiunto il prezzo dell’oro. Merano ha partecipato attivamente alzando in continuazione le offerte e sono stati battuti anche pezzi da 12.000 Euro. Subito dopo è seguita la carrellata di chef famosissimi come Igles Corelli, Moreno Cedroni e Davide Scabin. Uno spettacolo per gli occhi e il palato! Personaggi importanti del mondo della televisione, della radio, della moda, dell’arte e della politica, come Giorgio Moroder, Sandro Vanucci, Roberto Cipresso, Enzo Vizzari per citarne solo alcuni, hanno impreziosito il Festival con la loro presenza. La prossima edizione? Dall’8 al 10 novembre 2008 a Merano! Gourmet’s International Srl - www.meranowinefestival.com


Piccole DOC

di Luca Iacopini

Quando frequentavamo diversi anni fa il corso di II livello per diventare sommelier, il Molise nell’ambito dell’enografia nazionale era per noi una regione per così dire “simpatica”, in quanto con le sue uniche due DOC si ricordava facilmente in confronto alle grande mole di altre DOC che dovevamo studiare; ma al contempo era anche una pericolosa insidia perché spesso oggetto di domande trabocchetto agli esami finali.

e Massimo Bracci

Molise: Molise: la riscoperta della Tintilia

L’Italia è il paese con il più grande numero di vitigni autoctoni al mondo, perfino superiore a quello francese

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Con questo amore/odio sono passati gli anni. Avendo conosciuto recentemente alcuni amici molisani sommelier abbiamo deciso di approfondire l’argomento, e con grande soddisfazione abbiamo scoperto una regione dalle grandi potenzialità enologiche. Partiamo quindi da un po’ di storia. Anzitutto dobbiamo mettere a fuoco un’importante elemento di questa regione, la giovane storia vitivinicola; non dimentichiamoci che una volta erano gli Abruzzi e soltanto nel 1963 è diventata regione autonoma. Per molto tempo ancora Abruzzo e Molise hanno condiviso un comune indirizzo: fare il vino privilegiando la quantità più che la qualità, quindi con sesti di impianto a tendone e varietà più produttive. A dire la verità il Molise aveva fin dal 1800 un sistema alquanto esteso di coltivazione molto simile al moderno Guyot, ma tuttavia stretto dalle esperienze delle regioni sorelle più importanti, quali la Puglia e l’Abruzzo, lo ha progressivamente abbandonato in favore del tendone. Negli anni ‘80 si provò a introdurre i vitigni internazionali ma con scarsi risultati in

tutti i sensi, sia gestionali che commerciali. I successi invece sono arrivati quando si è deciso di puntare sui vitigni storici della regione quali il Montepulciano, il Trebbiano, l’Aglianico, la Tintilia, etc. La prime due DOC del Molise nascono nel 1983 con il nome di DOC Biferno e DOC Pentro di Isernia. Quest’ultima oramai già da diversi anni è stata praticamente abbandonata dai produttori anzi, a onor del vero dalla sua nascita non è mai decollata, sembra però che una cantina di Isernia voglia attivarla quest’anno, quindi per ora ci soffermeremo sulla DOC storica della regione la DOC Biferno. Abbiamo due tipologie Rosso o Rosato con 70% di Montepulciano, 15% di Trebbiano Toscano e 15% di Aglianico, mentre la tipologia Bianco è composta da circa il 60% Trebbiano Toscano, il 20% di Bombino bianco e 10% di Malvasia bianca. Nel 1998 viene affiancata anche dalla DOC Molise in cui vengono comprese ben 12 tipologie. Andiamo dai vitigni storici quali l’Aglianico, il Sangiovese, la Falanghina, il Moscato e il Greco bianco, ai vitigni internazionali quali Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008


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il Cabernet Sauvignon, lo Chardonnay, ed altri. Ma vogliamo indirizzare la nostra attenzione su un vitigno in particolare che fa parte di questa DOC, la Tintilia. È sicuramente l’unico vitigno autoctono della regione e per molto tempo è stato confuso con la varietà sarda Bovale. Il nome deriva probabilmente dall’etimo spagnolo “tinto” che significa rosso, a sottolineare che il vino ottenuto con queste uve ha un colore rosso scuro intenso. Si presume l’introduzione del vitigno sia dalla Spagna, in virtù dei commerci intensi che nel Settecento proliferavano. Dal punto di vista tecnico è un vitigno con un’importante carica polifenolica, ottimo corpo e un’elevata alcolicità, quindi adatto all’invecchiamento. È un vitigno non facile da coltivare, con basse rese e che predilige l’altezza, infatti se coltivato in pianura perde notevolmente le sue caratteristiche. Era il vitigno più coltivato su quasi tutte le alte colline molisane, poi la successiva bonifica della pianura ha portato i produttori a un progressivo abbandono per vitigni con maggiore resa. Nel passato non si era capito che questo vitigno forse avrebbe rappresentato l’emblema identificativo della regione preferendo il Montepulciano d’Abruzzo. Abbiamo degustato la Tintilia dell’Azienda

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Agricola Cianfagna anno 2005, indicata da molti come una nuova piccola realtà emergente a livello nazionale. Il vino nel bicchiere si presenta di un colore rosso rubino carico, netto e poco trasparente, e questo è dovuto alla sua importante presenza polifenolica. Roteando il bicchiere si denota subito l’alto contenuto di zuccheri e alcool. Al naso sentiamo immediatamente un’intensità schietta e complessa, si denota in modo particolare l’amarena, la marasca, ovvero frutti rossi maturi, il tutto accompagnato da un sentore etereo di buona persistenza. Avvicinando il vino al nostro palato si sente che è un vino molto caldo ma sempre con una buona acidità, dolce, speziato, rotondo, e con un tannino morbido e pieno; si confermano i sentori percepiti precedentemente al naso, molto persistente. Il retrogusto è caratterizzato da un’evidente nota amara, è una tipica caratteristica della Tintilia. Per riassumere con una definizione: un vino con una personalità ben definita, per accompagnare piatti con una buona struttura. Non dobbiamo però dimenticarci di nominare anche i produttori storici di questa regione Di Majo Norante e Borgo di Colloredo che fin dagli anni ‘80 il primo, e dagli anni ‘90 il secondo hanno in definitiva tenuto viva la

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la Tintilia è sicuramente l’unico vitigno autoctono della regione e per molto tempo è stato confuso con la varietà sarda Bovale

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bandiera vitivinicola regionale e l’hanno fatta conoscere all’Italia e al mondo. A questo punto ci sembra doveroso fare una riflessione più generale su un aspetto in cui il Molise è partecipe. L’Italia è il paese con il più grande numero di vitigni autoctoni al mondo, perfino superiore a quello francese, però non ci sono grandi regioni vinicole, ma solo province che confinano l’una con l’altra. È chiaro che i consumatori non possono farsi una mappa mentale dei vini italiani, come possono farla invece con i vini francesi. E qui condividiamo in pieno quanto afferma Tom Stevenson, famoso scrittore di libri sul vino: “Secoli di tentativi e di errori, e poi i Francesi hanno scoperto che alcune varietà specifiche si adattavano solo a certi suoli, e così hanno messo a punto uno stile riconoscibile per i vini di ciascuna regione. Così

ogni amante del vino sa che cosa aspettarsi da una bottiglia di Bordeaux, di Borgogna, o di Champagne, e questa è stata la chiave del successo dei vini francesi”. E questo è quello che hanno capito molti produttori Italiani, e nello specifico quelli molisani. Abbiamo visto dalla storia, tentativi, errori, ma si ritorna poi sempre alle origini. Questa è la strada vincente, anzi, bisognerebbe rendere questo processo ancora più incisivo. In un mondo ormai “globalizzato” sinceramente questo concetto per il vino non ci sembra adeguato. La peculiarità, la particolarità, lo stile è secondo noi il giusto indirizzo, e il successo del mercato per ora sembra dare ragione a questi obiettivi. Speriamo che i produttori molisani continuino su questa strada, il bagaglio autoctono è di primissimo ordine, basta saperlo sfruttare.

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Il vino che berremo - Innovazione Roma, Hotel Sheraton Eur in Viale del Pattinaggio, 100 Giovedì 7 febbraio 2008 ore 16.00 – 21.00

L’innovazione enologica sarà di scena negli ampi saloni dell’Hotel Sheraton Eur, si terrà una delle più interessanti, originali e innovative degustazioni degli ultimi tempi aperta a quanti abbiano voglia di trovarsi al cospetto di vini curiosi, unici, ricchi di carattere e personalità, alcuni hanno marcato prepotentemente, in un passato non troppo remoto, il panorama vitivinicolo nazionale come ad esempio “ISupertuscans” mentre altri si prefiggono di percorrere nuove strade, diverse e alternative, nell’ambito enologico e viticolo per affrontare la sfida della globalizzazzione. Una iniziativa unica, realizzata da Andrea Zanfi in collaborazione con la FISAR che vedrà la presenza di oltre 70 produttori e oltre 100 etichette attraverso le quali scoprire quale potrebbe essere il futuro prossimo del vino italiano Tema affascinante che si dipanerà anche attraverso due tavole rotonde, una riguardante il “Marketing come strumento di supporto per vincere la sfida alla globalizzazzione” (ore 11.30) e una sui “I vitigni come elementi per un distinguo strategico delle aziende” (ore 15.00) alle quali parteciperanno un ristretto numero di operatori, membri del mondo acca-

demico, giornalisti, enotecnici e agronomi di spicco con l’intento di attivare un meccanismo riflessivo con il quale cercare di tracciare gli scenari futuri del comparto. Una giornata culturale, didattica quella del 7 Febbraio durante la quale vi saranno scambi proficui di idee, di opinioni e di esperienze che, si concluderà con la degustazione dei vini, selezionate dal comitato tecnico scientifico composto da; Alberto Antonimi, Antonio Paolini, Andrea Zanfi, Prof. Attilio Scienza, Attilio Pagli, Paolo Vagaggini, Barbara Tamburini, Vittorio Fiore, Marco Biotti, Fabio Turchetti, Ernesto Gentili, Fabio Piccoli, Giuseppe Poli, Rocco Lettieri, Luca Bonci, Roger Sesto, Prof. Roberto Zironi, Luigi Odello, Prof.ssa Oriana Silvestroni che, forse ci daranno delle risposte o ci faranno conoscere quali siano le nuove frontiere tecniche enologiche nell’ottica di offrire una risposta concreta alle tendenze dettate dalla globalizzazione o dal cambiamento del gusto che si sta verificando nei mercati. Una iniziativa affascinante che incuriosisce soprattutto nella prospettiva di poter partecipare a una degustazione che ponga a confronto nuove e vecchie idee enologiche in una sfida

dalla quale potrebbero nascere le nuove tendenze o più semplicemente comprendere se nel settore vi siano in corso delle scelte radicali e coraggiose o se invece vi sia la tendenza a seguire e a soddisfare i mercati; una degustazione non solo per chi ama l’enologia nelle sue molteplici interpretazioni, senza gabbie o vincoli di nessuna sorte, ma anche per chi ha voglia di porsi delle domande su quale potrebbe essere lo spirito che animerà il mondo del vino nel prossimo futuro. Ingresso alla degustazione € 10.00, bicchieri in sala (per i Soci FISAR ingresso gratuito) Andrea Zanfi

Infoline & Contatti: Fuori Casa p.r. Wine&food Events di Caterina Andorno 347 0423305 caterina.andorno@libero.it Andrea Zanfi 347 8884102 info@andreazanfi.it


Speciale Congresso

Il 21 ottobre scorso la FISAR – Federazione Italiana Sommelier Albergatori e Ristoratori – ha festeggiato i suoi primi 35 anni con una grande Convention Nazionale. di Mario Del Debbio

La Fisar festeggia i suoi 35 35anni anni pensando a nuovi traguardi

Nel 1983 la prima grande svolta: la pubblicazione di una rivista bimestrale di enogastronomia, «il Sommelier»

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A far da cornice il suggestivo scenario del lago di Garda e la magica Sirmione. La piccola cittadina, patria del poeta Valerio Catullo, ha accolto i sommelier fisariani con grande affetto. È stata l’occasione per ricordare tanti bei momenti, ma anche una bella opportunità per confrontarsi e fare nuovi progetti per il futuro. Quando nel 1972 quel piccolo gruppo di amici ristoratori con la passione per il vino, decise di fondare una Federazione di

Sommelieri, sicuramente non immaginava che stava per creare un’associazione che tanto avrebbe significato nella promozione dell’enograstronomia negli anni a venire. Si definivano proprio così: “Sommelieri”, italianizzando un termine francese, quasi a voler sottolineare con maggior forza lo scopo dell’associazione: far conoscere soprattutto il vino italiano, saperlo scegliere, saperlo degustare, saperlo abbinare. Anche la denominazione completa all’inizio era leggermente diversa contemplando una preposizione in più: Federazione Italiana Sommelieri “tra” Albergatori e Ristoratori, perché in effetti quelli erano i settori in cui la FISAR voleva e doveva operare. Oggi sono tornati al termine internazionale ed è sparita la parola “tra” visto che la FISAR annovera tra le proprie fila, accanto ai ristoratori e agli albergatori, sommelier di ogni estrazione sociale, dagli enotecari agli enologi, dai semplici appassionati agli assaggiatori professionisti. Uno dei segreti di tanta longevità è sicuramente quello di aver conservato la sua prerogativa principale, saper legare passione e professionalità. Questo è il binomio vincente, la ricetta giusta per una crescita costante nel tempo. Un successo che è stato sottolineato anche dagli illustri ospiti intervenuti alla Convention. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008


Speciale Congresso

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Speciale Congresso

Noi vogliamo essere i consiglieri del gusto e vogliamo operare sempre di più per aiutare il consumatore a capire dove sta la qualità

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Maria Pia Berlucchi

La prima a fare gli auguri ai festeggiati è stata la Presidente delle “Donne del Vino” Pia Donata Berlucchi. Salutando tutte le sommelier fisariane le ha ringraziate per l’importante lavoro svolto sia nella promozione del vino che nella valorizzazione del ruolo delle donne in un mondo che è sempre stato ad appannaggio degli uomini. Dopo di Lei il

Bruno Rivella

Presidente dell’ONAV Bruno Rivella ha voluto sottolineare la grande amicizia che lega le due associazioni e di come le stesse hanno collaborato nel corso degli anni supportando i produttori vitivinicoli ed aiutando i consumatori ad orientarsi nella vastità delle offerte. Collaborazione e sinergia registrata anche dal Presidente AMIRA Raffaele Speri,

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Leonardo Nardi

che ha ricordato come nelle sale di tanti ristoranti italiani i maitre ed i sommelier lavorino ogni giorno fianco a fianco. Ma tra tutti gli ospiti il più commosso è stato sicuramente il Cavalier Leonardo Nardi per dodici anni Presidente FISAR. Un’assemblea entusiasta lo ha accolto con un applauso lunghissimo a testimonianza del forte legame sentimentale con quest’uomo che ha dato veramente tanto all’associazione. È con la gestione Nardi infatti che la FISAR ha conosciuto il massimo dell’espansione e si è consolidata. All’inizio il primo Presidente Tullio Venturini ed il suo successore Luigi Sestini hanno lavorato con grande caparbietà per gettare delle solide basi. In giro per l’Italia hanno presenziato alla nascita di tante delegazioni tessendo una fitta rete di relazioni. Nel 1983 la prima grande svolta: la pubblicazione di una rivista bimestrale di enogastronomia, “il Sommelier”. Nata come houseorgan, si è avvalsa negli anni della collaborazione scientifica di grandi firme come il Prof. Mario Fregoni e il Prof. Giuseppe Sicheri. Nel 2004 viene completamente ristrutturata con il contributo del nuovo Direttore Roberto Rabachino. Oggi è senza dubbio una delle pubblicazioni di settore più complete. Dopo Venturini e Sestini è arrivato appunto Leonardo Nardi. L’anno è il 1989, il momento di veder finalmente riconosciuti i meriti dell’associazione è arrivato. Durante la gestione Nardi sono stati uniformati i corsi di formazione professionale e sono stati prodotti gli strumenti per una didattica di grande livello. È con lui poi che è iniziata la prassi per l’altra grande svolta, l’ottenimento del riconoscimento giuridico, formalizzato poi nel 2001 dal Presidente Luca Giavi e dall’allora Segretario Lido Tridenti. Nel 2003 arriva alla Presidenza proprio Lido Tridenti e con lui la FISAR compie ancora un passo decisivo, la nascita di una struttura commerciale per la gestione del ramo più Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008


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È stata l’occasione per ricordare tanti bei momenti, ma anche una bella opportunità per confrontarsi e fare nuovi progetti per il futuro

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importante dell’associazione: i corsi di formazione per sommelier. Fin dalla sua nascita i sommelier della FISAR sono stati una presenza discreta nel mondo vitivinicolo. Volutamente non hanno mai stretto più del dovuto i rapporti con le aziende produttrici di vino volendo mantenersi liberi da ogni vincolo e poter lavorare per la promozione del nettare di bacco fuori da ogni condizionamento. Con le aziende, però, hanno spesso lavorato fianco a fianco, non solo assistendoli nelle fiere e nelle manifestazioni per il servizio dei vini, ma facendo da anello di congiunzione tra produttore e consumatore aiutando quest’ultimo a comprendere e degustare un vino. Un principio che è ancora oggi un imperativo per la FISAR: “Noi vogliamo essere i consiglieri del gusto – dichiara l’attuale Presidente Nazionale Vittorio Cardaci Ama – e vogliamo operare sempre di più per aiutare il consumatore a capire dove sta la qualità, rispettandone le scelte senza manipolazioni di sorta e proporci come attenti osservatori sul fronte della sicurezza alimentare dei cittadini”. Questo concetto ha portato la FISAR ad aderire alla Coalizione Italia Europa – Liberi da OGM, assumendo per il momento una posizione interlocutoria con l’intento di ottenere maggiori assicurazioni circa gli effetti nel tempo degli alimenti ottenuti da organismi geneticamente modificati sulla salute nostra e dei nostri figli. Ma per questi scopi così importanti è necessario che la figura del Sommelier acquisti una valenza maggiore di quella attuale, e diventi finalmente una figura professionale riconosciuta a livello giuridico e contrattuale. La FISAR si sta impegnando in questo assieme alle altre organizzazioni di settore per contribuire al riconoscimento giuridico della figura professionale del Sommelier. Un primo importante ufficiale incontro si è tenuto proprio nel corso del Vinitaly 2007 presso lo stand del Ministero delle Politiche Agricole Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

Marcello Masi Sommelier onorario Fisar Marcello Masi, Vice Direttore del Tg2 Rai e responsabile delle rubriche Eat Parade e Sì Viaggiare, ha ricevuto in occassione della XXXVII Assemblea nazionale della Fisar di Sirmione l’onorificenza di Sommelier Onorario.

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Nei corsi di formazione per sommelier si impara a riconoscere la qualità di un vino, si capisce la differenza tra il bere indiscriminato ed il piacere di degustare

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dove il Direttore di Assoenologi e il Presidente ASA – Associazione Stampa Agroalimentare Italiana hanno patrocinato l’incontro con il Presidente dell’AIS, la nostra dirigenza. Era presente anche Giorgio Serra responsabile del settore vitivinicolo di Buonitalia SpA, braccio operativo per la promozione internazionale dell’agroalimentare del Ministero stesso. Concorda pienamente con questi punti anche il Vice Presidente Nicola Masiello, che possiamo definire l’anima storica della FISAR. Nicola Masiello ha rappresentato ufficialmente la FISAR alla Commissione Agricoltura su OCM vino in una audizione tenuta il 26 settembre scorso. In quella sessione ha riportato la posizione della nostra associazione in merito alla riforma del mercato vitivinicolo riassunte in un documento ufficiale nel quale si parla, oltre che della necessità di maggiori controlli sulla qualità, della disciplina delle tecniche di vinificazione, di una opportuna revisione della legge 164/92, e della necessaria valorizzazione di tutta la filiera produttiva con un particolare occhio di riguardo per il consumatore finale. Un documento di grandi contenuti che traccia le linee guida del pensiero attuale della FISAR, e che pone l’associazione tra gli interlocutori prescelti dal Governo per la definizione della legislazione di settore. Nel suo intervento alla convention che faceva corollario al XXV anniversario della FISAR, il Vice Presidente Masiello ha tenuto

Marta Chiavacci è la vincitrice del Concorso Sommelier dell’anno 2007 – Trofeo CALP Marta Chiavacci, italo-canadese della delegazione di Lucca e Garfagnana, è la miglior sommelier Fisar del 2007. La manifestazione patrocinata dalla CALP si è svolta durante il XXXV Congresso della Fisar di Sirmione alla presenza di numerose delegazioni e di una rappresentanza di quella di Lucca guidata dal Delegato Piero Giampaoli. Marta superava brillantemente le due prove di esame, al sabato la prova scritta e alla domenica la prova orale e di servizio. Al termine dei lavori dell’assemblea Marta è stata proclamata vincitrice del concorso ed ha ricevuto i trofei messi in palio. Hanno partecipato alle finali per il titolo Franco Jurassich (Venezia), Gabriele Massa (Capri), Fabrizio Trevisan (Pordenone), Michele Lazzareschi (Montecarlo), Marco Barbi (Valdichiana) e Massimiliano Benetti (Bareggio). Marta è nata a Vancouver da genitori lucchesi e vive a Lucca da pochi anni. pagina 50

anche a sottolineare come sia importante per proseguire nella crescita e guardare al domani con ottimismo che la FISAR mantenga le sue caratteristiche genetiche: l’indipendenza, la libertà, la professionalità ed una passione sconfinata. La FISAR, dimostrando anche in questo caso grande lungimiranza, non poteva rimanere indifferente di fronte ad un problema di grande attualità: gli incidenti causati dall’abuso di alcol. “Non è possibile correre il rischio che qualcuno ci accusi di silenzio interessato e connivente – dichiara il Presidente Cardaci parlando del problema - il patrimonio vitivinicolo è sicuramente importante per l’economia italiana, ma mai tanto importante quanto la salute ed il benessere dei nostri figli. E non possiamo permetterci di perdere tutto questo per la stupidità di pochi. Nei corsi di formazione per sommelier si impara a riconoscere la qualità di un vino, si capisce la differenza tra il bere indiscrimina-

Ha conseguito il diploma di sommelier FISAR nel 2005 ed ha quindi continuato a collaborare attivamente alle iniziative della delegazione ed a approfondire la sua cultura enologica con grande passione. Premio Miglior Servizio a Marco Barbi della delegazione di Valdichiana.

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to ed il piacere di degustare. E soprattutto ci si rende conto di quanta storia c’è in un calice di vino. Secoli di tradizione e cultura che rendono il vino un prodotto unico ed emozionante”. Da questi presupposti nasce la nostra campagna contro ogni forma di abuso di alcol: “Fisar: la cultura del bere, per il rispetto della vita”. Con questo ennesimo grande impegno si è chiusa la Convention che ha riservato il suo ultimo applauso ad un grande giornalista che la FISAR ha voluto premiare riconoscendogli il titolo di Sommelier Onorario: Marcello Masi. Il vicedirettore del TG2 e curatore della rubrica Eat Parade ha ricevuto il tastevin d’argento per “la passione, la cultura e la professionalità dimostrata” dalle mani del Presidente Cardaci Ama unitamente ai rin-

I nostri premiati Durante l’Assemblea dei nostri primi 35 anni sono state premiate le delegazioni “storiche “ delle Fisar e i fisariani che sono tali da oltre 30 anni insigniti del titolo di “Cavaliere delle Fisar”. Delegazioni premiate: Livorno (1972) Pisa (1972) Pontedera (1972) Volterra (1972) Pistoia (1974) Valdichiana (1974) Iseo-Brescia (1975) Orvieto (1975) Piacenza (1975) Verona (1976)

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Fin dalla sua nascita i sommelier della FISAR sono stati una presenza discreta nel mondo vitivinicolo graziamenti per il grande contributo dato alla promozione dell’enogastronomia. Cosa è rimasto nel cuore di tutti dopo questa importante ricorrenza? Una festa lunga ed emozionante. Lunga come i nostri primi 35 anni. Emozionante come i palcoscenici che attendono la FISAR protagonista nei teatri del vino.

I Cavalieri della Fisar: Albano Mario, Berrugi Marzio, Berti Tarcisio, Cavalloro Luciano, Ceppatelli Pierluigi, Di Maio Marino, Dipaolantonio Nicola, Donati Ferruccio, Esposito Amedeo Antonio, Fredda Ernesto, Gasperini Auro, Gugliemi Sara, Guidi Dublino, Ianett Bruno, Loriano Orsini, Masiello Enzo, Masiello Nicola, Mechini Fabio, Nocciolini Pietro, Pellegrini Marco, Peterle Gianfranco, Pieraccioli Luciano, Puri Antonio, Ristori Piero, Rovai Josè Valerio, Simonelli Armando, Sisi Giovanni, Valdo Filippi, Zannono Antonio.

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Ha ricevuto per il costante contributo dato alla Fisar una targa di ringraziamento il Consigliere Nazionale Rossi Franco. Riconoscimenti ed applausi ai past president presenti Leonardo Nardi e Luca Giavi.

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di Fabio Loda Consigliere Nazionale

Con lo spirito di chi sa che organizzare un congresso nazionale costa impegno e fatica e decisi a fare del nostro meglio abbiamo intrapreso, qualche mese fa, l’avventura di portare il Congresso del 35° compleanno a Brescia.

Uno sforzo sforzo premiato dal successo successo Con il senno di poi, a valutazione dei risultati e smaltita la fatica, possiamo dire che è stato un successo: la perfezione non è di questo mondo, ma confido che l’esperienza sia stata positiva per tutti. La scelta del luogo non poteva essere migliore: la perla del Lago di Garda, Sirmione, ci ha accolto in tutto il suo splendore, complici tre giornate meteorologicamente perfette, pur con un pò di freddo di certo non richiesto. Tutte le attività programmate sono state svolte con competenza e quasi assoluta puntualità (quando si è in tanti l’elasticità è di

rigore...), tanto che al termine dei tre giorni possiamo affermare che tutto ciò che era necessario è stato fatto, e pure qualcosina in più. Siamo particolarmente orgogliosi di aver offerto ad ogni incontro conviviale un assaggio delle numerose DOC bresciane, e di aver potuto offrire un servizio dei vini con tutti i crismi, grazie all’opera dei giovani Sommelier bresciani, neo diplomati, che pur tradendo in qualche elemento la mancanza di esperienza, hanno offerto un buon saggio dello “Stile FISAR”. Grazie in particolare alla responsabile dei

Importante la presenza della Provincia di Brescia, che con il suo patrocinio ha reso più semplici alcuni passaggi burocratici, ed ha dato la giusta risonanza all’evento

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La scelta del luogo non poteva essere migliore: la perla del Lago di Garda, Sirmione, ci ha accolto in tutto il suo splendore

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Beppe Dattoli, Delegato di Brescia

servizi, Anna Adami, instancabile e onnipresente nel guidare le squadre di servizio e nel seguire le esigenze dei convenuti. Un ringrazianmento alla Strada dei Vini e dei Sapori del Garda, alla Strada dei Vini dei Colli dei Longobardi e al Consorzio di tutela del Cellatica, che ci hanno sostenuto con i loro vini e hanno organizzato il graditissimo Workshop di degustazione e l’incontro con i produttori che hanno caratterizzato la giornata di Domenica, nei momenti liberi dalla Assemblea. Importante la presenza della Provincia di Brescia, che con il suo patrocinio ha reso più semplici alcuni passaggi burocratici, ed ha dato la giusta risonanza all’evento. Gran parte del merito va comunque attribuita alle due persone che per oltre due mesi si sono dedicate alla programmazione, districandosi tra mille piccole e grandi difficoltà, e che nei tre giorni della manifestazione hanno consumato le suole delle loro scarpe: il Delegato di Brescia Beppe Dattoli e il sottoscritto Fabio Loda. Dopo tre giorni febbrili, stanchi ma soddisfatti, ringraziamo tutti gli intevenuti, sottolineando come sia stata enorme la soddisfazione al vedere tante persone in uniforme e fiere di indossarla, che nel sole della mattinata di Sirmione riempivano le strade del villaggio che ci ha gradevolmente ospitato.

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Un grande complimento allo spirito dei Consiglieri Nazionali intervenuti: è stato fantastico vedervi tutti togliere i distintivi e rimboccarvi le maniche, trasformati per un po’ in falegnami ed elettricisti, per allestire gli ultimi particolari della sala congressi. Non ci resta che sperare di rivedervi tutti l’anno prossimo, augurando buon lavoro a chi si accollerà la fatica, ma anche l’onore di organizzare la nostra Assemblea Nazionale.

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News dall’Italia

Nuova delegata in Calabria per le Donne del Vino Fascino ed intelligenza sono il suo biglietto da visita. Che abbia passione e professionalità è indiscutibile. E lei, con un sorriso timido e solare, ringrazia e leva il calice per un brindisi augurale. È Luciana Nicoletta Marino, sommelier crotonese ed è stata da poco chiamata a guidare la delegazione calabrese dell’associazione “Le Donne del vino”. Un ruolo, quello di1ambasciatrice nel mondo della Calabria vinicola, che sembra essere stato attagliato su misura alla sua anima da un sarto esperto. Leggere per credere. Fin da giovane Luciana manifesta interesse per l’enologia. Il punto di svolta ha però una data precisa. È il 1982, infatti, quando convola a nozze col suo attuale marito, Raffaele, discendente della storica famiglia Marino, proprietaria d’una delle più importanti enoteche della Calabria. Il matrimonio suggella il connubio con l’universo fantastico del vino. Che anche grazie alla sua femminilità ed alle sue innate doti, Luciana

trasforma da volgare bevanda a nettare capace di accendere entusiasmi culturali. Primo fra tutti quello che ribalta l’antica concezione per cui le donne possano occuparsi di vino solo in cucina, per non farlo mancare mai a tavola. Un tabù presto sfatato con successo dalle folle che accorrono nell’enoteca di famiglia, trasformata in ritrovo di curiosi, studiosi ed amanti del gusto. Al successo conquistato sul campo s’aggiungono presto i primi riconoscimenti. Culminati nel conseguimento del titolo di sommelier e nei continui viaggi a Reims, in Francia, dai quali ritorna portando in valigia le pergamene che attestano la brillante frequenza di due master in tema di bollicine e champagne. Cronache recenti, cui s’aggiungono la collaborazione (ovviamente da esperta enologa) al settimanale “Crotone Ok”, decine di serate a tema dedicate a sua maestà il vino, progetti ed iniziative per favorire la diffusione delle conoscenze enologiche negli istituti sco-

lastici del crotonese. Adesso, la nomina a delegata calabrese delle “Donne del vino”. La sensazione? Luciana Nicoletta Marino è solo all’inizio del suo viaggio. Ad maiora. Cin cin. Notizia inviata da Francesco Pingitore

25° anniversario fondazione Enoteca Regionale del Barolo Con il concorso della Regione Piemonte e il contributo di un’importante Ente a partecipazione pubblica EGEA – Energia e Ambiente di Alba, l’Enoteca Regionale del Barolo - Regione Piemonte, vuole celebrare i suoi 25 anni di costituzione. La ricorrenza è stata celebrata a Cherasco il 9 novembre 2007, città d’arte degli undici comuni del Barolo. L’avvenimento è stato accompagnato dalla presentazione di un’opera unica: una elegante cartella con tiratura di solo 300 pezzi dove 11 artisti in omaggio agli 11 pagina 54

paesi del Barolo hanno rappresentato ad acquerello un solo grande protagonista, il Barolo. Il programma della manifestazione prevedeva gli interventi dell’Assessore Regionale all’Agricoltura Mino Taricco, del Presidente dell’Enoteca Regionale del Barolo – Regione Piemonte Luigi Cabutto, del Sindaco di Cherasco Pier Luigi Ghigo e del Responsabile EGEA – Energia e Ambiente Pier Paolo Carini. Seguirà l’incontro con i rappresentati degli Enti fondatori dell’Enoteca Regionale del Barolo,

con gli artisti e gli autori raccontati dal noto critico d’arte Carlo Morra. Gli artisti/autori delle opere sono Claudia Ferraresi, Corrado Ambrogio, Eugenio Comencini, Franco Fausone, Lorenzo Griotti, Mario Gosso, Pier Flavio Gallina, Romano Reviglio, Silvio Rosso, Tanchi Michelotti e Walter Accigliaro. La cartella è stata stampata dalla Stamperia Comunicazione di Bra con la consulenza di Carlo Morra e le schede tecniche da Armando Cordero. “Quando nel castello di Barolo si Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008


News dall’Italia

pensò ad una struttura istituzionale e pubblica, che sapesse camminare a fianco di chi sulle colline di Langa ci lavorava da sempre, forse non si ipotizzava il titanico e riconosciuto lavoro d’immagine e di qualità prodotto in venticinque anni, con la faticosa e bella sinergia di tanti Enti e Uomini – dichiara il Presidente dell’Enoteca Regionale del Barolo – Regione Piemonte Luigi Cabutto. Oggi con quest’opera grafica, che celebra insieme l’arte e il lavoro dell’uomo, vogliamo riconoscerlo e consegnarlo a chi in questa Langa ci ha creduto e si è speso. Contemporaneamente si vuole lasciare anche un alto segno di riconoscenza, con uno sguardo alla storia degli undici nostri territori che fanno della terra di Langa, il mito del Barolo. La suggestione delle colline celebrate dalla nostra Enoteca Regionale si racconta solo e soprattutto con i prodotti di una terra amica. Sono dolci versanti modellati su un territorio atavico, abitato da gente caparbia e forte, che ama tramandare rituali e gesti antichi per chiedere alla terra solo e unicamente i sapori del tempo. I vini sono ormai “stelle del firmamento mondiale – continua il Presidente Cabutto - oggetto di amori appassionati per i molti gourmet, capaci di far sognare per stringere forti e attraenti legami. Racchiusi nei calici, i loro profumi raccontano da sempre stagioni fatte di cieli limpidie rugiade mattutine, nati su terre avare ma generose come la semplicità dei loro uomini. Sapersi misurare tra Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

innovazione e tradizione ha portato oggi, la capacità di raccontare tra sapori e gusti autentici, anche la cultura di una gente. Le campagne e le capezzagne dei lunghi filari e dei noccioleti hanno gli umori e le speranze di uomini e donne, i soli depositari a cui possono essere affidati i prodotti nati qui e fatti per una maturazione e cura tutta particolare. Tra quinte di antichi castelli e immense cantine, stanno i cascinali, nella loro orgogliosa collocazione, tutto regolato dal solo ciclo delle stagioni, su cui vigilano metodi antichi e mai banali. Abbiamo lasciato tutto questo alla interpretazione di undici nostri artisti e consegnato loro un messaggio chiaro e pulito per il loro personale estro interpretativo. Tutto diventa allora il deposito di memorie e di eventi. Sedimento di un moto dell’anima che si fa cultura della tavola e della tavolozza e viceversa. Nasce qui l’amore – conclude il Prof. Cabutto - per un paesaggio e lo struggente legame per un tempo sospeso, che ritorna incessante nei sapori e nei ritmi della vigna e della cantina. Un lavoro, quello contenuto in questa cartella, preparato a lungo e con molta cura, per dire grazie a chi ha creduto in questa struttura, prezioso e unico come una annata importante che migliorerà ancora nel tempo, forse impreziosendosi sempre di più”. “L’agricoltura, i suoi territori, le sue produzioni agroalimentari sono sempre più importanti nello sviluppo economico e sociale del Piemonte – dichiara l’Assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte Mino Taricco. Ed è il caso emblematico dell’Enoteca Regionale del Barolo, nell’omonimo castello di Barolo, dove si conserva e si celebra l’omonimo vino: un vino grandioso anche per le sue profonde radici nel mito e nella storia, il cui nome si lega all’epopea dei Savoia, del Risorgimento, dell’Unità d’Italia. Una fama antica, dunque, riconosciuta a livello mondiale, che si mantiene tutt’ora, grazie all’operato dei produttori, delle organizzazioni, delle istituzioni e ancor più delle attività della Enoteca Regionale del Barolo che proprio quest’anno festeggia i suoi 25 anni di vita. Una tappa, questa, che l’Enoteca regionale ha voluto lodevolmente celebrare con un ricco e straordinario programma di iniziative, tra le quali spicca la realizzazione di questa cartella artistica dedicata agli 11 comuni di origine del Barolo. Un’opera di prestigioconclude l’Assessore Regionale all’Agricoltura - che simboleggia degnamente il rapporto di una grande realtà vitivinicola con la storia, l’arte, la cultura, e ancor più, il profondo legame con l’intero territorio di produzione: quella “Langa del Barolo” rappresentata dagli 11 comuni che lodevolmente, in modo coordinato e collaborativo, esprimono e promuovono, anche con il loro diretto impegno nella Enoteca Regionale, questo grande vino.” Notizia inviata dall’Ufficio Stampa dell’Enoteca Regionale del Barolo - Regione Piemonte

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Il Salone del Vino 2007: Torino capitale di Bacco Il Salone del Vino svoltosi a Torino dal 26 al 29 ottobre, si è confermato uno dei più importanti appuntamenti per esplorare l’intero universo enoico italiano ed internazionale. Questa grande manifestazione, organizzata da Promotor International nel quartiere fieristico del Lingotto, ha trasformato Torino per quattro giorni nella capitale di Bacco. Il tema scelto per l’edizione 2007: “ Le regioni del vino, le ragioni del vino”, ha ben sintetizzato la finalità della rassegna, che si è proposta di approfondire le tendenze e il valore economico del comparto enologico, oltre che di porre un focus sulla cultura del vino e l’evoluzione dei più importanti territori del vigneto Italia. Anche quest’anno gli enoappassionati hanno potuto partecipare a molteplici eventi gastronomici, con degustazioni mirate alla valutazione sia dei vitigni internazionali, sia di quelli autoctoni. Una kermesse con un successo veramente meritato che si concretizza, dopo il calo del sipario, guardando i numeri da record consuntivati. Vi sono stati un sostanziale incremento dei visitatori e degli scambi commerciali, ventimila assaggi, 40 ore di degustazione, otto Laboratori del Gusto e diversi seminari sul vino. Tutto questo è stato anche possibile grazie alla forza del gruppo dei Sommelier della FISAR del Piemonte capitanati dal sommelier Capo Servizio Vincenzo Fragomeni, che con altissima professionalità hanno assicurato la maggior parte dei servizi di degustazione organizzati dalla Regione Piemonte, da Promotur International e da GO Wine. Sono state presentate agli enoappassioinati, nell’ambito del terzo forum sugli autoctoni, ben 218 etichette. La FISAR inoltre, è stata presente in tutte le quattro giornate della manifestazione con uno stand presidiato dal Consigliere Nazionale Luigi Terzago e dai rappresentanti le delegazioni di Torino, Vercelli ed Asti. Questi professionisti di Bacco hanno presentato al pubblico la passione, il sapere e la conoscenza del settore enologico, peculiarità tipiche della FISAR. Oltre alla FISAR, altri protagonisti del Salone del Vino sono stati Slow Food che ha organizzato gli otto Laboratori del Gusto e la grande degustazione di tutte le etichette della Guida al vino quotidiano, l’Enoteca Italiana che ha promosso la carta dei vini tipici del territorio senese, La Strada del vino di Arezzo che ha offerto l’aperitivo con il Vinsanto e la “biodiversità dei vini aretini”. Nell’ambito di Dolc’è ci sono state diverse degustazioni di “Vino e Cioccolato”, con l’azienda Perugina che ha stupito gli appassionati e amanti del cioccolato. L’azienda umbra, nella vasta e gremita serie di degustazioni effettuate, ha modificato quell’immagine mentale che vedeva l’abbinamento del cioccolato esclusivamente con i grandi brandy, o comunque, con tutti quei superalcolici aventi caratteristiche più o meno aromatiche, consentendo al vino la sola eccezione del Barolo chinato. È stato dimostrato infatti, che i cioccolato, a seconda della pagina 56

sua caratteristica qualitativa, distinguibile da diversi parametri, quali la zona geografica di provenienza della materia prima, il contenuto percentuale di cacao, il grado di acidità finale reso al palato nell’analisi sensoriale, può essere felicemente abbinato a tanti altri vini come il moscato e i vari passiti con note aromatiche più o meno marcate. Dal successo di pubblico e dai pareri rilevati, si può tranquillamente affermare che la community degli enoappassionati ha molto apprezzato e condiviso i nuovi abbinamenti. In questo Salone del Vino 2007 grande importanza è stata data alla funzione che il vino ha nella

nostra tavola, al suo modo di essere bevuto, sia qualitativamente sia quantitativamente, fino alla ricerca degli abbinamenti più appropriati con la nostra cucina tradizionale. Un indicatore molto significativo, che è emerso nelle analisi condotte sui consumi di questi ultimi anni, è l’orientamento del consumatore sulla ricerca di un vino per uso quotidiano che sia al tempo stesso piacevole, non altamente strutturato, molto profumato e principalmente alla portata di tutti. Restano comunque sognati e ancora ricercati i grandi vini, le grandi etichette con i prezzi alle stelle che nessuno comunque mette in discussione. Ma con la crisi economica generale, che attraversa tutti i settori e gli strati sociali, non è un mero fatto di immaginario collettivo dei consumatori, dei produttori, o dei distributori compresi i ristoratori, pensare ad un riposizionamento del vino sul mercato. Le indagini infatti ci dicono che la maggior quantità di vino venduta in bottiglia non supera il valore commerciale finale di dieci euro, mentre si vanno sempre più affermando vini di ottima qualità, per l’uso quotidiano, di quattro euro. Se questa consapevolezza si consoliderà, nei prossimi anni, il mercato del vino potrà sicuramente essere più dinamico per la felicità e le tasche dei consumatori, ma soprattutto dei produttori. Notizia inviata da Saverio Scarpino Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008


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L’Associazione Donne del Vino a Merano Ungherese, Tedesco, Greco, Spagnolo, Francese, Inglese... Italiano: tutte queste lingue echeggiavano nella sala “fin de siècle” dell’hotel in stile prettamente austro-ungarico di Merano. Preceduta da un Consiglio di Amministrazione secondo i rigidi canoni del caso, l’International Association Women in Wine ha trattato argomenti di vario genere molto puntuali ed interessanti. L’accettazione o meno di Associazioni diverse presenti nella stessa nazione, magari sostenute da forze politiche

opposte, un questionario a cui rispondere da vari paesi per una statistica internazionale sul rapporto donnavino riguardo alle scelte produttive e ai consumi... hanno suscitato grande interesse ed interventi di spessore. Tre serate appassionanti, fra castelli e masi dell’affascinante ed incantevole Alto Adige, fra cibi caratteristici e vini delle socie puntualmente abbinati, hanno allietato la severità dell’incontro. Tre cantine della zona visitate: Nadia Zenato della omonima cantina dagli eleganti e raffinati Lugana ed Amaroni, Marianna Reiterer della Cantina Arunda, produttrice, a 1200 metri di quota, delle bollicine “più alte del mondo”, Elena Walch, dai rossi vellutati e profondi, esportati in tutto il mondo, hanno accolto le delegazioni straniere con grande amicizia, eleganza e professionalità. Al Meraner Wine Festival, in svolgimento contemporaneo, lo stand istituzionale delle Donne del Vino d’Italia, proponeva in degustazione vini delle socie dell’Italia intera e depliant illustrativi nelle tre lingue base. Foltissima l’affluenza dei visitatori dovuta sicuramente alla curiosità che le Donne del Vino suscitano sempre e dovunque, ma certamente anche al fascino di trovare l’espres-

sione vinicola italiana concentrata in un’ unica postazione. Molte erano le Donne del Vino presenti in forma privata con un loro stand aziendale, il che rendeva ancora più solida la presenza istituzionale. Nulla vieta che negli anni futuri si possa ripensare ad una grande postazione con la presenza personale delle socie stesse. Il giudizio conclusivo è sicuramente di grande positività: la Presidente italiana, Pia Donata Berlucchi e quella internazionale, Coraline de Wurtenberger, hanno chiuso la serata finale nel fiabesco castello di Fahlberg con l’augurio di un prossimo incontro, probabilmente a Ginevra nel 2008, con la certezza che, l’apertura all’estero, è, oggi, più che mai necessaria e non più rimandabile. L’unione fra le Donne del Vino mondiali, non solo arricchirà personalmente le socie sia in materia prettamente vinicola che nel loro essere donne in tutti i suoi aspetti, ma, gli ideali comuni in nome del valore multiforme del vino stesso chissà che non contribuiscano a riavvicinare gli uomini sulla tormentata e difficile strada delle pace. Notizia inviata da Anna Pesenti

Chiude con successo “Il Desco” mostra mercato dei prodotti lucchesi. Edizione ricca di grandi suggestioni quella che si è svolta a dal 17 novembre al 9 dicembre scorso nei Saloni del Real Collegio di Lucca che hanno fatto da splendida cornice ai prodotti tipici dell’agricoltura dell’arte e dell’artigianato realizzati nella provincia di Lucca e dai lucchesi nel mondo. L’edizione 2008 de “il Desco” ha preso il via con una cena degustazione il 16 novembre nella quale gli ospiti hanno potuto assaggiare l’eccellenza del territorio lucchese nella tradizione. Tra questi un posto di rilievo è occupato sicuramente dall’olio che dal 2005 può Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

vantarsi della “DOP” Denominazione di Origine Protetta. Anche in una raccolta non certo felicissima come quella di quest’anno l’olio lucchese esprime comunque grandi picchi di qualità a conferma delle potenzialità del territorio e dei produttori. Assieme all’olio non possiamo non citare il vino, anche questo un prodotto di grande tradizione nella lucchesia dove coesistono due DOC: Montecarlo e Colline Lucchesi. Ma sulla tavola non mancavano miele, formaggi, e i salumi dei maestri norcini della Garfagnana e della Versilia. Da

citare anche il fagiolo giallorino ed il mais “formenton” ottofile, una riscoperta recente della Garfagnana. A stuzzicare il tutto ci ha pensato la delegazione locale dell’accademia del Peperoncino. Peperoncini di varie qualità originari di posti lontani a dimostrazione che un uso sapiente di questo ingrediente non copre ma anzi riesce ad esaltare i prodotti ai quali viene abbinato, soprattutto se, come quelli descritti, sono di assoluta qualità. Per informazioni sui produttori: LeMadenItalie.com pagina 57


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Sulla Vespucci i sommelier Fisar Salire a bordo di nave “Vespucci” è come la realizzazione di un sogno: così è stato per l’incontro organizzato dall’Associazione “Insieme per la Vita” di Livorno alla quale lo Stato Maggiore Marina aveva concesso l’autorizzazione per fare un bilancio dell’attività svolta nel corso dell’anno. Il comandante C.V. Massimo Vianello ha accolto a bordo con squisita signorilità autorità, soci ed amici. Nel suo saluto il comandante Vianello ha ricordato che recentemente “Vespucci” è stata nominata “ambasciatrice dell’UNICEF”(per questo sul pennone più alto alza la bandiera blu) e, a nome dell’equipaggio tutto, ha dato il benvenuto agli ospiti. “L’incontro con la vostra associazione, ormai tradizionale, è per noi un atto di solidarietà che ci inorgoglisce e stimola a farci proseguire nel nostro impegno”, ha detto. Il presidente di “Insieme per la Vita” prof. Luciano Vizzoni, ha

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tratteggiato le attività svolte soffermandosi soprattutto sugli aiuti dati alle famiglie bisognose che hanno bambini affetti da gravi patologie, alla donazione di apparecchiature alla Pediatria dell’Ospedale di Livorno ed al Centro Regionale Pediatrico di Trapianto di Midollo di Pisa, diretto dal dott. Claudio Favre. Prima dei ringraziamenti il maestro Marc Sardelli ha donato, come ormai una bella consuetudine, una sua opera al veliero che tutto il mondo ci invidia. Anche il maestro Massimo Lomi ha fatto omaggio alla nave di un suo quadro. Sul ponte, “Avenance” (che fa servizio anche in Accademia) aveva preparato un signorile buffet. Alla migliore riuscita avevano collaborato anche la pasticceria Biagi, la pasticceria “Il Cantuccio di Federigo” di San Miniato (Pisa), il “Salumificio del Serchio” (grandi salumi di Lucca) e, per i vini, l’azienda “Corte di Castello” di

Gorizia, (presente il direttore Angelo Isoni. e il capo area Ennio Tognaccini), “Sant’Emo” di Casciana Terme (Pisa) e “Tenuta I Forci” di Lucca, presente la baronessa Diamantina Scala Camerini. All’eleganza ed al fascino di nave “Vespucci” e di tante signore presenti, ha fatto riscontro l’eleganza e la professionalità delle sommelier Fisar: Stefania Bartolini, Carla Giorgi, Loriana Materazzi e Carla Pazzaglia.

Inviata da Gianfranco Grossi

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Consegnati gli attestati di qualifica ai sommelier di Brescia Al termine della tre giorni che ha visto riuniti insieme i soci e i delegati per il Congresso nazionale, si è svolta la cerimonia di consegna del tastevin ai neo qualificati sommelier della delegazione di Brescia. Si tratta del primo gruppo di corsisti che giunge al termine del percorso di studi per la delegazione di Brescia, che ha scelto di aspettare la maturità dei tempi e dei formatori per giungere al risultato ottimale. Subito un battesimo a dir poco di fuoco per questi ragazzi: su di loro è caduta infatti la responsabilità del servizio dei vini nelle tre serate del congresso. Impeccabile l’interpretazione, guidata dalla responsabile Annalisa Adami, che è valsa ai sommelier il ringraziamento e i complimenti di tutti i presenti. Ulteriore occasione di emozione, e

di grande gratificazione, il fatto che per l’occasione, a premiare il 37 neo sommelier, e a metter loro al collo l’agognato Taste Vin è stato nientemeno che il presidente nazionale Vittorio Cardaci Ama come sempre piacevole e simpatico, nel mettere a proprio agio i neo qualificati. Elenco dei nuovi sommelier: Aicholzer Fabio, Astrelli Roberto, Ballardini Marina, Baselli Roberto; Battisti Anna; Beccalossi Ivan; Beccaria Franco; Bertelli Roberto; Boldini Michele; Bongiovanni Michele; Busi Paola; Cadenelli Alessio; Casella Diego; Colosio Emanuela; Corsini Giuliana; Della Noce Fabrizio; Filisina Gabriele; Gaioni Oscar; Galoppini Sergio; Giordano Vincenzo; Guerini Inglis;

Hungar Janos; Laudanna Dario; Lovo Andrea; Maccaboni Paola; Maffolini Gianbattista; Orizio Angelo; Padovani Silvio; Panato Claudio; Porta Dario; Quadrio Mauro; Ragni Pierluigi; Rizzo Alberto; Vavassori Paolo; Vigliani Giuliano; Vimercati Francesca; Zanotti Maria Luisa Notizia inviata da Fabio Loda Consigliere Nazionale Fisar

La Fisar “Due Valli” di Cecina con “Insieme per la Vita” Una serata di beneficenza in favore dell’Associazione “Insieme per la Vita” di Livorno è stata organizzata da Alessandro Dughera presso l’elegante Hotel “I Ginepri” di Marina di Donoratico-Castagneto (in provincia di Livorno). La delegazione Fisar “Due Valli” di Cecina era presente con due suoi sommelier: Lorenzo Alunno e Adriana Pieroni. È stata una serata molto importante per la benemerita associazione grazie anche ai grandi vini “di zona” che sono stati generosamente offerti dalle aziende: Enrico Santini, Fornacelle, Giorgio Meletti Cavallari, Gualdo del Re (il suo I’Rennero 2004 ha ottenuto tre bicchieri dal Gambero Rosso), Michele Satta, La Regola e Guado al Tasso. Ottima la cucina. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

Tra i presenti anche Leonardo Nardi (che è stato presidente della Fisar per ben 11 anni) con la signora Mariangela e il comandante David Volpe (e signora) in rappresentanza del comandante dell’Accademia Navale amm. Cristiano Bettini ed il C.F. Stefano Gilli con la signora Paola. Lo spettacolo era assicurato da Gianni Giannini con il suo cabaret toscano, Ivano Ravagni, Alessio Nonfanti (Magicomico Kagliostro) con Ilaria Filipponi: un “duetto” che è stato spesso interrotto dagli applausi. Paolo Marioni ha cantato la canzone “Mascagni” di cui è l’autore e che Andrea Bocelli ha inserito nel disco “Cieli di Toscana”. Tra l’altro ha donato all’associazione una cartella contenente quattro

opere del babbo, Alvaro, che è stato un grande maestro del colore. Inviata da Gianfranco Grossi

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Nella Regione del Bordeaux con i fisariani di Verona Stefano Carraroli della Delegazione FISAR di Verona, su richiesta di alcuni sommelier ha organizzato un viaggio studio nella Regione del Bordeaux, al quale, purtroppo per motivi organizzativi, ha potuto partecipare solo un piccolo gruppo composto da quindici sommelier F.I.S.A.R., tra cui anche il consigliere Ugo Bonalberti, tutti particolarmente interessati ad allargare e ad approfondire le proprie conoscenze sul vino e sul suo mondo. A questa “full immersion” nel mondo enoico sono state abbinate anche visite culturali, supportate da guide locali, alle città di Bordeaux e di Saint Emilion, entrambe dichiarate Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO, ed enogastronomiche realizzate, ad Arcachon, con un’interessante degustazione delle famose “huitres creuses” e, a Saint Emilion, con un pranzo raffinato presso il Ristorante “Le Bouchon” dove sono state apprezzate, tra i piatti tipici proposti, le magnifiche “escaloppes de fois gras” con purè di pere e mele. Lunedì mattina 22 ottobre hanno avuto inizio le visite ai produttori. A Saint Estèphe, sulla riva sinistra della Gironda, siamo stati ospiti dello Chateau Lafon – Rochet, classificato “quatrième cru”. Il classamento del Medoc, datato 1855, prevede che i sessanta Chateaux facenti parte dell’ordinamento siano inseriti in cinque cru. Tutti gli altri produttori sono fuori “classifica” e non possono fregiarsi di un “cru” per cui è unicamente consentito loro di indicare sulla bottiglia la generica “appéllation” Medoc o Bordeaux. Siamo stati accolti dal proprietario monsieur Basile Tesseron che, dopo aver fatto visitare le “caves” di vinificazione e di affinamento ci ha proposto dapprima la degustazione del suo secondo vino “Les Pelerins de Lafon – Rochet” 2004, chiamato così in ricordo dei pellegrini che transitavano sulle sue terre alla volta di Santiago di Compostella e poi del suo Grand Cru e primo vino “Chateau Lafon – Rochet” nei millesimi 2004 e 2002. Entrambi i vini propostici vengono sempre assemblati con il 55% di Cabernet Sauvignon, che conferisce la struttura e il fruttato, con il 40% di Merlot, che dona la morbidezza e la polposità, e con il 5% di Cabernet Franc, che ne arricchisce il colore e il bouquet floreale. I vigneti sono allevati sulle “Graves”, terreni ciottolosi tipici del bordolese, sulla riva sinistra della Gironda ma mentre per il Grand Cru l’uva utilizzata proviene dalle vigne più vecchie (35 – 40 anni) e l’affinamento avviene in barriques nuove per “Les Pelerins” l’affinamento avviene in tonneaux e l’uva è quella dei vigneti più giovani (10 – 30 anni). Il Grand Cru degustato, soprattutto per quanto riguarda il millesimo 2002, ci è apparso già un grande vino pagina 60

seppur con tannini ancora evidenti ma già sufficientemente rotondo ed equilibrato, tenuto conto che il meglio di sé sarà in grado di darlo tra almeno una decina di anni. Martedì 23 ottobre erano previste due visite: in mattinata nel Sauternes, a Bommes, presso lo Chateau La Tour Blanche e nel pomeriggio a Barsac presso lo Chateau Coutet. Entrambi i produttori rientrano nei soli 11 “Premier Cru” previsti, poi la classificazione vigente contempla altri 15 “Second Cru” e solamente 1 “Premier Cru Superieur”: il celeberrimo Chateau d’Yquem. Tutti gli altri produttori non possono che indicare sulla bottiglia genericamente “appèllation Sauternes o Barsac”. Accolti calorosamente dall’enologo dello Chateau La Tour Blanche ci siamo recati nel vigneto prospiciente l’azienda su una piccola collina dove abbiamo assistito al terzo passaggio (“tries”), finalizzato alla raccolta dei grappoli di semillon, sauvignon e muscadelle completamente botritizzati: quest’anno andranno avanti sino a metà novembre facendo cinque o sei passaggi. Abbiamo potuto vedere con i nostri occhi e gustare gli acini ormai bruni, rattrappiti, canditi dei grappoli ancora sulla pianta, poi assistere alla diraspatura a mano e alla pigiatura degli acini totalmente botritizzati: un’esperienza indimenticabile! Visitata la bellissima cantina, accomodati in una graziosa sala abbiamo avuto l’opportunità di degustare dapprima il loro secondo vino “Les Chamilles de Tour Blanche” 2004, elaborato esclusivamente in inox e poi il “Premier Cru Classé Chateau La Tour” 2002 che viene fermentato e affinato in barriques nuove: senza ombra di dubbio un grande Sauternes nel quale si sono evidenziati i tipici profumi apportati dalla Botrytis con note floreali e con l’esplosione in bocca dell’albicocca disidratata, della frutta tropicale con un fondo di miele d’acacia, degli agrumi canditi, con la polposità e la morbidezza serica unita ad una freschezza piacevolissima. Insomma un vino, con 14 gradi alcoolici non percepiti in quanto equilibrato, già un gran bel vino, nonostante la sua gioventù e tenuto conto che il suo massimo potrà esprimerlo probabilmente tra 10 – 15 anni. Nel pomeriggio siamo stati ospiti dello Chateau Coutet, nel Barsac, ma purtroppo il proprietario monsieur Philippe Baly, che ci doveva accompagnare nella visita, per un impegno sopraggiunto inaspettato, non ha potuto seguirci per cui il tour e la successiva degustazione dello “Chateau Coutet 1° cru” 2004 non ci ha soddisfatto appieno: un Barsac troppo giovane che, tra l’altro, era appena stato imbottigliato e di cui, nonostante tutto, si sono potute intravedere le potenzialità inespresse. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008


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Mercoledì mattina 24 ottobre ci attendevano a Saint Emilion presso lo Chateau Figeac, uno degli undici Premier Grand Crus “B”. Per la zona di Saint Emilion, che si estende per 5.400 ettari e presenta più di 1.200 crus, il classamento prevede solo 2 Premier Grand Crus “A” che sono i famosissimi Chateau Ausone e Chateau Cheval Blanc, 11 Premier Grand Crus “B” e 55 Grand Crus Classé. Tutti gli altri possono indicare sulla bottiglia semplicemente la denominazione “Saint Emilion”. Accompagnati da madame Sophie, dopo una visita ai vigneti, allevati sulle famose “Graves de Saint Emilion”, composte soprattutto da ciottoli quarziferi di varie colorazioni e il cui territorio è diviso equamente al 50 % tra lo Chateau Figeac e lo Chateau Cheval Blanc, abbiamo avuto il piacere e direi, anche l’onore, di degustare il “Premier Cru Chateau Figeac” 1995 presente il fondatore e proprietario monsieur Thierry Manocourt, il quale, dopo averci amabilmente trattenuto ricordando la storia della nascita ed evoluzione dello Chateau, ci ha invitati anche a visitare la sua bellissima dimora con il parco annesso dopo aver tenuto a precisare che nella sua casa riceve solamente gli amici: una grande soddisfazione per noi giunti dalla lontana Verona. Lo Chateau Figeac premier cru, a differenza dei vini elaborati a Saint Emilion, vede nell’assemblaggio una preponderanza di Cabernet Sauvignon (90%), e il millesimo 1995, da noi degustato, si è palesato con i suoi frutti rossi, il cassis ma anche con una nota evidente di spezie come il pepe e la cannella, rotondo, equilibrato con tannini dolci ancora in evidenza per ricordarci della sua longevità. Insomma a parere di tutti un grandissimo vino! Per finire giovedì 25 ottobre abbiamo avuto altre due grandi degustazioni. La mattina a Saint Julien presso lo Chateau Lagrange, troisième cru del Medoc, dove siamo stati accolti calorosamente da Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

madame Valerie e dal nuovo Direttore monsieur Matthieu Bordes. Dopo le consuete visite abbiamo degustato: “Les Arumes de Lagrange” 2006, da bacche bianche e precisamente da Sauvignon, da Semillon e da Muscadelle, vinificato e affinato in barriques “sur lie” con “batonnages” frequenti che non ci ha particolarmente entusiasmato a cui è seguito “Les Fiefs de Lagrange” 2004, il loro secondo vino, elaborato come il premier cru ma proveniente da vigneti più giovani, tra i 20 e 30 anni d’età. È risultato di piacevole beva anche se di modesta struttura con un corpo non eccezionale. Migliore ci è apparso lo “Chateau Lagrange” 2002, assai interessante, con una trama molto fitta e ancora superiore il millesimo 1995 ben strutturato e molto equilibrato. Il pomeriggio abbiamo finito in bellezza il nostro viaggio studio a Pauillac con la visita che ero riuscito a concordare, qualche mese fa, con Madame Sonia Favreau presso lo Chateau Latour, Premier Cru del Medoc assieme a Chateau Haut Brion, a Chateau Lafite – Rothschild, a Chateau Margaux e a Chateau Mouton – Rothschild. Accolti con molta professionalità ma con altrettanta simpatia da madame Sonia siamo stati invitati ad accomodarci in una accogliente saletta per goderci un filmato molto ben confezionato e con tratti poetici sullo Chateau Latour alla fine del

quale abbiamo iniziato una visita che penso rimarrà sempre viva nel nostro ricordo per ciò che abbiamo potuto ammirare sia nel reparto vinificazione, dove facevano bella vista di sé un centinaio di “fermentini” inox esteticamente assai affascinanti, ognuno dei quali destinato ad ospitare i mosti provenienti dalle varie “parcelle” e dai diversi vitigni, sia nel reparto affinamento con una serie imponente di barriques nuove di cui era impossibile approssimare un numero. Locali e ambienti stupendi, con un ordine e una pulizia invidiabile, con i particolari curati in ogni dettaglio e nulla lasciato al caso come nel caveau, dove, dietro un cancello in ferro battuto, erano ospitati i millesimi a partire dal 1863 e come nell’incantevole sala di degustazione dove abbiamo potuto godere in ordine del “Pauillac 2006”, “Les Forts de Latour 2003 e dulcis in fundo dello “ Chateau Latour” 2001. Tre grandi vini tra i quali lo “Chateau Latour” 2001 ci ha sbalordito per la sua persistenza infinita, senza limiti e che ci ha procurato un’emozione immensa ed indimenticabile. Chapeau Chateau Latour!! Venerdi 26 ottobre, conclusa un’esperienza unica e densa, siamo rientrati a Verona da Bordeaux in aereo lasciando alle nostre spalle un cielo terso, un sole splendente e dei ricordi memorabili. Alla “prochaine”. Inviata da un gruppo di enofili FISAR di Verona pagina 61


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La FISAR di Pisa diploma i Sommelier La delegazione pisana della FISAR si spinge nelle ridenti colline della sua provincia organizzando, al ristorante”da Bruno” a Crespina, una riuscita cena di gala per la consegna dei diplomi di Sommelier. Nell’occasione l’Azienda Tenuta Torre a Cenaia si è resa protagonista per la gentile offerta dei propri vini. La Tenuta agricola è un’antica proprietà della zona che si sviluppa su circa 500 ettari interamente accorpati, con boschi, laghetti e diverse culture con priorità a vigneti specializzati. Le sue origini risalgono al Medio Evo: una carta Pisana del 1120 descrive le caratteristiche della borgata di Cenaia, con la sua casa “turrita” dalla quale deriva il nome dell’azienda. Nel corso dei secoli la tenuta ha fatto parte dei possedimenti di diverse nobili casate, tra le quali i Valery, i De Bart ed i Pitti. Proprio dall’intuizione e dall’impegno di questi ultimi, che ebbero la capacità di capire le potenzialità del territorio, si deve il merito di aver investito in particolare nel settore vitivinicolo, così da riuscire a produrre i vini, ai quali vollero affiancare il loro stemma di famiglia, che a tutt’oggi vengono apprezzati grazie ai continui miglioramenti e ricerche. Con uno scritto olografo, l’ultimo discendente della famiglia Pitti, il conte Robert Pitti Ferrandi, ha concesso all’Azienda Torre a Cenaia la possibilità di associare lo stemma araldico della storica famiglia alla denominazione “Cenaia antica proprietà dei Pitti”. Grande considerazione ha sollecitato la testimonianza del Sommelier Decano Angiolo Bacci che ha ricordato come da giovane soleva recarsi all’Azienda “armato” di damigiane, acquistando il prodotto sfuso, per poi imbottigliare il vino, ad uso personale, nella propria cantina di Pisa. Ultimamente la tenuta è stata acquistata dalle famiglie lombarde Coppini e Terzi con il desiderio di pagina 62

valorizzare, grazie anche a questa forte connotazione storica, la produzione del territorio caratterizzato da una marcata vocazione ambientale, da un’ottima esposizione e da un clima temperato affidandosi alle doti riconosciute dell’enologa Graziana Grassini. I vini sono stati presentati sapientemente dalla responsabile alle vendite Irene Scrò che ha sottolineato comela commercializzazione dei prodotti si estenda anche all’estero, toccando paesi come l’Inghilterra, l’America del Nord ed il Giappone, mentre i piat-

ti sono stati illustrati e spiegati ottimamente dal docente Bruno Janet. Si è iniziato con l’antipasto di crostini caldi ai fegatini alla toscana e stracchino con salciccia, polenta fritta con porcini trifolati e salumi misti: prosciutto, salame e capocollo. L’abbinamento con il Toscana IGT Pitti Bianco 2006, dai profumi gradevoli di erba fresca e paglia secca, ha evidenziato grande originalità ed è proseguito con il risotto ai funghi porcini legandosi all’aroma della nipitella in un azzardo di sentori e sapori che ha favorito le disquisizioni dei neo-sommelier. Le pappardelle di pasta fresca alla lepre, servite al dente come si conviene, sono state bagnate dal Pitti Rosso IGT Toscana 2005, Sangiovese in purezza dal colore rosso rubino ed un sapore armonico e vellutato, ricco di sentori di frutti di bosco e violetta, che ben legava in bocca con la pietanza. La tagliata di chianina, con abbondanza di

funghi porcini crudi, è stata accompagnata dal Vaio IGT Toscana 2004, frutto dell’uvaggio di tre vitigni nobili: Sangiovese, Syrah e Cabernet-Sauvignon, il cui affinamento in barriques (un terzo) compone al meglio le loro caratteristiche rivelando al gusto tannini robusti, ma setosi, che possono sopportare anche piatti più succulenti e di selvaggina. In ultimo, la crostata con frutta fresca di stagione ed il Moscato IGT Toscana 2006 hanno degnamente chiuso la parte enogastronomica. Il consigliere Barbara Poli ha quindi ringraziato la brigata di cucina, il rango di servizio e i due sommelier Cristina Duranti e Monica Ruffini che hanno espletato eccellentemente il servizio vini tra gli scroscianti applausi degli astanti. Inoltre ha dato comunicazione ufficiale della nomina avuta dalla delegazione pisana al congresso di Sirmione appena concluso di “Delegazione Storica della FISAR” e che, nell’occasione, sono stati nominati ventuno “Cavalieri della FISAR” fra i quali i pisani Bruno Janet e Piero Ristori. Grande emozione e compiacimento si è manifestata tra i convenuti che hanno espresso consenso e congratulazioni. Infine la stessa ha proceduto alla consegna dei diplomi di Sommelier con l’aiuto del segretario Vittorio De Santis e della consigliera Cristina Messina. Ecco i nominativi dei promossi: Nicola Aloia, Marina Bartalini, Luana Biondi, Sonia Daziano, Santini Dragà, Tiziana Duè, Ilaria Falchi, Giancarlo Fucich, Francesca Gambassi, Simone Grechi, Gerardo Lena, Marco Maccheroni, Francesca Micheli, Enrico Orsini, Giuseppa Paola Ricci, Angela Rosa Sciarra. Notizia inviata da Tiziano Taccola delegazione FISAR di Pisa e Litorale

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La segreteria comunica

Tesseramento 2008 di Mario Del Debbio

Associarsi vuol dire: USUFRUIRE DI TUTTI I VANTAGGI RISERVATI AI SOCI Ricevere la rivista di enogastronomia e turismo “Il Sommelier” Partecipare a condizioni vantaggiose alle cene, alle degustazioni, agli eventi organizzati dalla vostra delegazione di zona

Usufruire di sconti e omaggi nelle maggiori manifestazioni enogastronomiche nazionali (Vinitaly, Salone del Gusto, Sensofwine ecc.) Usufruire di sconti in locali convenzionati in tutta Italia (Ristoranti, Enoteche, Cantine, Agriturismo ecc.)

Associarsi alla Federazione NON È MAI STATO COSÌ FACILE!

Compilate il bollettino allegato alla rivista con nome, cognome, indirizzo, delegazione di appartenenza, (non indicando nessuna delegazione, la Segreteria Nazionale Vi attribuirà la delegazione competente per territorialità)

INFO: Sede Nazionale F.I.S.A.R. Tel. +39 050 857105 - segreteria.nazionale@fisar.com Il Sommelier - Anno XXVI - n. 1/2008

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La segreteria comunica

Con la codifica della struttura organizzativa e delle procedure di servizio, approvata nell’ultimo Consiglio Nazionale, viene data definitiva attuazione all’Albo Nazionale Sommelier FISAR. Approfittiamo per chiarire una vecchia disquisizione ortografico-grammaticale:

i Sommelier o i Sommeliers? Scrive Luigi Veronelli in una delle sue pagine sull’enciclopedia “Conoscere il vino” della Fabbri Editori: “I Sommelier. Va da sé: senza s finale da che il termine è desormais acquisito (da ogni lingua) e scritto in tondo e non in corsivo. Così come i cru e non i crus. Tendono al francese i termini dell’enologia, all’inglese quelli del bar (i drink, i cocktail, i fancy... un’eccezione: scrivo i barmen o i barman indifferentemente). Noi italiani abbiamo il privilegio musicale: dagli adagio agli allegro smorzando, dai soprano al pianoforte. I sommelier....” Con la benedizione del grande Gino, invitiamo allora tutti i sommelier ad iscriversi all’Albo Nazionale e a prendere visione delle procedure operative. Il 2008 è appena iniziato ma sono già molti gli appuntamenti che ci aspettano.

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