Acqua cheta

Page 1

Acqua cheta . 14 novembre 51 14 novembre 14


Isia Urbino Diploma accademico di II livello in Grafica per le Immagini indirizzo in Fotografia per i beni culturali II Teoria e tecniche di fotografia analogica Prof. Paola Binante Studente: Giulia Nascimbeni a.a. 2014/2015


INDICE

Abstract I II III IV V

La sfinge Storiografia del territorio L’alluvione del ‘51 Una testimonianza diretta Esiti e risultati

7 8 12 15 18

Ricerca Iconografica 25 Vittorino Vicentini 26

Walter Breveglieri

32

Arianna Arcara 40 Tavole Bibliografia e sitografia

47 73



Abstract

Questo progetto di documentazione dell’area fluviale del Po nel tratto compreso tra i comuni di Occhiobello, Canaro, Polesella (Sinistra Po) – territori che il 14 novembre 1951 subirono l’alluvione – deriva dalla volontà di raccantare lo stato di suggestione legato a quel territorio. La decisione di indagare attraverso documenti, testimonianze dirette, materiale fotografico, è stata dettata dai fatti di cronaca accaduti a Genova il 9 ottobre 2014, quando le precipitazioni eccessive causarono l’esondazione di diversi torrenti tra cui il Bisagno e lo Sturla. La paura legata ad un fenomeno ingestibile come questo, aumenta indiscutibilmente la suggestione del luogo arriavando a distorcere la percezione stessa della realtà. L'evento conferisce delle caratteristiche sensibili che vanno a ricadere sul circostante e sui paesaggi non rendendoli mai uguali a se stessi e creando delle ambientazioni che tanto intimoriscono quanto affascinano. Ne risulta un paesaggio che non è mai uguale a sé stesso e che tanto intimorisce quanto affascina.



I LA SFINGE

Il racconto di Edgar Allan Poe La Sfinge è stato un buon punto di partenza per parlare di suggestione. La valutazione spaziale distorta della realtà - presente in tutta la vicenda - è il frutto della condizione di paura che un fenomeno incontrollabile e pertanto umanamente non gestibile, come in questo caso è la peste, opera sull’animo umano alimentando uno stato di “anormale ipocondria”. Quest’ultima si configura come un circolo vizioso dove la predisposizione alla paura viene alimentata da testi che culminano in una valutazione spaziale errata della realtà circostante. L’epidemia costringe all’allontanamento dalla città in favore di luoghi più isolati, ma la sua eco si trasporta nel vento attraverso distanze sconfinate fino a raggiungere le orecchie e l’animo del protagonista e dell’amico. E’ un fenomeno incontenibile che deborda dai confini spaziali fino a raggiungere l’interiorità dei personaggi. Spinta da questa considerazione e dalla suggestione suscitata dai fatti accaduti nel territorio del genovese il 9 e il 10 ottobre 2014, ho deciso di sviluppare il mio progetto sul paesaggio alluvionale delle regioni del Polesine, dove l’orizzonte si perde a vista d’occhio e la nebbia crea una dimensione di ovattato intermezzo tra uomo e materialità circostanti. L’elemento acqua presenta la natura ambivalente e contrapposta di gestazione e purificazione della civiltà ma al contempo nega se stessa con la sua incontenibile dirompenza. La storia di queste terre è intrisa di argilla e del sudore dei braccianti che hanno visto le proprie coltivazioni e le proprie case, la propria quotidianità e i propri ricordi ingoiati dalla furia tagliente della piena.

.7.


II storiografia del territorio

I territori del ferrarese e del polesine hanno modificato la loro conformazione in base all’andamento del fiume Po. Nel primo volume de “La storia di Ferrara” si trova memoria di alcune esondazioni (naturali e pianificate) già a partire dal VI/VII secolo che è utile ripercorrere prima di raccontare dell'evento del '51, il più catastrofico in età moderna. Nel 1152 ci fu quello che lo storiagrafo ferrarese Luciano Maragna definì come “l'evento più traumatico della storia del Delta Padano”1: il fiume, che geologicamente mostrava una tendenza verso nord, subì le rotte di Ficarolo a seguito delle quali si formò un nuovo corso principale e si ebbe la conseguente perdita d’importanza del Po di Volano e del Po di Primaro che comportò l’esclusione di Ferrara dalle rotte commerciali che ne avevano reso possibile l’insediamento nel V secolo. Tra il XIV e il XIX secolo si enumerano circa 70 rotte: tra le peggiori quella del 27 ottobre 1328 in cui l’acqua arrivò fin dentro la città di Ferrara e numerose altre si susseguirono inseguito all’immissione del Reno nel Po di Ferrara del 1522. Al 1604 risale il Taglio di Porto Viro, una manovra effettuata dai veneziani per contrastare l’impaludamento della laguna e ostacolare il progetto pontificio di rivitalizzare il Porto di Goro ottenendo il completo controllo sul loro territorio. Fu dunque costruito un canale artificiale che aprì il flusso del fiume verso sud. Questa operazione provocò l’interramento di alcuni rami del Po rendendoli canali di bonofica ed entrò in contrasto con l’andamento naturale del fiume provacando, attraverso l’accumulo di sedimenti trasportati dagli af-

.8.


fluenti appenninici piuttosto che da quelli alpini, lo spostamento del delta verso nord. Le tracce delle piene restano segnate nel padimetro di piazza Savonarola a Ferrara, dove sono indicati i livelli massimi raggiunti dalle acque del Po in diciassette diverse piene susseguitesi tra il 1705 e il 1951. Alla sua base è inoltre indicato un livello considerato "segno di guardia al Pontelagoscuro" a cui corrisponde il valore 0, che corrisponde a 8,51 metri sul livello medio del mare. La rotta piÚ devastante prima del 1951 che investÏ tutti i territori dal veronese al Polesine fu il 18 settembre 1882 la cosiddetta rotta dell'Adige, quando trentanove comuni in sessantaseimila e ottocentocinquanta ettari di terreno furono devastati in seguito al taglio tardivo degli argini della Fossa Polesella, per facilitare il deflusso delle acque verso il mare.

1.

Le nozioni storiche provengono dalla presentazione del volume di Luciano

Maragna, Le rotte dei fiumi nel territorio del ferrarese, produzione propria, 2014, tenutasi presso l'Archivio storico comunale di Ferrara il giorno 28 ottobre 2014

.9.


. 10 .


Corographia dello Stato di Ferrara con le vicine parti delli altri Stati che lo circondano, Giovan Battista Aleotti, Ferrara, 1603 conservata presso l'Accademia dei Concordi di Rovigo

. 11 .


III l'alluvione del '51

Come attesta il Bollettino idrologico mensile del Servizio Idrografico il mese di novembre fu contrassegnato da forti perturbazioni atmosferiche che colpirono tutta quanta la Valle Padana provocando un inconsueto apporto di precipitazioni a carattere persistente soprattutto sui rilievi alpini e prealpini con cifre comprese tra i 500 millimetri e i 1004 m/m. Nel tratto inferiore del fiume, quello che investì il Polesine e il ferrarese, si verificarono contemporaneamente la concentrazione delle precipitazioni atmosferiche e l'accumulo dei deflussi provenienti dal Piemonte e dall'Appennino Tosco-Emiliano. Secondo i dati tecnici la piena ebbe inizio alla Becca di Pavia alle ore 12 del 7 novembre e raggiunse la quota di 52,95 m.s.l. alle ore 24 circa. Nei giorni immediatamente precedenti alla rotta gli affluenti di destra e di sinistra del Po erano in piena ed il Panaro non riuciva a scaricare le proprie acque nel grande fiume. Il Po cresceva 10 cm all'ora. Il 14 novembre il bacino non potè reggere una tale massa d'acqua: dopo lo squarcio del torrente Cròstolo avvenuta alle 5, e al successivo crollo della chiavica di Bigone e alla rotta di Mezzana Rondani, alle ore 19.45 il Po ruppe a Paviole, alle 20 a Bosco e dopo solo quindici minuti tagliò l'argine sinistro a Malcantone di Occhiobello. E a questo punto si aprono due teorie sull'avvenimento: che la rotta sia avvenuta naturalmente o per mano dell'uomo. In questo tratto il bacino del fiume era ed è tutt'ora più rettilineo, pertanto l'acqua che si era accumulata in un gomito, spinse con una carica maggiore rompendo l'argine sinistro (verso il Polesine) piuttosto che

. 12 .


Confronto tra le porzioni di territorio allagate con la piena del 1882 (sopra) e quella del 1951 (in basso) Tratto dal Compendio statistico-economico della provincia di Rovigo

. 13 .


quello destro (verso il ferrarese) poichè era più basso. L'altra teoria prevede che l'argine fosse appositamente tagliato in quel punto, poichè il mare non riceveva e qualora fosse naturalmente esondato c'era il rischio che raggiungesse la città di Ferrara. Con una portata di 6000 metri cubi d'acqua al secondo furono riversati su una superficie estesa di 100.000 ettari, un totale di 8 miliardi di metri cubi d'acqua che causarono 88 morti e oltre 180mila senzatetto. Da un bilancio risultarono distrutte oltre 5674 case, le strade distrutte coprirono una lunghezza di 966 Km, le arginature distrutte furono 44,436 Km lungo il fiume principale e 15,183 Km quelle dei corsi d'acqua minori. Il prosciugamento delle zone invase dalle acque fu ultimato il 23 maggio 1952 dopo 195 giorni da tali rotte.2

2.

Dati pubblicati dal Genio Civile di Rovigo nel 1952, in Aldo Rondina,

Gianni Bergamini, Alluvione 1951. La grande paura, Edizioni Arti Grafiche Diemme, 1991

. 14 .


IV UNA TESTIMONIANZA DIRETTA

Durante il mio itinerario di ricerca ho avuto modo di incontrare la signora Carla che, disponibilissima, si è apprestata a raccontarmi la sua personale vicenda. I territori agricoli della campagna a confine tra Veneto ed Emilia-Romagna, risalivano alle tenute dei veterani dell'Impero Romano ed erano in mano a braccianti che le gestivano per conto dei ricchi signori, spesso padovani. Ma già in quegli anni era cominciato l'esodo verso le fabbriche e l'abbandono che la campagna cominciava a subire ricevette il colpo di grazia con la piena: dei cinquemilaeduecento abitanti di Canaro solamente milleottocento rimasero nella terra natìa. Nel 1951, Carla aveva dieci anni e viveva, come tutt'ora, nella borgata Vallone del comune di Canaro insieme a mamma Dorina, papà Radames e al suo fratellino Werter di cinque anni più piccolo. Il giorno 14 il Po si faceva sempre più minaccioso ed erano giunte le notizie che le acque tracimavano in più punti. Visto che rimanere nella propria casa diventò pericoloso, lei assieme alla mamma e al fratellino raggiunsero in bicicletta l'argine da cui passava la strada provinciale per S.Maria Maddalena, che risultava essere il punto più alto e più sicuro. Radames invece era partito nel pomeriggio dovendo prendere servizio per il turno di notte come personale viaggiante delle ferrovie nel dipartimento di Bologna.

. 15 .


«Una nebbia fitta avvolgeva la pianura allagata quella mattina e la visibilità era di pochi metri. Avevamo trascorso la notte, io, la mamma e mio fratello, sull'argine; ci eravamo riparati aotto un carro stracolmo di fieno, portato dagli agricoltori per foraggiare le mucche tolte dalle stealle e condotte a piedi in branco, sull'argine. Smarriti, infreddoliti, esterrefatti, eravamo intrappolati tra il fiume che scorreva, ormai svuotato e relativamente tranquillo alla nostra destra e la pianura, coperta dall'acqua limacciosa e torbida uscita dalla falla che si era aperta più a monte; cercavamo di scopreire l'altra sponda del Po, sul versante ferrarese: pensavamo al papà che doveva aver terminato il suo servizio. Poi...una persona che si trovava sull'argine, non ricordo chi, si avvicinò a noi, dicendo che qualcuno chiamava i nostri nomi disperatamente, al di là del fiume, sulla sponda ferrarese. Ci siamo spostati nella direzione di chi chiamava; la nebbia fitta impediva di vedere oltre l'argine. Tendevamo l'orecchio attenti ad ogni piccolo richiamo. Finalmente abbiamo intercettato la voce. – Dorina, Carla Werter, siete salvi?Rispondete! Sono Radames, rispondete. C'è qualcuno che conosce queste pesrone? Se mi sentite, rispondete! Sono il babbo! Carla, Werter, siete

. 16 .


sull'argine? State bene? Rispondete! La mamma capì e ci disse: – É il babbo rispondiamogli: BABBO!!! Siamo qui a Vallone, sull'argine, siamo tutti insieme! Non ci vedevamo, male nostre voci riuscivano a tenere i contatti. É stato in quell momento che il babbo decise di attraversare il Po con una barca a remi, pagando bene un barcaiolo che si trovava sulla rivaferrarese che non voleva rischiare l'attraversata perchè la corrente era forte e i vortici potevano far capovolgere l'imbarcazione. Ricordo come un film, l'arrivo del babbo sulla nostra sponda: era bagnato fradicio; indossava il cappotto nero, cerato da ferroviere, le scarpe erano infangate fin sui lacci. Ricordo che salutò affettuosamente la mamma e prese noi ragazzi sottobraccio piangendo a dirotto; non avevo mai visto il papà così commosso, fragile, emozionato; lui, così autocontrollato e severo con noi ragazzi! Ci siamo sentiti felici, protetti, amati. – Temevo che non vi avrei rivisto più – ci disse sottovoce. L'alluvione, per la nostra famiglia, è stata anche questo.»

. 17 .


V Esiti e risultati

Sia dal racconto della signora Carla che da altre testimonianze, emerge il profodo senso di unità e solidarietà che ha coinvolto l'intera nazione e le nazioni estere. Scriveva Maurizio Romanato3 dell'impatto mediatico che un evento ditruttivo così epocale ha avuto: il Polesine, che precedentemente era considerato solo come un luogo di miseria e povertà, entrò purtroppo in maniera drammatica nell'attenzione totale del mondo attirando l'interesse non solo dell'Italia ma anche dell'estero. Numerosi proventi arrivarono da Spagna e Francia, dall'Afghanistan e dall'Albania giunsero contributi economici. Questo atteggiamento di solidarietà dipese – sosteneva Romanato – anche dal fatto che la radio portò il dramma di una popolazione e il disastro in diretta: fu uno dei primi casi, questo, in cui il mezzo radiofonico, la diretta televisiva e i giornali erano finalmente liberi dai fini propagandastici del regime fascista, e dalla censura; si cominciava ad intravedere una nuova forma di informazione, libera. Certo, radio e cinegiornali erano "filogovernativi", ma alcuni documenti non potevano risentire di uno spirito di parte ed entrarono nella memoria collettiva facendo comprendere la portata del disastro. I grandi giornali nazionali mandavano i loro giornalisti che all'epoca cominciavano ad essere le più importatni firme italiane tra cui Camilla Cederna, Giancarlo Fusco, Enrico Mattei ed Enzo Biagi. L'immagine fotografica comincia a sostituirsi al testo nel trasmettere e comunicare il senso di dolore e desolazione che incombeva su quelle terre e più delle parole si può dire che furono proprio queste emozioni suscitate da immagini a colpire la gente.

. 18 .


I giornali e le radio furono fondamentali nel ricongiungimento delle famiglie e nella ritrovamento dei dispersi. Da un lato il coinvolgimento mediatico di quest'area ebbe frutti positivi per la sensibilizzazione pubblica, dall'altro negativi poichè contribuì a creare quell'immagine del Polesine che nemmeno in seguito riuscì mai a discostarsi: quella di una terra a rischio continuo. Il Polesine colpito dall'alluvione contava trecentocinquantasettemila e novecentosessantatrè abitanti amministrativamente suddivisi in cinquantuno comuni; si contavano dodici zuccherifici, sessanta molini ad alta macinazione, due riserie, trenta caseifici, tre canapifici, nove pastifici, una fabbrica di conserve alimentari, un grosso stabilimento per la produzione di amido, glucosio e destrina, ed inoltre cinque fabbriche di calzature, una cartiera, un jutificio, quarantacinque fornaci per laterizi, un centinaio di centrali per la compressione del metano. I danni che investirono ebbero una forte eco sull'economia dell'intera nazione. Sul versante agricolo si contò4 la perdita di circa otto milioni di quintali tra frumento, barbabietola, granoturco, foraggi, canapa, ventottomila capi di bestiame e ottomila e duecento

3.

1951: Ruolo dei mass media, l'immagine del Polesine, in AAVV, 1951-2001: il

Polesine dal passato al futuro, Rovigo, 2001, pubblicazione per conto dell'università popolare polesana per la terza età e il tempo libero di Rovigo

. 19 .


Alcune copertine d'epoca tra le riviste periodiche pi첫 diffuse: Oggi n째 18 29 novembre 1951 Oggi n째 49 6 dicembre 1951 Epoca n째59 24 novembre 1951

. 20 .


macchine agricole furno rese inutilizzabili. Quasi tutte le piante, tranne salici e pioppi, hanno sofferto di asfissìa radicale ed i frutteti sono andati in gran parte distrutti. I terreni riemersi, impoveriti dalle sostanze nutritive e coperti da densi strati di argilla che li rese incoltivabili e di difficile aratura, presentarono la necessità di una completa ribonifica. Numerosi, risultarono i crolli dei fabbricati agricoli, determinati principalmente dalla precarietà delle fondamenta. Altrettanto gravi furono i danni subìti dall'industria: otto molini per la macina, sei pastifici, due riserie, sette canapifici, diversi laboratori tessili, otto aziende metalmeccaniche, due industrie del legno, una vetreria, tre industrie alimentari e conserviere, una tipografia furono irremediabilmente danneggiati. La perdita dei molini, che solo nel tratto da Paviole al Delta erano undici, sancì la fine di una realtà artigiana, tuttavia non esiste un censimento preciso dei danni subìti dalle aziende artigiane, ma si calcola che furono oltre 3000 le attività colpite. I sistemi di bonifica meccanica per rendere coltivabile un terreno inospitale all’agricoltura, le modificazioni territoriali dell’800 e ancora più le più recenti estrazioni di metano risalenti agli anni ‘40 e ‘50 del secolo scorso, hanno comportato l’abbassamento del terreno rendendo uno degli ambienti nsturali italiani il più artificioso dei luoghi. Il restringimento dell’alveo, l’innalzamento degli argini, hanno già provocato e continueranno a provocare devastanti disastri che verrano definiti “naturali” anche senza esserlo5. Scrive Pierluigi Cervellati, architetto e urbanista italiano, della necessità di ristabilire un rapporto etico con la natura, la cui valorizzazione è vitale per l’uomo. Non parla di limitarsi alla sola manutenzione di essa, ma natura e società dovrebbero essere in accor-

. 21 .


do nel paesaggio, visto come luogo di incontro tra queste due sfere comunicanti.

«Persa la natura non come ordine fisso e canone esterno, ma come luogo primo della conoscenza e della ragione, si è perso il senso della storia, della persona, del lavoro e di qualsiasi sistema di relazione»6.

4.

Aldo Rondina, Gianni Bergamini, Alluvione 1951. La grande paura, Edizioni

Arti Grafiche Diemme, 1991 5.

Pierluigi Cervellati, in Breveglieri Walter, Verignana Franca, I giorni del grande

fiume: il Polesine e l’alluvione del Po, Novembre 1951, Minerva, Bologna, 2001 6.

Ibidem

. 22 .




Ricerca iconografica


Vittorino Vicentini


. 27 .




. 30 .


. 31 .


Walter breveglieri



. 34 .


. 35 .



. 37 .


. 38 .


. 39 .


Arianna Arcara


. 41 .




. 44 .




tavole



























Bibliografia Paolo Sorcinelli, Mihran Tchaprassian, L’alluvione : il Polesine e l’Italia nel 1951, UTET, Torino, 2011 Aldo Rondina, Gianni Bergamini , Alluvione 1951: la grande paura : testimonianze e immagini, Arti grafiche Diemme, 1994 Walter Breveglieri, Franca Verignana, I giorni del grande fiume: il Polesine e l'alluvione del Po, Novembre 1951, Minerva, Bologna, 2001 Lucio Scardino, Iconografia dell’alluvione: i pittori neorealisti padani e il tragico evento, Rovigo, 1994 Maurizio Romanato, 1951: Ruolo dei mass media, l'immagine del Polesine, in AAVV, 1951-2001: il Polesine dal passato al futuro, Rovigo, 2001 Luciano Maragna, Le rotte dei fiumi nel territorio del ferrarese, produzione propria, 2014 Vittorino Vicentini, 14 novmbre 1951: La rotta del Po, Grafiche Dielle, 1999 sitografia http://www.cesurapublish.com/index.php?/projects/po-the-river/

riferimenti fotografici Walter Breveglieri Arianna Arcara, collettivo Cesura, Po/The river Vittorino Vicentini

. 73 .


2015


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.